I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro I 

 

Ferdinado IV° o I°.                                                                                                CAPITOLO II.

 

 

Ora che abbiamo detto quale era il re, cerchiamo far conoscere al lettore la nazione sulla quale era egli destinato a regnare.

La nazione tanto in Sicilia quanto nelle provincie di terra ferma, si componeva di cinque classi ben distinte.

I nobili.

Il clero.

Il mezzo ceto.

Il popolaccio.

E i lazzaroni.

Non eravi ancora quel che si può chiamar popolo, a meno che non si voglia dar questo nome alle classi mezzo serve che occupavansi dell'agricoltura.

Cominciamo per dare un'occhiata sullo stato di Napoli nel 1760 cioè, all'epoca nella quale Ferdinando salì sul trono.

Napoli come popolazione non ha nessun rapporto col resto degli stati napolitani ‑ Napoli contava 400,000 abitanti quando tutto il reame conteneva appena 6 milioni d'uomini, onde non vi è nel regno nessuna città che si avvicinò a Napoli sia per rapporto alla popolazione, sia per rapporto alle sue risorse.

Foggia che a quell'epoca occupava il primo posto dopo Napoli contava 26,000 abitanti.

Lecce considerata come la città principale della Puglia, perchè era la residenza d'una numerosa nobiltà, aveva appena 15,000 anime; mentre Portici e Torre del Greco sorta di sobborghi di Napoli, ne contenevano diggià a quell'epoca più di 18,000.

Taranto, Molfetta, Manfredonia, Salerno. Otranto, ch'eran le città più considerevoli del regno, dopo Lecce e Foggia, offrivano una popolazione molto inferiore.

La città di Napoli racchiudeva gran numero di nobili, di preti, e di avvocati.

Noi parleremo particolarmente de' suoi dotti, dei suoi letterati, e dei suoi medici.

Potevansi contare a Napoli 20 a 25,000 nobili ‑ Le fortune più cospicue avevano 40,000 ducati di rendita.

Più di cinque mila famiglia, senza appartenere alla nobiltà, vivevano nell'opulenza mercè i servizi che rendevano alla corte ed ai nobili.

Il restante della popolazione componevasi del clero, dei monaci, della cittadinanza, del popolaccio e dei lazzaroni.

Eravi a Napoli un lusso di carrozza, che non si vede in nessun'altra parte del mondo, nemmeno a Parigi Contavansi due mila carrozze di particolari e tre o quattro mila da nolo.

Nessun'altra città d'Europa racchiude un egual numero di domestici che indossano livrea, formicolante nelle anticamere, ammonticchiati dietro le carrozze, ed appollaiati sui sedili di esse. Potrebbesene contare quasi sessantamila.

Nelle prigioni dello stato, eranvi undici mila condannati tra quei che portavano la catena, e quei che convinti di furto o ruberie n'erano esenti ‑ Erano molti, poichè la Francia con una popolazione quasi quintupla non ne avea 15,000. L'Austria che possedeva 19,000 di sudditi ne contava 6000; e la Prussia con una popolazione eguale a quella delle due Sicilie avevane 2000.

« Questo numero considerevole di detenuti, dice Gorani, è tanto più straordinario, in quanto che l'amministrazione della giustizia criminale nelle due Sicilie è estremamente poco severa. La sua indulgenza giunge fino all'ingiustizia, perchè ella neglige di punire gran numero di delitti provati ad evidenza. Se fossero puniti in quel regno tutti gli assassini, tutti i ladri per scassinazione, ed i falsari, conterebbonsi certamente più di cento mila forzati. Per trovare una ragione a questo fatto bisogna pensare che il popolo manca completamente di educazione, ed è rarissimo incontrare un uomo nelle classi inferiori che conosca le lettere alfabetiche, e se a questa mancanza completa di istruzione elementare si aggiunge la mancanza, la negligenza dell'amministrazione e della giustizia, bisognerà riconoscere, che questa nazione dev'essere naturalmente buona, per non presentare un numero cento volte maggiore di delitti e di disordini ».

Gorani viaggiava nel reame delle due Sicilie, al principio del Regno di Ferdinando; il suo giudizio che può valere anche oggi per Napoli, deve adunque essere ritenuto per veritiero.

Continuiamo a prender dal medesimo le nostre informazioni ‑ Egli vedeva e scriveva cento anni or sono, e diceva il vero, cosa che niuno avrebbe osato fare a Napoli.

« Il Napolitano ama molto parlare e ridere ‑ Egli parla e ride rumorosamente. Dice schiettamente quel che pensa; noi parliamo della gente del popolo, ben inteso; ed egli obbedisce, come un fanciullo al fuoco delle sue passioni. Al certo la massa della nazione possiede virtù ed umanità, ma la classe depravata, lo è talmente, che troverebbesi difficilmente a paragonarlo per la degenerazione dei costumi, il Napolitano malvagio non solo riflette a sangue freddo sul delitto che commette, ma lo adorna con molle atrocità.

Il 1799 ha dato completamente ragione a Gorani.

Continuiamo.

« I Napolitani sono eccessivi in tutto, nel bene come nel male, nella gioia come nel dolore, nella pietà come nell'irreligione, nel coraggio come nella viltà passano facilmente da una passione ad un'altra: un buffone sopra una panca li fa smascellar dalle risa, ed un predicatore con uno crocefisso in mano fa versar loro abbondanti lagrime. Singhiozzano allora e domandano perdono dei loro peccati in modo da intenerirvi gli astanti. Ma non è lungo il trionfo del predicatore ‑ Che Pulcinella venga e le lagrime del pentimento cedono il posto alle risa più smodate ».

Sonovi a Napoli trenta mila persone all'incirca le quali non hanno nè fuoco nè luogo e che dormono sulle pubbliche piazze o nelle strade. Col render qualche servigio, essi han ben presto guadagnato cinque soldi, o sei, o dieci, e con quel modico salario vivono benissimo l'intiera giornata. Essi sono senza previdenza, senza inquietudine per le malattie che possono colpirli, essendo sicuri d'esser ricevuti in un ospedale od in una casa di carità.

« Un uomo del popolo va da un venditore di maccheroni, si fa dare un tondo di legno ripieno di quella pasta ben calda, e li prende con le mani li attorciglia con estrema destrezza; inimitabile quasi sempre dai forestieri, e dopo aver mangiato all'aria aperta ridendo va da un acqua‑cedrataio, ingoia mediante un grano, un gran bicchiere d'acqua inzuccherata contenente maggior quantità di succo di limone della pretesa limonata che vendesi nelle vie di Parigi. I venditori di maccheroni hanno caldaie immense ripiene di quel comestibile Tutto il condimento consiste in una mezza libbra di grascio di maiale fusa in quella massa enorme con un pò di sale. Ecco il nutrimento dell'uomo del popolo di Napoli; il quale raramente mangia meglio, ed al quale quel vitto basta, attesocchè i Napolitani sono naturalmente sobri. Il Napolitano non conosce l'ubbriachezza e non si abbandona mai all'afflizione.

« Il gergo di Napoli è pieno d'energia ed il popolano lo parla accompagnandolo con una mimica ancor più significativa, perchè nessuna nazione gestisce tanto - Crederebbesi che è un popolo composto esclusivamente di buffoni e di istrioni. Una gesticulazione, animata prende sempre le parole ch'essi pronunziano aprendo una gran bocca ‑ perchè la grandezza estrema della bocca è uno dei segni caratteristici della fisonomia napolitana, e non vi è niente di raro in Napoli, che di vedere una donna con la bocca piccina ‑ Forse a causa di ciò tutti parlano ad alta voce, di modo che uno straniero prova molta pena ad abituarsi a così rumorose vociferazioni.

Ebbene, sono scorsi cento anni, quattro rivoluzioni, e due governi stranieri son passati sul popolo, che Gorani ne dipingeva un secolo è già, e la descrizione che egli allora ne faceva, è più esatta di quante oggi se ne possono fare.

La nobiltà era a Napoli quel ch'essa era quasi da pertutto a quell'epoca lasciando da parte la nobiltà siciliana, la quale fiera dei suoi diritti, e ricca del suo patrimonio o degli abusi attribuiti alla sua casta, restava nell'isola nativa senza curarsi degli uomini della corte. Essa gravitava intorno al trono, ricevendo da esso luce, favori, vita morale, o meglio immorale; ben più dipendente, ben più schiava di popolo che parlava ai grandi burlandosi di loro, ed al re dandogli del tu.

Del clero non diremo altrettanto, di tutti i paesi del mondo Roma compresa, era il più ignorante, il più depravato, il più inetto.

Disgraziatamente era quella una classe influente per numero ed a causa della superstizione.

Verso il 1763, cioè nell'epoca alla quale siamo giunti, contavansi nel regno di Napoli 22 arcivescovi ‑ 116 vescovi ‑ 50,313 preti secolari ‑31,214 monaci di ogni colore ‑ 23,319 monache. In totale 104,034 individui colpiti di sterilità ed a carico dello stato. ,

Eravene presso a poco 23,000 per ogni milione dì abitanti. Bisogna aver vissuto nel regno delle Due Sicilie, bisogna essere entrato in un convento, bisogna aver parlato con quei monaci, che una legge sopprime finalmente, per vedere in quale stato di abbruttimento sono, e soprattutto in quale stato esser doveano ridotti quei disgraziati or sono cento anni.

Ce ne riporteremo ancora a Gorani, per dare ai nostri lettori un'idea del clero napolitano. Un ritratto fatto da noi potrebbe essere tacciato d'esagerazione, fatto da un contemporaneo avrà il merito d'una fotografia.

« I loro costumi, dice Gorani parlando dei preti e dei monaci napolitani, sono più depravati ancora di quelli dei monaci degli altri paesi cattolici ‑ Le uccisioni. lo stupro, A veleno sono loro familiari ‑ Durante il mio soggiorno a Napoli un giovine giacobita violò una fanciulla e quindi la uccise ‑ Cinque Francescani assassinarono il loro superiore, perchè quegli volea costringerli a seguir strettamente le regola del fondatore San Francesco. Due canonici metropolitani si resero colpevoli di un furto con scassinazione, ed il governo non fece passo alcuno, per punire quei scellerati.

 

« Un ultimo fatto, successo sotto i miei occhi.

« Mentre io era a Napoli un frate del convento di S. Agostino uccise una donna nella chiesa. L'assassino vive ancora tranquillamente nel medesimo convento, senza che fosse stato per nulla sturbato.

« Ecco la cagione di quest'orribile omicidio.

« Questo monaco avea per amorosa una fanciulla estremamente bella. I vicini eransene accorti e ne parlavano fra loro: una delle sue amiche raccomandolle d'esser prudente nel ricever quel frate, perchè la cosa facea sparlar di lei. La fanciulla comunicò al monaco l'avviso ricevuto, e gli disse il nome della persona che aveaglielo dato. Il religioso decise vendicarsi. ed essendo la povera donna andata all'Ave nella chiesa del convento, egli le si accostò, rimase a parlarle finchè tutti fossero usciti, ed allora tratto d'un subito un pugnale dal suo vestito l'immerse nel seno della disgraziata.

L'uccisore corse a prosternarsi al suo superiore che lo amava, e quegli lo prese sotto la sua salvaguardia

Lo si mandò in un altro convento poco lontano dal suo, ove rimase finchè il rumore cagionato del fatto fosse dissipato, e quattro mesi soltanto erano scorsi, quando tornato a Napoli, continuò ad officiare nella chiesa medesima che avea profanata col suo misfatto.

« I costumi delle monache non sono maggiormente conformi a quanto le regole loro prescrivono . I loro conventi sono continuamente teatri d'orgie frenate.

« Il clero regolare è tanto ricco nelle due Sicilie, che possiede quasi tutti i beni del Regno. Vi sono conventi che hanno redditi immensi, alcuni monasteri di monache anno cento mila ducati d'argento di netto prodotto.

Noi abbiam detto che il popolo è rimasto qual'era, si crederà forse che i frati han migliorato? Ci si permetta di provare il contrario pubblicando una lettera che abbiamo avuta fra le mani.

Essa è stata trovata sul padre Rocco Tepold; monaco di... preso con le armi alla mano fra i briganti e fucilato a Sergola il 23 gennaio ultimo.

Questa lettera è scritta dalla Radessa d'un convento vicino ‑ ed era ornata da un cuore trapassato da due frecce, disegnato a mano col nome di Gesù nel mezzo, la Badessa è certamente una seguace di Maria fondatrice del convento del Sacro Cuore.

 

A M D G

 

« Mio amatissimo in Gesù Gristo.

« Sento parlare della vostra partenza ‑ Se al sentir solo che giunger deve questo momento, sento mancarmi il cuore , cosa avverrà quando giungerà il momento di darci l'estremo addio?

« Voi non potete conoscere per qual legame mi tenete il cuore, ed io non so comprendere come esso si è acceso per voi a questo segno, cosa che per voi solo io ho provata. Questa simpatia non si estinguerà mai nella anima mia; siate persuaso che, quantunque lontano da me, io vi sarò sempre vicina, e non potrò dimenticar mai la vostra cara persona. Io so purtroppo quanto mi ama il vostro buon cuore e quanto mi siete affezionato. Credo che voi non mi dimenticherete mai. lo credo, perchè ho avuto agio a conoscer che il vostro caro cuore era sincero, affabile e sapeva amarmi di vero cuore onde potete credermi se avessi potuto trattenervi che non avrei fatto. Ma chiusa fra quattro mura sono impotente ‑ Quanto ho sofferto di non aver potuto fare quel che avrei voluto, ma voi conoscete il mio stato e mi perdonerete di non avervi ajutato come avrei dovuto farlo. Domani spero abbracciarvi almeno ‑ Voi dovete venire alle 10 1/2 e così niuno vi vedrà e potremo darci e baciarci la mano e... Dovete dirmi poi se veramente partite ; ditemelo subito, non mi date questo colpo all'ultimo momento, perchè almeno potrò sollevare il mio cuore piangendo, altrimenti, d'un tratto, io impazzirei Quanto si soffre in questo mondo, speriamo che come ci amiamo ora, saremo un giorno in Paradiso, sempre uniti per non più separarci.

« Intanto credetemi vostra, e gradite i miei cari saluti che vi do di cuore insieme a tante altre cose.

« Ma infine buona notte, dormite bene e credetemi. Vostra obbligatissima ed affezionatissima.

 

 

Si comprenderà la delicatezza che ci fa tacere il nome. li degno frate Rocco Tepaldi è stato fucilato, ma la degna badessa vive ed ha parenti in Napoli.

Noi non abbiamo però finito ‑ Un post scriptum esiste.

P. S. Delle due fanciulline che m'avete mandate una era inferma ; vi raccomando mandarmene altre tre, giovani, belle ed in buona salute.

Confessate che a parte la fanciulla egra e quella in buona salute, che appartengono più all'antichità che al medio evo, la lettera potrebbe esser firmata... Eloisa.

 

 

Il mezzo ceto, cioè quella classe che abbiamo visto sbocciare sotto Carlo III, che chiamasi cittadinanza nei governi assoluti, e terzo stato nei paesi liberi, si componeva particolarmente dei medici, dei dotti, dei letterati, e degli avvocati o Paglietta.

Diciamo qualche parola su ciascuna delle classi che abbiamo nominata.

Verso la fine dell’ultimo secolo eranvi tre o quattro medici distintissimi a Napoli; al contrario di Roma che non ne avea neppur uno.

Uno dei più celebri era Domenico Cotugno, uomo di immensa erudizi one, versatissimo nelle lettere greche e latine occupandosi fra i lavori del suo stato e della sua numerosa clientela di teatri e di poesia ‑ Non riceveva mai denaro da coloro che andavano a consultarlo in casa sua ; ma prendeva tre piastre per ogni visita che faceva., e guadagnava ottantamila franchi all'anno.

A ventitrè anni egli avea scoverto l'acqua che esisteva nel timpano dell'orecchio ; ed a trenta avea scritto una delle migliori opere italiane che esiste sulla sciatica.

Il visconte d'Errera ambasciatore di Spagna alla corte del re diventò paralitico e perdè l'uso del lato diritto

fece chiamare Cotugno e gli chiese se guarirebbe.

Questi gli rispose affermativamente.

‑ Di quanto tempo avete bisogno per tanto fare? gli domandò l'infermo.

‑ Due mesi, rispose il dottore.

‑ Ve ne fate garante? sì

In questo caso m'abbandono a voi. fate di me quel che volete.

Dopo cinquanta giorni non solo l'ammalato avea lasciato il letto, ma camminava senza zoppicare, solamente si ostinava a portare il braccio appeso al collo.

Eccellenza, gli diceva Cotugno ad ogni visita che facevagli, servitevi del vostro braccio.

‑ Volentieri, rispondeva l'ambasciatore, ma ciò non è possibile.

Ogni giorno il medico faceva la medesima domanda al suo ammalato, ed ogni giorno questi faceva la risposta istessa.

Si giunse così al sessantesimo giorno e Cotugno avendo fatto la sua solita visita, disse :

‑ Eccellenza sono oggi due mesi, che intraprendendo la vostra guarigione, vi ho detto che in sessanta giorni sareste guarito radicalmente, ora voi lo siete, oppure io sono un asino d'ignoranza.

‑‑ Disgraziatamente, disse il diplomatico. io non sono guarito.

Vi domando perdono, eccellenza. Voi lo siete.

Oh per esempio!

Cominciate dal toglier questa pezzuola che vi sostiene il braccio.

‑ Ma poichè vi assicuro...

‑ Toglietela vi dico.

L'ambasciatore obbedì.

Ora appoggiate il braccio su questa tavola.

E’, per farvi piacere.

E prendendo il suo braccio destro col manco lo appoggiò sulla tavola.

Adesso alzate il vostro braccio all'altezza del capo. Mi è. impossibile.

Alzatelo, lo voglio.

Colpito dal tono imperativo del medico, l'ambasciadore fece uno sforzo, ed effettivamente, come aveagli ordinato il dottore alzò il braccio all'altezza del capo.

‑ Vedete bene. disse Cotugno, ch'io non era un asino d'ignoranza, ma voi un mulo di testardaggine ‑ Addio signor ambasciatore, voi non avete più bisogno di me nè di altri. Voi siete guarito.

E preso il suo cappello uscì.

L'ambasciadore gli mandò mille piastre, 5000 franchi.

‑ Signor ambasciadore, gli scrisse Cotugno, io fo pagar le mie visite tre piastre ognuna ‑ Sessanta visite importano 180 piastre ; vi ritorno la differenza, non avendo due prezzi.

Un contadino andò a consultarlo, lamentandosi della debolezza del suo stomaco, che rigettava ogni nutrimento, ed aggiunse che provava pesantezza al capo insieme a vertigini.

Cotugno esaminò l'uomo e si accorse che nel parlargli non restava cinque minuti senza sputacchiare.

‑ Quanto tempo avete atteso nella mia anticamera? ali chiese.

Quasi mezz'ora, eccellenza ‑ disse il contadino. Cotugno si alzò aprì la porta dell'anticamera e vide il suolo inondato.

Comprese allora che l'abitudine presa da quell'uomo di sputar continuamente lo privava della quantità di succhi gastrici necessari alla triturazione degli alimenti ‑ Si rimise al suo scrittoio e cominciò a scrivere sopra un pezzo di carta.

‑ Eccellenza, gli disse il contadino, non mi fate una ricetta che costa troppo, perchè non sono ricco.

‑ Sai leggere, domandò Cotugno.

‑ No, eccellenza.

‑ Ebbene ritorna a casa tua e fatti leggere questo scritto dal tuo curato.

Tu non spenderai nulla. e tra un mese sarai guarito.

Il contadino incantato ritornò al suo villaggio e corse dal curato a farsi leggere la ricetta, la quale era così concepita.

« Ti proibisco sotto pena di morte di sputare prima d'avere da me ricevuto permesso ».

‑ Dopo sei settimane il contadino godea florida salute ; egli non sapea più cosa fosse aver male allo stomaco, avrebbe digerito anche il ferro.

Egli giudicò allora esser bene andare a ringraziare l'uomo che aveagli reso la sanità con tanta poca spesa.

‑ Mi riconoscerete voi Eccellenza, diss'egli a Cotugno, entrando nel gabinetto del dottore e ponendosigli ritto di rincontro.

‑ No in fede mia ‑ rispose Cotugno, in ogni caso non credo che voi vogliate consultarmi sopra una malattia, perchè state come l'acquidotto di Caserta.

‑ Ebbene, io sono quel povero diavolo, che voi avete guarito proibendogli di sputare, io vi ho obbedito alla virgola, come suol dirsi, ed eccomi completamente risanato ‑ Perciò vi ho portato pochi caciocavalli e prosciutti, preparati da me che io prego vostra Eccellenza d'accettare.

Davvero, disse il dottore, benchè io non riceva nulla ordinariamente per le visite a domicilio, i tuoi formaggi ed i prosciutti, sembrano buoni, e tu li offri tanto cordialmente che io accetto.

Non ho mai guadagnato tanto con sì poca pena, o non ho mai ricevuto un dono che m'abbia fatto maggior piacere.

Colui che avea la più grande riputazione dopo Cotugno era il cavalier Gatti, lo stesso che abbiamo veduto al capezzale di Galiani moribondo, e che fu poscia conosciuto a Parigi per le numerose inoculazioni che andò a farvi. Egli era stato professore dell'università di Pisa, e la corte di Toscana gli avea conservato, malgrado che egli abitasse Napoli, la metà dei suoi emolumenti in attestato di soddisfazione dei servigi che avea reso.

Il cavaliere che avea avuto una gioventù delle più burrascose era, come certi medici, oltremodo unico nelle sue espressioni, e, come Boileau chiamava Gatti un gatto, slanciandosi nei racconti più liberi senza badare nè al sesso nè al rango delle persone che lo ascoltavano.

Quando la rivoluzione francese scoppiò, esso non ebbe nel regno di Napoli nemico più acerrimo del Gatti.

Questi molto ben visto alla corte delle Due Sicilie rappresentò una parte importante in tutti gli intrighi politici di Acton e di Carolina, egli era l'uomo indispensabile, il medico alla moda; giuravasi solo per Esculapio, onde trovavasi a tutti i pranzi, a tutte le partite di piacere, a tutte le feste. Egli andava sempre a piedi per far le sue visite e morì in età di ottant'anni, portando seco nel sepolcro gli aneddoti segreti di tutta la corte e di tutta la nobiltà di Napoli.

All'opposto del cavalier Gatti, Domenico Cirillo che noi ritroveremo sopra uno dei patiboli del 1799 era uomo di virtù e patriottismo antico ‑Egli era nato a Grumo piccolo villaggio in terra di Lavoro nel 1734, da una famiglia di magistrati di dotti, e di medici ‑ Da giovine egli avea quindi visitato la Francia e l'Inghilterra; a Londra era stato ricevuto membro della società reale, in Francia avea conosciuto Buffon, d'Alembert, Diderot, Franklin, e diceva sempre che, senza l'affezione che avea per sua madre, sarebbe sempre rimasto a Londra od a Parigi, piuttosto che ritornare a vivere in un paese oppresso, e vicino ad una corte corrotta.

Appena ritornato in Napoli, ove tornò con una grande riputazione, ottenne la Cattedra di Fisiologia e quella di Clinica, e fu il vero innovatore della scienza medi. ca ‑ Chiamato in tutti i palagi, egli rimandava i ricchi infermi ai suoi confratelli, dicendo ch'egli aveva poveri a sufficienza, che la scienza era fatta specialmente per soccorrere l'umanità sofferente, e non dovea essere per coloro che l'esercitano un mezzo di ricchezza.

I due altri medici Cotugno e Gatti appartenevano all'era antica che le rivoluzioni han fatto scomparire, mentre Cirillo era un apostolo o dovea essere un martire dell'era moderna.

Ma accanto alla medicina tanto ben rappresentata a Napoli, la chirurgia era completamente indietro: e sarebbe difficile citare nell'ultima metà del secolo XVIII un solo chirurgo rimarchevole.

I dotti ed i letterati in fama a quell'epoca erano, prima di tutto ‑ Genovesi.

Era questi un filosofo o meglio un precursore. Alla luce ch'egli sparse, tutto sembrò apparire sotto un aspetto nuovo ‑ Per la prima volta vennero pronunciate ai suoi corsi le ignorate parole di ragione, e di dritto, della natura delle genti, ed i nomi sconosciuti di Loke, di Bacone, di Leibnitz e dì Montesquieu. Egli mori, e le tenebre tornarono per un momento, poichè Mario Pagano uno dei martiri del 1799 suo allievo era ancor troppo giovine, per continuar l'opera di lui.

Veniva poscia Giuseppe Maffei, il quale riunì in un corpo di dritto le istituzioni civili di Napoli ‑ Gaetano Filangieri che scriveva le sue opere, o piuttosto era ancora al crearle.

Il giovine Vico che avea ereditato dal padre, uno de' più grandi giureconsulti del mondo, il suo bel libro della scienza nuova. Giuseppe Galanti che è stato autore d'una delle migliori opere sul dritto pubblico e l'amministrazione delle due Sicilie, e finalmente Saverio Mattei che a 16 anni pubblicava la traduzione dei salmi in servi.

Ecco quel che lo storico Colletta dice sulle persone di legge del suo paese.

 

« Sono i curiali timidi ne' pericoli, vili nelle sventure ; plaudenti ad ogni potere, fiduciosi delle astuzie

 del proprio ingegno, usati a difendere le opinioni più assurde, fortunati nelle discordie, emuli tra loro per mestiere, spesso contrari, sempre amici. Il genere della costoro eloquenza è tra noi cagione di altri disordini : le difese sono parlate, lo scritto raramente accompagna la parola ; persuadere i giudici, convincerli e commuoverli, trarre alla sua parte gli ascoltatori ;

 creare a suo pro la opinione del maggior numero, momentanea quanto basti a vincere, sono i pregi del discorso ; finito il quale si obbliano le cose dette, e sol rimane il guadagno ed il vanto della vittoria, tanto maggiori quanto più ingiusti. Da ciò veniva che della esagerazione o della menzogna, fuggenti con la voce,  non vergognavano gli avvocati; e che i ragionamenti semplici e puri della giurisprudenza si mutavano in arringhe popolari, e seduttrici, ed il foro in tribuna.

 Mali al certo per la giustizia e per i costumi, ma rovina e peste nelle politiche trattazioni e ne' rivolgimenti civili, quando bisognerebbe ragione, verità, freno alla plebe, temperanza di parti.‑ ed invece prevalgono la briga, il mendacio, la licenza, indi l'origine dei mali pubblici. Sono dottrine curiali que' trattati nulli perchè di necessità, que' giuramenti mancati perchè non assentiti dalla coscienza, que' patti concordati co' soggetti e non tenuti perchè il re non parteggia coi vassalli : quel chiamare occupazione la conquista; ribellione quella che fu legittima obbedienza de' popoli ; e le tante altre sovversioni del vero e del giusto udite e patite a dì nostri.

 

Il quadro è brutto, e la sferza dello storico è spietata. Ma se si getta uno sguardo su quella classe di avvocati vagabondi che correvan per Napoli e che vi corrono oggi ancora, si è forzati di dire ch'esso è esatto.

Questi avvocati erano chiamati Paglietti dal cappello di paglia, che portavano, e che faceva quasi parte indispensabile del loro vestito.

Il numero di questi paglietti, o interpreti, incaricati, di torturare, a beneficio della mala fede, il senso della legge, giungeva in quell'epoca a tre o quattro mila, numerando solo coloro i quali aveano il dritto di lasciare il cappello di paglia per prendere il berretto di dottore in diritto. Tutti quei che facevansi ricevere dottori in diritto pagavano un tanto che veniva diviso fra tutti i paollietti in ragione della maggiore o minore anzianità, e da ciò risultava che un vecchio avvocato poteva, senza litigare senza dar neppure un parere, guadagnare due o lire mila ducati annui, mercè quella distribuzione.

Spieghiamo l'esistenza, se ‑non la necessità di questa razza roditrice, la quale vive tanto bene alle spese della società, ed a vergogna della morale pubblica.

Prima delle due occupazioni francesi, quella di Giuseppe e quella di Murat, che imposero quasi, al regno delle due Sicilie, il codice Napoleone, che i Napolitani abbastanza ingrati generalmente verso i Francesi, pretendono non essere altro che il Codice Leopoldino, non eravi un paese in Europa ove esistesse una più grande confusione di Leggi, di quella che vedevasi nelle due Sicilie. Quando Carlo di Borbone salì sul trono, undici differenti legislazioni, emanate per ordinanze reali, o leggi non abrogate, erano in vigore nel regno.

Ed erano:

L'antica legislazione romana

Il codice lombardo

Il codice normanno

Le costituzioni della casa di Svevia.

Le leggi Angioine ‑ Aragonesi ‑ del ramo spanuolo ‑ del ramo tedesco d'Austria, il feudalismo, la legislazione ecclesiastica e finalmente la greca del tempo nel quale Napoli, Amalfi, Gaeta e le altre città erano governate da ufficiali dell'impero d'Oriente.

Tutte le leggi in opposizione tra loro facevano durare eternamente le liti, e strappavano la maggior parte dei colpevoli alla pena che avevan meritata, perchè i giudici in fatto di furto e di omicidio giudicavano volentieri secondo le leggi meno severe ; e la pena di morte di cui la politica reale fu tanto prodiga mercè il ministero delle sue Giunte di stato, era raramente applicata dai tribunali ordinari, per delitto che la meritasse.

E’ vero che le condanne alle galere erano frequenti; ma cosa sono le galere nel regno di Napoli? Una pena più mite di quel che lo sia la reclusione negli altri paesi.

Si vuole un esempio della incuranza con la quale era applicata la pena? Noi citiamo il seguente.

Un assassino condannato a morte da due anni aspettava la esecuzione della sentenza, esecuzione che i condannati aspettano qualche volta fino a che la loro morte naturale li dispensi della morte penale. Una rissa insorse, tra esso ed un altro prigioniero ch'egli uccise con un colpo di coltello. Siccome volevasi dare un esempio agli altri detenuti, questo nuovo delitto fu sottoposto al giudizio del tribunale. L'omicida era stato condannato alla ruota anteriormente, per cinque uccisioni confessate. Cosa avvenne? La giustizia dimenticò l'antico processo, e gli antichi delitti di lui, e siccome il nuovo omicidio, in grazia della sua istantaneità, avea la circostanza attenuante, come oggi si dice, d'essere esente di premeditazione, egli fu condannato a dieci anni di galera ‑ La pena espiata, in virtù della legge che dice, nessun condannato poter essere perseguitato per delitto alcuno anteriore a quello di cui ha sofferto la punizione, egli fu messo in libertà, ed in condizione di farsi condannar nuovamente pel suo settimo omicidio.

Ritorniamo ai Paglietti, dai quali ci siamo allontanati, nel cercar la causa della loro esistenza.

Oltre i Paglietti, che rappresentavano in Napoli a quell'epoca lo stato di avvocato e di giureconsulto, un gran numero di nobili e di persone distinte facevansi aggregar alla illustre corporazione, e ciò perchè, siccome molti testatori, conoscevano il caos legale del codice napoletano, così volevano che i loro eredi, onde potessero difendere la fortuna che veniva loro lasciata fossero incorporati fra i Paglietti.

Il loro abito rassomigliava a quello dei nostri abati francesi. Indossavano essi il collare con un leggero mantello ciò che rendevali una casta anfibia, mezzo pretesca mezzo secolare.

Questi paglietti tanto stimati altra volta, sono caduti oggi in disistima completa, ciò che non ha loro impedito di pullulare al segno, che non havvi famiglia che non abbia il suo paglietta, o il suo consigliere ‑ Non si fa a Napoli un acquisto, una vendita, un fitto, una transazione senza che transazione, fitto, vendita o compra sia redatta da un avvocato ‑ E' inutile dire che i contratti sopra semplici parola d'onore sono sconosciuti, e se si dicesse che presso noi contratti di 200 o 300,000 franchi si fanno, si mantengono e si eseguiscono cori una stretta di mano, colui al quale si raccontasse questa enormità, darebbe del mentitore a quei che vorrebbe fargliela credere.

Ci resta a dire qualche parola intorno alla classe particolare a Napoli e presso la quale il re Ferdinando era tanto popolare ‑ I lazzaroni.

I dotti napolitani discutono ancora sull'etimologia della parola Lazzaro, Lazzarone, Lazzaroni.

Gli uni dicono ch'esso deriva dal Lazaro perchè quelli, che portano questo nome sono poveri come il

Lazzaro, coperto d'ulceri, che implorava invano la pietà del ricco malvagio.

E gli altri, e con maggior ragione probabilmente, dicono derivar esso dalla parola Spagnuola Lacero, stracciato, che pronunciato alla spagnuola fa Lazero, lazerotte. lazeroni.

Quest'ultimo sistema è quello di Colletta.

Secondo questo storico, sotto la monarchia spagnuola, quando il feudalismo disarmato non occupò più i vassalli in guerre, il dippiù di quelle popolazioni delle provincie, che mai avea conosciuto l'agricoltura, che non avea nè industria nè commercio, ch'era abituato a vivere nel disordine, e che non era abile a nessun mestiere, recossi alla capitale, e non avendo nè fuoco nè tetto in grazia della dolcezza del clima potendo vivere mezzo nudi sulle piazze, vestiti e nudriti quasi dal sole, e portando in mezzo alla società le abitudini selvagge, continuò a soddisfare cinicamente all'aria aperta i propri appetiti ed i propri bisogni.

A quell'epoca non si nasceva, ma si diveniva lazzarone.

Ogni uomo non avendo stato, o avendone tino che lo stancava senza soddisfare ai suoi capricci, preferiva entrare in quell'immensa corporazione del non far niente, vivere alla giornata, a capriccio del caso, piuttosto che seguire un lavoro assiduo e regolare ‑‑ Ne risultò che questa casta si aumentò sempre, e che sul principio del regno di Ferdinando, essa conteneva circa trenta o trentacinque mila individui.

Il governo in cui essa formò una massa, d'un nono della popolazione, nella quale rappresentò l'elemento famelico. audace, avido, saccheggiatore, amico del disordine, il governo dovea annientarlo o patteggiare con esso ‑ preferì il secondo mezzo.

Nei loro editti i vicerè diedero ai lazzaroni il titolo di popolo, li lasciarono stabilirsi in corporazioni, crearsi leggi e nominarsi un capo ‑Questo capo che rassomigliava molto al re degli accattoni del nostro cortile dei miracoli, rispettato da essi era incaricato di farli rispettare ‑Non v'ha esempio che il Capo siasi, qualunque il governo sotto il quale ha vissuto, siasi lasciato corrompere, ed abbia cessato di difendere gl'interessi dei suoi compagni.

E’ vicerè nelle grandi circostanze conferivano con questi capi, sia ch'essi chiedessero una riduzione sul pane, sul sale o sull'olio, sia che avessero bisogno di farsene degli alleati, per esserne sostenuti nelle sommosse popolari.

Masaniello era capo dei lazzaroni di Napoli quando nel 1647 Napoli si rivoltò.

Questo capo di lazzaroni ha i suoi privilegi, e similmente ai nostri antichi parlamenti, gli è accordato il dritto di rimostranza, di cui si serve arditamente coi ministri ed anche col re. t un vero tribuno del popolo senza laticlavio e senza i fasci. Ad alcune cerimonie della corte avea di dritto il suo posto, quando la regina partoriva, ;n nome della corporazione egli verificava il sesso del neonato, che venivagli messo fra le braccia. Egli lo abbracciava, lo mostrava al popolo, al quale faceva un discorso nella lingua dei lazzaroni, spesso con una certa eloquenza, sempre in un linguaggio pittoresco e pieno d'imagini.

Il lazzarone è essenzialmente, non dirò ladro. ma trafugante : egli ha inventato una parola che tiene la media fra questi due epiteti ‑ Il lazzarone è mariolo Ciò gli dà la facoltà di mettersi a ridere quando gli si dà questo piccolo soprannome, mentre se lo si chiamasse col grosso nome di ladro sarebbe obbligato di mettersi in collera.

Sotto questo rapporto se Napoli è una colonia greca, i lazzaroni sono in questa colonia i rappresentanti degli antichi Spartani, presso i quali era virtù il furto, se non si era colto in flagrante.

Noi li vedremo all'opera nel 1799.

Le prigioni del 1821 ci daranno una nuova casta, specie ibrida, sbocciata all'ombra delle carceri, che non esiste in altro paese, di cui nessuna storia di Napoli parla, di cui nessuno storico contemporaneo fa menzione.

Noi vogliamo parlare della Camorra parola spagnuola che significa, ríssa, disputa, combattimento.

Gli uomini che la compongono si chiamano camorristi.

Se ci si domandasse la spiegazione reale e sociale della parola camorrista, noi ne sapremmo dare una sola

‑ Sostenitor del male.

Ecco su quale strana associazione di uomini ; nobili avviliti, clero depravato, giudici prevaricatori, avvocati famelici, popolo pigro, lazzaroni saccheggiatori, il re Ferdinando era chiamato a regnare.

Il mezzo ceto solo, creazione di Carlo III, avea già dato nelle arti, nelle scienze, nella poesia, nella giurisprudenza e nell'amministrazione, modelli del bello e del buono, ed avea per l'avvenire gli elementi della devozione e del patriottismo ; innalzandosi non solo fino al grande, ma fino al sublime.

 

 

 

 

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