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Di Alexandre Dumas |
Libro III
CAPITOLO XV
Il 24 maggio, dopo una fermata di quattordici giorni al Altamura, il Cardinale si mise di nuovo in marcia passando successivamente per Gravina, Poggio, Ursino, Spinazzola, Venosa ‑ la patria d'Orazio ‑ di poi Melfi, Ascoli, Bovino.
Durante il suo soggiorno ad Altamura, il Cardinale ricevette dal sapiente Dolomieu una lettera; gli raccontava che venendo dall'Egitto col generale Mansecourt, sopra un bastimento neutrale noleggiato dal Generale Alessandro Dumas, erano stati obbligati, ignorando la rottura della pace tra la Francia ed il regno delle Due Sicilie, di fermarsi a Taranto, per effetto di una tempesta, e, contro il dritto delle genti, erano stati fatti prigionieri e gittati in carcere. Egli chiedeva, in nome della lealtà che presiede o piuttosto che dovrebbe presiedere alle relazioni internazionali, che fossero loro resi i passaporti e rimessi in libertà.
Ruffo rispose a Dolomieu che, senza entrare in discussione sul dritto che aveva o che non aveva il Re delle Due Sicilie di far prigioniero tanto lui quanto i due generali francesi e gli altri suoi compagni, gli faceva solamente conoscere che non poteva loro accordare il passaggio per la via di terra, non conoscendo scorta per quanto coraggiosa fosse, che avesse potuto impedir che fossero massacrati, atteso che tutta la Calabria era insorta contro i Francesi, che quanto a rimandarli per la via di mare nol poteva senza il permesso degli Inglesi; ma tutto ciò che poteva fare era di riferirne al Re ed alla Regina.
Così fu fatto; ed il Re e la Regina per uscire d'imbarazzo dettero ordine di sbarazzarsi in un modo o nell'altro dei prigionieri.
Se ne sbarazzarono nel modo più semplice: avvelenandoli.
Mansecourt divenne pazzo essendo stato avvelenato nel tabacco. Dolomieu morì dopo qualche mese. Mio padre più vigoroso degli altri, e a cui i patrioti Italiani fecero pervenire del controveleno, resistette più lungo tempo ritornò in Francia, cambiato contro il general Mack e morì poco tempo dopo il suo ritorno, a 42 anni, d'un cancro allo stomaco, cagionato dall'arsenico.
Egli ha lasciato e pubblicato una relazione della sua cattività e di questi nove avvelenamenti.
L'esercito sanfedista, marciando a traverso le nude Campagne della Puglia, sembrava per l'immenso spazio che occupava, l'esercito di Serse.
Conoscendo che in queste contrade l'acqua si trova difficilmente, che non si poteva attingere che dai pozzi intorno ai quali la folla cagionerebbe degli attruppamenti e dei disordini, probabilmente ogni qualvolta avesse bisogno di rinfrescarsi, e che inoltre sarebbe necessario un tempo enorme, acciò tutti riprendessero il loro posto e si ricominciasse la marcia ‑ ai trasporti già così numerosi, il Cardinale aggiunse una grande quantità di carri con barili pieni di vino e di acqua che camminavano a distanza eguale sui fianchi dell'esercito, intorno a ciascuno di questi carri erano le persone incaricate di distribuire il vino. Quando i soldati avevano bisogno di riposarsi e di rinfrescarsi, un rullo di tamburro dava il segnale della fermata ed i rinfreschi erano distribuiti. Le stesse persone che li distribuivano erano incaricate di comprare nuovamente del vino e di attingere acqua, dovunque si trovasse dell'acqua fresca e del buon vino.
L'esercito sanfedista che come si vede viaggiava, con tutti i comodi della vita, viaggiava eziandio con tutti i divertimenti.
Aveva per esempio una musica se non eccellente, almeno clamorosa e numerosa composta di pifferi e cornamuse, di flauti, di violini e di arpe, di modo che tutti i zampognari che hanno l'abitudine di venire a Napoli per la novena dell'Immacolata e di Natale, eransi riuniti all'esercito; di tal che non solamente la marcia del Cardinale era un continuo trionfo, ma bensì una continua festa: si danzava, s'incendiava, si saccheggiava e si suonava. Era un esercito veramente felice quello di Sua Eminenza il Cardinal Ruffo.
In questo frattempo il Cardinale ricevette l'avviso giungendo a Spinazzola che 450 russi erano sbarcati a Manfredonia, sotto gli ordini del Capitano Bailly, accompagnati dal Ministro plenipotenziario Micheroux, e conducendo con loro otto pezzi di cannoni. Il Cardinale che attendeva con impazienza l'arrivo di queste milizie, aveva già spedito dei messaggieri a Manfredonia, acciò nulla loro mancasse e scrisse a Micheroux che aveva fatto ammenda onorevole della sua circolare reale, di avanzarsi fino a Montecalvello dove si riunirebbero.
Questa grata notizia dell'arrivo dei Russi tranquillizzò la città di Foggia.
Le autorità repubblicane, che nel fondo secondo gli storici del Cardinale erano realiste, non attendevano che il momento di fare arrestare e fucilare coloro che li avevano nominati e di dichiararsi apertamente per Ferdinando. Il momento era giunto, si arrestarono i patriotti che furono abbastanza balordi per farsi ingannare dalla maschera che i realisti aveva‑no un istante fatto il sacrifizio di mettersi sul volto; se ne fucilò una parte al grido di viva il Re e si tenne l'altra in prigione per esservi giudicata.
Nella sera del 29 maggio, il Cardinale giunse a Melfi, dove si fermò per celebrare la festa di S. Ferdinando e per fare riposare il suo esercito per un giorno. Per rendere la festa più brillante, la Provvidenza volle ‑ tutto accadeva da parte dei sanfedisti per cura della Provvidenza ‑ la Provvidenza volle adunque che per rendere la festa più brillante, comparissero di un tratto a Melfi il Capitano Acmeth, accompagnato da un altro officiale turco. Ammendue erano spediti da Corfù da Kady Bey ed erano apportatori di lettere del Comandante della squadra Ottomana che annunziavano che il gran visir aveva definitivamente dato ordine di soccorrere il Re delle due Sicilie, alleato della Sublime Porta con tutte le forze disponibili. Chiedeva per conseguenza se si fosse potuto sbarcare nelle Puglie qualche migliaio d'uomini, delle truppe che erano a Corfù per farli marciare contro Napoli di unite alle truppe Russe.
Il Cardinale si trovò nel momento un poco imbarazzato. Per quanto la sua educazione romana l'avesse reso libero da ogni pregiudizio, pur nondimeno si vergognava del f ar marciare di fronte la croce di Cristo e la mezzaluna di Maometto.
Ciò non erasi veduto da Manfredi in poi, e per Manfredi si sa, quest'alleanza riuscì male. Il suo imbarazzo era tanto più grande, in quanto che aveva fatto insistere per avere un rinforzo di truppe russe; ma i Russi non erano perfettamente degl'infedeli, non erano che scismatici, l'alleanza quindi era meno mostruosa, non diremo agli sguardi di Dio, il quale probabilmente a quell'ora stornava lo sguardo da tutte queste empietà, ma agli occhi degli uomini. Egli rispose dunque:
« Che il soccorso offerto avrebbe potuto essere utile a Napoli, quante volte questa città ribelle si fosse ostinata a resistere ; che il tragitto per terra, per la spiaggia dell'Adriatico era lungo ed incomodo, che i mezzi di trasporto mancavano, mentre che invece il viaggio per mare, da Corfù nel Golfo di Napoli, era oltremodo facile in quella stagione, cioè nel mese di maggio.
Egli proponeva, in conseguenza, di scrivere a Palermo, dove il rappresentante Turco combinerebbe tutto col Re Ferdinando e gl'Inglesi, di cui la squadra presentemente, secondo l'avviso che ne aveva ricevuto dalla Regina, si trovava nel Golfo di Napoli.
Questa risposta fu consegnata ai due
ambasciatori, i quali ricevettero e accettarono un invito a pranzo dal
Cardinale, Qui si presentò un altro imbarazzo. Gli ufficiali Turchi non
bevevano vino. Il Cardinale aveva avuto l'idea di vincere la difficoltà facendo
loro bere acquavite. Ma eglino stessi
s'incaricarono di tranquillizzare la coscienza del Cardinale dicendo che, «
Giacchè difendevano dei cristiani
potevano bere vino come essi ».
Grazie a siffatta infrazione della legge, il pranzo fu dei più splendidi, e si potè con la stessa bevanda, bere alla salute del Gran Sultano, Selim III, e di sua maestà, Ferdinando IV.
Il 31, sul far del giorno, l'armata
partì da Melfi e, passando l'Ofanto, discese in Ascoli, dove il Cardinale
ricevette il Capitano Baillie ed il plenipotenziario Micheroux che venivano a
complimentarlo. 1450 russi erano arrivati felicemente a Montecalvello, e vi
avevano immediatamente stabilito un campo trincerato che dal nome del loro
imperatore, avevano chiamato il forte S.
Paolo.
Il Comandante Baillie era irlandese e non parlava che l'inglese e il russo. Malgrado questa difficoltà si tenne consiglio; si adottò un piano, e quei signori fecero immediatamente ritorno a Montecalvello.
Il Cardinale comandò al Colonnello Carbone, con tre battaglioni di linea, con un distaccamento di Cacciatori Calabresi ‑ di partire nello stesso tempo che i due ambasciatori per servire d'avanguardia alle truppe russe nel Vallo di Bovino, fino ad Ariano. Caldissime raccomandazioni furono fatte al Commissario Apa, perchè vegliasse acciò le truppe alleate avessero viveri in abbondanza.
Da parte sua, il comandante Baillie lasciò al ponte di Bovino, dove il Cardinale la trov ò nel giungere, il 2 giugno a mezzogiorno, una scorta di 30 granatieri russi, comandati da un ufficiale la quale doveva servirgli di guardia d'onore.
Il cardinale discese al palazzo del duca di Bovino, dove poco prima si era fermato il barone D. Luigi de Riseis, che veniva come aiutante di campo di Pronio. Era la prima volta che il cardinale aveva notizie precise degli Abruzzi.
Seppe allora le tre vittorie dei francesi a San Severo, ad Andria, a Trani; ma nello stesso tempo, la loro rapida ritirata, cagionata dal richiamo di Macdonald nell'alta Italia. I capi realisti domandavano istruzioni al Vicario generale del Regno. Questi capi erano: negli Abruzzi, Pronio, nella provincia di Chieti; Salomone, in quella d'Aquila; e de Donatis in quella di Teramo.
Le istruzioni che questi tre capi ricevettero furono di mettersi d'accordo per bloccare Pescara dove si era racchiuso Ettore Carafa, e Capua, occupata dai francesi. Il resto delle truppe, che erano sotto i loro ordini, marcerebbe sopra Napoli, combinando i loro movimenti con quelli dell'armata del cardinale.
Una sola di queste istruzioni fu seguita: il blocco di Pescara.
Quella parte della Terra di Lavoro
che stendesi tra Capua e Terracina, era completamente in potere dei due più
spietati briganti che avessero mai potuto avere un Dio e un Re per alleati.
Questi due uomini, o piuttosto queste due macchie di sangue, si chiamavano Fra Diavolo e Mammone.
Non è cosa facile il procurarsi notizie a Napoli intorno ai banditi vivi o morti. Sebbene impiccato da 56 anni circa, Fra Diavolo ispira ancora ai suoi compatriotti un salutare terrore. Ho scritto allo stesso figlio di lui che, volendo essere giusto verso di tutti, aspettavo da lui qualche notizia su suo padre. Il figlio che abita a Napoli e che vi gode tranquillamente dell'onorevole fortuna acquistata dall'autore de' suoi giorni; più, della pensione che gli davano i Borboni e che, in virtù delle convenzioni fatte fra il Piemonte e l'Italia meridionale, continua ad essergli pagata dal Governo italiano, giacchè tutte le pensioni sono state mantenute ‑ il figlio ha creduto bene di non rispondere. Colletta e Cuoco mi lasciavano incerti. Sono stato per conseguenza ad Itri, mi son diretto ad un medico, uomo di scienza ed onorato, cui ero raccomandato, ed ecco le particolarità che ho potuto raccogliere.
Michele Pezza, più conosciuto sotto
il nome di Fra Diavolo, perchè
all'astuzia dei monaco univa la
malizia del Diavolo, è nato ad ltri,
da una povera famiglia che vivea giorno per giorno, facendo un piccolo
commercio d'olio alla minuta, che portava nei paesi vicini, addosso di muli; fu
dapprima chierico, ed essendo destinato alla Chiesa portò per qualche tempo la
sottana; onde gli venne il suo soprannome di Fra.
Fin dalla sua gioventù lasciò scorgere le sue cattive inclinazioni. Deposto l'abito di monaco, cominciò ad impararsi la musica, per farla quindi da cantante in pubblica piazza, diunito ad un vecchio e rispettabile artista; ma, avendo avuto che dire col suo maestro, lo scolaro l'uccise con una fucilata, mentre costui pranzava in un giardino, seduto alla stessa tavola, dove si trovava egli.
Quest'assassinio avvenne verso il 1796 od il 1797. L'uccisore era forse allora in età di anni diciannove. Fu il suo primo operato; dopo del quale se ne fuggi nella montagna. Da due anni già vi si dava al mestiere di bandito allora quando sopravvennero gli avvenimenti da noi narrati or ora. Allora, Fra Diavolo ebbe una rivelazione, quella cioè che era Borbonico e bigotto, e che perciò doveva farsi Sanfedista per espiare il suo delitto, consacrandosi alla coltura del diritto divino.
Quindi si recò colla sua banda, poca numerosa ancora, ad offerire i suoi servigi al Re Ferdinando ed alla Regina Carolina refuggiati in Sicilia. Fu accolto da costoro, ricevette dal re il titolo di capitano, si ebbe in dono dalla Regina un bello anello che si conserva tuttora in famiglia, e sen ritornò a Sperlonga, dove sbarcò, con una banda di 300 malfattori, e dove cominciò sin d'allora quell'illustre carriera che finir dovea alla forca.
Presa Napoli e partiti i Francesi, la regina gli mandò, in una lettera in cui chiamavalo « Mio caro Colonnello » un riccio de' suoi biondi capelli.
Fu catturato sotto il regno di re Giuseppe, dal generale Hugo, padre dell'illustre poeta. Potremo dunque dare sulla morte di lui, particolari, del tutto nuovi; e gli terrem dietro, nell'avventurata sua carriera, per que' sette ad otto anni che ancora deve vivere.
In quanto a Mammone ‑ sono stato men fortunato. La città di Sora è popolata de' suoi parenti, e va altera della gloria sua; dimodochè m'è riuscito impossibile, non ostante le mie lettere al Sindaco, al Consiglio municipale e ad altri, di ottenere alcun ragguaglio sconosciuto, sul conto di lui. Ci è forza adunque contentarci di ciò che narra di lui, il suo contemporaneo Coco:
« Mammone Gaetano, prima molinaio, indi generale in capo
dell'insorgenza di Sora, è un mostro orribile di cui difficilmente si ritrova
l'eguale. In due mesi di comando, in poca estensione di paese, ha fatto fucilar
trecento cinquanta infelici, oltre del doppio forse uccisi dai suoi satelliti.
Non si parla de' saccheggi, delle violenze, degli incendii, non si parla delle
carceri orribili nelle quali gittava gli infelici, che cadevano nelle sue mani,
non de' nuovi generi di morte, dalla sua crudeltà inventati. Ha rinnovate le
invenzioni di Procuste e di Mesenzio. Il suo desiderio di sangue umano era tale, che si beveva tutto quello
che usciva dagl'infelici che faceva scannare; chi scrive lo ha veduto egli
stesso bevesi il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con avidità quello
degli altri salassati che erano con lui; pranzava avendo a tavola qualche testa
grondante di sangue; beveva in un cranio
«
A questi mostri scriveva Ferdinando da
Sicilia.
« ‑ Mio Generale e mio Amico[*1]!
Quello stesso pudore che aveva fatto riflettere Ruffo due volte per marciare di concerto con i turchi, nella crociata contro Napoli, lo stomacava, all'idea di avere ad alleati uomini come Fra Diavolo e Mammone. Aveva dunque ripugnanza a dar loro ordini diretti, e conoscendo lo stomaco meno dilicato degli inglesi, si rivolse al capitano Troubridge acciò volesse dare l'ordine a Fra Diavolo e a Mammone di lasciare libera la strada da Capua a Terracina. La politica del Cardinale, invece di bloccare in Napoli i nemici del Re, era, al contrario, di aprir loro tutte le porte per poterne uscire, atteso che per quanti francesi e patriotti avrebbero lasciato Napoli, altrettanti ostacoli scomparivano sul sentiero del Cardinale: egli seguiva questa massima: « A nemico che fugge il ponte d'oro ». Per disgrazia, la lettera del Cardinale non raggiunse Troubridge, già partito dal golfo di Napoli ‑ diremo più tardi in quale occasione.
I due banditi continuarono dunque ad
operare in nome di Dio e del Re. Il 3 giugno il Cardinale arrivò ad Ariano,
posto sulla cima la più elevata degli Appennini, che si chiama per questa
ragione il balcone della Puglia,
e che non aveva allora e non ha nemmeno oggi altra strada tranne quella consolare che va da Napoli a Brindisi e che passa in mezzo alla città. Dalla parte di Napoli la salita è così ripida che le vetture di Posta non possono ascenderla che con l'aiuto dei buoi e che dalla parte della Puglia non vi si giunge che percorrendo il lungo e stretto Vallo di Bovino. Nel fondo di questa gola scorre il torrente Cervaro e sopra la riva del torrente ai piedi della montagna che lo domina, è scavata la strada che scende da Ariano al Ponte di Bovino. Il versante di questa montagna è cosi ingombro di rupi che un centinaio d'uomini, spingendo giù queste rupi e facendole rotolare attraverso la strada, basterebbero per arrestare la marcia di un esercito.
Il dimani del suo arrivo ad Ariano, come il Cardinale visitava il Campo dei Russi posto fuori della porta di Napoli, furono condotti d'innanzi a lui due individui che erano stati arrestati allora, in un calesse, i quali si annunziavano mercanti di grano e pretendevano andare in Puglia per fare i loro acquisti.
Ma quando il prelato ebbe dinnanzi a sè i due viaggiatori, non ebbe nemmeno bisogno d'interrogarli atteso che uno dei due era un antico suo cuoco, chiamato Coscia il quale non nascose per conseguenza più la vera causa del suo viaggio. Egli era mandato dai realisti di Napoli in contro al suo antico padrone per sapere a che punto erano le cose, e particolarmente per informarsi, se ciò che si diceva dell'arrivo dei Russi era vero, essendo quello che più preoccupava i Patriotti.
Costoro non avevano dimenticato i celebri Ungheresi di Andrea e non facevano gran differenza tra ungheresi e russi.
Laonde Eleonora Pimentel, non potendo ammettere questo sbarco a Manfredonia diceva nel Monitore che, per fare credere a questo soccorso moscovita, il Cardinale aveva rivestito con l'uniforme russo e fatto sbarcare sulle puglie 3, o 400 galeoti.
Il cardinale, che conosceva i dubbi che si sarebbero mossi a Napoli sopra l'identità dei suoi moscoviti, mostrò il reggimento intero ai due viaggiatori dicendo loro
‑
Non è che l'avanguardia, l'esercito vien dietro.
I due viaggiatori fecero come S. Tommaso: guardarono e toccarono.
‑ Ora, disse il cardinale, ritornate a Napoli e dite ciò che avete veduto.
Dipoi dette loro qualche moneta russa d'argento per portare con loro.
Oltre a ciò, consegnò a Coscia un pezzo di carta sul quale avea scritto di sua propria mano: La malaga è sempre malaga ‑ incaricandolo di consegnarlo secretamente a sua sorella, la principessa di Campano.
Questa frase inintelligibile per chiunque altro, era una specie di parola d'ordine nella famiglia Ruffo, per dire che tutto andava bene, e che ben presto si sarebbero riveduti.
Il 5 giugno finalmente giunse da Palermo D. Scipione Marra. Egli recava al cardinale due lettere di Carolina: una era secreta e per lui solo, l'altra che accompagnava la famosa bandiera promessa da Ferdinando, doveva essere stampata, letta e distribuita all’esercito.
Qualche giorno prima, ne aveva già ricevuta un'altra. Siccome queste due lettere dànno insieme degli schiarimenti su ciò che era avvenuto nel Golfo, su ciò che avveniva a Palermo e su ciò che andava ad accadere in Napoli, le metteremo tutte e tre sotto gli occhi dei nostri lettori, avendo la fortuna di possedere questi documenti ignoti alla storia, copiati da noi sopra ali originali, e che saranno pubblicati da noi per la prima volta.
« Profitto di un'occasione che va in diritura in Calabria da Vostra Eminenza per scriverli queste poche versi ed assicurarla che non so che amirarla in tutta la sua condotta, il Signore sia quello che la benedicha Conserva e la colma di tutte le felicità che tanto merita so che il Re li manda la copia delle lettere dell'Ammiraglio Troubdirge che blocha Napoli e perciò mi resta pocho a dirle ma vedo da tutto che in quella Capitale il maggiore numero e de' buoni ed attaccati ma non vi vorra pietra e bisognera caciare destrugere anientire e deportare la Cattiva Erba che avelena gli altri per conoscerle bastano i loro numerosi stampati da loro stessi firmati. Li Vescovi Sacerdoti Monaci sono quelli a mio senso più rei, il loro stato stesso avendole dovuto premunire contro simile scilerato pensare li nobili mi payano matti insensati in somma continua amirazione su la grande e profondo Corruzione ma Vostra Eminenza riparera tutto la mia intiera fiducia e nella di lei persona e ne vivo tranquillissima Napoli pare vicino a fare da se la Contra Rivoluzione e per pocho che vedesse forze che le sosterrebbero la cosa sarebbe fatto Aspetto sempre le sue notizie con un impacienza imaginabile e so di ben sinceri Voti al Cielo alfine che il Signore la Benedicha ed assista secondo le sue voti qui viviamo in continuo ansieta speranza per le notizie di Napoli e di Calabria il nome di Vostra Eminenza non si proferisce che per benedirlo io non voglio tratenere il lattore di questa ma termino con sicurarlo che sono piena di rispetto e fiducia e gratitudine.
« li 14 Aprile 1799
« Sua bene Affezionatissima
vera amica
« CAROLINA
« Scipione la Marra freme per desiderio di servire sotto gli auspici di Vostra Eminenza tre Ufficialetti Esteri fugiti di Napoli, dove mai hanno volsuto prendere servizio hanno l'istesso vivo desiderio che si chiamano Kumtobel uno Vochener sono alfiere e tenente ma pieno di fuoco e buona volontà. Vostra Eminenza mi dirà sinceramente se le vuole o no. Tschudy comanda 400 Esteri nelle isole mille e mille complimenti miei al degno suo fratello ».
Finalmente, Scipione la Marra giungeva dopo essere stato annunciato, come l'abbiam visto dalla lettera precedente, portando questo dispaccio, in data degli 8 Maggio:
« Vostra Eminenza ricevera questa dell'attacato zelante e fedele Don Scipione la Marra, esso avrebbe desiderato che li fossero state consegnati tutti i soldati Calabresi tanto della guarnigione di Palermo che di Messina, per portare un rinforzo effettivo a Vostra Eminenza e farsi onore, ma non li ed stato permesso e parte per ogni lato aflito, ma pieno di zelo spero che vostra Eminenza se ne potra servire porta lui la Bandiera da noi fatta la nostra lettera ai Calabresi ed i canoncini di Montagna sperava in numero di 20, ma li afusti non sono fatti e perciò sarà in numero di otto salvo a mandare li altri apresso, purchè Vostra Eminenza ci faccia sapere dove le vuole, le ultime lettere di Cassano non erano molto consolante mi rincrescerebbe molto che l'infelice Buca ciampi che io non conosco afato ma che ha servito, fosse sagrificato di quei scelerati Ruvo era ultimamente in Napoli, secondo che Gente da lì venuto mi hanno deto, le cose di Napoli non sono punto consolante le nostre canaglie di Giacobine, sono in molto numero e gran fanatismo, tanto più che capiscono che si trata di tutto per loro Salerno fu Realizzata poi di nuovo ripreso sachegiato partiti i Giacobini, di nuovo messo il Padiglione dell Re Castel a mare pure si e messo per il buon partito ma fu di nuovo ripreso e sachegiato Sorrento e la Costa si difendeva caldamente, benchè quel birbo di Caraciolo per mare animava soccorreva li Giacobini la condotta di quel Ingratissimo furfante mi fa orrore che non se gli ed fato di attenzione ancora a Palermo, e tutta la sua rabbia fu di non averci con lui imbarcato per essere a sua disposizione e dei suoi amici e traditori felloni il sentire i dettagli di Napoli e le individuazione fa fremere bisogna dire che non vi ed che il basso popolo fedele ma gli Alti ceti sono perfidissimi la Marina e Artiglieria tutta cattiva [*2], molti Uffiziali, e infinita nobiltà e saputelli meze Paglieti studenti io non ardisco quasi più dimandare del tale o del tale aspettandomi una dispiacevole risposta desidero ardentemente riprendere il Regno, rimetterei l'onore e lasciare il Patrimonio alli miei figli, ma l'animo mio a sofferto una forte scossa ed e totalmente alienate ma per sempre confesso non era tanto, prima speravo mi lusingava spiegavo per timore viltà molte cose, ma l'atroce seguita condotta di tutti i nostri più Beneficati mi aliena interamente. Domenica compisco 31 anni di dimora in Napoli dove non ho pensato che agli altri mai a me sono senza un capitale senza un soldo senza un palmo di tereno, ne casino di campagna o cercato servire obbligare non mi ho mai lasciato trasportare di nissun odio e ho ritrovato NISSUNO questo e una orribile verita ma che su di un'animo come lo mio fa efetto e molto, faro il mio dovere e lo faro sempre ma il mio cuore ed chiuso per sempre, desidero riavere il stato che ci appartiene, il suolo che ed nostro, ma vorrei mai più vedere o se le circostanze dovere necessiteranno la mia presenza, saro a Napoli senza tratare ne vedere tanti e poi tanti ingrati, ma procurando la felicità abondanza di vivere, esatta giustizia dell'unicha classe fedele che ed il Popolo per me questa rivoluzione e tutta le sue circostanze mi ha amazata e per sempre distruta la mia felicità buono che non sarà lunga la mia salute essendo molto distruta e peggiorando giornalmente.
« Ma parliamo di cose più allegre mando a Vostra Eminenza la Gazeta che parla del successi dell’ Imperatore che sono veramente grande e felice se durano così potra redimere l'Italia dell peso che ci oprime Se i Santi Russi promessi e stipulati per Trattato venissero non vi sarebbe che desiderare [*3] perchè le bombe e Russi insieme Napoli si sogioghi ma ci vuole forza li nostri felloni agendo con vigore e forza e usando tutti mezzi Mando a Vostra Eminenza la copia scritta dell stampato emanato dei nostri Solloni, per li fidecommiss e feudy questo li fara un gran partito nelle Provincie ed il Re dovra tutto confermare per non disgustare la provincie ed il numero maggiore più attaccato dei suditi e seguendo la massima che ci vuole nobilta più tosto ricrearla gia quella che vi ed esiste diminuita per sua colpa ed acclamazione di potere ma non credo possibili dopo questa proclamazione e senza disgustare tutti i sudditi provinciali, ritornare li dritti perduti da genti infedeli e vili e rimettere le cose sul piede antico alle persone fedeli a quelli che si sono sagrificati con e per noi se li accorderà de' Principali, per riconoscenza a loro adetta ma non alla generalita Basta disgraziatamente non siamo ancora anzi ben lontani di essere nel caso di parlare di ciò, Scipione la Marra che porta questa e munito di una lettera scritta da noi alli Calabresi coll'invio dalla bandiera a avuto la permissione di far vedere lettera e bandiera per strada per animare e raccogliere gente come pure di prendere 60‑100 e 150 uomini di Messina e venire con questi da Vostra Eminenza ed ofrirsi alla sua direzione ed ordine lui avendo pure un grado di Colonnello di Mach avuto che per onesta e moderazione non ha fatto valere ma per il quale il Re fa scrivere a Vostra Eminenza di darcelo alla prima occasione, la presto l'occasione perchè sono sicuro che Scipione servira sempre bene e Volesse il Cielo il Re avesse avuto sempre gente come a lui di cuore volonta e Corragio e percio tanto lo raccomando a Vostra Eminenza, Aspettiamo con infinita premura sue nuove sperando sentire più consolante le ultime di Napoli sono dell 3 di maggio tutto vi era in tranquillità Sorrento si difendeva malgrado li attachi reiterati di Caracciolo che fa come un ingrato forsenato Prego Vostra Eminenza di farmi sapere come sta e che e sia successo della Madre di Castelcigala [*4] che doveva stare in Provincia di Matera a Calvello e di cui il figlio non ne ha nessuna notizia vorrei potere tranquillizzare quell onest'uomo e perciò gli do questo incomodo desidero presto ricevere sue buone e felice notizie e mi creda pure che sono sempre in pensiero preso di lei e con sincero vero e Grato cuore riconoscente ed attaccata amica.
CAROLINA
Li 8 maggio 1699
Devo ancora raccomandarli Salvatore Morrone Romano, questo infelice era agutante del povero Valentino fucilato ragazo pieno di fuocho Entusiasmo per il bene che se si condura bene come mostra volerlo fare la prego di incoragiarlo e di nuovo lassicuro di tutta la mia Riconoscenza e stima.
Agiungo questi due versi alle altre già scritte l'onesto Scipione la Marra e state dalle solite lungherie trattenuto e sua disposizione parta con vero zelo senza un soldo [*5] ma pieno di buona volonta lo raccomando a Vostra Eminenza niente di nuovo sa di Napoli dicono che i Francesi se ne vanno di Livorno pure si afretano mandare il rubato, questa sera abbiamo ottime nuove che i Russi ed Turchi sono sbarcati e che le altri si vedono verso Agusta Voglia il Cielo che ciò sia vero addio Vostra Eminenza ne sapra più di me il Cielo la Conserva la felicità e mi creda con grato cuore sua vera Eterna Amica.
« CAROLINA
Queste due lettere se se ne dubitasse ancora, sarebbero la pruova irrecusabile che la mano della regina diriggeva tutti gli affari politici.
Il Re, di cui abbiamo la corrispondenza sotto gli occhi, non è che una specie d'automa che ripete le gesta e una parte delle parole di sua moglie.
E' vero che quando trattasi di ordinare che s'impicchi e ghigliottini ne dice tante e grida forte quanto essa.
Del resto la bandiera, annunziata e assegnata all'onesto la Marra, era magnifica e ricamata colle proprie mani della Regina e delle Principesse Reali.
Rappresentava da un lato le armi dei Borboni di Napoli con questa leggenda: Ai MIEI CARI CALABRESI e dall'altra parte la Croce con questa iscrizione, la stessa che brillava, 1450 anni prima, sopra la bandiera di Costantino: IN HOC SIGNO VINCES.
Ecco dunque la lettera che l'accompagnava destinata a pubblicarsi.
Bravi
e valorosi Calabresi.
« La bravura, il valore e la fedeltà da voi dimostrata per la difesa della Santa Cattolica Religione e del Vostro buon Re e Padre da Dio stabilito per reggervi, governarvi felici hanno eccitato nell'animo nostro sentimenti così vivi di soddisfazione e di gratitudine, che ci siamo determinati a formare ed ornare colle nostre proprie mani la Bandiera,
« Questo sarà sempre un luminoso contrassegno del nostro sincero affetto per Voi, e della nostra gratitudine alla Vostra fedeltà ed al vostro attaccamento per i Vostri Sovrani; ma, nel tempo medesimo dovrà essere un vivissimo sprone per farvi continuare ad agire collo stesso valore e collo stesso zelo, sino a tanto che resteranno intieramente debellati sconfitti e schiacciati i nemici della nostra Sacrosanta Religione e dello Stato, cosicchè possiate e Voi e le vostre dilette famiglie, la vostra Patria, godere tranquillamente i frutti de' vostri sudori e della vostra bravura, sotto la protezione del vostro buon Re e Padre FERDINANDO, e di tutti Noi, che non tralasceremo di ritrovare delle occasioni per dimostrarvi che serberassi indelebile ne' nostri cuori la memoria della vostra fedeltà e delle vostre gloriose gesta.
« Continuate dunque, bravi Calabresi a combattere col solito valore sotto di questa Bandiera, ove colle nostre proprie mani ci abbiamo impressa la Croce, ch'è il segno glorioso della nostra Redenzione. Rammentatevi prodi guerrieri, che, sotto la protezione di un tal segno sarete vittoriosi; abbiatelo Voi per guida, correte intrepidamente alla pugna, e siate pur sicuri che i vostri nemici saranno sconfitti.
« Noi intanto coi sentimenti della più viva gratitudine preghiamo l'Altissimo, che è il donatore di tutt' i beni, affinchè si compiaccia di assistervi nelle vostre intraprese, che riguardano principalmente il suo onore e la sua gloria, e la vostra e la nostra tranquillità; e piene di affetto e riconoscenza per Voi siamo costantemente.
« Palermo 31 marzo 1799
« Vostra grata e buona Madre.
MARIA CAROLINA.
MARIA CLEMENTINA.
LEOPOLDO BORBONE.
MARIA CRISTINA.
MARIA ANTONIA.
Questa lettera fu stampata ad Ariano per mezzo della stamperia dell'armata e sparsa per ogni dove. L'originale mandato a Catanzaro fu deposto negli archivi dell'Accademia reale per conservarne perpetua memoria.
Finalmente la bandiera, dopo la campagna, dopo essere stata benedetta da monsignor Minucci, fu data al primo reggimento Reali Calabresi.
Fu sulla strada di Benevento, e nel momento in cui il Cardinale dava degli ordini perchè si difendesse accuratamente il passaggio delle Forche Caudine, che ebbe notizie di Roccaromana e del principe di Moliterno.
Il Principe di Moliterno non volendo servire la Repubblica, era andato a cercare un asilo all'estero. Ma la ambizione di Roccaromana e senza dubbio pure i suoi antichi legami con la Corte, le sue recenti relazioni con la regina Carolina, l'aveano spinto a fare di più come l'abbiamo detto. Erasi dunque messo o piuttosto aveva tentato di mettersi col suo reggimento dalla parte del Cardinal Ruffo. Ma il suo reggimento aveva ricusato di seguirlo, erasi allora ritirato nel suo feudo e di colà avea spedito un messaggiere al Cardinale per domandargli se voleva riceverlo come semplice volontario nella sua armata.
La maggior parte delle popolazioni delle vicinanze di Napoli erano insorte contro il Governo Repubblicano. Ma le province non avevano capi per organizzarle e diriggerle. Ora il Cardinale, di cui gli ordini non erano stati punto seguiti per il blocco di Capua, aveva il desiderio che questo blocco si fosse fatto acciò i difensori di detta città non potessero punto portare soccorso a Napoli, nel momento in cui l'avrebbe attaccata. Per cui credette vedere in Roccaromana l'uomo capace di eseguire siffatta manovra. Gli scrisse incoraggiandolo in questa risoluzione e lodando un valore che era spinto in lui fino alla temerità; l'incaricò di riunire le bande sparse, di fare una scelta fra le stesse e di bloccare Capua; l'autorizzò in oltre a imporre tasse e a pagare i suoi uomini in ragione di 25 grana al giorno.
Terminati gli affari correnti a Ariano, l'armata Cattolica si rimise in marcia per la via consolare, l'avanguardia occupò la posizione di Monteforte ed il Prelato fece la sua entrata nella città di Avellino.
In questo momento e come ognuno gridava Viva il Re e la Religione a chi meglio poteva, una sola voce si fea sentire che rispondeva al grido universale, con quello di Viva la Repubblica, muoiano i tiranni. Si arrestò colui che aveva avuto l'audacia di profferire simile grido e si vide che era il presidente della Municipalità di un paese vicino che si era battuto la vigilia contro i Realisti e che, già ferito, era venuto per procurare di disorganizzare l'armata sanfedista. Gli si fece il suo processo e siccome il delitto era patente, sebbene il suo difensore si provasse a farlo passare per pazzo, fu condannato a morte e impiccato alla porta della città.
Questo piccolo dispiacere in una così bella unanimità turbata dal grido di quell'uomo e dal suo supplizio, fu compensata, secondo lo storico del Cardinale da una lettera che questi ricevette dal Re e nella quale sua maestà gli annunziava che S. A. R. il Principe ereditario s'imbarcava nel vascello ammiraglo Inglese per recarsi nel porto di Napoli, dove formavasi una formidabile riunione di vascelli inglesi e portoghesi. Il Re sperava che alla vista della flotta unita Napoli sarebbe troppo felice di rendersi e di aver ricorso alla Clemenza Reale. Dato questo avviso il Re ordinava al Cardinale di nulla intraprendere contro la Capitale prima dell'arrivo della flotta inglese.
Questa lettera del Re arrestò il Cardinale che senza di essa marciava diritto su Napoli. Non fu adunque più questione che di decidere qual posizione si occuperebbe attendendo l'arrivo della flotta inglese. Il Cardinale voleva prendere posizione a Capo di Chino, ma Micheroux e Baillie furono di avviso contrario; Baillie particolarmente che non voleva, come comandante delle truppe russe, che si abbandonasse il littorale. Per quanto il Cardinale facesse osservare che da Capo di Chino l'armata dominava nel tempo istesso il passaggio di terra e la strada che seguiva il littorale, tutti e due persistettero
Ruffo fu costretto a cedere e ad avvicinarsi al Tirreno. Ma prima di lasciare Avellino spedì verso Napoli il suo aiutante di Campo D. Giuseppe Mazza, per riconoscere gli approcci della Capitale e studiare i mezzi di difesa di cui i repubblicani l'avevano circondata. Per sua sicurezza il Vicario Generale gli aveva dato delle lettere patenti di parlamentario, con facoltà di proporre al primo Comandante repubblicano che incontrasse, la cessione senza combattimento della Capitale. In questo caso, in ricompensa del sangue risparmiato, il Parlamentario era autorizzato in nome del Cardinale a promettere buone condizioni; ma nell'avanzarsi Giuseppe Mazza vide che era stata abbandonata qualunque difesa avanzata, e senza poter rendersi conto della loro presenza, trovò anche cannoni sulla strada maestra. Giunse così fino a Casanova, villaggio vicino a Napoli, senza avere incontrato, non solo nessuna divisione di truppa, ma neanche un solo reggimento dell'armata repubblicana. Credendo allora avere sufficientemente adempiuto alla sua missione di esploratore e rammentandosi dei parlamentari di Cotrone e d'Altamura, fece ritorno al quartiere del Cardinale, annunziandogli che nulla difendeva gli approcci di Napoli e che se qualche resistenza volessero i repubblicani tentare, doveva essere sotto le mura istesse della città. Durante l'assenza del suo aiutante di campo il Cardinale aveva ricevuto la seguente lettera del Re, interamente, scritta di sua mano, la quale gli cagionava gravi riflessioni.
Palermo, l. maggio 1799
« Eminentissimo, mio. Dopo di aver letta e riletta e con la massima attenzione considerata quella parte della Vostra lettera del l' aprile, che riguarda il piano da formarsi sul destino de' molti rei, caduti e che possono cadere nelle nostre forze sia nella Provincia, sia quando col Divino aiuto ritornerà sotto il mio dominio la Capitale; debbo prima di tutto dirvi che ho trovato quanto mi scrivete sull'assunto, pieno di saviezza e di quei lumi, intelligenza, ed attaccamento, delle quali cose, mi havete dato, e state dando indefessamente le più certe e non equivoche ripruove. Vengo quindi a palesarviquali siano le mie determinazioni sull'assunto.
‑ Convengo pienamente con voi che non bisogna inquirere molto, tanto più che come molto bene Voi dite, si sono svelati in modo i cattivi soggetti che è facile in breve tempo, essere al giorno de' più perversi.
« La mia intenzione e volontà dunque si è che siano arrestati e cautamente custoditi le seguenti Classi di principali Rei, ciò è: Tutti quelli del governo provvisorio, e della commissione esecutiva e legislativa di Napoli, tutti i membri della commissione militare e di polizia, formata da' repubblicani, quelli che sono delle diverse municipalità, e che hanno ricevuta una commissione in generale della repubblica o dai francesi, e principalmente quelli, che hanno formata una commissione per inquirere sulle pretese depredazioni da me e dal mio governo fatte ; Tutti gli uffiziali che erano al mio servizio, e che sono passati a quello della sedicente Repubblica o de' francesi; ben inteso però, che è mia volontà, che quando i detti uffiziali venissero presi le armi alla mano, contro le mie forze o quelle de' miei Alleati, sieno dentro il termine di 24 ore fucilati, senza formalità di processo, e militarmente; come egualmente que' baroni, che coll'armi alla mano, si opponessero alle mie forze od a quelle de' miei Alleati: Tutti coloro, che hanno formato, o stampato Gazzette Repubblicane proclami ed altre scritture, come opere per eccitare i miei popoli alla rivolta, e disseminare le massime del nuovo Governo. Arrestati egualmente debbono essere gli Eletti della Città e i deputati della Piazza che tolsero il Governo al passato mio Vicario Pignatelli, e lo traversarono in tutte le operazioni con rappresentanze, e misure contrarie alla fedeltà che mi dovevano. Voglio che siano ugualmente arrestati una certa Luisa Molines Sanfelice, ed un tal Vincenzo Cuoco, che scoprirono la controrivoluzione de' Realisti, alla testa della quale erano i Backer, padre e figli. Fatto questo, è mia intenzione di nominare una commissione straordinaria di pochi ma scelti Ministri sicuri, i quali giudicheranno militarmente i principali Rei fra gl'arrestati, con tutto il rigor delle Leggi; e quelli che verranno creduti meno Rei saranno economicamente deportati fuori dei miei dominj loro vita durante, e gli verranno confiscati i beni. E su questo proposito debbo dirvi, che hò trovato molto sensato, quanto mi havete rappresentato rispetto alla deportazione, ma bilanciati tutti gl'inconvenienti trovo che val meglio di disfarsi di quelle vipere, che di guardarle in casa propria, giacchè se io avessi una Isola di mia pertinenza, molto lontana dai miei dominj del Continente adotterei volentieri il sistema di rilegarveli, ma la somma vicinanza delle mie Isole ai Due Regni, renderebbe possibile qualunque trama che costoro potessero ordire coi scellerati e malcontenti che non si sarà riuscito a stirpare dai miei stati; D'altronde, i rovesci considerabili, che i Francesi grazia a Dio hanno sofferti, e che speriamo abbiano maggiormente a soffrire metteranno i deportati nell'impossibilità di nuocerci. Converrà però ben pensare al luogo della deportazione, ed al modo col quale effettuirla con accerto: e a questo mi sto ora occupando.
« Riguardo alla Commissione, che dovrà giudicare quelli che sono maggiormente Rei, subito che avremo in mano Napoli, non mancarò di pensarci, contando per quella Capitale, farli andare da qui. Rispetto poi alle Province per i luoghi dove Voi siete, può continuare de Fiore, quando Voi ne siate contento, e così crediate: In oltre, quelli tra gli Avvocati Provinciali e Reggi Governatori, che non han preso partito con i Repubblicani, che sono attaccati alla Corona e che sieno persone di intelligenza possono venir destinati con tutte le facoltà straordinarie inappellabili, e delegate: non volendo che Ministri tanto Provinciali che nella Capitale, i quali hanno servito sotto la Repubblica (anche come voglio sperare spinti da un irresistibile necessità) giudichino i felloni coi quali la mia clemenza soltanto, non li situa. Anche per quelli, che non sono compresi nelle Classi che in questa vi ho specificate, vi lascio la libertà di far procedere con tutto il rigor delle Leggi, quando li giudicherete veri e principali Rei e che crederete necessario il loro pronto ed esemplar castigo.
« I Ministri Togati dei Tribunali della Capitale, quando non habbiano accettato commissioni particolari de' Francesi e dalla Ribbella Repubblica, e non hanno fatto che continuare le loro funzioni, di render la giustizia ne' Tribunali ne' quali sedevano, non verranno molestati. Queste sono per ora le mie determinazioni, che v'incarico di fare eseguire nel modo che giudicherete possibbile, e ne' luoghi ne' quali ne havrete la possibbilità.
« Mi riserbo, subbito che riacquisterò Napoli di fare, qualche aggiunzione che gli avvenimenti e le cognizioni, che si acquisteranno potranno determinare: Dopo di che, è mia intenzione, seguendo i doveri di buon Cristiano, e di Padre amoroso de' miei Popoli, di dimenticare interamente il passato, ed accordare a tutti un intero e general perdono, che possa rassicurare tutti da ogni traviamento passato, che proibirò ben anche di indagarsi, lusingandomi che quanto hanno fatto sia provenuto, non da perversità di animo, ma da timore e pusillanimità[*7]. Bisogna però che le cariche pubbliche nelle Province, siano soltanto affidate a persone che si siano sempre ben condotte colla Corona, e che in conseguenza, non abbiano mai vacillato, perchè così solo, potremo esser sicuri di conservare quello che si è riacquistato. Prego il Signore che vi conservi pel bene del mio servizio, e per potervi dimostrare in tutti i tempi la mia vera e sincera gratitudine. Credetemi intanto sempre lo stesso Vostro Affezionato.
FERDINANDO B. »
Post‑Scriptum. Siccome rilevo dalle lettere di de Curtis che alcuni antichi militari che erano stati forzati ad incorporarsi fra i Ribelli, o con il nemico, si sono presentati per unirsi alla mia truppa, abbandonando i loro posti a quest'effetto, ed altri hanno partecipati di voler secondare attivamente le operazioni della medesima negli attacchi, benchè situati fra i Ribelli. Vengo pertanto ad eccettuare dalle pene comminate contro i Militari, che han preso servizio tra essi coloro i quali:
« O che si presentassero spontaneamente subbito e dando pruove delle sincere disposizioni, e pentimento, servissero coraggiosamente ed utilmente colle mie truppe. « Oppure, coloro i quali cooperassero, come lo hanno dichiarato, con fatti precisi o clamorosi, e non equivoci al vero vantaggio delle mie armi, nella distruzione del nemico, o nell'acquisto, procurato alle mie Truppe, di forti o posti importanti.
« Nel mandar copia di tutto quanto ho a Voi prescritto in questa lettera ho lasciato alla Giustizia del Troubridge l'adoprare quelle eccezioni, ne' casi che stimerà convenire pel godimento della Grazia. Dalle sopradette ultime lettere venute da Procida, con vero dolore abbiamo inteso, che dai Ribbelli siano stati ripresi Castellammare e Salerno respingendo quella poca truppa che colà troppo precipitatamente se ci era mandata. Dio faccia che il Corpo di Cuccio sia giunto in tempo come si vocifera, per darli aiuto. Acchiudo in questa il nome di uno che sento siasi distinto, se è così ve lo raccomando, come vi raccomando il fu Governatore di Aversa, soggetto‑ che si è sempre fatto onore ».
Si potrà facilmente comprendere la preoccupazione in cui l'aiutante di campo Marra, trovò il Cardinale.
Una lettera siffatta dà a riflettere.
Aspettate, prima di chiudere questo capitolo, ancora una lettera! Che volete? la materia abbonda, le ricchezze traboccano.
Si rammenta che la regina ha parlato al Cardinale di un Giudice, spedito da Palermo per condannare i patriotti presi nelle isole, Uomo severo dice Ella.
Ecco ciò che ne dice Troubridge, al quale come si è veduto il re concesse una piccola parte del suo dritto di grazia.
La lettera o per dir meglio le lettere sono indirette a Nelson. Il povero inglese non vi comprende nulla o piuttosto vi comprende una cosa sola, cioè, che si vorrebbe mettere tutto il sangue che si sta per versare, sul conto dell'Inghilterra.
« A bordo del Culloden, in vista di Procida
13 aprile 1799.
« E giunto il giudice; m'ha fatto l'impressione dell più velenosa creatura che mi sia stato dato di vedere. E’ d'uopo abbia perduto compiutamente la ragione: dice che sessanta famiglie gli sono indicate, e che gli occorre assolutamente un vescovo che sconsacri i sacerdoti [*8] perchè possano costoro essere giustiziati. Gli ho detto d'impiccarli prima; che, se non crede la forca degradante abbastanza, ben io la credo tale
« TROUBRIDGE ».
« 18 Aprile.
« Due giorni or sono, il giudice venne da me, ad ofIrirmi di profferir sentenza. Solo mi diede ad intendere, che tal suo procedere non sarebbe del tutto regolare. Dalla sua conversazione potei comprendere che le sue istruzioni erano di procedere fino al termine, in un modo sommario, e SOTTO DI ME. Gli dissi che per quest'ultimo punto s'ingannava a partito; poichè non si trattava di sudditi inglesi. E’ curioso il suo modo di fare i processi; al solito, i colpevoli sono assenti, di maniera che, capite bene, la faccenda è presto terminata. Quello che chiaro risulta da tutto ciò, si è che veggo, volersi addossare a noi la parte odiosa dell'affare; ma non è questo il parer mio e camminerà diversamente, ve ne do parola, o sarà malmenato da me, occorrendo.
« TROUBRIDGE ».
7 Maggio 1799
« Milord, ho avuto or ora un lungo colloquio col giudice; m'ha detto che avrebbe terminate tutte le sue operazioni nella prossima ventura settimana, e che era usanza de' suoi colleghi, e quindi la sua, di non ritirarsi se non dopo aver condannato: le sue condanne terminate, ha soggiunto, dovrebbe immediatamente imbarcarsi sopra un legno da guerra nostro. M'ha detto ancora che, mancando il vescovo per sconsacrare i preti, si mandavano codestoro in Sicilia ond'esservi sconsacrati per ordine del re, e quindi rinconducevansi qui, per impiccarli. Un vascello inglese per fare questa bisogna. Oibò! E dimandarmi un impiccatore, ah! in quanto a questo ho rifiutato nettamente. Se non si può trovare un boia qui, se ne mandi uno da Palermo. Veggo lo scopo. Uccideranno essi, ed il sangue ricadrà su di noi. Non si ha idea della procedura di questi uomini, nè come si fanno le deposizioni de' testimonii ‑ quasi sempre, i colpevoli non compariscono innanzi al giudice che per sentirsi condannare. Ma il nostro giudice vi trova il suo conto, perchè la maggior parte de' condannati è molto ricca.
« Del resto, ho la coscienza tranquilla adesso, rispetto a Caracciolo, Egli è senz'altro un Giacobino. Vi mando una sua lettera, che non lascia alcun dubbio a questo riguardo.
« TROUBRIDGE ».
In vero, non siamo punto in Napoli, non siamo punto in Europa, siamo presso i Cannibali, in qualche baia della nuova Caledonia e assistiamo a un consiglio d'antropofagi.
Il Re Ferdinando, che per un istante erasi rammaricato della perdita di Vanni, trovato avea meglio di ciò che avea perduto: avea trovato Speciale!
Vi sono veramente dei principi che
hanno la mano felice!
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[*1] Coco
[*6] Quella stessa che fu poi Regina de' Francesi.
[*7] Ignoriamo se questa frase, posta dopo una lista di proscrizioni degne di Silla, d'Ottavio e di Tiberio, sia un terribile scherno o se sia stata scritta seriamente.
[*8] In una sua lettera al Cardinale, la Regina dice che i più colpevoli, coloro a' quali non bisogna perdonarla affatto, sono i preti patriotti.