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Di
Alexandre Dumas
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CAPITOLO XIII.
Come quegli animali i quali
non essendo naturalmente coraggiosi hanno bisogno d'uno eccitamento straniero
per decidersi a combattere ‑ed è perciò che la trombetta ed il tamburo
furono inventati non essendo l'uomo un animale istintivamente, ma moralmente
coraggioso ‑ così il re Ferdinando aveva bisogno per mettersi in
campagna, non solo dell'incitamento di Carolina, d'Acton e di Nelson, ma ancora
d'essere ben convinto che non potendo più ritirarsi gli conveniva andar avanti.
Diffatti il 22 novembre
rincorato dalla falsa lettera dell'imperatore d'Austria che gli annunciava
l'entrata in campagna egli lanciò il famoso manifesto nel quale si leggevano le
linee seguenti.
Desso era del principe
Pignatelli Belmonte à tout Seigneur tout
honneur, ed era indirizzato al
cavaliere Priocca, ministro del Re di Piemonte Carlo Emmanuele II.
« Noi sappiamo ‑
diceva questo curioso documento ‑ che nel consiglio del re, vostro
padrone, molti ministri circospetti,
per non dire timidi, inorridisco no
alle parole di spergiuro e di uccisione; come se il fresco trattato di alleanza tra la Francia e la Sardegna fosse atto politico da rispettare. Non fu
egli dettato dalla forza oppressiva del vincitore? Non fu egli accettato per
piegare all'impero della necessità?
Trattati come questi sono ingiurie del prepotente all'oppresso, il quale,
violandoli, se ne ristora alla prima
occasione che il favor di fortuna gli presenta. Come, in presenza del vostro re prigioniero, nella sua capitale, circondato da baionette
nemiche, voi chiamerete spergiuramento
non tener le promesse strappate dalla necessità, disapprovate dalla coscienza ?
E chiamerete assassinio esterminare i vostri tiranni? Non avrà dunque la
debolezza degli oppressi alcuno aiuto legittimo dalla forza che gli opprime? I battaglioni francesi assicurati e
spensierati nella pace, vanno sparsi
per il Piemonte. Eccitate il patriottismo del popolo sino all'entusiasmo ed al
furore; così che ogni piemontese aspiri
all'onore di atterrare a'suoi piedi un
nemico della sua patria. Queste parziali uccisioni più gioveranno al Piemonte
che fortunate battaglie; nè mai la giusta posterità darà il brutto nome di tradimento a codesti atti energici di tutto
un popolo, che va sui i cadaveri degli
oppressori al racquisto della sua
libertà. « I nostri bravi Napoletani, sotto il prode general Mack, soneranno i primi la campana di morte
contro i nemici de' troni e de' popoli;
saranno forse già mossi quando giungerà
in vostre mani questo foglio... »
Questa lettera è un
monumento!
Monumento di spergiuro, di
perfidia e di onta – richiamare al delitto ed all'assassinio, al pugnale ed al
veleno: ‑ solo ed unico esempio forse d'un simile atto, che la storia
conservi ne'suoi archivi, arrossendo di conservarlo.
Non vi fu più dichiarazione
di guerra alla Francia, ma una semplice intimazione di abbandonare gli stati
romani, e ciò quando le truppe napoletane erano già in marcia.
Diamo il testo di questa
intimazione che noi crediamo sconosciuta e che abbiamo sott'occhio. Si vedrà
con quale fiducia in sè stesso parlasse il generale Mack.
Signor Generale.
« lo vi dichiaro che
l'armata di sua Maestà Siciliana che io ho l'onore di comandare sotto la
persona stessa del Re, ha traversato ieri la frontiera per mettersi in possesso
degli stati romani rivoluzionati ed usurpati dopo la pace di Campo Formio,
rivoluzioni ed usurpazioni non mai riconosciute ed approvate nè da Sua Maestà
Siciliana nè dal suo Augusto alleato l'Imperatore e Re. Io domando dunque che
senza il più piccolo indugio voi facciate retrocedere nella repubblica
Cisalpina le truppe francesi che si trovano negli stati romani, e facciate
sgombrare tutte le piazze ch'esse occupano. I generali comandanti le diverse
colonne delle truppe di sua Maestà Siciliana hanno l'ordine più positivo di non
cominciare le ostilità ove le truppe francesi si ritirino al mio invito, ma
d'impiegare la forza nel caso che resistessero. ‑ Io vi dichiaro inoltre,
cittadino generale, che riterrò come un atto d'ostilità se le truppe francesi
mettono il piede sulle terre del gran Duca di Toscana ‑Aspetto la vostra
risposta senza il minimo ritardo e vi prego a rimandare il maggiore Reiscach
che vi spedisco, e ciò il più tardi, quattro ore dopo aver ricevuto la mia
lettera ‑ La risposta dev'essere positiva e categorica quanto alla
domanda di sgombrare gli stati romani e di non mettere piede nel gran Ducato di
Toscana, una risposta negativa sarà considerata come una dichiarazione di
guerra, e Sua Maestà Siciliana saprà sostenere colla spada alla mano le giuste
domande che io vi indirizzo in suo nome.
Ho l'onore
MACK.
La risposta di Championnet
fu quale si poteva aspettare da lui ‑ cioè un rifiuto completo ‑ Ed
era quanto desiderava Mack. Difatti sorprendendo i francesi con forze
quadruple, si sperava, disseminati com'eran di distruggerli alla spicciolata,
ed avere allora agli occhi dell'Europa la gloria di prendere l'iniziativa e di
dare in tal modo il calcio al Leone che si credeva morente e non era che
ferito.
Nulla v'era di più facile
quanto il piano di campagna da seguire.
Bisognava marciare sul
centro dell'armata francese, cioè sopra Rieti, separare l'ala sinistra che
guardava le frontiere: Ascoli, Fermo, Macerata, Ancona, dall'ala destra, cioè
da Piperno, Prassedi, Frosinone, Veroli, Tivoli, che guardavano i confini del
Tebro ed il mare ‑ vi era per loro da quel momento impossibilità di
rannodarsi ‑ erano respinti nell'alta Italia; e la Toscana, lo Stato
romano e le Marche rientravano sotto il dominio di Napoli.
Il 24 novembre l'armata
napolitana ‑ non diremo già col suo re alla testa, poichè non sappiamo
precisamente ove si trovasse il suo re, ma comandata da Mack, sboccò da tre
punti nello stesso tempo, sul territorio romano.
L'ala destra costeggiò
l'Adriatico, passò il Tronto, cacciò da Ascoli una debole avanguardia francese
che si vi trovava e prese la direzione di Porto di Fermo.
Il centro discese dagli
Appennini per Aquila e si avanzò sopra Rieti.
Finalmente, l'ala sinistra
in cui trovavasi Mask e probabilmente il re, passò il Garigliano in tre
colonne, a Isola, a Ceprano e Santa Agata e marciò diritto sopra Roma per le
Paludi Pontine, Valmontone e Frascati.
Un corpo di partigiani
facendo banda da sè, era uscito da Sulmona e dopo aver costeggiato il lago di
Celano, marciava sopra Tivoli calcolando di non arrestarsi che a Terni.
Due o tre giorni prima, un
ordine del direttorio indebolì i mezzi dei Francesi togliendo loro 3000 uomini
destinati a rinforzare la guarnigione di Corfù.
Championnet restava dunque
con soli tredici mila uomini.
Egli arrivò a Roma il giorno
stesso in cui seppe l'invasione del territorio romano: il re di Napoli
sospirava piuttosto la guerra di quello che non la facesse.
Il Castello Sant'Angelo
sparò il cannone d'allarme, la generale fu battuta in tutta la città, ed il
nuovo Generale in capo, prese precipitosamente tutte quei provvedimenti che gli
permetteva di prendere, un pericolo il quale cadeva su di lui colla rapidità
della valanga.
Mille duecento o mille
cinquecento uomini di truppe francesi e polacche formavano la guarnigione di
Roma. ‑ Championnet riunì tutto quanto potè d'artiglieria e si mise alla
testa di questa colonna per recarsi ove più fosse il bisogno: ‑ partì
ordinando di tagliare il ponte di Tivoli sul Teverone ‑ lasciò
cinquecento uomini nel castello Sant'Angelo ‑ proibì all'ufficiale che li
comandava di arrendersi sotto qualunque pretesto ed impegnò la sua parola di
essere di ritorno a Roma prima di venti giorni.
Abbiamo già detto come
un'avanguardia francese, attaccata dai napoletani ad Ascoli, s'era ripiegata
sopra Fermo presso la spiaggia dell'Adriatico. Ivi si era fermato il suo
movimento di ritirata; i Generali Casabianca, Monnier e Rusca, questo veterano
delle nostre prime guerre, che uno degli ultimi colpi dì cannone sparati nel
1814, divise in due all'assedio di Soissons, avevano riunito i distaccamenti
dispersi nella montagna, e recandosi rapidamente sulla destra dell'armata
napoletana, la avevano respinta ed avevano ripreso Ascoli.
Da un'altra parte qualche
centinaio di bravi delle truppe del Centro, sotto gli ordini del Generale
Lemoine, avevano opposto nell'angusta pianura di Terni una viva resistenza ai
napoletani. Essi stavano però per cedere al numero combattendo uno contro
cinque, allorchè il Generale Dufresne alla testa della 97.a mezza brigata
giunse da Spoleto a passo di corsa : in mezzo al combattimento i soldati
francesi mancando di cartuccie marciarono alla baionetta sopra i napoletani;
gli sbaragliarono e restarono padroni di Terni.
Questo doppio successo diede un po' di libertà all'ala destra dell'armata francese, molto compromessa, poichè si estendeva fino a Terracina e doveva lottare con quaranta mila uomini comandati da Mack e dal re in persona.
La ritirata cominciò dunque
ad effettuarsi con tutta la calma e tutta le precisione possibile, ed i
francesi vennero ad appoggiarsi alle montagne dopo aver posto una avanguardia a
Nepi e a Rignano, tenere il nemico a bada; il grosso delle truppe prese
posizione per dietro al burrone di Civita Castellana, di cui Championnet fe ce
occupare il castello fortificato : il ponte di Borghetto sul Tebro fu tagliato,
il Generale Lemoine occupò Rieti, il Generale Rusca si portò sul Tronto e si
fortificò.
Il quartiere Generale si
stabilì a Terni.
Durante questo tempo Mack
continuava a marciare su Roma, ove il Re fece la sua entrata trionfale il 29
novembre a cinque ore di sera fra le acclamazioni frenetiche degli amici dei re
e del Papa e dei nemici della repubblica. Roma, città eternamente divisa
d'opinioni e d'interessi, ha come il suo Giano antico due faccie una che
sorride alla sua gloria, l'altra alla sua onta.
Il Re portato sulle braccia
del popolo ‑ i rivoluzionari in Italia sono i nobili ed i ricchi borghesi
‑ il Re andò alla porta del palazzo Farnese che gli apparteneva di
diritto come eredità da sua avola Elisabetta, e che il suo pronipote Francesco
Il ha ora, dicesi, venduto alla Spagna.
Allora cominciarono quelle
saturnali terribili che fra i popoli meridionali seguono sempre le reazioni: la
plebaglia, quella stessa plebaglia incendiaria, omicida ed infame che aveva
assassinato Duphot, trucidato Basseville si sparse nelle strade distruggendo
qualunque segnale che avesse potuto ricordare la presenza dei francesi: gli
stemmi di Francia e della repubblica romana furono strappati dagli edifici che
decoravano, trascinati nel fango ed imbrattati nella più immonda maniera; gli
alberi della libertà furono abbattuti e si piantarono invece delle croci
espiatorie; il mausoleo innalzato alla memoria di Duphot, fu rovesciato e le
sue ossa abbandonate ai cani : tutto ciò si faceva sotto gli occhi di
Ferdinando, il quale permise ai suoi soldati di unirsi alla più vile canaglia
onde sgozzare i Giudei e gittarli nel Tebro. I due fratelli Corona, napoletani,
di cui uno era stato ministro della repubblica romana, furono condannati a
morte dal re e fucilati. Finalmente tutti quanti quelli che si avevano in
sospetto di simpatia per i francesi erano ricercati, messi in prigione, e
perseguitati in tutte le maniere.
Il Re era ebbro della sua
facile vittoria, e poco mancò non salisse al Campidoglio come Pompeo, Cesare,
ed Augusto: egli scrisse a Napoli per annunziare che i francesi erano svaniti
come un fumo e che si ignorava ove fossero, ‑ Scrisse quindi al papa per
richiamarlo a Roma.
Ecco la lettera di
Ferdinando a Pio VI:
« Vostra Santità saprà senza
dubbio, colla più gran soddìsfazione, che, col soccorso del Nostro divin Signore,
e sotto l'augusta protezione del beato San Gennaro, oggi con l'esercito sono
entrato senza resistenza e da
trionfatore nella capitale del mondo cristiano. I francesi fuggono spaventati all'apparire della croce e delle mie
armi. Cosicchè Vostra Santità può riassumere la suprema e paterna potestà, che
io coprirò col mio esercito. Lasci dunque la troppo modesta dimora della
Certosa e su le ale de'Cherubini, come già la nostra S. Vergine di Loreto,
venga e discenda al Vaticano per purificarlo con la sua santa presenza. Tutto
è preparato a riceverla ; Vostra Santità potrà celebrare i divini offizii nel
giorno natale del Salvatore. »
Un frammento dì tale lettera
che noi togliamo dalla corrispondenza di Nelson, prova come l'ammiraglio
inglese non dividesse tutte le speranze del monarca napoletano.
La lettera è indirizzata da
Nelson all'Ammiraglio
Conte S. Vincent.
Ecco questo frammento.
« lo non sarò lungo ad
esporvi lo stato del paese, l'armata napoletana è a Roma. Civitavecchia è
presa, ma nel Castello S. Angelo sono rimasti 500 francesi. Essi hanno 12,000
uomini negli Stati romani aggruppati in una forte posizione chiamata Civita
Castellana: ‑ il generale Mack è partito con 20,000 uomini per attaccarli;
l'esito secondo la mia opinione è dubbio, e da questa battaglia dipende la
sorte di Napoli; se Mack è disfatto, in capo a 15 giorni il regno è perduto,
poichè l'imperatore non ha fatto muovere un solo de'suoi soldati, e se
l'imperatore non vuol marciare, i Napolitani non hanno forza da resistere ai
francesi. E' vero che questa aggressione del re di Napoli non era punto un
affare di scelta ma di necessità, la quale obblìga il re di
Napoli a marciare fuori del suo paese e non aspettare fino a che i Francesi
abbiano riuniti una forza sufficiente per cacciarlo in una settimana. »
Sappiamo dalla lettera di
Nelson che Mack marciava contro Championnet, vedremo adesso fino a qual punto
le prevenzioni del vincitore d'Aboukir fossero giuste.
Non era già con venti mila
uomini, come diceva Nelson, che Mack marciava sopra Civita Castellana, ma bensì
con quaranta mila.
Quanto al re Ferdinando,
trovando di aver già fatto abbastanza per la sua gloria, era rimasto a Roma,
godendo del suo trionfo, facendo saltellare il suo cavallo sui tappeti ed i
fiori di cui erano sparse le vie, e recandosi, secondo la sua abitudine, a
mangiar i suoi maccheroni al teatro.
Il Generale Mack avendo
perduto sette o otto giorni ad intimare al forte di S. Angelo di arrendersi,
partì finalmente da Roma dichiarando per bocca del generale napoletano Bourcard
che qualunque francese, ammalato negli ospedali di Roma, non che i servi
lasciati per curarli, fossero considerati come ostaggi e che ogni colpo di
cannone sparato sulle truppe napoletane, sarebbe segnato dalla morte d'un soldato,
il quale sarebbe consegnato alla giusta indignazione degli abitanti; e ciò significava
che questo soldato sarebbe lacerato, bruciato e fatto a pezzi.
Una copia di questa
intimazione fu indirizzata al generale Championnet; Macdonald s'incaricò di
rispondere. Egli annunziò al generale austriaco che il minimo attentato
commesso sopra un soldato francese, sarebbe la condanna di morte di tutta l'armata Napoletana.
« I repubblicani, diceva
Macdonald, non sono assassini; ma i prigionieri che trovansi nelle nostre mani
risponderanno sulle loro teste della sicurezza dei Francesi che sono a Roma ».
Ed aggiungeva:
« La vostra lettera sarà
oggi, conosciuta da tutta l'armata, onde accrescere ancora se è possibile
l'indignazione e l'orrore ispiratoci dalle vostre minaccie, che noi
disprezziamo tanto, quanto poco ne temiamo l'effetto. » Come lo aveva detto
Nelson, Macdonald aspettava Mack, nella sua bella posizione di Civita
Castellana: oltre al corpo d'armata quasi sei volte più numeroso del suo, egli
era ancora tormentato ne'fianchi da sei o otto mila contadini rivoltati
Macdonald, il quale aveva
seco sette mila francesi si vide piombar addosso 40,000 napoletani; che
attaccaronlo sopra cinque colonne, li ricevette dando ordini ai suoi generali,
col coraggio freddo e tranquillo che lo distingueva.
Il generale Kellermann, che
comandava l'avanguardia posta al di là del villaggio di Nepi, fu incaricato di
resistere alla prima colonna che lo attaccò bravamente, egli non aveva con lui che
tre squadroni del decimonono reggimento di cacciatori a cavallo, due pezzi di
artiglieria leggiera e due battaglioni di fanteria della quindicesima leggiera
e della undecima di linea; con questo pugno d'uomini egli mise in rotta gli
otto mila soldati di cui si componeva la colonna napoletana: ‑ vinta,
essa lasciò sul campo di battaglia cinquecento morti o feriti, quindici pezzi
di cannone d'ogni calibro trenta cassoni di munizioni, due mila prigionieri di
cui cinquecento ufficiali, delle bandiere, degli stendardi, tre mila fucili e
finalmente tutti i bagagli ed effetti di accampamento.
La seconda colonna si era
portata su Rignano seguendo l'antica strada di Roma: essa vi trovò la
quindicesima mezza brigata leggera agli ordini del suo capo La Hure: ‑ La
Hure si ripiegò dapprima sul ponte di Civita Castellana, ove sostenne durante
tre ore i replicati attacchi dei napoletani, ma rinforzato quindi da un
distaccamento che gli mandò il generale Macdonal, riprese l'offensiva e
respinse la colonna al di là di due leghe facendole subire una perdita
considerevole.
Il generale polacco
Kniazevich non aspettò punto di essere attaccato; prese l'iniziativa e piombò
sulla terza colanna al momento in cui essa sboccava da Fabrica su Santa Maria
di Falori; egli aveva sotto i suoi ordini la legione polacca, il secondo e
terzo battaglione della trentesima mezza brigata di linea, due squadroni del
sesto reggimento di Dragoni, una compagnia del decimonono di cacciatori a
cavallo e tre pezzi d'artiglieria leggera.
La questione non fu gran
tempo indecisa: ‑ Kniazevich ed i suoi uomini cacciarono con tanto impeto
i Napoletani, che questi fuggirono al primo scontro e fuggirono in disordine
abbandonando otto pezzi di cannone, quindici cassoni di munizioni e cinquanta
prigionieri di cui due ufficiali superiori.
Informato del progetto
d'attacco del nemico, Macdonald aveva ordinato al Generale Maurizio Mathieu di
recarsi a passo di corsa sul villaggio di Rignano, per dividere la quarta
colonna napoletana che doveva dirigersi a quella volta ‑ Egli l'incontrò
difatti, ancora in tempo per impedirle di raggiungere la posizione d'Orte e di
traversare il Tebro ‑ i soldati erano stanchi ; ma ala vista nei napoletani
dimenticarono la loro stanchezza ‑Generali, Capi Ufficiali, Soldati,
attaccarono con una tale furia da non lasciare alle truppe reali che il tempo
di cacciarsi in Rignanello, villaggio fortificato dalla sua posizione e da una
specie di muro che lo circonda gli abitanti si unirono ai regi per difendere
questo posto, ma in capo ad una mezz'ora di combattimento vi fu breccia nel
muro: i francesi entrarono dalla breccia ed il villaggio era vuoto.
Finalmente la quinta
colonna, la quale marciava per fiancheggiare la destra delle altre quattro, che
doveva dopo aver traversato il Tebro, sopra una chiatta, portarsi su Migliano,
essendo stata informata della disfatta delle altre colonne, non giudicò
opportuno di rendersi alla destinazione che le era stata indicata e ripassò il
Tebro a Ponzano onde rannodarsi al grosso delle truppe napoletane.
Si fu il 5 dicembre che
questi quattro combattimenti ebbero luogo e che le truppe reali raggiunsero il
punto estremo della loro invasione negli stati romani.
Un'altra colonna di truppe
napoletane sotto la condotta del generale austriaco Moesk s'era però
impadronita per sorpresa d'Otricoli ‑Macdonald senza darle tempo di
trincerarsi le piombò addosso con novecento uomini: dopo due ore di
combattimento egli prese la città d'assalto.
Gli avanzi della divisione
Moesk si ripiegarono su Calvi; Macdonald la fece attaccare dal Generale
Maurizio Mathieu ‑ questi occupò le alture che dominano la città con dei
piccoli distaccamenti e fece intimare a Moesk di arrendersi: il generale Moesk
rispose con delle proposizioni inammissibili ‑ Maurizio Mathieu ordinò al
momento stesso di battere in breccia il muro di un convento, onde penetrare di
là a viva forza nella città.
In questo mentre Macdonald
arrivò ‑ un parlamentario portò il suo ultimatum al generale austriaco.
‑ Prigionieri a
discrezione, o passati a filo di spada.
I Napoletani si resero.
Questa serie di vittorie
salvò i francesi prigionieri, i quali senza di esse, sarebbero stati trucidati.
‑ Ad Ascoli trecento francesi erano stati legati agli alberi e fucilati ‑
a Otricoli trenta malati o feriti di cui molti erano stati amputati il giorno
innanzi erano stati presi a colpi di sciabola nell'ambulanza ‑ altri
coricati sulla paglia erano stati bruciati.
Malgrado la minaccia fatta
da Macdonald di terribile rappresaglia, Championnet fece mettere all'ordine del
giorno dell'armata, che
‑ Qualunque soldato
napoletano prigioniero sarebbe trattato colla umanità e la dolcezza ordinaria
dei repubblicani verso i vinti:
‑ Che qualunque
soldato si permettesse un cattivo trattamento verso un prigioniero disarmato
sarebbe severamente punito.
‑ Che i Generali erano
responsabili dell'esecuzione di questi due ordini.
Queste quattro disfatte, la
notizia che un altro dei Luogotenenti, il cavaliere Micheroux, era stato
battuto dal canto suo e che la cittadella di Civitella del Tronto era presa da
Monnier, determinarono il Generale Mack a levare il campo di Cantalupo ed a
ritirarsi frettolosamente su Roma abbandonando i settemila napoletani che la
squadra di Nelson aveva recati in Toscana e che dovevano unirsi alle operazioni
dell'armata d'invasione di Roma, ed il corpo del generale di Damas, il quale
posto a due tappe al Nord‑Est di Roma doveva trovarsi infallibilmente
tagliato fuori.
Quantunque battuto, Mack
aveva ancora delle forze quintuple di quelle dei francesi ‑
rinchiudendosi a Velletri ed a Paliano, egli chiudeva il passo degli Abruzzi
conservando Gaeta e salvava il regno ‑ ma il Generale austriaco era uno
di quegli strategici da Gabinetto, i quali credono aver a fare con degli
indugiatori com'essi e si trovano poi sconcertati sul terreno dalle evoluzioni
rapide ed improvvise del nemico ‑il generale Mack affettava una grande
esattezza ne'suoi ragionamenti, ma contando gli uomini egli si era dimenticato
di valutarli: ‑ e perciò Mack, il quale la vigilia sfidava tutte le
potenze della terra, aveva il domani perduto ogni intelligenza della sua
propria situazione ‑ potendo rannodare più di cinquanta mila uomini ‑
egli non pensò, ad altro che non diremo già a battere ritirata, ma a fuggire
davanti a dodici mila.
E perciò, come già lo
abbiamo detto, invece di aspettare i francesi nel suo campo di Cantalupo, egli
l'abbandonò precipitosamente, ma non abbastanza precipitosamente però, perchè
la divisione Rey e la divisione Macdonald le quali marciavano per due vie
differenti, non s'incontrassero, in vista della retroguardia nemica, e non si
riunissero per darle la caccia : questa retroguardia fu così fortemente
inseguita dalle due divisioni francesi da non arrivare sotto le mura di Roma
che unitamente al corpo d'armata di cui doveva essa stessa proteggere la ritirata:
‑ le truppe napoletane traversarono la città rapidamente ed in disordine,
entrando dalla porta Salara e uscendo dalla porta Pia, per accamparsi sul
Teverone.
Le truppe francesi vi
entrarono immediatamente dopo, tanto seguitavano da vicino le truppe
napoletane.
Il Generale Mack aveva fatto
molte promesse e le aveva tutte dimenticate. ‑ Championnet non aveva
fatto che un giuramento e lo aveva mantenuto: egli aveva giurato al Comandante
del forte S. Angelo d'essere a Roma fra venti giorni, e vi entrava il
diciassettesimo.
Al momento in cui l'ala destra
dei Francesi si presentava a sua volta alla porta della città, Championnet fu
avvertito come una colonna napoletana di settemila uomini giunta da Bracciano e
comandata dal sig. di Damas, si avanzasse su Roma quasi a gara colle nostre
truppe e chiedesse di traversare la città per raggiungere l'armata reale sul
Teverone.
Il capo di Stato Maggiore
Bonnami fu mandato all'istante medesimo dal Generale Championnet per conoscere
lo stato delle cose ‑ Al Ponte Salara, Bonnami incontrò la cavalleria del
Generale Rey la quale cominciava ad entrare nella città ‑ Egli mise il
Generale Rey a giorno di quanto accadeva, impegnandolo a spingere delle
esplorazioni sulle vie d'Albano e di Frascati, si mise egli stesso alla testa
d'un forte distaccamento di cavalleria, traversò il ponte Molle, l'antico
Milvius e corse incontro al Generale di de Damas seguito dal Generale Rey, col
resto della sua truppa e da Macdonald colla sua cavalleria leggera.
Bonnami raggiunse la colonna
napoletana, ma nella sua premura, egli aveva preceduto di più d'un'ora il passo
dei soldati di Macdonald e di Rey, per cui pensò di prolungare la negoziazione
onde dar loro il tempo di giungere, e si presentò al Generale di Damas come
parlamentario:
‑ Che cosa bramate
voi, Signore? ‑ gli chiese Bonnami.
‑ Ottenere il passo
per la mia divisione, affinchè io possa raggiungere l'armata reale, o aprirmi
questo passo con la spada alla mano.
Il capo dello stato maggiore
rispose che il signor di Damas doveva comprendere come la prima pretesa fosse
inammissibile, ed in quanto a quella di aprirsi il passo con la spada alla mano
sarebbe per lui un impresa ben ardua.
Finì quindi coll'intimare al
sig. di Damas di mettere abbasso le armi.
Quantunque emigrato il sig.
di Damas era sempre francese, un sorriso passò sulle sue labbra.
‑ Signore, rispose
egli al capo di Stato Maggiore, quando si hanno sette mila uomini e delle
cartucce, non si posano le armi: si passa o si muore.
‑ Ebbene, sia, ‑
rispose con noncuranza Bonnamì ‑ battiamoci.
Il Generale di Damas parve
riflettere, quindi.
‑ Datemi sei ore, ‑
diss'egli ‑ per radunare un consiglio di guerra e decidere sulla
proposizione che voi mi fate.
‑ Sei ore sono inutili
‑ rispose Bonnami ‑ vi accordo un ora.
Era il tempo necessario perchè
la fanteria lo raggiungesse.
Fu dunque convenuto che in
capo ad un'ora il signor di Damas darebbe una risposta: e Bonnami raggiunse il
generale Rey per affrettare la marcia delle truppe.
Ma il Generale di Damas
aveva messo a profitto quest'ora e quando le truppe francesi giunsero, lo
trovarono facendo in buon ordine la sua ritirata onde guadagnare la strada
d'Orbitello.
Allora Rey e Bonnamì alla
testa di due distaccamenti del sedicesimo di dragoni e del settimo di
cacciatori a cavallo, si misero ad inseguirli, raggiusero la retroguardia alla
Storta e la caricarono energicamente.
La retroguardia si fermò per
difendersi.
Rey e Bonnamì atterrarono
questa retroguardia, le presero cinque pezzi di cannone e la travagliarono fino
alla notte ‑ durante la quale il generale Damas profittando della sua
cognizione delle località, continuò la sua ritirata.
Stanchi e spossati i
francesi ritornarono verso la Storta ove passarono la notte.
Bonnamì in compenso del
coraggio e dell'intelligenza che aveva dimostrato in questa occasione, fu
nominato da Championnet generale di brigata.
Ma il generale di Damas non
aveva tutto finito coi repubblicani. ‑ Macdonald informò Kellermann, il
quale era a Borghetto con delle truppe un po' meno stanche delle sue, della
direzione presa ritirandosi dalla colonna napoletana: Kellermann riunì le sue
truppe all'istante medesimo, e si diresse per Ronciglione su Toscanella, ove
urtò la colonna napoletana ‑ ma questi uomini i quali fuggivano sotto un
capo austriaco o sotto dei capi nazionali, tennero fermo incoraggiati
dall'esempio d'un generale francese e fecero una vigorosa resistenza ‑Damas
non fu perciò meno obbligato di ordinare la ritirata, ma portandosi alla
retroguardia, egli la sostenne colla sua persona e con un ammirabile coraggio.
Una di queste cariche, come
Kellermann ne sapeva fare, ed una ferita ricevuta dal generale di Damas decisero
la vittoria in favore dei francesi ‑ ma il più forte della colonna reale
era giunto a Orbitello ed aveva avuto il tempo d'imbarcarsi sopra dei
bastimenti napoletani che si trovavano nel porto: respinto vivamente nella
città, Damas stesso ebbe il tempo di rinchiudersi dietro le porte ‑ e sia
considerazione pel suo coraggio, sia che il generale francese non volesse
fermarsi all'assedio d'una bicocca, egli ottenne, abbandonando la sua
artiglieria, di potersi imbarcare colla retroguardia.
In tal modo un solo generale
dell'armata napoletana aveva fatto il suo dovere durante questa breve e
vergognosa campagna, ed era un emigrato francese.
Nove combattimenti avevano
avuto luogo, tutti alla gloria dei repubblicani: ‑ i napoletani avevano
perduto mille novecento uomini morti o feriti ‑ dieci mila prigionieri ‑
trenta pezzi di cannone ‑ nove bandiere e gran quantità di cavalli,
d'armi e di bagagli.
Ritorniamo al re di Napoli
il quale nulla dubitava di quanto era accaduto e regnava in Roma aspettando che
Pio VI venisse a raggiungerlo per ivi celebrare il Natale con lui.
Egli era al teatro, allorchè
il generale Mack, il primo dei fuggitivi, precedendo la sua armata in rotta
entrò nel palco reale ‑ e col viso tutto sconvolto disse : Sire, noi
siamo battuti su tutti i punti, separati dappertutto ‑ l'unica nostra
speranza onde salvare Vostra Maestà è la più pronta ritirata su Napoli.
Si comprenderà facilmente lo
stupore di Sua Maestà Siciliana ad una simile notizia ‑ essa guardò con
un occhio spaventato il generale Mack, il quale vedendosi non troppo bene
compreso, replicò le stesse parole.
Questa volta il re si alzò
ed uscì precipitosamente dal suo palco.
Però non bisognava aver
l'aria di fuggire ‑ si era già mormorato all'orecchio del re Ferdinando
che i Giacobini romani e francesi avevano l'occhio sopra di lui, ed alla prima
rotta di Mack tenterebbero di farlo prigioniero ‑ Erano le sette ore di
sera: egli montò a cavallo con gran numero d'ufficiali e due o tre dei suoi più
fedeli tra i quali il Duca d'Ascoli uscì dalla porta del popolo, l'antica porta
Flaminia poi contornando i muri, guadagnò la porta di Napoli, vale a dire
l'antica porta Celimontana, oggi la porta S. Giovanni ‑ là egli prese al
galoppo seguito dal Duca d'Ascoli e da una scorta di parecchi uomini, il
cammino d'Albano ‑ ad Albano prese un calesse, e nel mentre che vi
mettevano i cavalli da posta:
‑ Mio caro d'Ascoli, ‑
diss'egli stringendo le mani del Duca nelle sue ‑ tu sai quanti giacobini
brulicano nel tempo che corre. Questi figli di p... non hanno altra idea che
quella di assassinarmi. Cambiamo abiti, tu sarai il re, ed io il Duca d'Ascoli
se siamo arrestati, non si penserà che a te e mi si lascerà fuggire: tu allora
ti farai riconoscere e senza correre un grave pericolo, avrai la gloria di
salvare il tuo re.
Il Duca d'Ascoli s'inchinò
senza rispondere, mutò i suoi abiti con quelli del re, salì il primo nel
calesse, prese la destra mentre che il re si sedeva alla sua sinistra usandogli
tutti i riguardi d'un cortigiano per il suo re, ed andando sempre di gran
galoppo non si fermarono che per cambiare i cavalli ‑ Egli arrivò la
stessa notte a Caserta, rapido messaggiero della sua propria vergogna.
Una cosa che si avrà pena a
credere, si è come questa fuga del re durante la quale egli provò tante
angosce, credendo scorgere dei giacobini dovunque, fosse più tardi uno dei
ricordi più lieti della sua vita ‑ Egli stesso raccontava scherzando
secondo la sua abitudine, tutti i particolari di questo viaggio, motteggiando
d'Ascoli sulla paura ch'egli pretendeva che questi avesse avuta ‑ non
negando però come la sua fosse più forte di quella del suo compagno.
Togliamo qualche riga alle
memorie d'un vecchio siciliano che io sospetto essere stato in giovinezza
unitamente a Ferdinando il favorito della Duchessa di Flo‑ ridia ‑
Egli assistette un giorno ad uno dì questi scherzi del re, e lo racconta in
questi termini:
« Io era un giorno in terzo
col Duca d'Ascoli dalla Duchessa di Floridia, allorchè il re venne egli stesso
ad offerirle il braccio per condurla a pranzo ‑ Semplice amico senza
importanza della padrona di casa, io mi sentii troppo onorato della presenza
del nuovo venuto e borbottai fra'miei denti il Domine non sum dignus, indietreggiando
anche di qualche passo, allorchè la nobile dama, dando un ultimo sguardo alla
sua toeletta si mise a tessere l'elogio dell'affezione del Duca d'Ascoli per la
persona del suo reale sposo [*1].
‑ Egli è senza dubbio,
diss'ella, un amico sincero, e il migliore ed il più devoto dei vostri
servitori.
‑ E chi è che ne
dubita? rispose il re col suo accento napoletano; domanda ad Ascoli ciò che
noi abbiamo fatto quando siamo fuggiti d'Albano.
E come il Duca d'Ascoli,
vinto da un certo pudore taceva, il re raccontò il cambiamento di vestiti, e
ridendo sgangheratamente, fino ad averne le lagrime agli occhi :
‑ Desso era il re,
diss'egli, e se noi avessimo incontrato i giacobini, egli era impiccato ed io
me n'andava sano e salvo.
« Tutto era strano in questa
storia ; strana disfatta, strana fuga, strana proposizione, strano scherzo,
strana rivelazione di fatti, finalmente, davanti ad uno straniero ‑
perchè tale io era per la corte e sopratutto pel re al quale io non aveva
parlato che una volta o due; ‑fortunatamente per l'umanità la cosa meno
strana era l'abnegazione dell'onesto cortigiano.
« Ma che ognuno immagini la
mia sorpresa durante tutta questa scena ‑ Allora io non aveva neppure una
idea di quest'aneddoto, e ridevo o per meglio dire sorridevo, ma mi sarei ben
guardato dallo spiegare il mio sorriso ».
Figuriamoci ora l'effetto
prodotto dal re Ferdinando, arrivando la notte come una bomba a Caserta ed
entrando nella camera di sua moglie cogli abiti del Duca d'Ascoli, mentre che
il Duca d'Ascoli lo seguiva coi suoi e dicendo : tutto è perduto !
Si potrà giudicarne,
dall'effetto che aveva prodotto sull'anima irascibile della figlia di Maria
Teresa, la notizia della prima rotta subita dall'ala destra dei napoletani.
Nelson racconta il fatto in
una lettera ch'egli scrive a Lord Spencer: ‑ la lettera è dura per i
napoletani, ma questa fuga così precipitosa ch'egli racconta doveva parere
assai strana a quel cuore di bronzo, il quale ancora fanciullo domandava a suo
padre che cosa fosse la paura.
Napoli Il Dicembre 1798
Mio caro Lord
La regina mi ha nuovamente
fatto promettere di non abbandonarla, nè Lei nè la sua famiglia, fino a che una
prospettiva più brillante si apra loro davanti ‑ noi sappiamo ch'è molto
infelice; nessuno l'ha veduta da tre giorni, ma le sue lettere a Lady Hamilton
dipingono l'angoscia dell'anima sua ‑ nondimeno dopo esame fatto, le cose
non sono forse ancora in così cattivo stato come aveva prima creduto ‑
gli ufficiali napoletani non hanno perduto molto onore; perchè Dio sa quanto
poco ne rimaneva loro da perdere; ma hanno perduto tutto quel poco che loro ne
restava ancora [*2] Mack ha supplicato il re di prendere a sciabolate tutti gli uomini i
quali se ne fuggissero da Civita Castellana verso Roma ‑ si assicura
ch'egli ha strappato colle sue mani le spalline da qualcheduno di quei vili
uffiziali e le ha poste sulle spalle di qualche bravo basso ufficiale ‑
lo vi esporrò più brevemente che mi sarà possibile la posizione dell'armata ed
il suo onore perduto poichè non vi fu ancora una totale sconfitta.
L'ala destra dell'armata
napoletana, composta di novemila uomini sotto i generali S. Philippe e Michoux (uno
dei fuggitivi di Tolone), doveva prendere posto fra Ancona e Roma e rompere
così le comunicazioni ‑Essi incontrarono improvvisamente i francesi
presso Fermo, i quali avevano circa tre mila uomini ‑ dopo qualche colpo
di fuoco sparato a distanza, il generale S. Philippe si avanzò verso il
generale francese, e ritornando ai suoi uomini disse:
‑ lo non sono più
vostro comandante.
Profferite queste parole
egli stava per ritornare verso il nemico, allorchè un sergente gli gridò:
‑ Voi siete un
traditore ‑ ove andate voi? a parlare coi francesi?
Per la seconda volta, il
generale S. Philippe gli gridò: lo non sono più il vostro comandante.
‑ Se non siete più il
nostro comandante, siete nostro nemico ‑ replicò il sergente.
E prendendolo di mira, egli
fè fuoco addosso ‑ la palla gli traversò le carni del braccio destro.
« In questo frattempo i
francesi si erano avanzati ed eran a faccia a faccia co'napoletani ‑
Michoux fuggi per il primo e fu seguito da tutta la fanteria ‑ se non era
il buon contegno di due reggimenti di cavalleria tutto sarebbe stato annientato
‑ il timor panico fu tale, che cannoni, tende, bagagli, casse militari,
tutto fu abbandonato ai francesi ‑ Credereste voi, è la verità, che tutta
questa gran disfatta ebbe per risultato appena la morte di quaranta uomini! ‑
dopo aver loro preso, tende, cannoni e bagagli, i francesi non si curarono
nemmeno d'inseguire un'armata tre volte più forte della loro ‑ vari
fuggiaschi erano così animati dalla paura che corsero circa trenta miglia non
fermandosi che a Pesaro ‑ Ivi si unirono ai contadini, presero le armi, e
le donne stesse vollero difendere il loro paese: ‑ essi si inoltrarono
allora fino ad Ascoli, che tolsero ai francesi, abbattendone le porte con le
scuri: ‑ dicesi che hanno trovato un buon generale ‑ si chiama
Cito, ed è un principe napoletano: ‑ lo spero che si vergogneranno della
loro prima condotta
Michoux è menato prigioniero
a Napoli.
Viene assicurato che il re
abbia stracciato l'uniforme del principe di Taranto, duca di Trani, e lo abbia
privato della sua grazia.
Egli comandava sotto il
generale di Sassonia, ed aveva preso la fuga fra i primi.
Ed è sopratutto a motivo
della condotta vile e traditrice di questo miserabile che la nostra gran regina
trovasi così infelice non sapendo più in chi riporre la sua fede ».
Questa lettera è scritta il
giorno 11 ‑ e si fu la sera durante la notte dell'11 al 12 che, secondo
Coletta, il re arrivava a Caserta ‑ La nostra opinione è ch'egli vi
giungesse nella notte dell'8 al 9.
A proposito di questo
arrivo, Nelson scriveva al capitano Troubridge che era a Livorno.
Napoli 15 dicembre 1798
Molto segreto
Le cose sono qui in uno
stato così critico che io desidero che voi mi raggiungiate senza alcun ritardo,
lasciando la Tersicore a Livorno per
ricondurre il Gran Duca ‑ una tale misura essendo indispensabile,
probabilmente vi manderò tosto il comandante Campbell per fare questo servizio.
Il re è qui ritornato e
tutto va male ‑ per l'amor di Dio sbrigatevi ‑ avvicinatevi alla
piazza con prudenza.
Io mi troverà probabilmente
a Messina ‑ ma voi potete informarvi alle Isole di Lipari se noi siamo a
Palermo.
Avvertite Gage d'operare
segretamente e ditegli di scrivere a Windhan mandandogli le istruzioni
necessarie onde le sue manovre sieno il più possibile nascoste.
Tutti qui uniscono il loro
amore ed i loro rispetti a quelli del vostro fedele amico.
0. NELSON
Si vede da questi dettagli sui quali Nelson raccomandava il secreto, che il progetto della corte era già di ritirarsi in Sicilia ‑ sette giorni dopo l'arrivo del re, supponendo ch'egli fosse di ritorno, come noi crediamo nella notte dell'8 al 9.
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[*1] Ognuno sa come quindici giorni dopo la morte di Carolina, Ferdinando avesse sposato la Duchessa di Floridia sotto pretesto di calmare la sua coscienza.
[*2] The Napolitan officers have not lost much honour, for God knows they had but little to lose ‑ but they lost all they had. ‑ Dispacci e lettere del vice ammiraglio Nelson, vol. 3. p. 195.