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Di
Alexandre Dumas
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CAPITOLO III.
Si capirà facilmente il romore che avevano
fatto simili avvenimenti alla corte di Napoli.
Il genio rivoluzionario, che s'impadroniva a
poco a poco degli spiriti in Francia, che non era ancora altro che un fantasma
agli occhi di Carolina e di Ferdinando, poteva pure, a poco a poco, prender
consistenza e produrre nel Reame delle Due Sicilie gli stessi effetti che aveva
prodotti a Parigi e nelle Province.
Gli occhi di Ferdinando e di Carolina si
distolsero dunque per un momento, da'loro stati, dove non si vedeva ancora
nessun segno di rivoluzione, per non perdere di vista ciò che accadeva in
Francia.
Ora, ciò che accadeva in Francia, diveniva
sempre più grave. Alla presa della Bastiglia era succeduto il banchetto delle
guardie del corpo, l'invasione di Versailles, nei giorni 5 e 6 ottobre, ed
infine la fuga del Re, il 21 giugno.
Questi avvenimenti avevano un tal eco in
Napoli, ed accumulavano un tal odio nel cuore di Carolina, odio ch'ella faceva
partecipare a Ferdinando, che ci è tanto impossibile di passarli sotto
silenzio, quanto se facessero parte della storia di Napoli stesso.
Infatti gli avvenimenti della Francia sono,
in qualche modo, la chiave, la spiegazione degli avvenimenti di Napoli, poichè
essi fecero una impressione tale che gli feron cambiare carattere.
Diciamo dunque che cosa fu il banchetto delle
guardie del corpo, che cosa furono le giornate del cinque e sei Ottobre, che
cosa fu infine quella terribile giornata del 21 Giugno in cui il Re e la Regina
di Francia furono arrestati a Varennes.
Noi restringeremo il nostro racconto per
quanto ci sarà possibile,' ma gli daremo nondimeno una estensione relativa alla
sua importanza.
Abbiamo detto che la coccarda tricolore era
stata imposta dal popolo alla Municipalità, e da Bailly, il Maire di Parigi, al Re.
La Fayette avea profetizzato aggiungendo le
seguenti parole :
« Prendete questi colori, Sire, essi faranno
il giro del mondo. »
Ora, questa era la cosa di cui si curava meno
Luigi XVI e soprattutto Maria Antonietta, che cioè, i colori nazionali
facessero il giro del mondo. Straniera in Francia, a cui essa era debolmente
attaccata, pel matrimonio con Luigi XVI, era imparentata con tutti gli
stranieri. Dunque, lo straniero era la sua famiglia, e se i colori nazionali
francesi facessero il giro del mondo rovescerebbero l'Austria. Napoli e la
Spagna, che le stavano molto più a cuore della Francia.
Maria Antonietta aveva dunque in orrore que' famosi colori nazionali di cui il popolo francese era in quel tempo, ed è poi rimasto così entusiasta che forse la caduta de Borboni del ramo primogenito nel 1830 è, dovuta alla loro pertinacia in volere rifare della bandiera bianca, la bandiera de Borboni. Da quel momento vi furono infatti due bandiere in Francia : la bandiera del _Re e la bandiera della nazione.
Di là nacque l'immenso effetto che produsse
il 28 Luglio, l'apparizione, in mezzo al fuoco della fucileria, e della campana
a rintocco, della bandiera tricolore, sulla cima delle torri di Notre Dame.
In Francia la bandiera tricolore è l'arca
santa. Chi la tocca cade morto.
Dunque si sapeva che il Re aveva adottato
questa nuova coccarda perchè non ne aveva potuto fare a meno, e che la Regina
la rispingeva, nello stesso tempo, con la mano e col cuore.
Perciò la Regina nudriva un progetto che
doveva mettere in fuoco l'Europa.
Ecco questo progetto.
Si facevano avvicinare a Versailles novemila
uomini della Casa del Re di cui due terzi erano gentiluomini.
Si prendeva posseso di Montargis ove si
recava il Barone di Viosmenil, compagno di guerra di La Fayette in America, che
s'era fatto controrivoluzionario, per gelosia contro La Fayette, che si faceva
costituzionale.
Diciotto reggimenti scelti fra i carabinieri
ed i dragoni, le due arme più realiste, taglierebbero le strade fermerebbero i
convogli di viveri ed affamerebbero Parigi.
Il Re e la Regina, con la famiglia reale, si
ricovererebbero a Montargis e di là provvederebbe a ciò che dovesse farsi.
Il danaro non mancherebbe. Oltre quello che
porterebbe con sè il Re, vi sarebbero le sottoscrizioni volontarie. Un solo
Procuratore di Benedettini, offriva
per parte sua cento scudi, (300.000 franchi).
Un reggimento di linea sarebbe chiamato a
Versailles. Questo reggimento comandato dal signor de Lusignan che apparteneva
al partito liberale dell'Assemblea, non ispirava nessun timore, non essendo un
reggimento privilegiato.
D'altronde, la Guardia Nazionale di
Versailles, a causa dei torbidi giornalieri, era oppressa dalla fatica, le si
farebbe domandare d'essere supplita da quel reggimento.
Perché si sceglieva il reggimento di Fiandra?
Perchè gli ufficiali non avevano prestato il
giuramento alla costituzione e, per conseguenza erano liberi.
Il reggimento comandato dal sig. d'Estaing
comandante della Guardia nazionale di Versailles fu chiamato a Versailles e vi
entrò portando secolui una missione segreta che ignorava egli stesso, come la
nuvola porta il fulmine.
La Guardia nazionale, ignorando con quale
scopo era chiamato, gli andò incontro e fraternizzò con lui.
Il Re fu così contento di questa
dimostrazione che nello stesso giorno scrisse di suo proprio pugno al sig.
d'Estaing.
» lo v'incarico, mio cugino, di ringraziare
la Guardia Nazionale della mia città
Versailles, della premura con la quale
è andata incontro al mio reggimento di Fiandra. Manifestate alla Municipalità
quanto io sono soddisfatto della sua
condotta. Non dimenticherò il suo affetto e la sua fiducia in me, ed i cittadini
di Versailles lo debbono a'miei sentimenti per loro. Per l'or dine e la sicurezza di questa città io ho fatto venire il reggimento di Fiandra che
s'è così condotto a Douai e altrove. Io sono persuaso che farà altrettanto a
Versailles e v'incarico di rendermene conto ».
Alle cinque della sera, in uno degli ultimi
giorni del mese di settembre, 1789, il reggimento di Fiandra entrò infatti a
Versailles trascinando seco lui due cannoni da quattro, otto barili di polvere,
sei casse di palle che pesavano ognuna cinquecento libbre; un cassone di mitraglie,
e circa 7.000 cartucce senza contare quelle che erano nelle ciberne.
Le opinioni realiste di questo reggimento
erano ben Conosciute da tutti i partiti. I patrioti s'allarmarono dunque,
soprattutto nel vedere le acclamazioni con le quali l'accoglievano i realisti.
Così, malgrado il suo giuramento, i patrioti
non sono riassicurati.
Infatti sentendosi rafforzati dalla presenza
di questo reggimento i realisti rialzano la testa; alcuni spingono l'impudenza
e la sfida fino a staccare dal loro cappello la coccarda tricolore, e
sostituirvi la coccarda bianca, in simbolo di fedeltà all'antico regime, altri
vi pongono la coccarda nera, in segno di lutto, dicono essi.
La coccarda nera, non si dimentichi, è la
coccarda austriaca.
Per afforzare il reggimento di Fiandra, si
fanno entrare a Versailles, dal 20 settembre al primo ottobre, 1,200 ufficiali
in semestre.
Tutte le guardie del corpo, il cui servizio
finisce il primo d'ottobre, sono ritenute, e raddopiano così il numero di
quelle, il cui servizio comincia il primo. Ecco le voci che corrono.
Il Re non partirà più per Montargis, ma per
Metz. Ivi si riunirà tutto ciò che rimane in fatto di fedeli servitori a Sua
Maestà, si aggiungeranno, se ve ne sarà bisogno, milizie straniere.
Allora si scioglierà l'assemblea.
Ciò non è tutto. Nel primo momento di
confusione che cagionerà la partenza, uomini fedeli, destri ed intrepidi,
inchioderanno i cannoni di Parigi, e faranno saltare in aria le polveriere a
rischio di far saltare con esse, la metà della città; nello stesso tempo,
s'impedirà che entrino le vettovaglie, e Parigi sarà preso fra la carestia ed
il fuoco delle milizie, e privato de' cannoni e della polvere non potrà più
rispondere a quel fuoco.
Chiunque ha vissuto nei tempi di agitazione
popolare, sa con quale rapidità simili voci si spandono e quanto profondamente
penetrano nel cuore delle popolazioni.
Le guardie del corpo erano incaricate di
portar via il Re ‑ mille e duecento, o mille e cinquecento uniformi, che
si facevano fare di nascosto, dovevano, grazie a' nuovi arruolati, raddopiare
il numero di que' gentiluomini sui quali si poteva fidare sino alla morte.
Mai, neppure nei giorni del suo splendore,
Versailles non aveva veduto tante uniformi nelle sue strade, mai tante croci di
S. Luigi agli occhielli degli abiti, mai nemmeno non aveva inteso tanto sordo
rumore fra il popolo che li vedeva passare.
D'altronde, in mezzo a quegli uniformi se ne
vedevano dei nuovi, che nessuno conosceva, e che non appartenevano a nessun
reggimento.
Erano uniformi con paramani rossi.
Si dicevano, l'un l'altro, che erano uniformi
della corte.
Figuratevi a qual punto questa nuova materia
combustibile, gittata nel fuoco, doveva portare l'ebollizione popolare!
La corda era talmente tesa da una parte e
dall'altra che ognuno presentiva che era vicina a spezzarsi.
In queste disposizioni incomincia per le
guardie dei corpo il servizio del 1 ottobre.
Nell'entrare a Versailles gli ufficiali del
reggimento di Fiandra erano stati ricevuti non solamente dalla Guardia
Nazionale, ma anche dagli emissari della corte, che gli avevano invitati al
giuoco della Regina e ad un banchetto dato dalle guardie del corpo.
Questo banchetto era il primo che le guardie
del corpo avessero mai dato, in simile occasione.
Sarà una festa fraterna, vi saranno ricevuti
anche i dragoni semplici.
Il capitano delle guardie, signor de Guiche,
ben conosciuto per la sua devozione alla Regina, assisterà alla festa. La sala
da spettacolo sarà convertita, per quel giorno, in sala da festino, perchè
quelli che v'andassero potessero vedere da' palchi e circolare sul proscenio.
Era il primo d'Ottobre un giovedì, il giorno
in cui doveva aver luogo il banchetto. Si riunivano nel salone d'Ercole; poi,
quando eran giunti tutti i convitati, si passava nella sala da spettacolo. La
Musica delle guardie del corpo e quella del reggimento di Fiandra completavano
la festa.
Durante il primo servizio, tutto andò a
maraviglia. Il vino non aveva ancora avuto il tempo di esaltare le opinioni, e
di raddoppiare il coraggio.
Al secondo
servizio si bevve alla salute di quattro persone: a quella del Re, a quella
della Regina, a quella del Delfino, ed a quella della famiglia reale.
Un patriota malaccorto propose di bere alla
salute della nazione. Questa proposizione fu respinta.
All'entremets si fecero entrare i semplici
soldati, di cui abbiamo già parlato, i dragoni, i granatieri di Fiandra i cento
svizzeri, i cacciatori municipali.
Bicchieri pieni gli aspettavano. Questi
bicchieri saranno riempiti appena vuotati: ai fumi del vino s'unirono lo
splendore di mille lumi, riflettuti dagli specchi.
Per questi uomini, non assuefatti al lusso, è
un Palazzo delle mille ed una notte quella
sala da spettacolo; non è più un Re nè una Regina, nè un fanciullo reale, che
abitano a Versailles, è un Dio, una Dea, un Olimpo tutto intero. Eglino non
comprendono come vi sia gente al punto di portar la mano su quelle divinità.
Nel momento, in cui il vino sale al cervello,
la porta si apre, e comparisce la Regina col Delfino. Essa prende il real
fanciullo fra le braccia, e fa il giro delle tavole annunziando che il Re, che
arriva dalla caccia, si veste e viene.
Gli applausi scoppiano; non è più Maria
Antonietta ed il Delfino, è Maria Teresa in persona, che comparisce in mezzo a'
suoi fedeli Ungheresi col figlio nelle braccia.
Alla sua volta il Re si presenta, e, come se
tutto fosse combinato espressamente per portare al colmo l'entusiasmo, la
musica, elettrizzata, di pieno accordo, comincia l'aria si nazionale di Grétry.
‑ 0 Richard, ò mon Roi,
L'univers
t'abandonne.
Allora non è più entusiasmo, è ebbrezza: è
follia.
Un giorno, la Regina avea posta nella sua
pettinatura una aigrette dell'elmo
del bell'Arturo Dillon. Non era per altro che una imprudenza di donna, ed essa
non tradiva altro che il Re.
Quella sera mette alla sua cuffia una
coccarda nera, la coccarda nera dell'Austria; quel giorno era una sfida da
Regina, ella tradiva la nazione.
Un uffiziale delle guardie domanda questa
coccarda, e la regina gliela dà.
Egli l'alza in aria come il prete alza
l'ostia consacrata.
‑ Signori, dice, ecco la vera coccarda
francese; è la coccarda che porta la nostra Regina: abbasso la coccarda tricolore.
E la coccarda tricolore è strappata da tutti
i cappelli, e posta sotto i piedi.
Si potrebbe raccontare difficilmente quel che
seguì.
Infatti, come raccontare un baccanale in cui
ciascuno grida, canta, trae fuori la sua sciabola, vi mette sopra il cappello,
urla: Viva il Re, viva la Regina, morte
al duca d'Orleans?
Gridar morte
al duca d'Orleans, così popolare
in quel momento, è lo stesso che gridar: morte
al popolo.
La Regina allora inoculò la guerra civile
alla Francia.
L'indimani del banchetto, la Guardia
Nazionale va a ringraziar la Regina delle bandiere, che le ha date:
‑ Signori, dice la Regina, son ben
contenta d'aver date le bandiere alla Guardia Nazionale di Versailles. La
nazione e l'esercito debbono essere affezionati al Re, siccome il Re ed io,
siamo affezionati a loro. Poi, aggiunse imprudentemente, allorchè l'era sì
facile di non parlarne più.
Sono stata
contentissima della giornata di ieri.
Così, povera Regina, la giornata di ieri, non
era una sorpresa ‑ Così Maria Antonietta non si rammarica della giornata
di ieri ‑ nè se ne pente ‑no, anzi n'è contentissima.
Tanto contentissima che il giorno 3 si dà un
secondo banchetto, dove si commettono gli stessi eccessi del primo.
Non prima del giorno 3 alla sera si seppe a
Parigi quel che era accaduto a Versailles.
Danton ‑ Vi ha mai bisogno di dire ai
nostri lettori italiani, chi fosse Danton? ‑ Danton parla ai Cordelieri. Si mette in furore, e
fulmina contro la Corte.
Il primo movimento dei Parigini fu lo
stupore; il secondo, il dubbio ‑ il terzo, quando la notizia fu
confermata, la collera ‑ Le voci che, da otto o dieci giorni, correvano a
Versailles sulla partenza del Re, sulla dissoluzione dell'assemblea, sulla
entrata dello straniero in Francia, incominciano a circolare a Parigi.
Aggiungete a ciò la carestia, o, per dir meglio, la fame ‑ le farine di
Corbeil, che non arrivano più se non che un giorno sì e un giorno no.
Le piogge d'inverno, che cadono fredde ed
agghiacciate, e che, disponendo il corpo alla malattia dispongono lo spirito
alla violenza ‑ da ultimo, le donne che soffrono triplicatamente la fame,
per i loro figli prima di tutto, pei loro mariti poi ; infine, per loro stesse.
Erano le donne ch'avean fatto il i e il 3
ottobre a Versailles.
E furon le donne che fecero il 5 e 6 ottobre
a Parigi.
Nel corso di quella giornata, del 3, in cui
la notizia che la regina ha inalberata la coccarda nera, e che le guardie del
corpo, gli Svizzeri e Uffiziali del Reggimento di Fiandra han calpestata la
coccarda tricolore, non vi fu famiglia del popolo, che non avesse sofferto la
fame.
Una donna affamata corse al Caffè, Foy ‑
il Caffè Foy era il centro del Palazzo Reale, ‑ il Palazzo Reale era il
Vesuvio politico di Parigi.
Questa donna denunzia le coccarde bianche e
nere, e proclama la patria in pericolo.
Ciò accadeva il 3 a sera.
La giornata del 4 passò fra i subbugli di strada:
si assediano i posti de' fornai ; la metà degli affamati non potè trovare a
comprar pane.
Pane ve n'è a Versailles, poichè là si dà a
banchettare a reggimenti interi.
Il Re è fornaio ‑ la Regina è fornaia,
ma solamente per i soldati che hanno la coccarda nera.
Costoro non han bisogno di comprare il pane;
vien loro donato.
La giornata della domenica passò pure tutta
piena di emozioni, di allarmi senza ragione, come ve ne ha sempre la vigilia
delle rivoluzioni; ma non si decise nulla.
Il lunedì, 5, una giovinetta prende un
tamburo, batte la generale ne' mercati, e, poichè gli uomini non san decidere
nulla nel pericolo in cui trovasi la nazione, ella si rivolge alle donne.
Al rullo di questo tamburo, battuto da una
donna, le donne si riuniscono, la seguono, le dimandano ove va?
Ove essa va, andranno.
Fra queste donne, pallide, smunte, disperate,
ve ne ha di quelle che non han mangiato da più di trent'ore. Impossibile!
direte voi. Eh! mio Dio! leggete il Moniteur. Generalmente parlando, il Moniteur
non esagera le situazioni estreme, e non prende il partito del popolo
contro il governo ‑ Vi troverete:
« Fin dalle 4 della mattina, la folla
assediava i posti dei fornai ‑ uomini, donne, vecchi, fanciulli, tutti si
levavan prima del giorno, per armarsi contro
la fame - la parola è di quel tempo. »
Passate dal Moniteur alla Storia della
rivoluzione, scritta da due amici della libertà. Vi leggerete queste
parole:
« Una pagnotta, comprata a prezzo di danaro, era
vittoria. Lo sventurato giornaliero, obbligato di combattere, dalle quattro
della mattina fino alle quattro della sera, dodici ore! per ottenere quella
pagnotta, che aspettava con tanta ansia la famiglia, perdeva il salario della
sua giornata; e l'indomani, senza danaro e senza forza, cadeva a terra calpestato
da coloro che ancora poteansi reggere in piedi. »
Le nostre madri ci han raccontato a noi,
uomini della generazione che ha succeduto a quella dell'89, che, quando si
andava a desinare fuori casa, era sottinteso che ognuno portasse il suo pane. ‑
Colui che avesse trascurato questa precauzione, avrebbe diminuita la porzione
degli altri.
Giudicate dell'effetto che produsse su quella
folla affamata, il racconto di questo doppio baccanale. Vi eran dunque de'
ricchi che avean troppo, quando il povero non aveva abbastanza, e dippiù questo
ricco insultava il povero ‑ esso voleva ritorgliergli quel poco di
libertà che avea conquistata. Quelle due coccarde,,, che si sono così
impudentemente inalberate innanzi il popolo, in onta di quella che egli si è
data, hanno ognuna il suo significato : la bianca è l'assolutismo ; la nera è
lo straniero.
Quest'odio, da una parte, per la coccarda
tricolore; dall'altra, per la coccarda bianca o nera, si capisce senza
difficoltà : la coccarda è un principio.
Le persone che portano la coccarda nera o la
coccarda bianca, sono quelle che affamano Parigi, son quelle che vogliono la
morte de' patrioti.
‑ Ebbene! sia pure! esclamano i corifei
delle mozioni al Palazzo Reale – sia la guerra! poichè voi volete la guerra,
signori della Corte i ‑s'impiccheranno tutti coloro che porteranno una
coccarda che non sia la coccarda nazionale, ammeno che non stiano al servizio
dello straniero. »
L'oratore, che ha fatto questa terribile
mozione, avea appena finito di pronunziarla, quando un giovane, che avea la
coccarda nera, fu arrestato. ‑ In cinque minuti egli ebbe la corda al
collo. Il comandante d'una pattuglia che passava ebbe bisogno di tutto il suo
coraggio e di tutto il suo sangue freddo per salvarlo.
Per comprendere quel che va ad accadere a
Versailles, bisogna veder prima quel che accade a Parigi.
La domenica sera, una donna ‑ il suo
nome è ignorato, essa rappresentava la sofferenza, questo è tutto Una donna
corre, dal Rione S.Denis al Palazzo
Reale; vuol che le donne vadano a Versailles, essa sarà alla loro testa.
‑ Bel Generale! dice un motteggiatore!
Il motteggiatore riceve uno schiaffo sonoro,
e cessa di motteggiare.
L'indimani essa accorre ai mercati, attirata
dal tamburo che batte la giovinetta.
‑
A Versailles! A Versailles! Essa grida.
E come se si aspettasse questo grido, siccome
il 14 luglio tutti gli uomini avean gridato: Alla Bastiglia! il cinque ottobre tutte le donne gridano: A Versailles!
Ed essa si mise alla testa della colonna, a
cavallo ad un cannone, e con una sciabola in mano.
Delle donne che rappresentarono una parte in
quel giorno, due sole sono conosciute.
Una Luisa
Chabry, la quale, quando furon giunte a Versailles, fu scelta dalle sue
compagne per parlare al Re, era una bella giovane, che scolpiva sul legno per
le chiese e per gli appartamenti. Le sommosse l'hanno rovinata, ed ella s'è
fatta fioraia al Palazzo Reale.
L'altra vestita, con un soprabito rosso,
tenendo in mano una sciabola, che più d'una volta fu, in seguito, dei colore
del suo soprabito, l'altra èla terribile amazzone
di Liegi: Theroigne di Mericourt.
‑ Ecco la leggenda, che si racconta su
lei:
Ella è stato ingannata da un giovane
gentiluomo di Liegi, che dopo averla renduta madre, ha ricusato di sposarla ed
ha giurato di versar tanto sangue quanto ce ne vuole per lavare la stia onta.
Le altre erano delle portinaje, delle donne
de' Mercati, delle meretrici: per la maggior parte realiste. Nessuna di loro,
ben certamente, non avea l'intenzione di far male al Re o alla Regina.
Come partirono queste donne?
Alcune a cavallo; altre sui cannoni, quasi
tutte a piedi; le tre quarte parti a digiuno: come parte la tromba che reca la
devastazione e la morte senza saperlo.
Chi le spinse? Quel vento delle rivoluzioni
che, improvvisamente si leva, infierisce, e rovescia.
Perchè andavano a Versailles?
Lo dicevano ad alta voce, per ricondurre seco
loro, il fornaio e la fornaia, il Re e la Regina, e per
sentire nello stesso tempo, la loro petite
mére, Mirabeau!
Ma per andare a Versailles, han bisogno di
armi e di polvere. Vanno al Palazzo di Città, ad impadronirsene; prendono
ottocento fucili, caricano due carri di polvere ; penetrano nei depositi de'
pesi e misure: dodicimila franchi erano rinchiusi in tre sacchi, prendono un
sacco di quattromila franchi: essi serviranno per pagare ciò che consumeranno
per istrada.
Di là, passano nella sala delle
deliberazioni: vi trovano una quantità di ordinanze, vien loro l'idea di metter
fuoco a tutte quelle cartacce, due
donne corrono con torce accese ‑ vanno a porvi fuoco, e, probabilmente, a
bruciare con esse, il Palazzo di Città: un uomo accorre e strappa loro le torce
dalle mani ; esse vogliono strangolarlo. Questi dice il suo nome. E' un usciere
dello Chatelet, uno de' vincitori della Bastiglia: Stanislao Maillard. Esse gridano: Viva Maillard, e lo nominano loro generale.
La donna che avea preso questo titolo, lo
cede, senza esitare, a Maillard. Essa ridiventerà semplice soldato, ma
conserverà la sua sciabola ed il suo cannone.
Alla fine, si mettono in cammino per
Versailles. Maillard è alla loro testa, col suo vestito nero ; il suo contegno
freddo e severo; egli esce con loro da Parigi.
Sono settemila circa.
Noi sopprimiamo i particolari, e le lasciamo
andare.
Vediamo ciò che accadde alle loro spalle.
La Fayette ha inteso parlare del fatto, ed è corso
al Palazzo di Città.
Non vi ha trovato più le donne; ma, invece
molti uomini; fra questi, parecchi della Guardia Nazionale, assoldati e non
assoldati.
In mezzo a queste Guardie Nazionali assoldate
che diverrà più tardi la Guardia Nazionale, vedete voi quello la cui testa
oltrepassa tutte le altre, il cui cappello, posto in un certo modo, attira gli
sguardi, che scuote, di tanto in tanto, una foresta di capelli neri,
inanellati, come un leone scuote la sua criniera ?
E' Gioacchino Murat, figlio di un Albergatore
della Bastiglia, presso Cahors.
E' il futuro Re di Napoli.
La Fayette attraversa i gruppi di gente, e
sale al Palazzo di Città, dietro lui la piazza di Greve si affolla.
La Fayette comincia dal dettare una lettera
al Presidente dell'Assemblea Nazionale, per raccontargli ciò che accade in
Parigi.
La porta si apre; una deputazione di
Granatieri 3i fa innanzi, essa è mandata al generale.
‑ Mio Generale, dice colui che è
incaricato di parlare. Noi siamo deputati dalle dieci compagnie di Granatieri.
Noi non diciamo che voi siete un traditore, ma diciamo che vogliono tradirvi.
E' tempo che tutto questo finisca. Noi non possiamo rivolgere le nostre
baionette contro povere donne che ci domandan del pane: il popolo è infelice,
la sorgente del male è a Versailles, bisogna andare a trovare il Re e
ricondurlo a Parigi. Se il Reggimento di Fiandra vuol opporvisi, bisogna
sterminare il reggimento di Fiandra, e le guardie del corpo che hanno osato
metter sotto i piedi la coccarda nazionale. Se il Re è troppo debole per
portare la sua corona, che la deponga. Noi coroneremo il Delfino, si nominerà
un Consiglio di Reggenza, e tutto andrà meglio.
La Fayette guarda tutto stupito l'oratore.
‑ Eh! che! esclama egli, avreste voi
l'intenzione di far la guerra al Re?
‑ Dio ce ne riguardi! mio generale!
rispose l'oratore. Noi daremmo il nostro sangue per il Re, ma il popolo è
infelice. La sorgente del male è a Versailles. Bisogna andare a trovare il Re,
e condurlo a Parigi; il popolo lo vuole.
La Fayette, a queste parole, il popolo lo
vuole, comprende che la cosa è grave, e che la sua popolarità vacilla. Egli
scende nella piazza, e vuol arringare il popolo e i soldati. Le grida a
Versailles, a Versailles coprono la sua voce. In questo momento Bailly, il
sindaco di Parigi, attraversa anch'egli la folla, e va al Palazzo di Città. Un
immenso corteo di miseria e di fame lo segue. A
Versailles, a Versailles, pane! a Versailles! La Fayette, perduto nella folla, si fa
condurre il suo cavallo, e vi monta sopra. Dall'alto della sua sella, che gli
permette di dominare tutti quei marosi spumanti, vede, da tutte le strade,
precipitarsi torrenti di uomini, armati di picche, di scuri, di fucili, che
spingono verso di lui i sobborghi S. Antoine e S. Marceau.
Le grida si raddoppiano; il mormorio
comincia; le onde degli uomini vengono a colpire, mugghianti, il petto del suo
famoso cavallo bianco, quasi tanto popolare quanto il suo padrone.
Il grido unanime, ripetuto da ventimila
bocche è: a Versailles a Versailles.
La Fayette lotta ancora per un momento; ma,
riconosce che, se continua a resistere, si perde inutilmente, e, come gli altri
grida, alla sua volta.
‑ A Versailles!
Si mette in cammino: quindicimila uomini lo
seguono.
Nel momento in cui si mette in cammino, le
donne arrivano.
A mezza strada si separano; alcune prendon la
Via di S. Cloud, altre quella di Sévres.
A Sévres han voluto comprar del pane: perciò
avean preso i quattromila franchi; trovano otto pagnotte che si dividono:
trentadue libbre di pane per 7000 persone.
Così mille circa, cadono d'inanizione sulla
strada, le altre, quelle che non han la forza di portare le armi, le seminano
per la via. Maillard ottiene dalle rimanenti che lascino le loro ad un quarto
di lega di distanza da Versailles.
i soli cannoni sono conservati, ma posti alla
coda della colonna.
Alle
prime case di Versailles;
«
Andiamo! dice Maillard a tutte quelle donne che si muoiono dalle fame. perchè
non si dica che siamo remiei del Re, cantiamo: Viva Enrico IV.
L'Assemblea
era in seduta, ignorando totalmente quel che accadeva.
Si
andò a dire a voce bassa a Mirabeau che una folla immensa compariva
all'estremità del viale.
Parigi
marcia contro di noi; fate come se vi sentiste indisposto; uscite, correte al
Castello e prevenite la Corte.
Il
Presidente guarda Mirabeau in viso, e supponendo che egli fosse l'autore del
movimento che avviene:
‑
Parigi marcia contra di noi? ripete egli, tanto meglio! arriveremo più presto
alla Repubblica.
Il
Presidente sta fermo sul suo seggio.
Nello
scorgere quell'esercito di donne, non ostante le intenzioni pacifiche da esse
manifestate, si batte le generale, la Municipalità si raduna; le guardie del
Corpo slanciansi sui loro cavalli, ed in numero di trecento venti si schierano,
formate a squadroni sulla piazza d'armi.
Quindi
si occupano di dar di tutto contezza al Re.
Però,
dove sta il Re ?
Alla
caccia, ne' boschi di Meudon. Lo vedete? Borboni di Napoli e Borboni di
Francia, essi sono tutt'una famiglia, in ogni tempo, in tempi di carestia, in
tempi di sommosse pure vanno a caccia.
Se
gli spedisce il sig. de Cubiéres con una lettera, la quale gli fa noto l'arrivo
a Versailles di una turba di donne che chieggon pane.
‑
Ohimé! risponde il Re, se io ne avessi del pane, non mi starei in Versailles ad
aspettare che vengano a chiedermene.
Allora
risale a cavallo, torna a Versailles e corre alle finestre. La piazza è
stivata; le donne si arrampicano alle inferriate chiuse, e scuotendole con
violenza. domandan‑ pane.
Le
inferriate rimangon chiuse.
Ma
una deputazione s'inoltra, innanzi alla quale sarà mestieri si aprano.
Le donne unite a Maillard si presentano
all'Assemblea nazionale, e Maillard ha ottenuto dal Presidente dell'Assemblea
ch'egli si recherebbe al Castello accompagnato da dodici donne, le quali
assisterebbero al suo abboccamento col Re.
Questa
è la deputazione che si avanza, guidata dal Presidente dell'assemblea
nazionale.
Un
distaccamento delle guardie, che giunge da Meudon, dove ha servito di scorta al
Re, vede il corteo che esso prende per un attruppamento, e, senza gridare Olà,
gli piomba addosso di fianco. Mancò poco che il presidente non ne rimanesse
schiacciato; due donne son ferite. Il corteo si sparpaglia nel cortile.
Le
guardie riconoscono il loro errore, la deputazione si forma di bel nuovo.
Monier e le dodici donne sono introdotte presso il Re.
Dopo
un breve discorso di Monier al Re, tocca a Luisa Chabry di parlare.
Essa
si avvicina a Luigi XVI; ma nell'aprir la bocca, non può dire altro che questa
parola Pane ‑ e cade svenuta.
Il Re
la rialza; essa vuol baciargli la mano.
Lasciate
che vi abbracci, le disse il Re. Voi lo meritate.
Vinta
da queste lusinghiere parole, si riamina, e slanciandosi fuor del Palazzo,
grida: Viva il Re.
Non è questo quel che vogliono le povere donne che
muoiono di fame; è il pane.
Luisa
Chabry rientra, espone al Re la domanda delle donne.
Il Re
dà ordine per iscritto di lasciar venire
il grano.
Era dunque il Re che tratteneva il grano. Se il Re
toglieva l'ostacolo, era certo che il Re l'avea posto.
In quel momento l'attenzione fu richiamata da
alcuni colpi di carabina che vengono dalla Piazza d'anni.
In
quel momento arrivano, a guisa di vanguardia, un centinaio d'uomini del
sobborgo S. Antoine. Essi mettono in batteria i loro cannoni contro le guardie,
e vogliono far fuoco. Fortunatamente piove, e la pioggia impedisce alla polvere
di prender fuoco.
In
quel momento le donne, senza sapere che cosa fossero le Sabine, vogliono
rappresentarne la parte. Le più giovani e le più belle si gettano supplichevoli
fra le file de' realisti. Theroigne, che arriva in quel punto, seduce ella sola
tutti gli uffiziali del reggimento di Fiandra. Dalle finestre del Castello la
Corte vede questa defezione de' difensori.
In
questo frattempo s'annunzia al Re che La Fayette è in cammino, e viene alla
testa della Guardia Nazionale.
La
Regina supplica il Re di partire per Rambouillet. Il Re vuole ch'ella parta
sola, ella ricusa. Quando fosse partita, ella conosce il Re ‑ il Re si
darà in braccio al popolo.
Il Re
rimane, non perchè abbia il coraggio di rimanere, ma perchè non ha la forza di
partire.
Egli
teme che se parte, l'Assemblea gridi Re il Duca d'Orleans.
La Regina tenta per ben due volte d'uscire, e due volte le guardie de' cancelli gli negano d'aprire.
Alle
undici della sera un messaggio di La Fayette viene ad annunziare al Re l'arrivo
del Generale.
Un
momento dopo entra La Fayette solo al Castello.
Nel
momento in cui mette piede nella Sala dell'Oeil
de boeuf un cortigiano dice a voce alta.
Ecco
Cromwel!
La
Fayette si rivolge verso il cortigiano
Cromwel
non sarebbe venuto solo qui disse.
In
quel momento si vede un gran chiarore nei cortili.
E'
forse un incendio? domandò il Re.
No, è
semplicemente che le donne mezzo morte dalla fame fanno cuocere il cavallo
d'una guardia ucciso nella mischia, ma la fame ètale che non hanno la pazienza
di aspettare che sia cotto. Se lo divorano mezzo crudo.
Ci è
molta distanza da questo pasto delle donne del popolo nel cortile del Castello,
al banchetto delle Guardie del corpo nella sala da spettacolo.
Il Re
dette alla Guardia Nazionale i posti esterni lasciando alle Guardie del corpo
quelli interni. Fino alla una dopo mezza notte il giardino di Versailles è
pieno di milizie che credono che il Re vuole fuggire e l'aspettano.
Alle
due solamente il Re prende una risoluzione ed è di rimanere. Fa dire allora che
i soldati si ritirino su Rambouillet.
Alle
tre, l'Assemblea, rassicurata per la partenza de' soldati, leva la seduta.
Maillard,
Luisa Chabry, ed una parte delle donne, 700 o 800 forse sono partite per Parigi
al giunger di La Fayette, esse portano il decreto, che permette l'entrata del
grano in Parigi, e la notizia che la dichiarazione de' diritti dell'uomo è
stata riconosciuta dal Re.
Tutto
pareva tranquillo. I posti esterni erano occupati dalla Guardia Nazionale, i
posti interni dalle Guardie. La Fayette a cavallo da 12 ore, non avendo dormito
da più di venti ore, si ritirò all'albergo di Noailles, si coricò e s'addormì.
Questo
è quel sonno che è stato tanto calunniato.
Ma
tutti non dormivano d'un sì buon sonno quanto quello di La Fayette.
Vi
era Marat che non dormiva, vi era un malvagio gobbo chiamato Verriere che non
dormiva, vi era il Duca d'Aiguillon che non dormiva.
La
tradizione vuole che quest'ultimo nemico particolare della Regina, sia venuto
con le donne, e travestito da donna.
Tre o
quattro giorni dopo egli volle avvicinarsi all'Abate Maury sulla terrazza de' Feuillants.
Tira avanti per la tua strada malcreato, gli disse questi.
Questi
tre uomini conducevano una seconda turba di gente trista, taciturna, come una
frotta di lupi che camminino nella notte.
Questa
seconda turba era più minacciosa e più terribile della prima.
La
prima aveva semplicemente fame e veniva a dimandar pane.
La seconda
veniva per odio, e chiedeva vendetta.
Verso
le cinque della mattina tutti quelli che erano malintenzionati si aggruppano,
si riuniscono si eccitano. Cinque o seicento uomini, tutti in una volta, e con
uno slancio unanime si mettono a scavalcare ed a forzare i cancelli.
Un
colpo di fuoco sì f a sentire, ed uno degli assalitori cade morto.
Questo
è un incitamento dippiù. Ora questi uomini hanno un pretesto per uccidere anche
essi.
Si
dividono in due torrenti: uno che va ad assalire l'appartamento della Regina,
l'altro che sale verso l'appartamento del Re. Un Parigino, che correva avanti a
tutti gridando come gridano i Parigini, riceve un colpo di sciabola da una
Guardia del corpo, e cade gridando: all'assassino. La Guardia del corpo è
uccisa immediatamente.
Una
seconda Guardia del corpo, il sig. Mionandre di S. Marie è messo sotto i piedi.
Le altre Guardie si ripiegano, parte nell'anticamera del Re, parte nella gran
sala. Si tenta di buttar giù le porte, la parte inferiore della della gran sala
è gittata a terra, ma gli assediati spingono addosso alla porta una cassa di
legno ; la resistenza cresce in ragione dell'attacco.
Allora
i primi assalitori penetrano per la porta della Regina nella gran sala, e danno
addosso a quelli che si difendono. Le Guardie si ritirano e si fortificano
nella sala dell'Oeil de boeuf.
La porta degli appartamenti della Regina s'apre ed
attraverso l'apertura il sig. Mionandre di S. Marie grida ad una delle donne
della Regina.
« Salvate
sua Maestà, contro lei son diretti. Io sono solo contro mille, ma si resisterà
per quanto è possibile, affrettatevi, affrettatevi ».
Poi
siccome coloro che l'inseguivano l'hanno raggiunto, egli tira a sé la porta
gridando « mettete il catenaccio al di dentro ». La porta di chiude, il
catenaccio è messo al momento stesso in cui gli assalitori si gittano addosso
alla porta.
Nello
stesso tempo egli riceve un colpo di calcio di fucile sulla testa, un colpo di
picca in petto, e cade svenuto.
Gli
assalitori lo credono morto, lo cercano indosso, e tornano nella gran sala
ignorando che la porta, dinnanzi alla quale è caduto il sig. Mionandre di S.
Marie, conduce alla camera della Regina.
Dopo alcuni istanti di svenimento, ritorna in
sé, attraversa la sala del Re, quella delle guardie, l'Oeil du boeuf, e si salva.
Il
sig. De la Roque de S. Virieu era di sentinella nella sala della Regina. Egli
riunisce quattro o cinque Guardie, perviene fino alle anticamere, bussa alla
porta, esitano ad aprirgli, forse sono assassini travestiti da Guardie del
corpo. Si fanno riconoscere, una donna apre, cade in ginocchio tutta
scapigliata e piangente, supplicando di salvare la regina.
‑
Noi siamo qui per questo ‑ le risponde il signor di Virieu ‑ Dite a
Sua Maestà che resisteremo quanto potremo per darle il tempo di vestirsi e di
fuggire.
La
Regina si getta dal suo letto, si veste aiutata dalla signora Thibaut e dalla
signora Hogue.
Queste
due donne la spingono, mezza nuda, in un corridoio segreto, che conduce al Re.
Mentre
attraversano l'Oeil de boeuf sentono
alcune voci che gridano: A morte la
Messalina. Nello stesso tempo, si sentono due colpi; uno di fucile, l'altro
di pistola. Le palle attraversano la porta. La Regina arriva presso il Re; vi
trova la signora di Tourzel, il Delfino e poche guardie.
Essa
è quasi fuor di senno pel terrore, e non fa altro che ripetere queste parole:
‑
Amici miei, salvate i miei figli, salvatemi!
Il Re non era nel suo appartamento; egli pure
per un altro corridoio, erasi recato nelle camere della Regina mentre la Regina
andava da lui.
La
Famiglia Reale riunita, si ricovera nella sala dello Oeil de boeuf, che è fortificata a via di mobili, di banchi, di
sgabelli, di sedie. Appena si è finito di far ciò, si sente uno spaventevole
rumore.
Gli
assassini han scoperto il luogo della ritirata. Battono a colpi raddoppiati la
porta; una tavola scricchiola, si sfonda, lascia apparire degli occhi
fiammeggianti, delle braccia nude ed insanguinate: a meno d'un miracolo, il Re,
la Regina, la reale progenie, son perduti.
Tutt'ad
un tratto, la calma succede al tumulto; si sente il passo di molte persone che
si avvicinano, è la Guardia di Parigi che alla sua volta invade gli appartamenti.
Si
presenta un uffiziale: ‑ Signori, dice egli attraverso la porta, noi
veniamo per salvare il Re: siamo fratelli!
Tutti
i petti si slargano ; si respira, si rovesciano sedie, tavole, banchi,
sgabelli, poltrone, si apre la porta e si trovan tutti sotto la protezione del
Capitano Gondran, comandante della compagnia del centro di San Filippo du
Roule.
Nello
stesso tempo risuona negli appartamenti la voce ben nota di La Fayette.
E' la
salvezza, è la vita.
Il
pericolo è stato grande terribile, quasi mortale; ma infine è passato.
Solamente
qualche cosa orribile continua ad aver luogo nel cortile.
Un
uomo dalla lunga barba: un modello, chiamato Nicola che, in questa occasione,
si è vestito da schiavo antico, taglia, a colpi di scure le teste di due
guardie del corpo uccise: i signori Deshute, et Varicourt.
Poi,
queste teste sanguinolenti furon poste in cima a due picche, e furono gli
stendardi del corteggio che precedette il Re, nel ritornare a Parigi.
La
Fayette, entrando, cercò con gli occhi il Re.
Lo
capirono.
‑
Il Re è nel suo gabinetto, gli fu detto.
La Fayette si muove verso il gabinetto ‑
un uffiziale lo ferma.
‑
Avete voi l'entrata libera, Signore? gli dice, tanto è grande la forza
dell'etichetta.
‑
Sì, sì, ‑ gridò madama Adelaide, ‑ e se non l'ha, il Re
gliel'accorda.
I
primi raggi del giorno incominciavano a comparire. Venticinquemila Parigini e
Parigine, con tutta la popolazione di Versailles, gremiscono i cortili.
‑
Sire, disse rispettosamente La Fayette al Re io credo che sarebbe bene che
Vostra Maestà si faccesse vedere al balcone.
‑
Voi il credete, Signore?
La
Fayette s'inchinò.
Il Re
aprii la finestra, e si fè vedere al popolo.
Un
grido unanime scoppiò:
‑
Viva il Re !
Cosa
singolare! tutta quella popolazione era realista. Camillo Desmoulins, dice di
quel tempo:
« Noi
non eravamo dodici repubblicani in Francia ».
Ma, un
secondo grido, che formolava la volontà del popolo, seguì immediatamente il
primo.
Il Re
a Parigi !
Poi
parecchie voci, quasi minacciose gridano: La
Regina! la Regina.
La Regina, pallida, con i denti stretti, con le
sopracciglia aggrottate, era in piedi presso una finestra.
La
Principessa reale era al suo fianco ‑ innanzi a lei stava Delfino, sulla
cui testa, come sopra un cippo, appoggiava la sua mano bianca ed unita come il
marmo.
Il
popolo desidera vedervi, Signora, disse La Favette.
La
Regina esitava tutta convulsa.
La
Fayette spinse leggermente lei e i suoi due figli sul balcone.
Era
un terribile spettacolo, fatto per dare il capogiro quel cortile di marmo,
trasformato in un mare mugghiante, pieno di fiutti che si urtavano un l'altro.
La
Fayette era vicino a lei.
La
Regina capì che in quel momento egli era il suo appoggio gli tese la mano; La
Fayette la baciò.
La
cosa poteva volgersi a male per La Fayette. Egli mise in forse la sua
popolarità; ma volse in bene.
Quarantamila
spettatori applaudirono.
‑
E le mie guardie? domandò timidamente la Regina ‑ le mie guardie, che
mhan salvata la vita; non potete voi far nulla per loro?
‑
Datemene una, disse La Fayette.
E
prende la prima guardia che si presenta; la conduce al balcone, le fa prestare
il giuramento, mette la sua propria coccarda tricolore al cappello di quella
guardia e l'abbraccia.
‑
Evviva La Fayette! Evviva le Guardie del Corpo! gridano tutte le voci.
‑
Sire ! chiese La Fayette, rientrando dentro, ‑ rimane ancora una cosa da
farsi a Vostra Maestà.
‑
Andare a Parigi non è vero?
‑
Sì, Sire.
Era
una cosa terribile per il Re lasciare Versailles: era lo stesso che abbandonare
la monarchia; andare a Parigi era lo stesso che venire a patti colla
rivoluzione.
Non
prima delle undici della sera, il Re si determinò, e fu annunziato al popolo il
quale era risoluto a non ritirarsi senza ottenere la risposta che voleva avere,
che ad un ora dopo mezzogiorno il Re e
la famiglia Reale partirebbero per Parigi.
Il
potere era vinto, e, di buona voglia o per forza dovea passare sotto le forche
caudine del popolo.
Carolina,
ebbe come un presentimento che un giorno essa pure sarebbe obbligata di
obbedire e di curvarsi, come avea fatto sua sorella.
La
Corte di Napoli non avea più nessun legame politico con la corte di Francia,
poichè era diventata austriaca; ma i legami di famiglia esistevano, tanto più
stretti perchè la Regina Maria Antonietta, essa pure era accusata di essere
rimasta austriaca.
La
Regina Carolina giudicò dunque che il momento era venuto di stringersi
indissolubilmente colla corte di Austria.
Essa
avea due giovani principesse, in età da marito. Furon fissati i loro matrimoni
con gli arciduchi Francesco e Ferdinando, e si stabili che il giovane principe
Francesco erede della Corona delle due Sicilie, che avea appena compiuto 12
anni, sposerebbe, giunto che fosse all'età da ammogliarsi, la giovane
Arciduchessa, Maria Clementina che avea due anni meno di lui.
Da
parte sua, la Regina Maria Antonietta continuò le sue trattative e le sue
corrispondenze col suo fratello Giuseppe II, per mezzo de suoi consiglieri: l’Abate
Vermont, sempre austriaco, il sig. de Breteuil, non meno austriaco di lui: in
fine per mezzo dell'Ambasciator di Austria, Sig. Mercy d'Argenteau.
Il 20
febbraio Giuseppe II muore di etisia e di disperazione. Il suo Regno è stato senza
nessuna gloria.
Sebbene erede del trono, egli non ha regnato
veramente se non dopo la morte di Maria Teresa. Nel 1786 fa alleanza con
Caterina II contro i Turchi, non riesce innanzi a Belgrado, e come a' tempi di
Giovanni Sobiesky, vede gli infedeli, marciare su Vienna.
Per
fortuna, il Maresciallo Landon ripara le sue perdite ed obbliga Belgrado a
capitolare; allora è scoppiata la rivoluzione nel Belgio, ed è incominciata
quella rivoluzione francese che minaccia sì crudelmente sua sorella Maria
Antonietta.
Leopoldo,
granduca di Toscana, gli succede. Noi lo conosciamo come Giuseppe II. Sappiamo
tutti il suo fare da pedagogo, quale uomo mediocre egli è. D'altronde
sopravviverà due anni soli a suo fratello; durante questi due anni pacificherà
i Paesi Bassi, ed avrà con la Prussia la Conferenza
di Pilnitz, per giungere a soccorrere Maria Antonietta e Luigi XVI.
L'elevazione
di Leopoldo al trono determina il Re Ferdinando e la Regina Carolina a fare un
viaggio a Vienna. Si prenderanno col nuovo imperatore, non solamente tutte le
disposizioni per i matrimoni di famiglia, già presso a poco stabiliti, ma anche
per un'alleanza politica, che sembra richiedere imperiosamente la posizione
della Francia.
A
Vienna probabilmente, fu concertata e risoluta la fuga di Luigi XVI, e fu
stabilito che si terrebbe un esercito pronto a soccorrerlo, appena egli avesse
passato la frontiera.
Si
risolvette pure che Ferdinando avesse a porre il suo esercito in istato
d'operare insieme all'esercito austriaco.
Mentre
si discuteano tutte queste gravi quistioni, le tre zie del Re, le Principesse
Sofia, Vittoria, ed Adelaide emigrano e sì ricoverano a Roma. Eran partite da Parigi
il 19 febbraio.
La
rivoluzione continua l'opera sua; l'anniversario della presa della Bastiglia si
è celebrato il 14 luglio, al Campo di Marte, e ha dato luogo alla festa della
Federazione.
Otto
giorni dopo la partenza di quelle principesse, ha luogo la congiura de' Cavalieri dal pugnale.
Poi, il 2 aprile, Mirabeau muore, portando seco
l'ultima speranza della Monarchia, e dopo aver consigliato al Re di fuggire.
La
Regina Carolina seppe a Vienna il mancato tentativo di fuga del Re, l'arresto
della famiglia reale a Varennes, il ritorno dei fuggitivi a Parigi, e la specie
di sequestro, che fu la conseguenza di quel tradimento.
Da
quel momento, la posizione del Re e della Regina di Francia era chiaramente
delineata, e se si volea venire in loro soccorso, non c'era tempo da perdere.
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