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Di
Alexandre Dumas
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CAPITOLO XIV.
Si comprende quale accrescimento di dolore e di vergogna dovette
succedere nel cuore di Carolina, e quale costernazione dovette gettare nella
città arsa dalla febbre del dubbio, la nuova del ritorno del Re a Caserta, e la
conoscenza del disastro dell'armata.
Come
se questa campagna dovesse avere in ogni cosa il suo lato grottesco ‑
Ferdinando che non avea dichiarata la guerra alla Francia allorchè entrava da
aggressore negli stati romani, gliela dichiarava ripassando le frontiere di
questi medesimi stati, fuggitivo e vinto.
Il
domani del suo arrivo a Caserta, vale a dire il 9 o il 10 dicembre ‑ (la
data di quest'arrivo come abbiamo detto non è molto certa), il Re emanò quel
manifesto coll'antidata dell'otto chè si voleva far credere fosse redatto e
pubblicato a Roma[*1].
«
Mentre che io stava nella capitale del mondo cristiano occupato a tutelare la
Santa Chiesa, i francesi presso i quali
tutto ho fatto per vivere in pace
minacciarono di penetrare negli Abruzzi. Marcerò con un esercito poderoso
per esterminarli; ma frattanto i popoli corrino alle armi, volino in soccorso
della religione, difendano il loro re, il loro padre che è pronto a sacrificare
la sua vita per conservare ai suoi sudditi gli altari, i beni l'onore delle
donne, la libertà. Chiunque fuggisse dalle bandiere o dagli attruppamenti
armati sarebbe punito come ribelle, come nemico della Chiesa e dello stato i »
Vi
sono dei fatti che l'istoria registra ma che non cura di spiegare.
Il
manifesto che abbiamo citato è, uno di questi fatti.
Abbiamo
detto che la costernazione divenne grande nelle vie di Napoli, e lo ripetiamo,
ma senza poterlo far comprendere, nè sapendo come esprimerlo.
Non
eravi più esercito napolitano e per conseguenza più niente che si opponesse
all'arrivo di un nemico, che diceasi crudele, e che sicuramente era irritato:
agli occhi del popolo, i francesi erano presentati come profanatori della
religione, persecutori dei suoi ministri, come miserabili in fine, che non
rispettavano nè la vita degli uomini nè l'onore delle donne, nè le proprietà
pubbliche o private.
E
poichè questo flagello celeste, sfuggito dalle mani del Signore, per punire i
Napoletani, avea senza dubbio per cagione le numerose e pubbliche offese dei
liberali alla religione, si ordinarono, per placare la collera divina,
pubbliche preghiere nelle Chiese, e s'invitarono i preti più rinomati
nell'eloquenza del pergamo, a predicare per le vie ed eccitare il popolo ad una
giusta difesa.
Successe
allora una cosa che non sembrerà straordinaria se non che a quelli che non
conoscono Napoli, e non hanno filosoficamente valutata la differenza tra il
coraggio individuale ed il coraggio collettivo.
Il
coraggio collettivo è la virtù dei popoli liberi.
Il
coraggio individuale è la virtù dei popoli indipendenti. Quasi tutti i popoli
delle montagne: gli Svizzeri, i Corsi, gli Scozzesi, i Siciliani, i
Montenegrini, gli Spagnuoli, gli Albanesi, i Drusi, i Circassi, possono far di
meno della libertà, a patto però che si conceda loro la indipendenza.
La
libertà è l'abbandono che ogni cittadino fa di una parte della sua indipendenza
per formarne un serbatoio comune che si chiama la legge.
L'indipendenza
è per l'uomo il godimento completo delle sue facoltà, la soddisfazione intera
dei propri dederi.
L'uomo
libero è l'uomo della società. Egli s'appoggia al suo vicino che alla sua volta
s'appoggia a lui. E come egli è pronto a sacrificarsi per gli altri, così ha il
diritto d'esigere che gli altri si sacrifichino per lui.
L'uomo
indipendente è l'uomo della natura, egli fida in sè stesso , sua sola alleata è
la montagna e la foresta. Sua sola salvaguardia è il fucile ed il pugnale :
suoi soli ausiliari la vista e l'udito.
Con
gli uomini liberi si fanno eserciti.
Con
gli uomini indipendenti si fanno bande.
Agli
uomini liberi si dice come Bonaparte alle Piramidi, serrate le fila.
Agli
uomini indipendenti si dice come Charette a Machecoul: sparpagliatevi figli miei.
L'uomo
libero sorge alla voce del suo Re e della sua patria.
L'uomo
indipendente sorge alla voce del suo interesse e della sua passione.
L'uomo
libero combatte.
L'uomo
indipendente uccide.
L'uomo
libero dice ‑ Noi.
L'uomo
indipendente dice ‑ Io.
L'uomo
indipendente non è che l'egoismo.
Ora,
nel 1798, i Napoletani erano ancora allo stato d'indipendenza; non conoscevano
nè la libertà, nè la fratellanza. Ecco perchè i Napoletani furono così
facilmente vinti in battaglia ordinata da un esercito cinque volte meno
numeroso del loro.
Ma
i Napoletani, o meglio i contadini del regno di Napoli, sono stati sempre
indipendenti.
Eccovi
perchè, alla voce dei monaci, parlando in nome di Dio, alla voce del Re
parlando in nome della famiglia ‑ e sopra tutto alla voce dell'odio,
parlando in nome della cupidigia, tutto insorse.
Il
Brigantaggio è cosa nazionale negli Abruzzi, nel Marsico, nelle Calabrie.
Ognuno prende il fucile, la scure o il coltello e si dà in campagna senza altro
scopo che la distruzione, senz'altro eccitamento che il saccheggio, secondando
il suo capo senza obbedirgli, seguendo l'esempio di lui, e non i suoi ordini.
Le masse erano fuggite dinanzi ai Francesi; uomini isolati marciano contro di
loro. Un esercito erasi dileguato; un popolo sorgeva dalla terra.
Però,
gli atti di questo popolo erano orribili. Gl'infelici soldati trattenuti dalle
malattie, o dalla stanchezza, furono sgozzati sulle strade, nelle case, negli
Ospedali.
La
città di Teramo fu presa ; il ponte fortificato sul Tronto fu anche preso, la
catena di battelli che lo componeva fu rotta, ed i battelli stessi dispersi.
Torme di volontari sboccarono dalla Terra di Lavoro, percorsero la linea del
Garigliano, bruciarono i ponti, s'appostarono sulle vie, uccisero i messi, gli
uomini isolati, e financo piccoli distaccamenti di soldati.
In
questo frattempo le città si rendevano. Tschudy, ‑uno Svizzero intanto,
apriva le porte di Gaeta, munita d'una guarnigione di 4000 soldati, di sessanta
cannoni, di dodici mortaj, di ventimila fucili, di viveri per un anno. E' vero
però che il vecchio sposo avea una moglie giovane per la quale temeva i rigori
di un assedio.
Civitella
del Tronto, fortezza situata in cima di un monte inaccessibile, era difesa da
uno spagnuolo, chiamato Giovanni Lacombe. Il suo comandante avea tutto ciò che
bisognava per reggere ad un lungo assedio, dieci grossi cannoni, munizioni di
guerra, vettovaglie abbondanti. Si arrese prigioniero di guerra con tutto il
presidio dopo dieci ore di assedio.
Duhesme
mandò un parlamentario al forte di Pescara per intimargli la resa. Il
comandante della Piazza, come se avesse avuta l'intenzione di seppellirsi sotto
le rovine della fortezza, mostrò all'araldo le fortificazioni, le armi, i
magazzini abbondanti di munizioni e di vettovaglie, e lo rimandò al Generale
con queste altere parole «Fortezza così munita e provveduta non si
arrende>> ma intanto lo stesso giorno, questo Comandante così baldanzoso,
alle apparenze di una semplice dimostrazione di ostilità, consegnò la fortezza,
tanto approvvigionata e così ben difesa, con tutto ciò che conteneva. Sessanta
cannoni di bronzo, dieci da 4, e quattro mortai, mille novecento soldati.
Si
chiamava il Colonnello Pricard.
Non
è male che l'istoria conservi i nomi di questa triade di vili, di questa triade
di traditori.
Pricard, Lacombe, Tchudy.
E'
vero che Capua tenea fermo, e che Macdonald avea sofferto un rovescio sotto le
sue mura.
E'
vero che davanti a questa stessa Capua giungeva Duhesme con due ferite, ancora
fresche e aperte, pronunziando i nomi fino allora ignorati, ma che più tardi
doveano divenir terribili, di Rodio e di Pronio. E' vero che Championnet usciva
tutto ansante dalla terra di Lavoro pronunziando quelli di Fra Diavolo e di
Mammone, ai quali gli omicidi e le torture davano una recente ma di già
incontrastabile celebrità.
E'
vero in fine che il generale Mathieu ebbe il braccio spezzato da un colpo di
fuoco, che il Colonnello d'Arnauld era stato fatto prigioniero, che il generale
Boisregard era stato ucciso.
Il
prestigio si dileguava. Se i repubblicani erano invincibili, per lo meno non
erano invulnerabili.
I
successi delle bande, paragonati ai rovesci dell'armata, avvaloravano la voce
che l'esercito non dovea i suoi rovesci che al tradimento.
Diceasi
che l'armata francese raccoglievasi non per prendere Capua, come volea far
credere, ma per prepararsi una ritirata onorevole in mezzo alle popolazioni
sollevate.
Tutte
queste nuove rendevano il coraggio a Napoli. In quel tempo il re Ferdinando era
ancora molto amato, imperocchè attribuivansi alla Regina e ad Acton, vale a
dire a due stranieri, i falli commessi e le atrocità esercitate: il ritorno, o
meglio la fuga del Re, che dapprima aveagli fatto torto nello spirito degli
uomini coraggiosi ed intelligenti, era tenuto in conto di un irresistibile
tradimento contro il quale egli erasi pur troppo affrettato di venire a cercare
a Napoli dei soccorsi. Si esaminarono le risorse del paese. Contavasi ancora
oltre cinquanta mila uomini nelle mani di Mack e di Damas. Naselli potea dalla
Toscana ricondurne dieci o dodici mila. Le bande armate, senza esagerarle,
potevano ammontare a quindici mila uomini. Il tutto formava un totale di 75 a
77 mila uomini, appoggiati ad una città di cinquecento mila abitanti, che si
potevano opporre a dodici o tredici mila francesi.
Eranvi,
è vero, i nemici interni dai quali credeasi emanasse il tradimento, ma costoro
in un batter d'occhio o con un colpo di pugnale, potevan esser tolti di mezzo.
Di
talchè nel mattino dei 20 dicembre, una folla immensa di popolo si riunì
dinanzi al Palazzo Reale, gridando: Viva il Re, morte ai giacobini; chiedendo i
nomi di questi, onde massacrarli tutti, e facendo sentire che una volta
distrutti i nemici interni facile sarebbe stato il trionfare dei nemici
esterni.
Alle
grida furibonde d'amore e di odio che mettea quella moltitudine, il Re si
mostrò al balcone, ringraziò il popolo col gesto e colla voce, e mandò il
Principe Pignatelli, onde parlare coi capi di quella moltitudine, e dir loro
che la partenza del Re, della quale erasi parlato, era lungi dall'essere
risoluta, che senza dubbio se credeva di essere sostenuto dal popolo, il Re
resterebbe.
Il
popolo gridò.
‑
Per Dio ed il Re, noi ci faremo uccidere tutti fino all'ultimo.
Erasi
in consiglio nella Reggia, il Re vi si recò, espose le sue intenzioni, e
rinvenendo nel suo cuore un baleno di quel coraggio che aveva illustrato i suoi
antenati, dichiarò esser risoluto a restare ed affrontare i Francesi.
Una
tale risoluzione spaventò la regina e tutta la camerilla, il re non avea mai
parlato con una simile fermezza. Gli avvenimenti che succedevansi aveano
stillato il terrore o almeno il dubbio in quelle anime egoiste e senza fede.
Mack avea perduto tutta la sicurezza. Acton e la regina tremavano : Castelcicala,
gl' inquisitori di stato, i torturatori, gli sbirri, cominciavano a credere in
Dio, cioè alla pena dei loro delitti; i vili, i malvagi, tutti quegli uomini
dall'anima perversa che da otto anni ìmprigionavano, condannavano, versavano il
sangue, con l'occhio smarrito, con le orecchie intente, sentivano venire quella
cosa invisibile e sconosciuta ma inevitabile che si chiama il castigo.
Fuggire
era il voto generale. Ora, se il Re restasse a Napoli chi oserebbe fuggire?
Bisognava
adunque infrangere la risoluzione nel cuore del Re, spaventandolo con un gran
delitto.
In
un consiglio secreto e notturno questo delitto fu risoluto.
Eravi
un uomo del quale sarebbe stato buono disfarsi, attesochè celava in lui un
segreto terribile.
Costui
era il corriere Ferrari; questo infelice, che per debolezza o meglio per
cupidigia, avea acconsentito di rimettere al Re il falso dispaccio di Vienna,
col quale l'imperatore annunziava l'entrata delle sue truppe in Italia, invece
di quello in cui il suo ministro Thugut diceva al contrario che l'imperatore
era deciso a non intraprender nulla prima dell'arrivo dei Russi, vale a dire
pria del mese di Aprile 1799.
Il
giorno innanzi benanco era arrivato da Vienna un dispaccio terribile che erasi
tenuto celato al Re ; in questo dispaccio era detto che il Re, agendo
prematuramente avea tradito la causa dell'Europa e meritato d'essere
abbandonato al suo destino.
Ferrari
fu adunque condannato e la sua morte destinata a spaventare il re.
Ecco
come la cosa fu preparata.
Fin
dal mattino, Pasquale de Simone, un miserabile che la regina tenea con essa a
servire, e che vedremo ricomparir più tardi, ricevette cinque mila ducati,
coll'incarico di spargere questo danaro nel popolo, e particolarmente fra le
genti del Porto ed i marinari.
Trattavasi
di disfarsi di un giacobino molto pericoloso, che, egli, Pasquale de Simone
indicherebbe.
Verso
le dieci del mattino, Ferrari uscì dal Palazzo, latore di un biglietto d'Acton
all'ammiraglio inglese.
Per
mezzo di questo segno, de Simone fece conoscere agli uomini della banchina chi
era il giacobino col quale doveano aver che fare.
Un
altro segno convenzionale gli fece capire che ciò bastava.
Ferrari,
senza diffidenza saltò dalla banchina in una barca, ed ordinò ai marinai di
condurlo a bordo del vascello di Nelson.
Costoro
chiesero di essere pagati anticipatamente, e reclamarono una somma esorbitante.
Badate
bene a quel che fate, disse loro Ferrari, io sono corriere di Sua Maestà.
‑
Tu! rispose uno dei marinai, noi lo conosciamo, va ! tu sei un giacobino.
Appena
questo nome, che era un segnale d'omicidio, fu pronunziato, venti coltelli
brillarono, e l'infelice Fer‑ rari cadde trafitto di colpi.
Ma
presso i popoli del mezzogiorno, la morte non basta alla vendetta; la morte è
il principio del supplizio. Si vuole il cadavere trascinato nelle vie ‑
si vuole il graticcio infame, le membra sanguinanti separate dal tronco, e la
tomba immonda delle fogne.
Una
folla ebra, non solo del presente omicidio, ma benanco degli omicidi avvenire,
trascinò il corpo dello sgraziato Ferrari con quei ruggiti, che si sentono solo
a Napoli, fin sotto le finestre del Re; questi credendo ad una dimostrazione
simile a quella della vigilia, s'avanzò sul balcone; ma allo spettacolo che
l'attendeva, si ritrasse vivamente indietro.
Il
cadavere che avea lasciato sul lastricato una lunga striscia di sangue, non era
più che una piaga.
Ferdinando,
per quanto poco sensibile fosse, possedea quel terrore egoista dell'uomo che
freme alla vista del sangue e del dolore.
Egli
si ritrasse indietro con le mani sugli occhi, e cadde su di una seggiola.
La
regina aspettava questo momento; entrò nella camera del marito e lo forzò a
guardare dalla finestra.
‑
Vedete, diceva essa, si comincia dai nostri servitori, si finirà con noi ; ecco
la sorte che ci è serbata, a voi, a me, ai nostri figli.
‑
Date i vostri ordini e partiamo, esclamò Ferdinando facendo chiudere le
finestre e rifugiandosi nei più secreti e reconditi appartamenti del palazzo.
Del
resto, nell'aspettativa di una simile risoluzione, tutto erasi preparato
anticipatamente. Da tre giorni s'imballavano gli oggetti più preziosi dei
palazzi di Portici, di Capodimonte, e di Napoli; eransi viste trasportare delle
casse del museo al Palazzo. I diamanti della corona erano negli scrigni e tutto
ciò che si era potuto riunire non solo in argento monetato ma anche in verghe
d'argento eran nelle casse.
Fin
dalla vigilia, 20 Decembre era stato rimesso al Capitano Hope a bordo del
Vascello l'Alemene questo biglietto di Nelson.
secretissimo
«
Tre barche, e il piccolo cutter dell'Alcmene armate con armi bianche soltanto,
per trovarsi alla Vittoria alle sette e mezzo
[*2] precise ‑Una sola barca accosterà la
banchina, le altre si manterranno ad una certa distanza ‑ i remi drizzati
‑ la piccola barca del Vanguard resterà alla banchina ‑ tutte le
barche sieno riunite a bordo dell'Alcmene, pria delle sette, sotto gli ordini
del Comandante Hope ‑ I grappini delle scialuppe.
«
Tutte le altre scialuppe del Vanguard e dell'Alcmene armate di coltellacci e i canotti con caronate riunite a bordo del
Vanguard, al comando del capitano
Hardy che se ne allontanerà alle otto e mezzo precise per prendere il mare a mezzo cammino verso Molosiglio. ‑Ogni scialuppa deve portare da 4 a 6
soldati.
Nel
caso avrete bisogno di assistenza fate dei segnali per mezzo di fuochi.
O.
NELSON.
L'Alcmene
pronto a filare la notte se è necessario.
Tutte
le parole sottolineate sono scritte dalla mano di Nelson.
Fu
Lady Hamilton che preparò tutto non solo per la fuga della famiglia reale ma
benanco per l'imbarco degli oggetti preziosi « che Southey pretende essersi
elevati al valore di due milioni e mezzo di lire sterline
vale
a dire ‑ a 75 o 77 milioni di franchi.
Conoscevasi,
per tradizione, l'esistenza di un passaggio sotterraneo che dal Palazzo
conduceva al mare; ma, chiuso fin dal tempo della dominazione Spagnuola, questo
passaggio non era stato riaperto in seguito : Lady Hamilton ‑ dice
Southey lo fece riaprire e come una eroina dei romanzi moderni [*3] l'esplorò non senza pericolo. ‑ Si
trasportarono ‑ continua egli ‑ per questo passaggio i tesori reali
ed i pezzi più pregiati di scultura e di pittura ‑ che da principio furono
depositati sulla riva ed in seguito messi in sicuro a bordo dei vascelli
inglesi.
Questo
sgombramento facevasi nella notte del 20 al 21 Dicembre, prima che il Re fosse
deciso a partire e mentre che Carolina e Acton concertavano l'assassinio di
Ferrari.
Il
Re una volta deciso a partire ‑ ed egli vi si decise verso le undici del
mattino del 21 ‑ si prevenne Nelson di tenersi pronto per la sera stessa.
Nelson
scrisse ben tosto ‑ la seguente lettera.
Al
capitano Hope a bordo del Vascello di S.
M. l'Alcmene.
Napoli
21 dicembre 1798
Preparerete
le fregate e le corvette napoletane ad esser bruciate ‑ e agli ordini del
marchese di Niza avrete cura che ciò si esegua pria che mettiate alla vela ‑
e metterete particolare attenzione, acciocchè i tre trasporti Inglesi sieno
salvi, conducendoli con voi a Palermo ove riceverete i miei ordini ulteriori
sulla vostra condotta avvenire.
O.
NELSON.
A
quattro ore di notte, contando al modo napoletano, cioè, verso le dieci o le
dodici della sera, si riunirono i ragazzi e tutte le persone della famiglia
nell'appartamento della regina ‑ Non fa d'uopo dire che Acton, Emma
Lyonna e sir Wílliam Hamilton vennero considerati come della famiglia ‑ A
mezzanotte il conte di Thurn fece avvicinare le scialuppe alla scala secreta
conosciuta col nome del Caracò e cercò di aprire la porta superiore che metteva
all'appartamento, ma la disgrazia volle che la chiave si rompesse nella toppa,
dimodochè bisognò sfondare la porta.
I
fuggitivi discesero allora per la stessa scala, il Re camminava pel primo,
tenendo colla mano un lume, ch'egli smorzò nella scesa, temendo di esser veduto
dalla salita del Gigante.
Si
arrivò così a tentoni dappoichè la notte era orribilmente oscura ‑ al
Molosiglio ove erano le scialuppe comandate da Nelson. Il giornale scritto
dalla principessa Antonia ultima figlia del Re ‑ dice che in quella sera
gli augusti fanciulli dormivano nei loro mantelli, dopo aver cenato delle
acciughe salate e bevuto acqua infetta.
Ciò
spiegasi difficilmente, poichè i fuggitivi furono trasportati a bordo del Vanguard.
Forse
il mare era troppo burrascoso per imbarcare immediatamente e si fu obbligati
attendere fino al mattino che si calmasse.
La
mattina, gruppi numerosi si affollavano avanti ad affissi coll'impronta delle
armi reali. ‑ Questi affissi contenevano un editto, dichiarando che il
Principe Pignatelli era nominato Vicario e Mack luogotenente generale del
Regno.
Il
Re prometteva di ritornare con potenti aiuti.
La
terribile verità era adunque palesata ai Napoletani; sempre vile, il Re
abbandonava il suo popolo come avea abbandonata la sua armata: soltanto, questa
volta fuggendo avea spogliata la capitale, di tutti i capolavori raccolti da un
secolo, e di tutto il danaro che avea trovato nelle casse.
Allora,
tutto questo popolo disperato corse al porto i vascelli trattenuti dai venti
contrari non potevano uscire dalla rada. Dalla bandiera che lo pavesavano si
riconobbe quello che conducea il Re e la famiglia reale. Era il vascello inglese
il Vanguard, ammiraglio Nelson.
Il
Re non aveva giudicato opportuno confidare la fortuna del Regno ad un ufficiale
nè a un bastimento napolitano, e l'ammiraglio Francesco Caracciolo, dovette
contentarsi di seguire la flotta della Gran Bretagna, sulla fregata la Minerva.
Quantunque
il mare fosse terribile, e il porto come si sa mal garentito, l'arcivescovo di
Napoli, i magistrati, i baroni, gli eletti del popolo montarono nelle barche e
affrontarono il pericolo, per andare a supplicare il Re di tornare ; ma il Re
consentì a ricevere il solo Arcivescovo, al quale disse queste parole :
‑
lo mi affido al mare, perchè sono stato tradito dalla terra.
In
quanto agli altri deputati essi non videro neanche il Re.
Per
ventiquattro ore le navi che portavano i fuggitivi restarono a vista di Napoli,
e questa ostinazione cambiò la disposizione benevola degli animi.
In
fine verso la sera del dimani il vento divenne favorevole e si vide la flotta
inglese allontanarsi e scomparire nell'orizzonte.
Ma
non appena la flotta avea preso il largo, una spaventosa tempesta l'assalì : il
mare, come la terra tradiva la coscienza del Re. Il movimento del mare era
tale, che il Principe Alberto, ultimo figlio della regina, non potette
sopportare la violenza e morì fra le braccia di Emma Lionna, la quale dimenticò
le proprie sofferenze, per addolcire in quanto poteva quelle della Regina che
amava di un amore tanto strano : la regina si assicurò che il giovane principe
era morto, e comechè in essa eravi più di Medea che di Niobe, così, si contentò
di dire :
‑
Và, povero fanciullo, tu ci precedi di poco, e noi non tarderemo a
raggiungerti. E’ vero, soggiunse, stendendo la mano sul cadavere, che se noi ne
scamperemo ........
Un
sinistro sorriso finì il suo pensiero.
Quanto
al Re, egli si votò a S. Gennaro, a S. Francesco, a S. Giuseppe, in fine a
tutti i santi del paradiso, promettendo delle messe e delle fondazioni a questi
degni abitatori del cielo, se lo conducevano sano e salvo a Palermo, e
maledicendo la regina ed i suoi ministri ai quali attribuiva tutte le sue
disgrazie.
Quanto
a Caracciolo padrone della sua fregata come un cavaliere lo è del suo cavallo,
la teneva a rispettosa distanza di quella del Re non aspettandola né restando
indietro, e pronto a soccorrere la famiglia reale ove mai il Vanguard ancora mal guarito delle sue ferite di Aboukir,
fallisse al suo padrone.
Il
25 si giunse a vista di Palermo, la rada è poco sicura, l'entrata difficile,
Caracciolo apprestavasi a lasciare al suo secondo la condotta della fregata, e
ad offrirsi al re in qualità di pilota in quel passaggio che egli conosceva; ma
si accorse di una barca che staccavasi dalla banchina della Città, e vogava
avanti al Vascello del Re; questa barca era montata, dal Capitano di fregata
Giovanni Bausan, che veniva a mettere la propria esperienza a disposizione
dell'Ammiraglio Inglese. Nelson gli cedette immediatamente il comando, e un'ora
dopo il Vanguard gettava l'ancora nel
porto, sempre accompagnato dalla fedele Minerva.
Gli
altri bastimenti dispersi dalla tempesta ripararono in Sardegna e all'Isola
d'Elba.
Vedendo
il Vanguard con uno dei suoi alberi
rotto, le sue basse vele lacerate, i suoi pennoni ritorti, mentre che la
fregata di Caracciolo parea che uscisse dal porto, venne voglia al Re di dire :
‑
Quanto sono stato imbecille di esser montato sul Vanguard in vece di montare sulla Minerva!
Nelson
intese questo parlare, era nel tempo stesso un ingratitudine ed un insulto.
Il
Re creava a Caracciolo un nemico mortale.
Il
domani del giorno in cui i Vascelli inglesi erano scomparsi all'orizzonte, una
notizia inattesa si divulgò per Napoli.
Il
Presidente della Giunta di Stato, Vanni, suicidavasi facendosi saltar le
cervella con un colpo di pistola nell'orecchio.
Pria
di suicidarsi aveva scritto il seguente biglietto, che si trovò sopra una
toaletta vicino ad uno specchio insanguinato.
«
L'ingratitudine di una corte perfida, l'avvicinamento di un nemico terribile,
la mancanza di asilo, mi han determinato a togliermi la vita che oramai mi è di
peso.
«
Non si accusi alcuno della mia morte, e serva essa di esempio agl'inquisitori
di stato. »
VANNI
Siamo rimasti un momento in dubbio a proposito della data precisa della
morte di Vanni.
Cuoco,
con l'incertezza che accompagna quasi sempre i fatti ch'egli descrive ‑
racconta questa morte, ma senza dire in qual epoca ebbe luogo.
Colletta,
con una precisione che non è sempre in lui una pruova di verità, dice l'anno,
il giorno e quasi l'ora.
Ecco
il paragrafo di Colletta:
«
In quel giorno stesso, 14 febbraio 1806, il marchese Vanni morì di volontaria
morte. Egli, di natali onesti, tristamente ambizioso, delatore nelle cause di
stato, e dipoi barbaro inquisitore ed iniquo giudice, avendo tratto dal male
oprare potestà, titoli e doni, poi abbandono e dispregio, bramò, allo avvicinarsi
dello esercito francese, fuggire in Sicilia; e perciò ricordando alla regina i
suoi servigi, chiese sulle regie navi un asilo.
•
Questo asilo gli fu negato.
•
Allora, dolente dell'ingratitudine dei potenti, tediato della vita, aspettò che
il nemico giungesse in città, scrisse il seguente foglio e si uccise. »
Questo
foglio l'abbiamo già messo sotto gli occhi dei nostri lettori.
Dunque
se dobbiamo credere a Colletta, gli è positivamente il 14 febbraio 1806 e non
in gennaio 99, per isfuggire ai Francesi condotti da Giuseppe, e non ai
repubblicani comandati da Championnet, in fine alla prima entrata dei Francesi
a Napoli, che Vanni si sarebbe ucciso.
Malgrado
l'affermazione di Colletta, la cosa ci sembra naturalmente impossibile.
In
effetti, Cuoco scriveva il suo compendio
storico della rivoluzione di Napoli, ove Colletta attinge il suicidio di
Vanni, lo dice egli stesso, e finiva di scriverlo nel 1800: ne faceva una prima
edizione nel 1801 e una seconda nel 1806. Come mai Cuoco ha potuto registrare
nel 1799 un fatto avvenuto nel 1806? E' vero che gli si rispondeva: Il fatto
concernente Vanni non è stato registrato nel 99 ‑ non trovavasi punto
nell'edizione del 1801 ; è stato aggiunto nell'edizione del 1806.
E'
impossibile trovare un solo esemplare dell'edizione del 1801 per constatare il
fatto ‑ Cuoco, dice egli stesso, nella seconda edizione, che non resta un
solo esemplare della prima.
Informarsi,
agli eruditi napoletani era cosa inutile gli eruditi napoletani molto versati
in fatto di antichità ‑ sono molto incerti e molto vacillanti in fatto di
storia contemporanea. Essi non sanno o non vogliono sapere ciò che è avvenuto
dal 1799 al 1806 ‑ la memoria su quell'epoca era cosa pericolosa.
Fortunatamente,
a forza di ricerche, ho trovato in una vecchia raccolta di manoscritti
appartenenti ad un degno prete mio amico ‑ la nota seguente:
«
Vanni si rendette celebre nella prima Giunta di Stato stabilita nel 1794 ; ma
nel 1798, all'avvicinarsi dell'esercito francese avendo domandato al Re di
seguirlo in Sicilia, ed il Re avendo ricusato, per disperazione e per paura, si
tirò una pistolettata nell'orecchio. »
La
questione è chiaramente sciolta da questa nota. Colletta ha torto ed io ho
ragione.
La
morte di Vanni ebbe dunque luogo, verso la fine del 98 od il principio del 99 e
non nel 1806.
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[*1] Colletta dice che il Re arrivò l'Il = Sacchinelli nella sua storia del
Cardinal Ruffo dice l'8 ‑ una lettera di Nelson del 15 farebbe credere
che il ritorno ebbe luogo il 13, o il 14. ‑ Il manoscritto sugli
avvenimenti popolari di Napoli dice come Sacchinelli l’8 ‑ Noi siamo per
l'8.
[*2] Nelson dapprima aveva scritto otto ma otto fu cancellato per dar luogo a 7 e ½.