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Di
Alexandre Dumas
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CAPITOLO VI.
Queste notizie disastrose
giungevano a Napoli una dopo l'altra, e sempre più dolorose.
E’ vero che ne arrivavano
anche alcune buone da un altro lato.
La Francia era invasa.
Di minuto in minuto le
notìzìe arrivavano a Parigi come altrettanti colpi del cannone di allarme, che
si cambiavano in allegre salve per la corte di Napoli. Il vascello della
nazione sembra vicino a naufragare.
Thionville che sembra
abbandonata dalla Francia scrive all'assemblea che piuttosto che rendersi sì
farà saltare in aria.
Sarrelouis giura di
difendersi sino all'ultima estremità.
Longwy reclama ajuto, essa è
assediata dagli eserciti uniti della Russia e dell'Austria.
La Fayette è posto in ìstato
d'accusa, Luckner è destituito, Dumouriez e Kellermann prendono il loro posto,
uno sarà l'eroe di Semappes, l'altro di Walmy.
Il 23 aprile Longwy è preso
dopo 24 ore di bombardamento.
Il 2 settembre Verdun apre
le sue porte al re di Prussia.
L'esercito Prussiano marcia
su Parigi.
Allora Parigi, preso da una
vertigine terribile, credendo che dall'interno delle prigioni si dirigano gli eserciti
stranieri attraverso la Francia, allora Parigi corre alle prigioni, e massacra
i prigionieri.
La povera Principessa di
Lamballe la tenera, troppo tenera, forse, amica di Maria Antonietta perde la
vita in quel massacro.
Ma accanto a queste
uccisioni infami hanno avuto luogo delle azioni ammirabili.
Beaurepaire, il comandante
di Verdun, costretto dal Municipio a consegnare la città, s'è fatto saltare in
aria le cervella per non partecipare a quell'onta.
Ma la resa di Longwy e
quella di Verdun dicevano chiaramente che lo straniero aveva delle intelligenze
dappertutto.
Presso Verdun, oltrepassata
la foresta d'Argonne i Prussiani erano a tre sole giornate di distanza da
Parigi.
Ogni giorno la Corte di
Napoli prestava orecchio ai romori che venivano dall'Occidente ed ogni giorno,
in mezzo a questi romori sperava sentire queste parole:
‑ Le bandiere
austriache e prussiane sventolano sulle torri di Parigi.
In una lettera diretta al Re
e trovata la sera del 10 Agosto alle Tuileries, gli fu annuziato che due dei
tribunali militari seguivano gli eserciti alleati, che questi tribunali
istruiscono i processi, preparano i patiboli. Presso Sarrelouis gli Ulani han
tagliato le orecchie ad alcuni ufficiali municipali, e le han loro inchiodate
sulla fronte.
Così il Re Luigi XVI
prigioniero al Tempio era più da compiangersi dì quando stava nel suo palazzo.
Egli avea perduto le Tuileries, ma aveva conservato l'Europa.
Allora fu che dal fondo
delle sue viscere la Francia, per la bocca di Danton, emìse il formidabile
grido; All'armi.
Per sapere quante lagrime
quelle giornate sublimi d'arruolamento volontario costarono alla Francia, bisognerebbe
entrare nelle case, penetrare nelle capanne, aprire le porta de'più meschini
abituri, assistere alla dolorosa separazione delle mogli da' loro mariti, allo
strazio delle madri, a questo secondo parto; più terribile di quando il bambino
esce dalle loro viscere che sanguinano, costretto, come è questa volta, di
uscire dal loro cuore.
Esse soccombevano a questa
terribile necessità, elleno avevano degli eccessi di follia, non temevano
nulla. Quel figlio che si strappava dalle loro braccia non era loro più caro di
qualunque altra cosa al mondo?
Un giorno una turba di
donne, cui la nazione domandava i figli, incontrò Danton, Danton la rivoluzione
incarnata in un uomo. Esse l'ingiuriarono come avrebbero ingiuriato la guerra
stessa. Gli rinfacciarono, oltre il sangue di Settembre, che era stato versato,
quello dei loro figli che andava a versarsi, lo maledivano, negavano il fulmine
di Dio perchè il fulmine di Dio non cadeva sulla testa di quel desolatore delle
madri.
Danton le guardò un istante
con quello sguardo che faceva indietreggiare gli uomini stessi, poi, siccome,
in fin dei conti era un uomo d'un gran cuore, n'ebbe compassione, salì sopra
una scranna e per farsi capire da loro, le ingiuriò nella loro propria lingua.
La sua eloquenza burlesca, oscena, violenta, le fè ammutolire, esse stanche,
l'ascoltano, e questo è quel che voleva il prodigioso oratore, tutto carne e
sangue, che era, nello stesso tempo, un cane da catena, un leone, un uomo, un
toro ma che più di tutto un maschio, un generatore.
Questa specie d'organismi
hanno sulle donne una straordinaria potenza : la potenza della dominazione
fisica. Queste donne ammutinate intorno
a lui sentirono in loro stesse ch'egli era il padrone, e che esse non dovevano
far altro che ubbidire.
Da quel momento le condusse
ove volle. Egli spiegò loro a che serve la donna sotto il punto di vista della
natura, cioè all'amore, ed alla generazione, a che servono i figli sotto il
punto di vista sociale, cioè a morire per la patria, insegnò loro che la donna
non partorisce per sè stessa, ma per il suo paese ; spiegò loro che cosa era la
Francia questa madre di tutte le madri, e quale eccessiva tenerezza, egli aveva
per lei. Allora, come se il cuore gli fosse uscito dal petto, con le mani e con
gli occhi levati verso il Cielo, pregò Dio, di accettarlo per vittima, di
prendere il suo sangue fino all'ultima goccia, per salvare quella Francia, a
cui l'accusavano dì sagrificare il sangue degli altri : e, su quel volto,
solcato dal vaiuolo, da quegli occhi che sembravano gittar lampi, su quelle
gote aggrinzite, come le scorie d'un vulcano, scorsero grosse lagrime, che
spaventarono quelle madri, che non avean mai veduto piangere un leone.
Ebbero vergogna delle loro
lagrime nel vedere le lagrime di Danton, e se ne fuggirono gridando:
‑ Prendili, noi te li
diamo.
Danton li prese e li gettò
nelle braccia della Patria.
Ora che i popoli, minacciati
dai loro re dispotici o dallo straniero che venga ad incatenarli, si ricordino
bene questo spavento della Francia, poichè la Francia, sottraendosi, nel 1792,
al despotismo, non solamente ha salvato sè, ma ha salvato il mondo.
Dove ne sarebbe l'Europa
adesso senza quei volontari del 92, che vinsero le battaglie di Jemmapes e di
Walmy, e seminarono le idee dell'89 nel mondo?
Senza la Francia vittoriosa,
Napoli non avrebbe avuto la sua Repubblica del 99, che gli dà il dritto di reclamare
il suo rango fra le nazioni, poichè vi porta la sua parte di libertà e la sua lista
di martiri.
Che tutte le nazioni
prendano dunque per divisa questo grido di Danton:
‑ QUANDO LA PATRIA E’ IN PERICOLO, TUTTO APPARTIENE ALLA PATRIA!
Ma la serie de'nostri
rovesci dovea fermarsi a Walmy. Il 20 settembre, Kellermann incenerì sotto il fuoco
de'suoi cannoni quell'esercito prussiano che si credeva già padrone di Parigi e
liberatore di Luigi XVI, e le tre notizie seguenti giunsero nello stesso tempo
a Napoli.
‑ La battaglia di
Walmy è vinta, la Francia ha proclamata la Repubblica, e la Convenzione
Nazionale si è dichiarata giudice dì Luigi XVI.
Poi, nello stesso tempo,
come il fulmine dopo il lampo, dopo la notizia della condanna a morte di Luigi
XVI, vi giunse quella della sua morte.
Questa morte, ognun lo sa,
era accaduta il 21 gennaio 1793: era il momento del Carnevale. La Corte prese
il lutto, proibì tutti i divertimenti ed andò in forma solenne alla Cattedrale,
per piangere e pregare sulla morte del Re di Francia.
Ciò non fu tutto, e, questa
volta, la cosa diventava più grave: Ferdinando ‑ e quando diciamo
Ferdinando, si sottintenda sempre Acton e Carolina ‑ Ferdinando ricusava
di riconoscere la Repubblica nella persona dell'Ambasciatore di questa Sig.
Makau e fece cacciare da Constantinopoli, il cittadino che fu poi il Conte de Semonville,
inviato presso la Porta Ottomana, collo stesso titolo.
Nel tempo stesso, circolava
questa nota, emanata dal Governo delle Due Sicilie, la quale spingeva alla
formazione di una lega, a somiglianza della lega Lombarda, la Repubblica di
Venezia ed il Governo della Sardegna.
Ecco il testo di quella
nota:
« Comunque sieno le fortune
degli Alemanni sul Reno, importa all'Italia far barriera d'armi su le Alpi,ed
impedire che i Francesi per disperato conforto, sevinti, o per vendetta e
conquiste, se vincitori, venissero a turbare la quiete de'governi italiani. Se
perciò si collegassero la Sicilia, la Sardegna e Venezia, concorrerebbe il
sommo pontefice alla santa impresa; i più piccoli potentatì che stanno tra mezzo seguiterebbero, vogliosi o
no, il moto comune ; e si f arebbe cumulo di forze capace a difendere l'Italia,
ed a darle peso ed autorità nelle guerre e ne'congressi di Europa. Essere
obbietto di quella nota proporre e stringere con federazione nella quale il re
delle due Sicilie, ultimo al pericolo, offrivasi primo a'cimenti; ricordando ad
ogni principe italiano che la speranza di campar solo, è stata mai sempre la
rovina d'Italia ».
La proposizione fu accettata
dalla Sardegna, respinta dal Senato di Venezia.
Ferdinando forse volea
perseverare da parte sua, nei sui proponimenti guerreschi, quando d'improvviso,
come era accaduto sotto Carlo III allorchè apparve innanzi al porto di Napoli
una flotta inglese sotto gli ordini del Comodoro Marteen, al principiar
dell'anno che veniva ad imporre le volontà dell'Inghilterra, comparve nello
stesso porto sotto gli ordini dell'Ammiraglio Latouche‑Tréville, una
flotta che veniva ad imporre le volontà della Francia.
Nel vedere i quattordici
vascelli francesi porsi in ordine di battaglia nel golfo, il Re Ferdinando fè
dimandare all'ammiraglio i motivi del suo arrivo, e gli rammentò che un antico
trattato colla Francia non permettea l'entrata del porto a più di sei
bastimenti da guerra francesi.
Ma Latouche‑Tréville
rispose che ogni trattato era annullato dall'avere il Governo Napoletano
ricusato di ricevere l'ambasciatore della Repubblica, e da un simile rifiuto,
fatto dalla Porta Ottomana, ad istigazione della Corte di Napoli.
Egli veniva dunque a
dimandare una soddisfazione per questi due insulti o a dichiarare la guerra.
Si riunì il Consiglio.
Nello stato, in cui era la
marina napoletana, si sarebbe potuto sostenere la lotta; ma Latouche‑Trèville,
se mai fosse battuto, aveva dietro di sè la Francia, che incominciava a
spaventar l'Europa con le sue vittorie.
La Regina fu la prima ad
abbassar la testa; sia che credesse veramente sulla parola d'Acton, o che
fingesse di crederlo, rappresentò il reame, come pieno di giacobini e di nemici
del governo. Il Re aveva appena voce deliberativa. D'altronde poco guerriero
per natura, egli fu completamente del parere della Regina ‑ Gli altri
consiglieri non osarono contraddire ai loro augusti sovrani, i quali, una volta
per combinazione, si trovavan d'accordo.
Fu dunque stabilito di
obbligarsi alla neutralità, di ricevere l'ambasciatore francese, di biasimare i
passi fatti presso la porta Ottomana, e si promise di non prender nessuna parte
alle guerre della Francia col resto dell'Europa.
Questo fu il principio delle
vigliaccherie e dei spergiuri di Ferdinando IV.
Queste concessioni fecero un
pessimo effetto a Napoli, imperciocchè dettero ai Napoletani stessi la misura
della debolezza del loro governo.
« Forse allora, dice Cuoco ‑
si temette più di quel che si sarebbe dovuto ‑ Se si fosser prolungate le
conferenze solo due giorni dippiù, la stagione ed i venti avrebber fatto
giustizia d'una flotta che, troppo imprudentemente, s'era avventurata tra un
Golfo pericoloso ed una stagione più pericolosa ancora ».
In fatti, tre giorni dopo
esser uscita dal Golfo, la flotta dell'ammiraglio Latouche‑Tréville,
battuta dalla tempesta fu costretta di ritornarvi ‑Quella volta l'ammiraglio
venìva, da amico, a chiedere il permesso di rattoppare i suoi vascelli, di
imbarcare vettovaglie, di fare la provvista di acqua dolce e di comunicare col
porto.
Tutte queste richieste gli
furono accordate.
Allora ebbe luogo un fatto
al quale dovean aspettarsi. Tutta la gioventù intelligente dì Napoli, per sì
lungo tempo compressa nelle sue opinioni, sì pose in comunicazione colla
squadra francese. Le istruzioni della Repubblica ai suoi agenti erano di farle,
ne'reami stranieri, il più gran numero di proseliti che fosse possibile. - I
discorsi degli uffiziali di marina, i principii di libertà, proclamati da loro
e che sono sì seducenti, per tutti i cuori generosi e patriottici accesero il
fuoco in tutte quelle giovani teste ‑ per le quali, Cuoco professa, a
parer nostro, troppo disprezzo quando li tratta da ciarloni, raccontando le notizie degli avvenimenti
della Francia alle signore, ed ai loro parrucchieri. Alcuni banchetti ebber
luogo, ben diversi da quello delle Guardie del Corpo di Versailles, nel quale
si mise sotto i piedi la coccarda tricolore e si bevve alla salute della
Regina. In questi dì a Napoli s'inalberò il berretto rosso, e si bevve alla
salute della Repubblica ‑ La Corte, col suo spionaggio dai cento occhi,
sapeva tutto ciò, ma fingeva di non veder nulla ‑ Sorrideva a Latouche‑Tréville
‑ accarezzava tutti, ma accumulava la vendetta nel suo seno, e giurava in
cuore suo, di lavare la sua onta nel sangue.
Latouche‑Tréville
partì, lasciando indifesi e compromessi gli imprudenti che avean comunicato con
loro.
Appena l'ultima vela della
flotta francese disparve dall'orizzonte la polizia napoletana spiegò i suoi
artigli, e la maggior parte dei giovani, che aveano avuto comunicazioni colla
flotta francese furon arrestati come prevenuti del delitto di lesa Maestà.
Allora, per Napoli,
principiarono i giorni funesti la Regina, furiosa per la rottura della
coalizione, per la ritirata de' Prussiani e la pace colla Prussia, oppresse il
debole intelletto di Ferdinando, tanto da fargli adottare non solo tutti i suoi
timori, ma bensì tutti i suoi odii. Fin a questo momento egli era stato
soltanto un uomo, che faceva pompa di spirito senza averne, ed un profondo
ignorante, ella lo rendette spergíuro e sanguinario ‑ Era pauroso, e lo
fè vile!
I giovani arrestati erano
stati condotti al castello Sant'Elmo; ma i parenti, che ignoravano quel che
n'era accaduto ‑ e che nel saperli tuttora vivi, sarebbero stati
consolati ancorchè fosse stato loro detto che dovean coricarsi sull'umido
suolo, mangiando pane ammuffito nella prigione, e vivendo isolati ognuno nel
suo carcere, i parenti gli credevano od uccisi di segreto, o rilegati nelle
caverne di Marittimo e di Favignana.
Al disparire di questa
gioventù, un lutto generale si sparse su Napoli.
Ciò non è tutto, i giovani
essendo stati arrestati sotto il pretesto d'una congiura d'accordo con la
Francia, la regina pensò che si troverebbero le file di questo complotto presso
l'ambasciadore della repubblica. La regina contava nel numero de'suoi agenti un
certo Luigi Custode che era famigliare nel palazzo del sig. Mackau. Essa fece
rubare le carte dell'ambasciatore ma non vi trovò nulla che potesse
compromettere alcuno, salvo una lista di fatti in cui il re di Napoli avea
mancato di parola, e s'era renduto colpevole verso la Francia.
Il ladro fu condotto innanzi
a'Tribunali e, malgrado le pruove convincenti, fu assoluto.
Non fu bastante questa
assoluzione, egli fu pubblicamente ricompensato dalla corte.
In quel tempo il re istituì
la prima Giunta di stato che non si dee confondere con quella, o Piuttosto con
quelle che seguirono.
Questa prima Giunta di
stato, il primo tribunale eccezionale stabilito a Napoli, fu composto di sette
giudici ed un procuratore fiscale.
Questo procuratore fiscale
si chiamava Basilio Palmieri. Egli era già conosciuto per la sua eccessiva
severità e ciò gli avea procurato l'onore di questa elezione.
Nel numero di semplici
giudici era quel giovine cavaliere Luigi de Medici di cui abbiam già detto una
parola a proposito del grande ed inamovibile avvenire cui era destinato, il
Consigliere Vanni che noi siam per veder giungere ben presto al sublime
dell'atrocità, ed il presidente di Rota Giaquinto.
Intanto si facevano i
preparativi della guerra. Il numero dell'esercito era quasi raddoppiato esso
ammontava a 36,000 uomini.
L'armata navale si componeva
di 102 bastimenti di diverse grandezze. Questi 102 bastimenti erano armati di
618 cannoni e montati da 8600 uomini. La carestia era venuta in ajuto al
reclutamento. Gli uomini s'ingaggiavano per non morire di fame. A Napoli sola
si reclutò una legione tutta intera che fu armata di spontoni, e i di cui
uomini furono chiamati spontonieri. Era una specie di corpo di tiragliatori
destinato a combattere ne'luoghi scoscesi e coperti, o dietro le dighe e le
barricate. La loro manovra principale dovea essere di formarsi in quadrati per
respingere una carica di cavalleria o caricare eglino stessi alla bajonetta.
Questa legione era specialmente formata di lazzaroni.
Credendosi sufficientemente
sicuro con tutti questi provvedimenti, il re dimenticò gli obblighi che avea
assunti verso la Francia per mezzo del sig. La
Touche Treville. Firmò
un trattato d'alleanza con l'Inghilterra, il 20 Luglio 1793. Il trattato, come
si capisce bene, rimase segreto poichè quello di La Touche Treville era ancora
d'una data troppo recente per esser rotto palesemente.
Bisogna credere che la
lealtà sia una bella cosa anche per i birbanti poichè gli costringe ad essere
ipocriti.
Fu convenuto che ad ogni
dimostrazione dell'Inghilterra contro la Francia nel Mediterraneo, il Re di
Napoli aggiungerebbe alla flotta inglese quattro vascelli di linea, quattro
fregate, quattro bastimenti più piccoli e 6,000 soldati.
Il pretesto apparente del
trattato era di proteggere il commercio e l'indipendenza del reame delle due
Sicilie.
La corte di Napoli dopo aver
firmato un trattato di neutralità con la Repubblica si trovò dunque d'aver
firmato pure la sua adesione alla seconda coalizione che si preparava contro la
Francia.
Ciò che vi era di curioso si
è che i Barbereschi prendevan si poco sul serio questi 102 bastimenti della marina
napoletana che venivano a fare delle scorrerie fino nel canale di Procida. Gli
arditi marinari delle Isole, i capitani de'bastimenti mercantili domandarono il
permesso d'armarsi in guerra; ma il Re che vedeva dappertutto i giacobini, vide
in questa domanda uno scopo rivoluzionario, e ricusò[*1].
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