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Di
Alexandre Dumas
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CAPITOLO XVI.
Si sa con quali mezzi il popolo napoletano era stato sospinto al più alto grado di esaltazione contro i francesi, dalle sorde mene degli agenti realisti e dai predicatori pubblici, dai preti nelle chiese, dai monaci sulle vie.
Qualunque omicidio commesso
non solo in combattimento, ma in qualunque altro modo contro i francesi era
un'azione lodevole. Ogni Lazzarone ucciso era un martire.
Del resto, da cinque o sei
giorni, tutta quella popolazione mezza selvaggia, così facile a spingere fino
alla ferocia, inebriandosi di saccheggio, di sangue, d'incendii, era giunta a
quella follia furiosa nella quale si dimentica tutto, fino all'istinto, così
naturale all'uomo, della propria conservazione.
Abbiamo detto l'effetto che
aveva prodotto su di lei l'apparizione della bandiera tricolore in alto di S.
Elmo. La notizia dell'arrivo dei francesi e del loro prossimo attacco la
esasperò.
Senza un'astuzia impiegata
da qualche patriotta non sarebbe restato in Napoli neanco un repubblicano: ‑
i Lazzaroni avevano sopra un registro, aperta una lista di tutti quelli ch'essi
designavano col nome di giacobini, cioè di tutti gli uomini istruiti,
intelligenti, come quelli che del resto già erano stati ‑messi a morte da
essi, ma alcune anime bene intenzionate mischiate in mezzo ad essi, fecero loro
osservare che sarebbe prudente distruggere quel registro che se cadeva nelle
mani dei francesi, farebbe noto ai nemici gli alleati che aveva nella città, i
registri furono in conseguenza dì questo ragionamento, abbandonati e bruciati.
Poscia si ruppero i numeri delle case, affinchè i francesi non potessero
riconoscerli. Questa doppia distruzione fu un mezzo di salvezza.
Fortunatamente ancora
apprendendosi la reddizione di Capua. Dieci mila Lazzaroni all'incirca, avevano
risoluto di andare a riprendere la città ai francesi, partirono dal molo
piccolo e dal quartiere S. Lucia, erano altrettanti di meno che dovevansi
combattere a Napoli dieci mila uomini indisciplinati e senza artiglieria
d'assedio, non erano molto a temersi per una città come Capua.
Il 20, l'armata francese
erasi messa in marcia contro Napoli. La Divisione comandata dal Generale
Duhesme, rimpiazzando Macdonald, che in seguito di una discussione con
Championnet il domani della presa di Capua avea dato la sua dimissione, erasi
recato avanti alla città di Aversa, celebre per la morte di Andrea dì Ungheria,
strangolato dalla moglie.
Lo stesso giorno,
l'avanguardia comandata da Kellermann fu portata al di là di Melito: erano i
fuochi di questa avanguardia che erano stati visti dall'alto del castello S.
Elmo.
Dal suo lato la Divisione
Dubesme avanzavasi per Acerra, patria di Pulcinella, verso la porta Capuana,
così chiamata perchè entrando nella città essa conduceva al Castello Capuano, e
sortendone mena a Capua.
In questa marcia, egli
appoggiò la sua dritta a Capodichino.
Ogni villaggio che incontrò
Dubesme sul suo cammino dovette essere preso d'assalto; ma Duhesme era l'uomo
di quei colpi di mano vigorosi che vogliono in una volta la decisione e il
coraggio.
Nel momento che avanzavasi
su quello di Arpago, una turba di Lazzaroni sopravanza la colonna rinunziando
di invilupparla. Ma il Generale Mounier non curandosi di una manovra che con
truppe regolari l'avrebbe sgomentato, lanciò i suoi uomini su quella massa con
le baionette in avanti. La massa sgominata, lasciò scoperta la sua artiglieria,
che fu presa, e la colonna continuò il cammino su la porta Capuana.
Ma, all'entrata della
piazza, si trovò un piccolo ponte difeso dal fuoco di qualche casa merlata.
Questo fuoco ingaggiossi così vivo ed era così ben diretto che il Generale
Mounier fu ferito, qualcheduno dei suoi ufficiali, e gran numero dei suoi
uomini messi fuori combattimento.
L'avanguardia dovette
ripiegare.
Ma Dubesme arrestò questo
movimento retrogrado, inviandole il suo aiutante di campo, Ordonneau, con due
compagnie di granatieri che forzarono il passaggio del Ponte : ma il ponte
varcato, arrivati sulla piazza triangolare, che spiegasi avanti alla porta, Ordonneau
riconobbe l'impossibilità di sostenersi con la poca gente che aveva, in un
luogo scoverto ed esposto al fuoco da ogni lato: di rimpetto a lui eravi la
porta Capuana fiancheggiata da due torri, difesa da gran numero di
tiragliatori, e formando un ovale al di fuori della città, ciò che permetteva
ai suoi difensori di tirare da ogni parte, in oltre una moltitudine furiosa e
armata era accumulata sulli tetti delle case, appostata alle finestre, un fuoco
inclinato decimava i Granatieri. Intanto Ordonneau, esitava a dare l'ordine di
ritirarsi, quando cadde ferito da una palla. Duhesme che arrivava in quel
momento, non esitò punto, e fece sonare la ritirata.
Essa si operò in
buon'ordine; ma infine era una ritirata.
La notte veniva. I Lazzaroni
fieri di vedere i francesi ritirarsi credettero che la giornata fosse vinta ed
uscirono in folla trascinando dodici pezzi di cannone, che misero in batteria
sopra una piccola altura che dominava la strada di Acerra, e si posero a bersagliare
i francesi nel mentre che i dodici pezzi di cannone spazzavano la strada.
Questa audacia perdette i
Lazzaroni, Duhesme fermò la sua colonna, spiccò i cacciatori a cavallo del 25*
Reggimento; attraversò il piano per attaccare il nemico di fianco, sorpassarlo
e raccogliersi alle spalle di lui, mentre i Granatieri della
sessantaquattresima e sessantatreesima mezza brigata di linea condotti dal suo
aiutante di campo, Thiebaut, caricavano il fronte. Nulla potette arrestare lo
slancio dato a questi uomini dal loro bravo ufficiale. Egli s'impadronì dei dodici
pezzi di cannone, li rivolse su quelli che li avevano arrecati, inseguì i
fuggiaschi colla baionetta ai reni, riprese la piazza Capuana e fece appiccare
il fuoco alle case, i cui difensori avevano fatto nella giornata tanto male ai
francesi; una cortina di fiamme si elevò in un istante davanti alla porta
Capuana, dietro la quale l'armata prese una posizione militare onde passare la
notte.
Championnet, attirato dal
frastuono del combattimento, arrivò in questo momento e per ricompensare
l'aiutante di campo Thiebaut del suo bel movimento offensivo sulla porta
Capuana, che ci lasciava padroni di questa porta lo nominò aiutante generale
sul campo di battaglia.
‑ Ecco, gli disse
ridendo Duhesme contento di questa promozione che ricompensava un bravo
uffiziale pel quale sentiva la più grande stima, ‑ecco ciò che chiamasi
arrivare a un bel grado per una bella porta
La giornata in luogo di
essere ai lazzaroni era ai francesi: ventisette pezzi di cannone erano stati
presi alla baionetta, seicento soldati erano stati fatti prigionieri, il campo
di battaglia, strada e sobborgo erano coverti di cadaveri napoletani. Ma dalla
parte loro, i vincitori pagavano questo vantaggio colla perdita di trecento
uomini.
Il Generale Rusca aveva
incontrato meno difficoltà. Fin dalle quattro della sera egli era stabilito a
Capodichino.
Da parte sua, la Divisione
ciel Generale Dubesme, con la quale marciò il generale in capo, Championnet,
dopo aver respinto avanti di essa qualche partita di Lazzaroni, erasi stabilita
alle porte d'Aversa, di Melito e di Capodimonte, dominando completamente la
città.
Ma i lazzaroni respinti
s'erano riuniti ai contadini sollevati alle falde del Vesuvio, ed in numero di
tre in quattro mila si avanzavano nell'oscurità per attaccare le spalle del
Generale Duhesme, accompagnato come abbiamo detto avanti la porta Capuana; ma
volle combinazione che nello stesso momento quella truppa si imbattesse in una
colonna Francese: era la colonna del capo brigata Broussier che arrivava da
Benevento, dopo un'azione delle più gloriose; essa caricò quella colonna, la
disperse ed eseguì la sua giunzione con Duhesme.
In effetti, Broussier
istruito a Benevento della marcia dell'esercito francese su Napoli erasi messo
in cammino per riunirsi ad essa. Ma appena uscito dalla città era stato
attaccato dai contadini, e bersagliato da essi avea cominciato una marcia delle
più faticose: per un momento era stato benanco talmente incalzato dal nemico,
che la diciassettesima mezza brigata avea dovuto aprirsi un varco alla
baionetta, ma in questa carica avea perduto molta gente, e apertasi il cammino
erasi trovata dinanzi alle famose forche caudine, celebri per la disfatta dei
romani nella loro guerra contro i Sanniti.
Broussier, attraverso lo
sfondo che aveva fatto, vide le gole istoriche, occupate dal nemico e riconobbe
che era quasi impossibile di forzarle.
Gittò gli occhi sui soldati,
e li vidde non solo stanchi ma costernati.
Riconobbe il pericolo di un
attacco di fronte, e contando sull'intelligenza non solo dei suoi ufficiali ma
benanco dei suoi soldati li mise per metà a parte dello stratagemma che andava
a tentare.
Da principio, fece coricare
il secondo battaglione della sua mezza brigata in un fossato coverto da un
enorme cespuglio facendo siepe ove il secondo battaglione spariva interamente.
Poscia ordinò a un
distaccamento di Granatieri e di Cacciatori di marciare direttamente sulle
strette; e, dopo un combattimento di qualche minuto, di fingere una ritirata
alla quale raccomandava dare tutte le apparenze di una fuga.
Esso stesso si nascose, con
quanto eravi di cavalleria, mascherandosi coll'aiuto di una masseria situata
dietro del fossato ove era piazzata la sua imboscata.
Ciò che avea preveduto
Broussier, successe, appena i difensori delle gole, viddero i nostri soldati
battere in ritirata abbandonarono le proprie posizioni per lanciarsi ad
inseguirli, ma non appena i pretesi fuggiaschi, ebbero sorpassata la fossa, e i
contadini che l'inseguivano si spiegarono sulla strada, il secondo Battaglione
si levò fece fuoco a brucia pelo, e abbattette un centinaio d'uomini sul
terreno; Broussier comparve allora coi suoi cacciatori, caricò il nemico a
fondo, mentre che il secondo Battaglione avendo ricaricate le sue armi faceva
un secondo fuoco non meno micidiale del primo, e che la colonna che avea finto
di fuggire facendo fronte in dietro, riprendeva l'offensiva. Allora la rotta
degli insorti fu completa: ottocento restarono sul campo di battaglia, i veri
fuggiaschi vennero inseguiti per oltre una lega e mezzo, e sotto l'impulso
della Vittoria, le gole terribili, furono varcate senza che quelli i quali più
prudenti degli altri erano restati sulle alture, testimoni del disastro dei
loro compagni, osassero opporsi alla marcia della colonna francese.
Il Comandante Boyer,
aiutante di campo del generale Duhesme, che si trovava per combinazione
presente al combattimento vi fece dei prodigi di valore.
Avviluppato da un gruppo di
nemici, egli ne uccise dodici di propria mano e mise gli altri in fuga[*1].
Arrivando a Napoli,
Broussier fu fatto da Championnet Generale di Brigata.
Il Capo moderno era stato
più felice dei Consoli antichi Veturio e Postumio.
Broussier era in vena; oltre
al passaggio delle forche caudine
forzate, aveva, l'abbiamo detto, prima di fare la sua giunzione con Dubesme,
battuto tre o quattro mila contadini respinti di già dalla colonna di Duhesme.
Cosicchè ricevette l'ordine di estendersi sulla sinistra e attaccare il domani
alla punta del giorno il gran ponte della Maddalena, difeso, oltre che dalle
case merlate della marina e del Borgo di Loreto, dal forte del Carmine armato
di sei pezzi di cannoni, e difeso da un battaglione di Albanesi e da una massa
considerevole di lazzaroni in mezzo dei quali erano sparsi un migliaio di quei
soldati reduci da Livorno col Generale Naselli, ai quali si erano tolte le armi
dapprima, e ai quali si erano rese in seguito.
Ma aspettandosi l'attacco
definitivo del domani, bisognava portar soccorso ai patriotti di S. Elmo, che
erano bloccati. Il giovane Pignatelli lontano parente del Vicario Generale,
tanto buon patriotta per quanto suo zio era ardente realista, che aveva fatta
tutta la campagna coi francesi e che comandava i volontari Romani a Civita
Castellana, fu distaccato da Kellerman da Capodimonte, per gettarsi nella
cittadella con due battaglioni, e dare il segnale a tutta l'armata francese
congiungendo la bandiera francese allo Stendardo Napoletano.
Pignatelli profittò delle
prime ombre della notte, s'insinuò attraverso le colline che da Capodimonte sboccano
a S. Elmo coronando la città, oltre le difficoltà del terreno, orribilmente
frastagliato ; gli fu d'uopo sostenere durante quattro ore un combattimento per
quanto ineguale altrettanto micidiale; gli bisognò attraversare cinque miglia
d'imboscate continue, e un villaggio insorto, in fine, verso lo spuntar del
giorno, arrivò ai piedi di S. Elmo con i suoi due battaglioni, e ricevuto al
grido di viva la repubblica.
Alla punta del giorno le due
bandiere sventolavano sulla Cittadella.
Quella dei repubblicani
Francesi, bianco, blù e rosso.
Quella dei patriotti
Napoletani: giallo, rosso e bleu.
Dal momento in cui le due
bandiere furono spiegate, il cannone del forte S. Elmo tuonò in segno di gioia.
E il cannone francese gli rispose dando il segnale dell'attacco.
E il Generale Eblè, lo
stesso che era venuto col Barone di Sales per istruire le truppe napoletane, lo
stesso che alla Beresina salverà col suo doppio ponte i resti della grande
armata, e morirà vittima del suo dovere, è il generale Eblè che dirige tutta la
nostra artiglieria.
A questo segnale i francesi
attaccano Napoli da tre punti differenti.
Il Generale Kellermann
comanda l'estrema dritta ed attacca la città per Capo di Monte. Il capo Brigata
Calvin discende per Capo di Chino, e Duhesme con Broussier alla testa lunghesso
il mare, forza il ponte della Maddalena e marcia sul forte del Carmine.
Una plebaglia ammutinata, in
queste specie di combattimenti è ben'altrimenti terribile che una truppa
regolare: una truppa regolare si batte, meccanicamente con sangue freddo e per
così dire con le meno spese possibili [*2]. In una plebaglia ammutinata, al contrario, è il delirio è
l'ostinazione della passione che bisogna combattere, è l'oblio assoluto della
propria conservazione che bisogna vincere.
Laonde non è più un
combattimento, è una lotta a tutt'oltranza, una carnificina, un massacro: non
àvvi posto, non avvi finestra, non avvi terrazza, non avvi spiraglio di cantina
che non abbia i suoi difensori e non vomiti il fuoco e la morte : ma i francesi
messi agli estremi, essi ancora, f anno una guerra d'esterminio, al fuoco dei
moschetti oppongono il fuoco delle torcie, non potendo sloggiare i Lazzaroni
dalle case, essi ve li bruciano; dal mezzo di un vulcano di fiamme e turbini di
fumo che il vento sospinge sulla città, si sentono le imprecazioni d'agonia, i
gridi di morte di quei sciagurati. Il sobborgo pel quale avanzavansi Broussier
e Duhesme, offre agli occhi una volta di fuoco sopra un fiume di sangue. I
Lazzaroni padroni di una formidabile artiglieria difendono ciascuno ogni
piazza, ogni vicoletto con una intelligenza e un vigore che mai aveva mostrato
l'armata di linea nei suoi scontri con i francesi, a vicenda respinti e
vittoriosi, stretti nelle strade e respingendo l'offensiva con l'energia della
disperazione e l'ostinazione del fanatismo.
I nostri soldati
l'incalzavano in mezzo alle fiamme che sembravano doverli divorare. Poscia
quali demoni dimenandosi nel proprio elemento naturale essi escono dalle
fiamme, per ritornare alla carica con più audacia di prima. La baionetta li
sbaraglia, essi traboccano e avviluppano i nostri soldati serrati in massa, e
un combattimento corpo a corpo o più tosto mille combattimenti che bisogna
impegnare, nei quali le armi ordinarie divengono inutili. Si è obbligati a
strappare la baionetta dal fucile per opporla al pugnale, ove le mani cercano a
strangolare, i denti a mordere, i petti a soffocare, si disputa il terreno
palmo a palmo, e ad ogni passo che si guadagna, si porta il piede sopra un
cadavere.
In questo momento gli otto o
dieci mila lazzaroni che per camini di traverso marciano su Capua, sono stati
respinti, e decimati dalla mitraglia; vedendo i loro compagni cadere a
centinaia, compresero che non potevano nulla contro quei muri di granito
sormontati da una corona di fuoco. Poi hanno inteso il cannone d'i Dubesnxe,
hanno compreso che si combattea a Napoli, ed essi sono venuti a tutta corsa per
difendere la città, lasciando la strada disseminata dai loro feriti che si
coricavano sul cammino, a distanze più o meno grandi da Capua secondo la
gravità delle ferite.
Tutti coverti di polverio e
di sangue, tutti ebri del vino che si offriva loro lungo la via, essi vengono a
gettarsi nuovi combattenti nelle prime file di quelli che lottavano fin dal
mattino. Venuti in soccorso dei loro fratelli vinti, non vollero esser vinti
essi ancora. Ogni repubblicano ha dieci nemici da atterrare, e per atterrarli,
è d'uopo che li uccida imperocchè, sinchè resti un soffio di vita ai feriti,
pure essi si rialzano e continuano a combattere. Finalmente verso le tre dopo
il mezzogiorno si ritirano, ma passo a passo e solo alla fine del giorno si è
padroni appena di un terzo della città. Ma la notte non separa punto i
combattenti, gli uni continuano a tirare colpi di fuoco mentre che gli altri si
coricano vicino ai cadaveri, sulle ceneri brucianti, e prendono guanciale delle
macerie fumanti.
L'armata francese spossata
di fatiche, avendo più di mille uomini fuori di combattimento, piantò lo
stendardo tricolore a qualche passo dal castello Capuano. Le guardie avanzate
sono al Largo delle Pigne. Si resterà sotto le armi. Si riterranno le posizioni
e si comincerà la lotta il domani alla punta del giorno.
Championnet sperava che
quella aspra giornata nella quale i Lazzaroni avevano perduto più di tre mila
uomini, sarebbe una severa lezione per essi e che avrebbe loro fatto dimandar
quartiere, ma egli vide bene che non dovea aspettarsi nulla di simile. Allora
redasse un proclama diretto al popolo napoletano, e incaricò il capo squadrone
Gouthrin suo aiutante di campo di portarlo ai magistrati di Napoli, ma, in
mezzo al disordine spaventevole nel quale Napoli era in preda, i magistrati avevano
perduta ogni autorità, i buoni cittadini erano chiusi nelle loro case e i
lazzaroni soli tenevano le strade. Il messo fu accolto a colpi di fucile, una
palla ruppe l'arcione della sua sella ed egli fu obbligato di ritornare sui
suoi passi riconducendo il proclama del Generale.
Ecco questo proclama.
CHAMPIONNET
GENERALE IN CAPO
Cittadini,
Io ho per un istante sospesa
la vendetta militare provocata da un'orribile licenza e dal furore di qualche
individuo pagato dai vostri assassini. So quanto questo popolo è buono, e gemo
nel mio cuore dei mali che ha sofferto. Io profitto adunque, cittadini, di
questo momento di calma. Rientrate nell'ordine, deponete le armi nel Castello
nuovo e la Religione, le persone, le proprietà saranno salvati.
Qualunque casa dalla quale
partirà un colpo di fucile sarà bruciata e gli abitanti fucilati, ma se la
calma si ristabilisce, io dimenticherò il passato e la felicità splenderà di
nuovo su queste ridenti contrade.
Napoli 4 Pluvioso anno VII
della Repubblica 23 Gennaio 1799.
CHAMPIONNET.
Questo proclama dovea essere
affisso il domani, portava la data del 23, era scritto in lingua Italiana ‑
lingua che Championnet parlava bene quanto la francese.
Questo momento di calma del
quale credette profittare Championnet, non fu lungo. Nella notte del 22 al 23
Gennaio la campana a stormo suonò con violenza a tutte le chiese situate nella
parte della città restata in potere dei Napoletani. Su tutti i posti avanzati
dei Francesi i napoletani tentarono attacchi, ma dovunque essi furono respinti
con perdite considerevoli.
Championnet aveva ordinato
un terzo attacco pel 23 gennaio alla punta del giorno. I soldati repubblicani
giurarono di sepellirsi pria della fine del giorno sotto le rovine fumanti
della città, o d'impadronirsene. Il generale era deciso di terminar, a
qualunque prezzo, questa lotta terribile che decimava la sua armata. Ordinò di
portar via alla baionetta il Castello nuovo. Fu Kellermann che s'incaricò
dell'eroica missione. Broussier e Rusca scaleranno il forte del Carmine.
Duhesme si condusse per la strada di Toledo al passo di carica sul Palazzo del
Re, il capo brigata Girardon girerà Napoli pel Reclusorio, e discenderà al
cuore della città per le strade che mettono dal lato del convento di S.
Martino.
Ma questi preparativi invece
d'intimidire i Lazzaroni li esaltavano ancora. Essi ingombrarono le strade di
armadi, di forzieri, di letti, di materazzi. Fanno delle barricate con le
vetture, le porte e le imposte strappate dalle case. Alle otto del mattino il
fuoco ricominciò su tutti i punti.
Durante la notte Kellermann
ha guadagnato terreno, egli sbocca dalla Dogana e marcia sul castello nuovo. In
questo momento un caso bizzarro raddoppia il coraggio dei soldati e quasi un
cattivo presentimento abbatte quello dei difensori del castello Nuovo. Nicolino
Caracciolo passeggiando sugli spaldi di S. Elmo promette dieci ducati ad un
cannoniere rinomato per la sua destrezza, se in tre colpi abbatte la bandiera
reale che sventola sul Castello nuovo. Col secondo colpo egli spezza la lancia
della bandiera, e la bandiera cade. A questa vista Kellermann si slancia alla
testa dei suoi soldati al grido di viva
la repubblica, s'impadronisce del Castello Broussier e Rusca investono il
castello del Carmine e lo prendono alla scalata. Zurlo che è stato menato
prigioniero è liberato. Duhesme è disceso fino a Toledo e si batte nei dintorni
del Museo Borbonico. Championnet personalmente è penetrato fino al Largo delle
Pigne. Là incomincia ad esser circondato dagli abitanti che non solo non hanno
preso parte alla resistenza, ma che ripongono ancora la loro salute nell'arrivo
dei francesi. Qualche lazzarone rimasto al di fuori dell'insurrezione si
avvicina a lui.
In questo momento gli si
conduce prigioniero uno dei due capi Lazzaroni nominato da essi, e che era
succeduto a Moliterno e Roccaromana. Era Michele il pazzo.
Championnet al momento in
cui il povero diavolo credeva che lo si fucilasse, ordinò al contrario che si
lasciasse libero, e rivolgendosi a lui e a quelli che gli erano d'intorno, con
parole italiane, disse loro che non avevano nulla a temere, ch'egli sapeva come
da qualche tempo la città soffriva per la carestia dei grani, ma ch'egli veniva
per accorrere alla sussistenza di essa, infine soggiunse che conoscendo la
religione dei napoletani per S. Gennaro, religione che divideva egli ancora,
prometteva che le chiese e le reliquie del Santo sarebbero rispettate e si
offrì a mandarvi una guardia d'onore se Michele il pazzo volesse condurla e
rispondesse della sua sicurezza.
Questi che aspettavasi la
morte e che al contrario vedevasi incaricato di una missione tanto importante,
accettò con gioia, e gridò: Viva il
Generale in Capo, Viva i Francesi; grido che fu ripetuto da quelli che lo
circondavano.
Fu l'aiutante generale
Thiebault colui che due giorni prima erasi tanto valorosamente condotto a Porta
Capuana, che il Generale incaricò di quella missione.
Dimandò inoltre una penna,
dell'inchiostro, e della carta che gli furono apportati, e senza scendere da
cavallo sull'arcione della sella scrisse questa lettera al Cardinale
Arcivescovo.
Al Cardinale Arcivescovo di Napoli.
Eminenza
Ho sospeso un momento il
furore dei miei soldati e la vendetta del male che ci si è fatto. Profittate dì
questo momento per fare aprire tutte le chiese, esporre il SS. Sacramento e far
predicare la tranquillità, la pace, ed il buon'ordine e l'ubbidienza alle
leggi. Stenderò un velo sul passato e m'applicherò a far rispettare la
religione, le persone e la proprietà. Affermate al popolo che arresterò il
saccheggio, e che la tranquillità e la pace regneranno in questa sventurata
città tradita ed ingannata. Ma se un solo colpo di fucile partisse da una
finestra, farò bruciare la casa e fucilare gli abitanti ch'essa contiene.
Seguite dunque i doveri del vostro ministero ed io spero che il vostro zelo
sarà utile al bene pubblico.
Ho fatto mettere una guardia
di onore a S. Gennaro.
Napoli 4 Pluvioso dell'anno
VII della repubblica 23 gennaio 1799.
CHAMPIONNET.
Michele il pazzo scelse
quattro Lazzaroni sui quali potea contare come sopra se stesso, e marciò
davanti all'aiutante generale Thibault.
Questi con una compagnia di
granatieri, si recò dal Largo delle Pigne alla Cattedrale attraverso alle
piccole strade che s'intrecciano come reti nei quartieri del Vecchio Napoli. La
missione non era senza qualche pericolo. Bisognava traversare un punto di
Napoli ove i francesi non erano ancora penetrati, ove sentivansi i colpi di
fucile, ove poteasi svolgere sui visi che guardavano passare la piccola truppa
tre sentimenti soltanto, il terrore, l'odio, e lo stupore.
Per fortuna Michele il pazzo
divenuto ad un tratto partigiano fanatico marciava davanti, gridando: Viva i Francesi, Viva S. Gennaro. Inoltre di
tempo in tempo l'aiutante generale Thiebaut gli metteva nelle mani un pugno di
moneta che egli gettava al popolo, spiegando la missione di pace e di pietà che
l'uffiziale era incaricato di compiere.
Si pervenne così fino alla
Chiesa. I granatieri si piazzarono sotto i portici. Michele spiegò a tutti che
egli era là per onorare il Santo, e l'aiutante Generale Thiebault, per
tranquillamente compiere una missione che doveva quanto le armi assicurare la
salvezza dell'esercito e arrecare la sommissione di Napoli.
Championnet ebbe ancora
un'altra idea che non contribuì poco a disciogliere il resto di quella truppa
accanita al combattimento, era di lasciare nelle sue file cinque o sei dei
lazzaroni che lo circondavano, facendo loro ventilare l'idea di saccheggiare il
palazzo reale. Cosa quale non avevano pensato ancora, ma che da quando fu ad
essi ventilata, parve loro una cosa ben altrimenti vantaggiosa che di
continuarsi e battere senza speranza di vincere
[*3].
Appena questa specie di
autorizzazione a saccheggiare la Reggia, poichè non erasi lasciato ignorare ai
lazzaroni che l'idea veniva dal generale in capo francese, era stata loro data,
tutta quella moltitudine si sbandò per precipitarsi verso il Palazzo Reale,
tutti vi si mescolarono, uomini, donne, fanciulli in meno dì tre ore ogni cosa
fu portata via, infino al piombo delle finestre.
Nicolino Caracciolo che
dall'alto del Castello S. Elmo aveva potuto seguire tutte le fasi del
combattimento ed i progressi successivi dei francesi, non sapendo cosa volea
dire quello assembramento, ma riconoscendo che in mezzo a tutto quel movimento
si saccheggiava il Palazzo Reale ignorando che questo saccheggio non solo era
stato autorizzato da Championnet, ma benanco era ispirato da lui; ‑ tirò
su quella moltitudine due colpi di cannoni a palla, che uccisero diciassette
persone, fra le quali un prete, e infransero la gamba della statua del Gigante
di Marmo, elevata dinanzi alla porta del palazzo.
Furono gli ultimi degli 86
colpi di cannone che durante quei tre giorni Nicolino Caracciolo tirò dal Castello
S. Elmo; 82 erano a polvere per spaventare i lazzaroni, e quattro solamente a
palla.
Due di questi quattro colpi
a palla erano stati tirati, se si ricordi, per abbattere la bandiera reale;
abbiamo or ora visto la causa e il risultato degli altri due.
In mezzo a quella folla
passò un capo di truppa francese risalendo dal Castello Nuovo a Toledo. Alla
vista dei francesi un marinaio di S. Lucia si mise a gridare, in luogo di Viva la libertà come facevano i patriotti;
Viva il Re, come facevano i
lazzaroni. Un ufficiale gli mise la mano sulla spalla e nel mentre che lo
tratteneva in questa posizione comandò il fuoco, il marinaio cadde trapassato
da tre palle.
Nel tempo stesso strappavasi
ad un domestico del palazzo la livrea reale che era fatta in brani e
calpestata.
Verso la stessa ora una
colonna francese condotta da Kellermann risaliva da S. Lucia, essa era
preceduta da un Prete patriotta tenendo un fucile alla mano. Questo prete, era
d'Avigliano, e chiamavasi Nicola Palomba.
A mezzogiorno presso a poco,
tutti i lazzaroni ave vano deposte le armi, e Championnet, vincitore
percorreva tutti i quartieri della città : i negozianti, i borghesi tutta
quella parte tranquilla della popolazione che non, aveva preso parte alla
lotta, non sentendo più nè colpi di fucili, nè gridi di morte, apriva
timidamente le porte delle case e dei magazzini. Allora il generale si avvicinò
ad ognuno rassicurando i napolitani nella loro propria lingua, dicendogli che
tutto era finito ch'egli era venuto a portare la pace e non la guerra, e
sostituire la libertà alla tirannia. Allora tutto il popolo lieto, con la
coccarda tricolore all'orecchio, gridando viva
la libertà, viva i francesi, viva la repubblicca cominciò a spargersi
allegramente nelle strade agitando i fazzoletti e manifestando quella gioia
ardente che fa esultare coloro che avendo immersi gli sguardi nelle tenebre e
nella profondità della morte, ritrovano ad un tratto il giorno, la luce, la
vita.
In fatti se i francesi
tardavano un giorno di più ad entrare nella città, nessuno potrebbe dire quante
case sarebbe rimaste all'impiedi; e di gente ricche o nobili, vale a dire di
Patriotti‑Viventi.
Quella sera il generale
ritornò a Capodimonte dove aveva stabilito il suo quartier generale. Era
preceduto dal calabrese Poerio, che era venuto con l'esercito francese. Fra lui
e Poerio cavalcava con un magnifico costume un capo Lazzarone gridando con
tutta la forza dei polmoni: Viva Gesù,
viva Maria, viva S. Gennaro, viva la libertà, vivano i francesi.
Era il medesimo Michele il
pazzo al quale Championnet aveva resa la libertà in vece di farlo fucilare, che
aveva condotto sano e salvo l'aiutante generale Thiebault alla Chiesa di S.
Gennaro e al quale Championnet aveva promesso un grado ed un soldo se
continuava a condursi bene.
La sera Roccaromana e
Moliterno, confermati nei loro gradi di Capi del popolo, fecero un editto per
la apertura delle botteghe, e un altro per la deposizione delle armi. Questi
due editti furono datati del 2° giorno della Repubblica.
Intanto il Generale aveva
visto con inquietudine che il mezzo ceto, e i signori, vale a dire, la
borghesia e la nobiltà eransi soli, o pressochè soli, riuniti a lui : egli decise
di ricorrere il giorno seguente, cioè il 24 gennaio, a grandi espedienti.
Sapeva che se metteva S.
Gennaro dalla sua parte il popolo seguirebbe immediatamente l'esempio del
Santo.
Fece adunque durante la
notte dire ai Canonici che avessero ad esporre pel domani le Sante ampolle alla
venerazione pubblica, nella speranza che S. Gennaro in cui i francesi avevano
la più grande religione si degnasse fare per essi il suo miracolo.
I Canonici che sentivano che
andrebbero a compromettersi con la corte se S. Gennaro faceva il miracolo, col
generale francese se S. Gennaro non lo faceva, risposero che non era l'epoca
quella, e che dubitavano abbastanza che S. Gennaro acconsentisse al cambiamento
di data.
Championnet rispose che ciò
apparteneva al santo non a loro, ch'essi non dovevano pregiudicarsi della buona
o della cattiva volontà del padrone di Napoli in favore dei francesi, e che
egli conosceva una certa preghiera alla quale sperava che S. Gennaro non
resisterebbe punto.
I Canonici risposero che
esporrebbero le ampolle, ma che non rispondevano di nulla.
Ciò era quanto voleva
Championnet.
Lo stesso giorno fece
spargere per tutta la città la nuova che il domani le sante ampolle sarebbero
esposte e che alle dieci e mezzo precise del mattino la liquefazione del
prezioso Sangue di S. Gennaro avrebbe luogo.
Era una nuova molto strana e
sopra tutto molto incredibile per i napolitani, S. Gennaro era lungi dall'esser
sospetto di parzialità verso i francesi, poi da qualche tempo erasi mostrato
capriccioso fino alla mania. Così l'ultimo giorno che Ferdinando personalmente
erasi, al momento della sua partenza per la campagna di Roma, presentato alla
Cattedrale per domandare a S. Gennaro il suo soccorso e la sua protezione, non
solo, malgrado quelle insistenti preghiere, non aveva ottenuto la liquefazione
del sangue, ma benanco, diceasi, S. Gennaro aveagli annunziato le sue disfatte
future.
Se S. Gennaro faceva pei
francesi ciò che aveva ricusalo al re di Napoli, gli è che S. Gennaro aveva
cambiato di opinione ed erasi fatto giacobino.
Dalla mattina, gli accessi
della cattedrale erano ingombrati da un'enorme affluenza di popolo. Le vecchie
che intitolavansi le nutrici di S. Gennaro avevano preso i loro posti nel coro,
la chiesa rigurgitava.
Championnet aveva giocato
tutto per tutto. Se il miracolo non si faceva era una seconda sedizione da
soffocarsi.
Se si faceva era la
tranquillità e la fondazione della repubblica napoletana.
Ma Championnet aveva un
mezzo che credeva irresistibile.
A dieci ore precise, mandò
un giovane ufficiale degli Ussari nel cui coraggio e sangue freddo egli ponea
tutta la fiducia, all'arcivescovo. Era seguito da 25 usseri a piedi armati dei
loro moschettoni soltanto e che venivano come Guardie di onore a S. Gennaro.
Egli chiamavasi Gilberto
Coubayon.
Alle dieci e un quarto
Gilberto Coubayon si fermò con i suoi 25 uomini avanti alla porta della Chiesa.
‑ Se fra venti minuti
voi non mi avrete riveduto, disse loro, e se il miracolo non è compiuto, voi
entrerete direttamente nella sacrestia, e là vi dirò ciò che deve farsi.
Un semplice, Sì capitano, fu
la risposta.
Gilberto Coubayon entrò
solo, e pervenne non senza pena nella sagrestia, ove i canonici meno quelli che
trovavansi nel coro erano riuniti.
‑ Miei cari fratelli ‑
disse, io vengo da parte del Generale ad assistere al miracolo.
Quelli scossero la testa.
‑ Ah, ah, disse
Gilberto. Avete paura che non si f accia.
‑ Il Santo è mal
disposto, risposero i Canonici.
‑ E bene, io vengo a
dirvi qualche cosa che forse cambierà le sue disposizioni.
Poscia avvicinandosi ad una
tavola e tirando colla mano sinistra un involto di cinquecento Luigi dalla sua
saccoccia, colla mano dritta un paio di pistole dalla cintola e piazzando il
suo orologio fra i 500 Luigi e il paio di pistole :
‑ Ecco qui, disse,
cinquecento Luigi destinati all'onorevole Capitolo dei Canonici di S. Gennaro
se alle dieci e mezzo precise il miracolo è fatto. Voi lo vedete, sono le dieci
ore e venti minuti, avete dunque ancora 10 minuti.
‑ Ma se non si fa:
dicevano i Canonici.
‑ Se non si fa,
rispose tranquillamente l'ufficiale, ho venticinque uomini alla porta della
Chiesa, che alle dieci e trentacinque minuti vi fucileranno dal primo fino
all'ultimo.
I Canonici fecero un
movimento per fuggire, ma Gilberto mise la mano sulle pistole.
‑ Che non uno di voi,
sì muova, disse, eccetto colui che andrà a portare al sig. Arcivescovo
l'ultimatum del generale Championnet.
Un canonico sortì chinandosi
fino a terra, gli altri restarono aggruppati nell'angolo il più lontano dal giovane
ufficiale francese, il quale con l'occhio fisso sull'orologio diceva con un
sangue freddo terribile:
S. Gennaro non à che cinque
minuti, S. Gennaro non à che tre minuti, S. Gennaro non à che due minuti.
Alle dieci e mezzo precise,
delle forti grida si fecero sentire. Il miracolo operavasi all'ora precisa, in
cui lo aveva annunziato il generale!
Appena Championnet intese il
frastuono delle campane di tutte le Chiese e la detonazione dell'artiglieria
de' quattro forti che gli annunziavano il miracolo compito, uscì da Capodimonte
per fare la sua entrata solenne a Napoli.
Traversò tutta la città
entrando per la porta del Carmine in mezzo alla più viva gioia, e le
dimostrazioni le più affettuose, di quella plebaglia che vedeva S. Gennaro
essere pei francesi, dopo averli combattuti, torturati, massacrati la vigilia.
Gridavano Viva i Francesi. Tutte le
finestre erano pavesate, le strade erano ingombrate di gente, le donne
agitavano i loro fazzoletti o delle piccole banderuole dai colori tricolori.
Qualche traccia di sangue restava ancora sul selciato, qualche avanzo di casa
fumava ancora, ma i cadaveri erano scomparsi, e in questo paese della
sensazione, in cui gli uragani passano senza lasciar tracce in un cielo
d'azzurro, il lutto era già obbliato.
Championnet si recò
direttamente alla Cattedrale ove l'arcivescovo di Napoli cantò un Tedeum, avanti al Busto di S. Gennaro
esposto a tutti gli sguardi, e il generale in Capo in ringraziamento della
visibile protezione che accordava ai francesi, gli covri il capo di una mitra,
ornata di diamanti che il santo degnò accettare, e si lasciò mettere
bonariamente.
Vedremo più tardi che doveva
costargli questa debolezza pei francesi.
Mentre che cantavasi il Tedeum nella Chiesa metropolitana,
affigevasi su tutte le mura l'editto seguente.
« Napoletani !
« Siete liberi! se saprete
godere della libertà, la repubblica francese troverà nella vostra felicità un
largo compenso delle sue fatiche e della guerra. Quando ancora fra voi vi fosse
alcuno che amasse il caduto governo, liberi di se questa terra di libertà,
fugga da un paese di cittadini e vada schiavo fra gli schiavi: l'armata
francese prendendo il nome di armata Napoletana, s'impegna con giuramento
solenne, a mantenere i vostri dritti, e a prendere per voi le armi, tutte le
volte che lo esigeranno gl'interessi della vostra libertà. I Francesi
rispetteranno il culto pubblico, il dritto sacro della proprietà e delle
persone. I vostri magistrati veglino al riposo e alla felicità dei Cittadini,
facciano svanire gli spaventi dell'ignoranza, calmino i furori del fanatismo,
vi mostrino in fine tanta affezione, per quanto perfidia vi mostrò il caduto
governo. »
Uscendo dalla Chiesa
Championnet vi situò una guardia di onore definitiva con questa consegna.
RISPETTO A S. GENNARO.
Quel giorno fu un giorno di
festa. I repubblicani si abbracciavano incontrandosi nelle strade, si alzavano
gli occhi al cielo coverti dalle lagrime di gioia, per la prima volta sentiansi
liberi a Napoli, la rivoluzione del 1647 era stata la rivoluzione del popolo,
tutta materiale, e incessantemente minacciosa, quella del 1799 era la
rivoluzione della Borghesia e della Nobiltà, cioè tutta intellettuale e tutta
misericordiosa, la rivoluzione di Masaniello era il reclamo della nazionalità
fatto da un popolo ad un potente conquistatore, la rivoluzione di Championnet
era il reclamo della sua libertà fatto da un popolo i cui dritti sconosceva un
tiranno. Eravi adunque un'immensa differenza e sopra tutto un immenso progresso
fra le due rivoluzioni.
Fu allora che, in mezzo
della gioia universale, passò un ricordo di lutto e di morte.
‑ Si ricorda
l'esecuzione dei tre primi martiri, Vitaliano, Gagliani, Emmanuele de Deo.
Allora una banda di patriotti si organizza, e dieci mila persone all'incirca
vanno devotamente a salutare, in nome della nuova repubblica, i parenti di
quelle giovani vittime il cui sangue generoso ha inaffiato la piazza, dove i
patriotti vanno a piantare l'albero della libertà.
La sera la città fu
illuminata, e quasichè avesse voluto riunirsi a S. Gennaro, suo rivale in
popolarità nel celebrare l'entrata dei francesi, il Vesuvio lanciò delle
fiamme, che dice l'autore del viaggio fisico e litologico nella Campania [*4] pareano offrire ai francesi uno
spettacolo piacevole o più tosto una manifestazione
di gioia che un augurio.
Cosicchè Michele il Pazzo
sempre vestito del suo magnifico costume, sempre dimenandosi sul suo bel
cavallo, in mezzo della sua armata in cenci, diceva a tutto quel popolaccio
gridando a quest'ora, viva la libertà, come
aveva gridato viva il Re la vigilia.
‑ Voi lo vedete questa mattina, era S. Gennaro che facevasi giacobino, questa sera è il Vesuvio che si mette il berretto rosso.
FINE DEL VOLUME SECONDO
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