I  BORBONI  DI  NAPOLI

 

Di Alexandre Dumas

 

Libro II 

 

 

CAPITOLO VI.

 

 

L'esordire della seconda coalizione, di cui faceva parte secretamente il Re di Napoli, fu fortunato. Magonza s'arrese ai Prussiani dopo un assedio di quattro mesi, Valenciennes si arrese agli Austriaci dopo un assedio di due mesi, Lione era in piena ribellione, la Controrivoluzione pareva prossima a vincerla nuovamente.

Dalla sua prigione del Tempio, Maria Antonietta più forte ancora dopo la morte del Re poetizzato dalle sue disgrazie, sollevava l'Europa contro di noi.

Ogni giorno si scoprivano delle congiure di cui essa era l'anima. La vecchia leggenda di Maria Stuarda ricominciava.

Un giovane municipalista chiamato Toulan, uomo ardente del mezzogiorno, si dette con tutto il cuore a Maria Antonietta. La Regina gli scriveva in italiano: .4 ma poco chi teme di morire.

Trasferita alla Conciergerie nei primi giorni d'Agosto, guardata a vista, ella non rimase perciò meno in comunicazione coll'estero ; tutti quelli che dovevano sorvegliarla tradivano la repubblica per lei. La moglie del carceriere Richard favorisce l'entrata degli uomini che s'adoperavano per la sua evasione. Il municipalista Michonis introduce il Cav. de Roquerolle che le dà nel calice d'un gherofano, una lettera in cui le viene promessa prossima la liberazione. Mongaillard era alla ricerca d'un mezzo milione. Egli assicura nelle sue memorie che con mezzo milione l'avrebbe salvata.

Non potè riunire più di 180,000 franchi, e pretende che di questa somma ne mise egli solo 72,000.

L'Arciduchessa Cristina mandò a Parigi, forse d'accordo con la Regina Carolina, un certo Marchese Burlot, ed una certa Rosalia d'Albert con carta bianca per salvare la Regina.

Tutti e due furono arrestati.

Ma ciò che diè il colpo più terribile alla prigioniera, ciò che fece accelerare il processo, ciò che fè costruire il patibolo fu la consegna di Tolone agl'lnglesi.

Dall'altra parte della Francia a trecento leghe di distanza essi assediavano Dunquerque. Con Tolone e Dunquerque la Francia era imbavagliata.

Fortunatamente gl'Inglesi non trovarono nel Nord i traditori che avean trovati nel Mezzogiorno.

Tolone, il primo porto della Francia, arsenali immensi, magazzini enormi, legname prezioso, un materiale grandissimo, undici vascelli di linea sono abbandonati da un ammiraglio straniero che la Francia avea colmato di benefizi: Trogoff.

Il Contrammiraglio S. Julien dichiarando Trogoff un traditore issò al suo bordo la bandiera di comandante.

E tentò di riunire la marina fedele, ma in quel momento i traditori già impossessatisi de'forti, minacciarono di bruciare S. Julien ed i suoi vascelli.

L'ammiraglio Hood con le squadre napolitana e spagnole unite s'impossesò di Tolone per conto di Luigi XVIII.

S. Julien se ne fuggi con sette vascelli.

L'Ammiraglio Hood giudicò che la notizia dovesse esser trasmessa al re di Napoli. Di più egli avea bisogno di rinforzi e sapeva che poteva contare su di lui gli mandò dunque un capitano di vascello ancora scono­sciuto in quel tempo ma che doveva acquistare a nostre spese una immensa celebrità.

Questi era il capitano Orazio Nelson in età allora di 35 anni. Egli stava sull'Agamennone.

Noi dovremo occuparci più tardi di Nelson e diremo lungamente qual uomo fosse. Egli ha avuto una assai grande ed assai funesta parte nell'istoria che scriviamo perchè ci sia lecita una piccola digressione in suo favore.

Per questa volta non gli diamo maggiore importanza di quella che ne avea.

Verso il 10 settembre cioè 15 giorni dopo la presa di Tolone l'Agamennone entrò nel porto di Napoli.

Il re sapendo qual notizia recava ma non conoscendone i particolari ebbe una gran fretta di saperne e prendendo sir Guglielmo Hamilton per interprete, andò con lui a bordo dell'Agamennone.

Nelson fu ricevuto da lui come un messaggiere di buone notizie.

La seguente lettera scritta alla signora Nelson nel suo solito stile da suo marito darà un'idea del suo entusiasmo:

 

 

Alla Signora Nelson.

 

 

Napoli 14 settembre 1793

 

« Le nostre notizie sono state ricevute quì colla più grande soddisfazione. Dopo esser venuto a farmi una visita a bordo dell'Agamennone il re ha mandato due volte per aver notizie della mia salute. Egli ci chiama noi Inglesi i salvatori dell'Italia e particolarmente del suo reame. Io del resto ho operato per Lord Hood con uno zelo che nessuno certamente non avrehbe potuto oltrepassare e gli reco la più bella lettera che sia stata mai scritta dalla mano d'un re.

L'ho ottenuta grazie a sir Guglielmo Hamilton ed al primo ministro che è Inglese. Lady Hamilton è stata ammirabilmente amabile per Iosuah[*1] .

 

E’ una giovane signora di maniere gentilissime e che fa onore al rango cui è stata innalzata. Io vo a condurre via di qui 6,000 uomini per Lord Hood, ricordatemi alla memoria del mio caro padre a quello di Lord e di Lady Valpole, e credetemi vostro affezionatissimo ».

 

ORAZIO NELSON

 

Da questa lettera data la conoscenza se non l'intimità di Nelson con Emma Lyonna, intimità che fu sì funesta alla libertà di Napoli ed all'onore di quel grand'uomo di mare.

Sir Guglielmo vedendo i favori, di cui il re colmava Nelson, conducendolo a Portici, invitandolo a desinare a Palazzo, Sir Guglielmo non volle restare indietro col suo compatriota. L'invitò ad andare al palazzo dell'Ambasciata, quello stesso palazzo ove abita l'Ambasciata inglese adesso, cioè all'angolo della strada di Chiaja, e lasciandolo nel salone, entrò nel gabinetto di sua moglie dicendole:

‑ Vi conduco un omicciattolo che non può vantarsi d'esser molto bello, ma che potrà forse diventare un giorno il più grand'uomo di mare che l'Inghilterra abbia mai prodotto.

‑ E come prevedete ciò? domandò Emma Lyonna.

‑ Dalle poche parole che abbiamo già scambiate, ed io predico ch'egli farà stupire il mondo; io non ho mai introdotto nessun uffiziale a casa mia, ma questo vi prego di riceverlo.

E siccome Emma Lyonna trascinata dal suo destino non fece nessuna opposizione a' desideri di suo marito, Sir Guglielmo aprì la porta del salone e fè segno a Nelson di entrare.

Nelson restò abbagliato dalla bellezza di Emma Lyonna. Egli come l'avea detto Sir Guglielmo era ben lun‑ li dall'esser bello quantunque non fosse ancora mutilalo siccome era nel 99. Infatti l'anno seguente solamente dovea perdere un occhio all'assedio di Calvi, nel 97, cioè quattro anni dopo, dovea perdere un braccio a Teneriffa, e nel 98 dovea ricevere ad Aboukir quella terribile ferita che gli fè scendere sino alla bocca la pelle della fronte, ferita di cui copriva la cicatrice con una fascia nera.

In quel tempo era, come abbiam detto, un uomo di 35 anni piccolo di statura, pallido in volto con gli occhi azzurri, quel naso aquilino che distingue il profilo degli nomini da guerra e quel mento rigorosamente delineato che indica la tenacità portata fino all'ostinazione, i capelli e la barba eran d'un biondo slavato, radi e pochi e male acconciati.

Si conoscono poche particolarità su questo primo soggiorno di Nelson a Napoli.

Egli scrive due lettere sole datate da quella città tutte e due del 14 settembre, una a sua moglie che abbiamo già letta, l'altra che dava presso a poco le stesse particolarità scritta al sig. Guglielmo Suecling Esq.

Ciò che si sa solamente è che egli ne riportò una viva gratitudine dell'accoglienza che gli avea fatta Sir Guglielmo ed una splendida idea della bellezza di Lady Hamilton.

Il caso o piuttosto la fatalità lo ricondurrà a Napoli che abbandonò conducendo seco a Tolone i rinforzi di uomini e di bastimenti che vi era venuto a cercare.

Un mese dopo la partenza di Nelson due notizie terribili giunsero nello stesso tempo alla corte di Napoli.

Maria Antonietta era stata condannata e giustiziata.

Tolone era stato ritolto agl'lnglesi.

Diamo qualche particolarità su questi due avvenimenti che ebbero grande influenza su destini di Napoli.

Registriamoli dunque per ordine di data, e cominciamo dalla morte della regina.

Maria Antonietta ascoltò la sua sentenza che la condannava alla pena di morte con un volto tranquillo e quasi insensibile senza pronunziare una sola parola, senza innalzare gli occhi al cielo, senza abbassarli verso la terra.

Il Presidente le domandò se avesse qualche osservazione da fare contro l'applicazione della pena di morte.

Essa scosse la testa e fè qualche passo verso la porta come se fosse impaziente del patibolo.

 

In fatti fra lei ed il patibolo non vi rimanea più altro che quel corto riposo che prendevano ordinariamente i condannati in quell'anticamera della Piazza della Rivoluzione che si chiamava la sala de'morti.

La Regina avea preso anticipatamente la risoluzione di respingere qualunque prete giurato che si presentasse a lei.

Il vescovo di Parigi Gobel gliene mandò tre: uno era il parroco costituzionale di S. Landry chiamato Girard.

Il secondo l'Abate Lambert uno dei vicari del vescovo di Parigi.

Il terzo un prete metà tedesco, metà francese, chiamato Lothringer.

L'Abate Gerard si presentò per il primo; la regina l'accolse più che freddamente.

‑ Vi ringrazio ‑ gli disse ‑ ma la mia religione mi proibisce di ricevere il perdono del Signore per mezzo d'un prete di una religione diversa della religione romana.

Eppure ne avrei molto bisogno, aggiunse quasi parlando a se stessa, poichè sono una grande peccatrice. Fortunatamente vado a ricevere un gran sacramento.

Sì il martirio, rispose il buon curato a mezza voce e facendo una riverenza.

Vedendo respinti il suo decano ed il suo superiore l'Abate Lambert non parlò nemmeno alla regina; rimase ad una certa distanza e seguì con le lagrime agli occhi l'Abate Gerard che si ritirava. In quanto all'Abate Lothringer egli mise una perseveranza coscienziosa, la cui insistenza turbò quasi gli ultimi istanti della regina, per volerla confessare.

Ciò che rendeva la regina così ferma nel suo rifiuto era una speranza ispiratale dalla Principessa Elisabetta. La Principessa Elisabetta le avea indicato il piano ed il numero d'una casa della Strada Saint Honoré dinanzi alla quale passavano i condannati per andare alla Piazza della Rivoluzione ed in quella casa al piano indicato si troverebbe il giorno del supplizio nel momento del passaggio un prete il quale lascerebbe cadere sulla sua testa quell'assoluzione in extremis per la quale la Chiesa delega tutti i suoi poteri ai suoi più umili ministri.

La regina s'era spogliata dell'abito nero della vedova per porsi l'abito bianco della martire. La figlia del portinaio Bault, che era succeduta a Richard, l'avea aiutata a vestirsi, e le avea posta la più bella delle sue tre camicie dove vi era del merletto; poi la pettinò, rinchiuse i suoi capelli, che s'erano incanutiti nella notte, in una cuffia bianca, stretta con un nastro nero, e coprì le sue spalle dimagrate con un fazzoletto bianco, come il resto.

Alle 11 della mattina, i gendarmi ed i carnefici entrarono nella camera de' morti. La Regina li vide venire senza cambiar di colore: era spento in lei ogni sentimento di paura; anzi invece di temerlo, ella sembrava aspirare al patibolo.

Era seduta sopra un banco e teneasi appoggiata al muro. Abbracciò la figlia del carceriere, sì tagliò da sè stessa i capelli ‑ si lasciò legare le mani senza metter lamento e senza mormorare, e seguì, con un passo fermo, le sue terribili guide.

Solamente nel passare dalla scala al cortile, e rivol­gendo gli occhi intorno a sè, vide la carretta dei condannati, che aspettava lei ed i suoi compagni di supplizio.  A tal vista si fermò, e si mosse per tornare indietro: in quel momento, un'espressione d'orrore apparve sul suo viso.

Fin allora, ella avea creduto che sarebbe condotta al patibolo, in una carrozza chiusa, siccome era stato fatto pel Re; ma, per la Regina, l'eguaglianza innanzi alla morte era stata proclamata e spinta fino ai limiti estremi.

Appena comparve, tutto quel popolo ammonticchiato lungo la Senna e sui ponti, ondeggiò come un mare agitato ; poi, da tutti quei petti, pieni di odio , di ven­detta e di fiele, proruppero le grida di abbasso l'Austriaca - A morte la vedova Capeto, a morte madama Veto, a morte la tirannide!

Era così compatta la folla che si credette per un momento che la carretta non potesse passare, ma il comandante Grammont si mise alla testa del corteo, e brandendo la sua spada allontanò la folla col petto del suo cavallo.

Ben presto, tutte le grida rimasero soffocate dallo sguardo freddo e severo della condannata ; la lotta era durata dieci minuti. Durante questi dieci minuti, le sue guance, prima arrossite, poi diventate livide, aveano indicato il combattimento che succedeva in lei ‑ infine, dopo aver vinto sè stessa, avea vinto gli spettatori.

Infatti, mai, nessuna fisionomia non ha imposto il rispetto con energia maggiore. ‑‑ Mai Maria Antonietta non era stata più grande e più Regina di quanto trovavasi in quella carretta che la conduceva al patibolo.

Indifferente alle esortazioni dell'abate Lothringer, che l'avea accompagnata suo malgrado, la sua fronte non piegava, nè a diritta nè a sinistra. Il pensiero che viveva in fondo al suo cervello, sembrava immobile, co­me il suo sguardo.

Il movimento a sbalzoni della carretta sul selciato disuguale, facea, per la sua violenza stessa, risaltare la rigidità del suo portamento.

Si sarebbe detto che fosse una statua di marmo destinata ad un sepolcro, e che fosse portata sopra un carro.

Solamente, la statua reale avea l'occhio lucido, e i capelli delle sue tempia ondeggiavano sulle sue gote, agitati dal vento. ‑ Quegli di dietro erano tagliati.

Tuttavia, arrivando presso la chiesa dell'Assunzione, questa rigidezza disparve.

La Regina alzò gli occhi, e parve ricercare con agitazione un oggetto sconosciuto.

Gli spettatori che ignoravan quel che cercavan quegli occhi, credettero che ella fosse distratta da quelle bandiere che sventolavano da quelle banderuole spiegate che ornavano tutte le finestre della strada S. Honoré.

Ma Iddio solo, ed un uomo posto alla finestra d'un terzo piano, sapevano quel che cercavan quegli occhi.

Quegli occhi cercavano la casa indicata dalla principessa Elisabetta, e, al terzo piano di quella casa, il prete che dovea lasciar scendere su di lei le parole benedette.

Essa trova il numero, ed ad un segno fatto per lei sola riconobbe il prete.

Allora chiuse gli occhi, abbassò la testa, si raccolse in sè stessa e pregò.

Poi rialzò la testa circondata da un'aureola di gioia che fè stupire quelli che avean veduto operarsi questa trasformazione, di cui ignoravano la cagione.

Intanto, la carretta andava sempre innanzi.

Arrivando sulla piazza della Rivoluzione, si fermò precisamente dirimpetto al gran viale che va dal Pont tournant, alle Tuileries ‑ volse la testa verso il suo antico palazzo; qualche lacrima scorse sulle sue guance ‑ non era già per rammarico, senza dubbio, poichè essa, dacchè v'era entrata, non avea fatto altro che soffrire.

Avvertita che bisognava salire sul patibolo, la Regina scese immediatamente, ma con precauzione, i tre scalini del montatore.

Era sostenuta dal carnefice Sanson, su cui, nove mesi prima, s'era pure appoggiato il Re. Cosa strana! Quell'uomo era realista, in fondo al suo cuore, e morì di dolore per aver tagliato la testa a' suoi padroni.

Siccome avea fatto per il Re, egli ebbe per la Regina i più grandi riguardi.

Pochi passi le bastarono per passare dalla carretta al patibolo. Essa li fè, senza fretta come senza lentezza ‑ camminando col suo andamento solito. Poi, salì maestosamente i funebri gradini, che si ergevan a lei dinanzi.

La regina giunse sulla piatta‑forma; il prete continuò a parlare, senza ch'ella l'ascoltasse.

Un ajutante la spinse per le spalle, un altro le sciolse il fazzoletto che le copriva il collo.

Maria Antonietta sentì quella mano infame che la toccava, si rivolse, e calpestò il piede di Sanson, che era occupato a preparare l'ordigno fatale.

‑ Vi chiedo perdono, disse, non l'ho fatto a posta.

Poi, volgendosi verso il Tempio:

‑ Un'altra volta, addio figli miei, disse ‑ Vò a raggiungere vostro padre.

Queste furono le ultime parole che pronunziò Maria Antonietta.

Suonava un quarto d'ora dopo mezzo giorno, all'orologio delle Tuileries allorchè la mannaia cadde e separò la testa dal busto.

L'aiutante del boia prese quella testa dal paniere, e fece il giro del palco, mostrandola al popolo.

Così morì, il 16 ottobre 1793, Maria Antonietta Giovanna di Lorena, figlia d'Imperatore e vedova di Re.

Avea 37 anni e undici mesi, ed era rimasta ventitré anni in Francia.

La bara nella quale fu sepolta costò sette franchi, come lo provano i registri del cimitero della Maddalena.

Si sa come Tolone fu dato in mano agl'Inglesi, dall'Ammiraglio Trogloff, e dal Comitato realista.

Si è veduto Nelson venire a (,‑creare rinforzi a Napoli, e ritornare a Tolone con quei rinforzi.

Questi rinforzi eran destinati a far fronte ad un esercito di 30,000 uomini, composto delle milizie che, sotto il comando di Kellerman, aveano assediato Lione; di pochi reggimenti, tratti dall'esercito delle Alpi e da quello d'Italia ; più, di tutti i coscritti de' dipartimenti vicini. La lotta incominciò alle gole di Ollioulles. Il generale Duthell, che dovea dirigere l'artiglieria, era assente. Il generale Demmartin, suo luogotenente, fu posto fuori di combattimento in questo primo attacco; gli fu sostituito, di diritto, il primo uffiziale dell'arma: era un giovine capo di battaglione quello stesso che, il 20 giugno, appoggiato ad un albero delle Tuileries, avea detto:

‑ Che mi si diano due cannoni e 1200 uomini, ed avrò ben presto spazzata tutta quella canaglia.

Noi abbiam già detto che si chiamava Napoleone Bonaparte.

Bonaparte, diventato capo dell'arma, si presenta allo Stato Maggiore. E' introdotto innanzi al generale Cartaux, uomo superbo, dorato dai piedi alla testa, che gli domanda che cosa può fare per lui.

Il giovine uffiziale gli presenta il brevetto col quale è incaricato di porsi sotto i suoi ordini, per dirigere le operazioni dell'Artiglieria.

‑ L'artiglieria! risponde disdegnosamente il Generale, che dobbiam farcene dell'artiglieria?

‑ Prenderemo domani Tolone alla baionetta, e dopo domani la bruceremo.

Nulladimeno, qualunque fosse la sicurezza, leggete l'ignoranza, del generale in capo, egli non poteva, e, fosse pure alla baionetta, prendere Tolone senza riconoscerne le posizioni, perciò ebbe pazienza fino all'indomani ‑, ma allo spuntar del giorno, fè salire nel suo cabriolet, il suo aiutante di campo Dupas e il capo di battaglione Bonaparte, per ispezionare le prime disposizioni offensive. Dietro le osservazioni di Bonaparte, egli avea rinunziato, sebbene con pena, alla baionetta, ed era tornato all'artiglieria.

Il generale scende dal cabriolet coi due giovanotti, e penetra in una vigna, in mezzo alla quale, si vedono alcuni cannoni, collocati dietro una specie di rialzo.

Bonaparte guarda d'attorno e non indovina quel che si fa.

Il generale gode, per un momento dello stupore del suo capo di battaglione; poi, volgendosi verso il suo aiutante di campo, col sorriso della soddisfazione sulle labbra.

‑ Dupas, gli domanda, son quelle le nostre batterie?

‑ Sì generale, risponde questi.

‑ E il nostro parco?

‑ Sta a quattro passi.

E le nostre palle infuocate? Si fanno arroventare in una casetta vicina.

Bonaparte non poteva credere ai suoi occhi, ma era costretto di credere alle sue orecchie.

Misurò la distanza, con l'occhio esercitato dello stategico, vi è almeno una lega e mezzo di distanza, dalla batteria alla Città. Credendo allora, non già ad una sì profonda ignoranza, ma supponendo che fosse uno scherzo del generale, che, vedendolo così giovane, avesse potuto dubitare della sua esperienza, azzardò un'osservazione sulla distanza, e manifestò il timore che le palle infuocate, non giungessero alla città.

Il credi tu? disse Cartaux.

Lo temo generale.

Poi aggiunse:

‑ Del resto si potrebbe prima di occuparsi delle palle infuocate, fare una pruova colla palla a freddo, per assicurarsi della portata.

Cartaux trova l'idea ingegnosa. Fa caricare e sparare un cannone, e mentre egli guarda verso le mura della città, l'effetto che produrrà il colpo, Bonaparte gli fa vedere a 1500 passi innanzi a lui, la palla, che spezza gli ulivi, e va a morire saltellando ad ‑un terzo appena della distanza, che il generale credeva vederle percorrere. La prova era decisiva ; ma Cartaux non volle arrendersi, e pretese che quegli aristocratici di Marsigliesi aveano guastata la polvere.

Tutta via, siccome, guastata o no la polvere non porta più lontano, bisogna pensare ad altri provvedimenti.

Si ritorna al quartier generale, Bonaparte domanda un piano di Tolone, lo svolge, sopra la tavola, e dopo aver per un istante studiata la situazione e le diverse opere di difesa che stanno intorno alla città, il giovane capo di battaglione lascia da parte tutti gli antichi forti, e, mettendo il dito sopra un fortino, da poco innalzato dagl'lnglesi, e chiamato da loro, il piccolo Gibilterra, dice, con la rapidità e la concisione del genio.

‑ Là, sta Tolone!

Questa volta è Cartaux che non capisce. Egli ha preso letteralmente le parole di Bonaparte, e volgendosi verso il suo fedele Dupas

‑ A quel che pare, gli disse, il capitano Cannone, non è molto forte in geografia.

Questo fu il primo soprannome di Bonaparte; il secondo fu: il piccolo caporale.

In quel momento entrò il rappresentante del popolo, Gasparin; Bonaparte ne avea inteso parlare, non solo come d'un buon patriota, ma ancora come d'un uomo di sentimenti giusti e d'uno spirito intelligente.

Bonaparte si dirige a lui.

‑Cittadino rappresentante, egli dice, io sono capo di battaglione d'artiglieria ‑ A causa dell'assenza dei generale Duttreil e probabilmente per la ferita del generale Dommartin, quest'arma si trova sotto la mia direzione. Io domando che nessuno, fuori di me, non vi ponga la mano, ovvero, non mi rendo garante di nulla...

‑ E in caso contrario?

‑ Allora, mi rendo garante di tutto.

‑ E chi sei tu, per renderti garante di qualche cosa? domanda il rappresentante del Popolo maravigliato di trovare tanta risolutezza in un giovine di ventiquattro anni.

Chi sono? ‑ rispose Bonaparte, traendolo in un angolo e parlandogli a voce bassa: ‑ io sono un uomo che sa il suo mestiere gettato in mezzo a gente che non sa il suo ‑ Domandate al generale in capo il suo piano di battaglia, e vedrete se ho torto o ragione.

Il giovane uffiziale parlava con tal sicurezza che Gasparin non esitò più un momento.

‑ Generale, disse, avvicinandosi a Cartaux, i rappresentanti del Popolo desiderano che fra tre giorni tu abbia loro sottoposto il tuo piano di battaglia.

‑ Essi non devono aspettare che tre minuti soli, ed io vado a dartelo.

E mettendosi ad un tavolino, il generale in capo scrisse.

« Il generale d'artiglieria fulminerà Tolone per tre giorni ‑ in capo ai quali io l'attaccherò su tre colonne e me ne impadronirò.

Il piano di Cartaux fu spedito a Parigi, e mandato al Comitato del Genio, che lo trovò più burlesco che dotto. Cartaux fu richiamato e Dugommier fu mandato in vece sua. Il nuovo generale trovò, al suo arrivo, che tutte le disposizioni erano state prese dal suo giovane capo di battaglioni ‑ Questo era uno di quegli assedi in cui la forza ed il coraggio non possono far nulla in sulle prime, ed in cui il cannone e la strategia debbono preparar tutto. Neppure un piccolo angolo della costa, in cui l'artiglieria non avesse da fare con l'artiglieria ‑ Essa tuonava da tutte le parti come un immenso temporale in cui s'incrociano i lampi: tuonava dall'alto delle montagne e dall'alto delle mura; tuonava dalla pianura, dal mare : si sarebbe detto essere nello stesso tempo una tempesta ed un vulcano.

Innanzi a tutte le altre, Bonaparte avea stabilita la batteria sua, talmente esposta, che sul cader del primo giorno, non si trovò più nessuno che volesse farne il servizio ‑ i tre quarti degli artiglieri erano stati uccisi.

L'indimani Bonaparte fè innalzare sulla batteria una bandiera sulla quale era scritta questa leggenda

‑ Batteria degli uomini senza paura.

Un'ora dopo, egli era obbligato a ricusare i volontari che andarono a porsi sotto la bandiera.

Fu là, che, avendo da dare un ordine, e non fidandosi alla sua detestabile scrittura, domanda qualcuno per scrivere sotto la sua dettatura. Si presentò un sergente, prese una penna, la carta, l'inchiostro ‑ Sedette sopra un tamburro, e scrisse sulle sue ginocchia.

Appena finita la lettera ‑ una palla di cannone cade a tre piedi di distanza, e la cuopre di terra.

‑ Benissimo, disse il sergente, non avrò bisogno di arena 1

Bonaparte lo guarda:

‑ Tu sei un bravo ‑ gli disse ‑ come ti chiami?

‑ Junot.

Infatti era Junot che fu poi Governatore di Parigi, vicerè di Portogallo., ma che non potè essere maresciallo di Francia.

In mezzo a quel circolo di fiamme, i rappresentanti del Popolo volean far cambiare una batteria collocata da Bonaparte: il movimento era già cominciato, quando il giovane capo di battaglione sopraggiunse e fè rimetter tutto come stava prima ‑‑ I rappresentanti del Popolo vollero fargli qualche osservazione.

‑ Fate il vostro mestiere di deputati, disse loro e lasciate ch'io faccia il mio d'artigliere : quella batteria sta bene là, io ne rispondo sii la mia testa.

L'attacco generale incominciò il 16; d'allora in poi l'assedio non fu più che un lungo assalto. Nel mattino del 17 gli assedianti s'impadronirono del Passo Leide e della Croix de Faron ‑ A mezzogiorno snidarono gli alleati dal fortino S. Andrea, dai forti di Tormetz e da' due Sant'Antonio.

Sul far della notte, finalmente, al chiarore del temporale e dei cannoni, i Repubblicani penetrarono nel fortino inglese, la piccola Gibilterra, e là, raggiunto il suo scopo, e riguardandosi come padroni della Città, Bonaparte, ferito da un colpo di baionetta alla coscia, diceva al generale Dugommier, anch'egli ferito da due colpi di fuoco, uno al ginocchio, l'altro al braccio, e morto di stanchezza:

‑ Andate a riposare, generale, abbiam preso Tolone, e voi dopo dimane dormirete nelle sue mura.

Infatti, il 18, i forti dell'Equillette e di Balagnier son presi, e le loro batterie sono dirette sopra Tolone. Nel vedere parecchie case in fiamme, nell'udire i fischi delle palle che solcano le strade, scoppia la discordia fra gli Inglesi, i Portoghesi e i Napoletani. Allora gli assedianti, i cui sguardi si estendono sulla città e sulle rade., veggono appiccarsi l'incendio a parecchi punti che non hanno attaccati : sono gl'Inglesi che, determinati di evacuare la città, han messo fuoco all'arsenale, ai magazzini della marina ed ai vascelli francesi che non possono portar via ‑ Un grido generale si sente ; tutto l'esercito domanda l'assalto, ma è troppo tardi ‑ gl'Inglesi cominciano ad imbarcarsi sotto il fuoco delle nostre batterie abbandonando coloro che avean tradito la Francia, e che essi tradivano alla loro volta. Infrattanto sopraggiunse la notte. Le fiamme che si erano accese su parecchi punti si spegnevano in mezzo a gran rumore; sono i galeotti che han spezzato le loro catene, e che migliori patrioti dei traditori che han venduto Tolone, spengono gl'incendi accesi dagl'Inglesi.

L'indomani, 19, l'esercito Repubblicano entrò in Città, e, siccome l'avea predetto Bonaparte, quella sera, il generale in capo dormì a Tolone.

Il magazzino dell'alberatura era incendiato: venti bastimenti da guerra eran bruciati ‑ quindici portati via, trent'otto conservati.

 

 

 

 

 

MENU - Borboni di Napoli

Manda un messaggio

 

 

 

 

 

 

 

 


 [*1]  Figlio della signora Nelson da un primo matrimonio, il quale serviva sotto Nelson in qualità di Midshipmam. Il suo nome era Josuah Misbett.