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Di
Alexandre Dumas
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CAPITOLO XII.
La battaglia di Aboukir che cagionava tanta gioia a Napoli aveva un immenso rimbombo in tutta Europa.
Coloro che non avevano visto
partire con timore la flotta da Tolone, avevanla vista sciogliere le vele
almeno con curiosità. Infatti il mondo intero, Oriente ed Occidente, era
interessato al gran mistero.
La curiosità cangiossi in
meraviglia, e questa in ammirazione quando seppe che nel passare, e mercè un
colpo di mano, Bonaparte erasi impadronito dell'Isola di Malta, giudicata fino
a quel momento come imprendibile; poi giunse la nuova dello sbarco ad Alessandria,
quindi quella della vittoria delle Piramidi.
L'eco delle Alpi aveva già
fatto grande il nome di Bonaparte, quello del Nilo facevalo immenso, e gli dava
qualche cosa di sacro, dandogli un certo che di antico. I più strani propositi
circolavano nelle riunioni, e per quanto fossero incredibili essi trovavano chi
credevali. Dicevasi che Bonaparte stava per traversar la Siria, facendo al
rovescio il cammino di Alessandro, per gettarsi sopra Costantinopoli, d'onde
sarebbe tornato per la via di Vienna, a meno che non fosse stato attirato dalle
Indie, come Alessandro. Aboukir senza distruggere il prestigio che attaccavasi
all'eroe di Arcole e di Rivoli, che avea trovato la vittoria fedele al convenio
che aveale dato sulle sponde del Nilo, tolse almeno alle sue future operazioni
la poesia dell'inaspettato. L'armata francese, senza flotta, era un uccello cui
il piombo del cacciatore aveva bruciato le ali. Bonaparte condannato ormai ad
una crociata del genere di quella di San Luigi, era ridotto a fondare ai piedi
del Mokattan una specie di impero dei Califfi e non aveva più nemmeno la
facoltà di tornare in Francia.
Era quello il momento di far
pagare caro alla Francia, priva del suo arcangelo dalla spada di fuoco, le
umiliazioni a cui da quattro anni ella avea sottoposto l'Europa.
Il congresso di Radstadt
inutilmente riunito da due o tre mesi nulla decideva, nè per la pace, perchè
l'Austria avea pena a lasciare le sue provincie del Reno senza un compenso in
Italia, nè per la guerra, perchè quantunque essa potesse contare
sull'Inghilterra e sulla Russia, era ancora anelante ed indebolita da una
lotta, nella quale aveva perduto il suo sangue più puro.
La Prussia, la quale aveva
tutto a guadagnar dall'indebolimento dell'Austria, era troppo contenta della
sua neutralità per intervenire nella lotta: contentavasi di stare in guardia,
con le sue armate schierate in cordone sanitario ed aveva ricevuto se non con
entusiasmo, almeno con riconoscenza, il nostro ambasciatore Sieves, malgrado il
suo nome significativo.
Il re di Piemonte spinto
dalla corte di Napoli esitava. Principe religioso, egli aveva scrupoli a causa
del trattato di alleanza che legavalo al governo della repubblica, ma gli si
faceva dire dai suoi preti, spinti da quelli di Roma e di Napoli che la fede
promessa agli atei ed agli eretici non impegnava a nulla, e ch'era lecito
assassinar fin l'ultimo di quegli uomini che avevano rovesciato il papa e lo
ritenevano captivo.
Sola, la corte di Napoli,
forte della presenza di Nelson vincitore, il quale spingeva alla guerra ‑
sola la corte di Napoli, vale a dire Carolina, Emma Lyonna ed Acton, erano per
una lotta immediata. Essa voleva che i Piemontesi si sollevassero alle spalle
dell'armata che custodiva la Cisalpina, ed i Toscani alle spalle di quella che
stava a Roma. I Napolitani avrebbero profittato dell'occasione per attaccar di
fronte l'armata di Roma, mentre che gli Austriaci anche di fronte avrebbero
assalita quella della Cisalpina. Presi così tra i Piemontesi, gli Austriaci, i
Toscani ed i Napolitani, i Francesi dovrebbero tutti morder la polvere in
Italia, poichè gl'Inglesi chiudevano loro il mare.
L'armata Napolitana, noi lo
abbiamo detto, aveva, mercè il reclutamento forzoso e le misure coercitive
impiegate, raggiunto la esorbitante cifra di 70,000 uomini.
Solamente la regina di
Napoli, la quale non s'illudeva circa il merito militare di Acton, non sapeva
chi porre a capo di queste truppe.
Si pensò al generale Mack,
il quale sebbene si fosse lasciato battere, aveva fatto con qualche distinzione
le campagne del 1792 e del 1793, contro la Francia.
Lo si chiese all'Imperatore
di Austria, che lo accordò volentieri, ed egli fu ricevuto a Napoli come
l'angelo salvatore del regno.
Mettiamo sotto lo sguardo
dei nostri lettori la lettera nella quale Nelson racconta la loro scambievole
presentazione avvenuta per cura della regina Carolina. ‑ Questa lettera,
come tutte quelle di Nelson, getta il suo lampo sulla politica odiosa ed
egoista della Gran Bretagna.
All'Ammiraglio Conte S. Vincent.
Napoli 13 ottobre 1798
Mio caro Lord
Quantunque Hoste sia giunto
con la vostra amabile lettera, mi resta ancora a raccontarvi quanto ho fatto
fino ad oggi, poichè a mezzodì il trasporto mette alla vela per raggiungervi.
Il generale Mack è giunto
martedì a Caserta; giovedì io fui invitato dal re e dalla regina a pranzare
insieme a Sir Villiam ed a Lady Hamilton col generale. Il re e la regina ne ci
accolsero colle maggiori testimonianze di stima e di considerazione
particolari. La regina però non mi lusingò molto dicendo « il generale Mack è
in terra quel che il mio eroe Nelson è sul mare ».
Ho fatto il possibile per
dare al Generale Mack una buona idea della mia persona e credo esservi
riuscito. Egli sembra molto attivo, ed ha lo sguardo penetrante. Egli agirà
bene, ne son certo.
L'Imperatore ha desiderato
che il re di Napoli cominciasse [*1] ed egli lo sosterrà. Mack dice che si porrà in cammino fra dieci
giorni.
Le LL. MM. hanno piena
fiducia in lui. Questa sera io avrò per iscritto il risultato dell'ultima sessione notturna. La regina non chiama
ciò un consiglio. ‑ Gallo deve avervi assistito, ma egli è vacillante, e
la regina dice che non gli affiderà il
portafoglio della guerra. Acton perdeva terreno ma noi lo abbiamo
sostenuto. Il generale Mack è meco d'accordo, di riporre in lui la nostra
fiducia e nella regina soltanto. Giunto
il momento della guerra vi manderò il Cutter Conte S. Vincent. ‑ Noi siam pronti a partire sta sera,
eccetto il Culloden, il quale è trattenuto
a causa dei danni sofferti dal suo timone. Noi salperemo adunque, un di questi
giorni. Quando saremo in mare distaccherò l'Audacieux
ed il Goliath per raggiungere il
mio caro Ball a Malta, di cui gli affiderò il blocco. Il governo qui è pieno di
rigore nella speranza di vedere aumentare la sua forza in poco tempo. ‑
Io sono rigoroso al par di lui.
Il re di Napoli comprende
benissimo, del resto, che se l'isola si arrende, senza comunicare coi nostri
vascelli, le navi Francesi, ci appartengono di dritto. L'Isola di Malta è evidentemente proprietà del re di Napoli,
ed ogni discussione sarebbe inutile su questo punto. Dio vi benedica!
Vostro affezionato ‑ H. NELSON
L'ultimo paragrafo è
curioso, perchè mostra chiaramente che in quel tempo l'Inghilterra non aveva
ancora nessuna pretensione sull'isola di Malta ‑ Circa alla seguente
affermazione di Nelson; L'Isola di Malta è
evidentemente la proprietà del re di
Napoli ‑ noi cerchiamo inutilmente su quali prove storiche possa
appoggiarsi.
Malta, dopo esser stata
posseduta successivamente dai Romani, dai Vandali, dai Greci, dagli Arabi, dai
Normanni, dagli Svevi e dagli Aragonesi, era stata data nel 1530, da Carlo V ai
fratelli Ospitalieri, scacciati da Rodi da Solimano II; i quali presero il nome
di cavalieri di Malta. Essa era
divenuta da quel tempo un piccolo stato sovrano elettivo, che durante molti
secoli fu il terrore dei pirati Musulmani. Bonaparte erasene impadronito,
nell'andare in Egitto. Noi non vediamo come tutto ciò faceva Malta proprietà
incontestata del re delle Due Sicilie.
Torniamo a Mack.
Egli era pieno di fiducia
nel proprio genio; parlava poco, ma da ogni parola prometteva la vittoria, ed
ogni suo detto considerato come profetico era raccolto come se fosse stato
scritto sopra una delle foglie sibilline delle querce di Dodona.
Si scrisse all'imperatore
d'Austria, nella certezza ch'egli accettasse la proposta che tutto era in
pronto per entrare in campagna, se dal canto suo egli voleva mettersi in
movimento nel tempo medesimo dell'armata napoletana.
Si è visto quale era il
piano: chiudere i Francesi fra quattro fuochi.
Un corriere di fiducia
chiamato Antonio Ferrari portò il dispaccio a Vienna. Egli doveva riportare la
risposta, e malgrado quanto aveva potuto fare Nelson con la sua corrispondenza
particolare con Lady Hamilton, e con la sua corrispondenza officiale con sir
Guglielmo, erasi deciso che la si sarebbe aspettata per entrare in campo.
Il corriere tornò e fu
ricevuto dalla regina e da Acton: la risposta non era quale si desiderava dalla
camarilla reale. L'imperatore non era deciso ancora ad attaccar la Francia.
Egli voleva aspettare l'armata ch'era in cammino, od era per incaminarsi sotto
gli ordini di Souwaroff. Egli esitava.
Conoscevasi la prudenza di
Ferdinando. Non era uno di quei spiriti avventurosi che si gittano innanzi a
rischio di non esser seguiti, ed intanto volevasi che si slanciasse innnanzi.
Una lettera nella quale
l'Imperatore di Austria annunziava ch'egli mettevasi in campagna fu sostituita
a quella nella quale rifiutava mettervisi, e Ferrari, mediante la promessa
della impunità per quella sostituzione, promessa accompagnata forse da una
ricompensa, risalì a cavallo, fè mostra di arrivare direttamente presso il re,
ed invece del plico vero, gli rimise quello falsificato.
Il re di Napoli ricevette la
lettera, la lesse, rimase completamente ingannato, e spinto dalle istanze di
sua moglie, secondate da quelle di Acton e di Nelson, promise di mettersi a
capo delle sue truppe.
Quest'atto di coraggio che
costava molto al re, ed era facile lo accorgersene, non era solamente l'effetto
della devozione alla causa della legittimità; ma eravi la speranza, che ritolti
ai Francesi gli stati del Papa, Napoli avrebbe avuto la sua buona parte nella
divisione del patrimonio di San Pietro.
Appena presa questa
decisione dal re, l'armata fu divisa in tre campi: 22,000 soldati furono
mandati a San Germano; 16,000 negli Abruzzi; 8,000 nella pianura di Sessa. Sei
mila uomini si chiusero in Gaeta, ed alcuni vascelli di trasporto, che la
squadra di Nelson doveva accompagnare, si tennero pronti a trasportarne 10,000
in Toscana.
Il primo campo, vale a dire
quello di 22,000 uomini fu comandato dal Generale Mack. Il secondo quello di
16,000 fu comandato dal generale Micheroux.
Il terzo, quello di 8,000
dal general di Damas emigrato francese.
Cinquantadue mila uomini
erano pronti ad entrare negli stati romani.
Il Direttorio dal canto suo,
prevenuto di tutti questi preparativi ostili, prendeva le sue precauzioni. Egli
aveva distaccato l'armata di Roma da quella della Cisalpina ed avevane dato il
comando al generale Championnet.
L'armata era sparsa in tutto
lo stato pontificio.
Eranvi nelle Marche d'Ancona
da 4 a cinque mila uomini comandati dal generale Casa Bianca. Il generale
Lemoine stava con 2 o 3 mila uomini, sul pendio opposto dell'Appennino verso
Terni, patria di Tacito. Macdonald con cinque mila uomini era accampato presso
il Tevere.
Oltre a ciò, eravi a Roma
una piccola riserva.
L'armata francese come si
vede, componevasi adunque di 15 a 16 mila uomini tutt'al più.
Diciamo qualche parola
sull'uomo che comandavala e ch'ebbe una parte importante negli avvenimenti che
racconteremo.
Giovanni Stefano Championnet
era nato a Valenza, dipartimento della Dróme, all'epoca in cui la Francia non
era ancora divisa in dipartimenti, vale a dire il 12 agosto 1762. Era desso
figlio del signor Grant presidente alle elezioni.
Diremo poi per quale errore
alcuni storici lo fan nascere a Napoli.
Siccome egli era figlio
naturale, e non venne legittimato se non mercè il matrimonio del signor Grant
con madamigella Colleyon sua madre, ricevette sui registri del battesimo il
nome di Championnet ch'era quello di una proprietà di famiglia.
Si è detto che Championnet
aveva cominciato dall'esser postiglione ‑ Questo è ancora un errore. Suo
padre aveva il privilegio della posta dei cavalli ‑ Fino dalla sua
infanzia, lo si vide a cavallo, ma gli animali ch'ei cavalcava dovevangli un
giorno appartenere.
Quantunque fanciullo, egli
facevasi rimarcare per un grande spirito d'indipendenza ‑ Uscendo dal
colleggio ove ricevette una eccellente educazione, riunì tutte le sue piccole
economie, e slanciossi nel vasto mondo,
come dicono i nostri vicini, i Tedeschi ‑ Egli si diresse verso la
Spagna.
Vi rimase finchè le sue
risorse glielo permisero e quando furono completamente esaurite, quel momento
fu supremo, e non volendo chieder nulla alla sua famiglia, ingagiossi nelle
truppe Valloni sotto il nome di Bella rosa. Ma al campo di S. Rocco ch'erasi
formato innanzi a Gibilterra, molti dei suoi antichi compagni di collegio,
ufficiali al reggimento di Brettagna, e fra gli altri il sgnor Duperron di
Valenza lo riconobbero, lo tolsero dalle guardie vallone, e lo attirarono con essi
come volontario.
Alla pace egli entrò in
Francia, e trovò le braccia del sig. Grant pronte a riceverlo, essendo tutti
lieti di veder il figliuol prodigo ritornare a casa.
Il 1789 giunse: Championnet
abbracciò con entusiasmo la causa della rivoluzione, ed ingaggiossi nuovamente
come soldato.
Il cannone del 10 agosto si
fece sentire: la prima coalizione si organizzò contro la Francia. Molti
battaglioni di volontari si formarono allora con una maravigliosa rapidità.
Il distrettò di Valenza
fornì il 6.° della Dróme. Championnet ne fu il capo.
Il 6° battaglione fu mandato
a Dóle, poi a Besançon. Passando da colà col grado di generale di divisione per
andare a prendere il comando dell'armata dell'alto Reno, Pichegru, vi trovò
Championnet ch'egli avea conosciuto quando era com'esso capo di battaglione dei
volontari. Championnet lo supplicò di chiamarlo nell'armata attiva.
Championnet servì
successivamente sotto il generale Taponnier e sotto il generale Hóche che gli
accordò il premio del valore e lo fece nominar generale di divisione.
Da quel momento il nome di
Championnet trovossi mischiato a tutti i fatti d'armi gloriosi di quella grande
armata di Sambra e Mosa che Kleber, Jourdan e Bernadotte comandarono.
Egli fu l'amico di questi
tre grandi uomini, che avevano talmente preso l'abitudine di porlo al luogo più
pericoloso, che, quando presentavasi un attacco o una difesa impossibile, essi
dicevano come una cosa naturalissima :
‑ Bisogna mandarvi
Championnet. ‑ Questi vi andava e giustificava il proverbio: Fortunato come un bastardo.
Questa lunga sequela di
successi fu ricompensata col comando delle coste del mar del Nord da Dunkerque
fino a Flessinga.
Dopo il trattato di Campo
Formio, Championnet tornò a Parigi ove ricevette le felicitazioni del
Direttorio.
‑ Se la guerra scoppia
di nuovo, gli disse Barras, voi siete il primo dei generali repubblicani
destinato a detronizzare un re.
‑ Le intenzioni del
Direttorio saranno eseguite, rispose semplicemente Championnet.
Cosa strana! la promessa non
doveva tardare a realizzarsi.
Verso il 10 novembre 1798,
Championnet venne nominato comandante in capo dell'armata di Roma.
Partendo pel suo comando
egli ricevette dal Direttorio questa istruzione verbale:
‑ Respingere, con le armi, ogni aggressione ostile diretta contro l'indipendenza della repubblica romana, e portar la guerra sul territorio napoletano, se il re di Napoli eseguisce i progetti d'invasione così di frequente annunciati.
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