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Di
Alexandre Dumas
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CAPITOLO II.
Mentre che il governo
repubblicano stabilivasi a Napoli, volgiamo lo sguardo sulla Sicilia e sulle
Calabrie e vediamo quali avvenimenti erano sul punto di conipiervisi.
Sulla parte di terra,
bagnata dal mar Tirreno, gli ordini o meglio le istruzioni del governo
provvisorio, vennero esattamente seguite e le quattro provincie di Salerno,
della Basilicata, di Cosenza e di Catanzaro furono democratizzate:
contemporaneamente le autorità regie divenivano repubblicane, gli alberi della
libertà si drizzavano nel più piccolo villaggio. I municipi vennero istallati,
le Guardie Nazionali organizzate e la popolazione gridò con tutta la forza
della voce: Vivano la libertà e l'eguaglianza, viva la Repubblica Napoletana,
muoiano i tiranni!
Quattro paesi soltanto della
Calabria ulteriore, Palmi, Bagnara, Scilla e Reggio, tutti e quattro situati
sulla costa che fronteggia Messina, restarono senza alcun cambiamento politico:
questa fedeltà alla causa dei Borboni era dovuta all'influenza del Consigliere
D. Angelo di Fiore.
D'onde derivava questa
influenza, andremo a dirlo, improntando qualche linea alla biografia del
Cardinal Ruffo, scritta da Domenico Sacchinelli, ciò che proverà ai nostri
lettori che noi non sprezziamo alcuna sorgente, e che vogliamo, senza curarci
del lavoro e della fatica, giungere alla verità, nostro solo ed unico scopo.
E’ Sacchinelli che parla.
« In fine un'ultima
cospirazione fu scoverta nel 1798, a Reggio di Calabria. Vi fu messo a morte un
settario, gran peccatore, il quale, pria di essere giustiziato, volle secondo
la bolla Pontificia abiurare la sua setta, manifestando, oltre la confessione,
l'oggetto non solo del complotto, ma benanco dei complici : fra le altre cose,
dichiarò che il settario Logoteta [*1] era venuto da Napoli a Reggio, a concertarsi con vari giacobini
calabresi, per favorire uno sbarco di truppe Francesi, che Bonaparte dovea
gettare sulle coste della Calabria, al suo passaggio da Malta in Egitto, sbarco
che non aveva potuto aver luogo perchè Bonaparte era stato avvisato a Malta che
veniva seguito dalla squadra Inglese, ciò che lo determinò a cambiare strada e
a dirigersi direttamente sull'Egitto.
Angelo De Fiore, Auditore
all'udienza reale di Catanzaro, incaricato di prendere informi sul complotto e
di riunire le pruove in una procedura giudiziaria, accusò di complicità
settantacinque individui, li fece arrestare durante la notte del 13 decembre e
li mandò nella cittadella di Messina.
« Le circostanze di questi
75 individui prigionieri e ritenuti come ostaggi in Sicilia, il timore che
avevano i parenti che le prove che darebbero alla rivoluzione potessero nuocere
ai captivi, in fine la forza armata della quale erasi disposto per questo
espediente e della quale poteva ancora disporre Angelo de Fiore, avevano mantenute
quelle quattro Provincie nell'obbedienza regia.
« E fu un miracolo della
provvidenza, soggiunge l'autore, che quella spiaggia restasse così aperta per
facilitare la grande intrapresa del Cardinal Ruffo ‑ di cui esporrò tutti
i fatti e tutte le circostanze ‑ quaeque ipse miserrima vidi. »
Il desiderio di fare una
citazione latina trasporta evidentemente l'autore più lontano di quel che vuol
andare, poichè confessa che, seguendo il Cardinale, ha visto delle miserande
cose.
Queste miserande cose, noi
le racconteremo con la massima imparzialità.
Nel numero dei personaggi
che si eran rifuggiati a Palermo, al seguito del Re, eravi il Cardinale Fabrizio
Ruffo, del quale abbiamo già lungamente intrattenuto i nostri lettori, a causa
della parte importante che prende nel seguito di questa istoria.
Appena tutta la famiglia
Reale arrivò a Palermo, un consiglio fu tenuto fra la Regina, Acton, Emma Lyonna,
Nelson e il cardinale Ruffo, per provvedere ai mezzi onde impedire alla
rivoluzione di attraversare lo stretto.
L'avviso del Cardinale Ruffo
fu che il mezzo più sicuro per raggiungere questo risultato era di trasportare
la reazione in Calabria.
Ora, noi lo dicemmo, gli
uomini potenti in Calabria erano allora i Ruffo.
Il Cardinale offrì
risolutamente di porsi alla testa del movimento reazionario; la sua offerta
venne accettata con riconoscenza ‑ e al ritorno da una caccia si fece
firmare al Re il diploma seguente, del quale diamo letteralmente il testo.
CARDINALE RUFFO
« La necessità di accorrere
prontamente con ogni efficace e possibil mezzo alla preservazione delle
province del Regno di Napoli dalle numerose insidie, che i nemici della
Religione, della Corona, e dell'ordine promulgano ed adoprano per sovvertirle,
mi determina ad appoggiare a' di lei talenti zelo ed attaccamento, la cura ed
importante commissione, d'assumere la difesa di quella parte del Regno non ancora
invasa dai disordini di ogni genere e dalla rovina che la minaccia nell'attual
seria crisi.
« Incarico pertanto Vostra
Eminenza, di portarsi sollecitamente nella Calabria, come la parte che
premurosamente ho a cuore di porre la prima nel massimo grado di praticabile
difesa, per combinare le operazioni o misure con quelle che convengono alla
difesa del Regno di Sicilia e camminare in esse di concerto contro il comune
nemico, tanto per rendere immune l'una o l'altra parte da ostilità, come dei
mezzi di seduzione che si possano introdurre, negli stessi loro litorali, per
arte e tentativi dei malintenzionati della Capitale, o del resto dell'Italia.
« Le Calabrie, la
Basilicata, le Provincie di Lecce; Bari e di Salerno, l'avanzo di quella di
Terra di Lavoro e di Montefusco, eh è restato dopo la scandalosa cessione
fatta, saranno l'oggetto delle di lei massime ed energiche premure.
« Ogni mezzo, che
dall'attaccamento alla religione, dal desiderio di salvare le proprietà la vita
e l'onore delle famiglie, o dalle ricompense per chi si distinguesse, crederà
di potere impiegare, sarà adoprato senza limiti ugualmente che i castighi i più
severi. Qualunque molla finalmente che giudicherà poter suscitare in
quell'istante, e crederà capace di animare quegli abitanti, ad una giusta
difesa, dovrà eccitarla, Il fuoco dell'entusiasmo, in ogni regolar senso,
sembra nell'attual momento il più atto a superare come a contrastare con le
novità, che lusingano l'ambizione di alcuni, con l'idea di acquistare per
rapine, colla vanità e l'amor proprio di altri e coll'illusoria speranza, che
offrono i fautori delle moderne opinioni e de' maneggi rivoluzionari, ma di cui
gli esempi in tutta l'Italia, ed Elvezia presentano il contrario aspetto e le
più desolanti conseguenze.
« Per mandare ad effetto
ogni qualunque misura, diretta alla conservazione delle provincie, al
riacquisto benanche di quelle invase come a quello della disordinata Capitale,
l'autorizzo come Commissario Generale, nelle prime provincie, ove manifesterà
la sua commessione e con la qualità di Vicario Generale di quel Regno, allorchè
si troverà in possesso, e munito di attiva forza in tutte o nella maggior parte
delle medesime, a fare i proclami, che stimerà meglio e conducenti al fine
ingiuntole.
« Le accordo coll'Alter ego,
le facoltà di rimuovere nel mio nome ogni Preside, ogni Regio Amministratore,
ogni Ministro di Tribunale, ed inferiori impiegati in qualunque grado politico,
come anche di sospendere ogni uffiziale militare, allontanarlo, farlo
arrestare, occorrendo, se ne troverà motivo, e d'impiegare interinalmente chi
stimerà per rimpiazzare le vacanze, e finchè le abbia io approvate per la
proprietà, sulle di Lei richieste, acciò tutti i dipendenti del governo
riconoscano nell'Eminenza Vostra il Superiore primario da me destinato a
dirigerli, ed agiscano con vivacità, senza mora nè difficoltà alcuna a quanto
necessita negli ardui e critici attuali momenti.
« Questa caratteristica di Commissario
o di Vicario Generale sarà assunta a di Lei scelta nel modo e quando crederà
conveniente all'oggetto, perchè colle facoltà ed alter ego che le concedo, nel più esteso modo, intendo che faccia
valere e rispettare la mia Sovrana Autorità, e con essa preservi il mio regno
da ulteriori danni.
« Dovrà perciò adoprare con
severità e prontuariamente ogni più rigoroso mezzo di castigo, qualora a ciò lo
richiami la necessità del momento e della giustizia, sia per farla ubidire, o
per ovviare a' seri sconcerti onde coll'esempio, e col togliere di mezzo la
radice o seme che troppo rapidamente potesse estendersi e germogliare,
negl'istanti di disorganizzazione delle Autorità da me stabilite, o dalla
disposizione di alcuni al sovvertimento, venga riparato a maggiori eccessi ed
inconvenienti.
« Tutte le casse regie di ogni denominazione dipenderanno dai suoi ordini. Veglierà che non ne passi somma alcuna nella capitale, mentre si trova questa nello stato d'anarchia in cui senza legittimo governo, soggiace attualmente. Il denaro di dette casse sarà da Lei, adoprato pel comune e necessario bene delle provincie, ne' pagamenti opportuni al governo civile e ne' mezzi di difesa, da provvedersi istantaneamente, come al pagamento dei loro difensori.
« Mi darà conto regolare di
ciò che sull'assunto avrà stabilito o penserà di stabilire, e sopra di cui vi
fosse tempo da sentire le mie risoluzioni e ricevere i miei ordini.
« Sceglierà due o tre
Assessori legali, probi, e di sua fiducia, per affidar loro la decisione di
alcune cause più gravi, che per appello doveano mandarsi ai tribunali della
Capitale : acciò essi terminino con finale decisioni quelle pendenze nel modo
il più breve. Potrà prevalersi dei Togati della Capitale o de' ministri delle
provincie per tale commissione autorizzandoli a decretare benanche le altre
cause che ai medesimi stimerà di commettere, come anche gli appelli che ne
venissero portati, ed assicurerà colla dimissione di detti ministri, se
occorrerà, la più retta giustizia, che amministrerà in mio nome nelle provincie
da Lei dipendenti.
« Dalle annesse carte che le
riunisco, rileverà che nella persuasione che non fosse del tutto sbandato il
numeroso esercito che teneva in quel regno, e da cui sono stato crudelmente
servito, aveva ordinato che quegli avanzi si fossero portati in Salerno, e fino
nelle Calabrie per difesa di esse, o per un concerto indispensabile colla
Sicilia. Nei momenti attuali, qualunque sia il Comandante che si presenterà in
esse provincie con qualche truppa, dovrà andar d'accordo in ogni parte di
servizio e movimenti con V. Eminenza, cessando necessariamente le disposizioni
enunciate negli annessi fogli, ma il Duca della Salandra, o altro generale che
giungesse con detta truppa, seguiterà le prescrizioni nuove che qui accenno. Le
notificherà al medesimo, e spedirò in appresso quelle provvidenze ulteriori,
che i lumi e notizie che mi manderà potranno richiedere.
« Rispetto dunque alla forza
militare dovendo presumere che non n'esista della regolare, sarà di Lei cura ed
è, l'oggetto principale della sua Commissione, di eccitare ogni mezzo ed ogni
maggiore energia perchè si riorganizzi un corpo militare qualunque, sia
composto esso di soldati fuggiaschi, o disertori, che in patria riacqistassero
il coraggio e l'animo che ha distinto i bravi corpi dei calabresi ne"
recenti fatti col nemico; oppure sia di quei buoni e ben pensati abitanti che
le sacre ragioni esposte e patenti di valida difesa come l'onore nazionale
posson indurre efficacemente a prendere le armi.
« Per ottenere ciò io non le
prescrivo i mezzi che tutti lascio al suo zelo, tanto in modi d'organizzazione
che per la distribuzione delle ricompense d'ogni genere: se queste saranno in
denaro, potrà accordarle subito; se saranno in onore ed impieghi che
prometterà, potrà istallare interinamente quelli che giudicherà e me ne renderà
inteso per la conferma ed approvazione, come pei distintivi promessi.
« Giungendo la truppa
regolare che aspetto potrò farne passare una porzione in Calabria, o in altre
parti della terra ferma, come egualmente quei generi in munizioni ed
artiglieria, che potrò dividere fra quelle provincie e la Sicilia.
« Sceglierà le persone di
sua fiducia che nel militare, o in impieghi politici crederà di situare alla
sua immediazione; stabilirà per essi condizioni provvisorie ed appoggerà loro
quelle incombenze che stimerà poter meglio convenire.
« Per le spese di V.
Eminenza, adopererà la somma di ducati millecinquecento
il mese, che possono esserle indispensabilmente necessarie, ma le accordo
ogni ulteriore somma maggiore che crederà convenire al disimpegno della sua
Commissione, nel portarsi specialmente da un luogo all'altro, senza peso alcuno
a que' popoli ed università.
« Le concedo parimente l'uso
del denaro che troverà nelle casse (e che sarà sua cura di farsi entrare dalle
stabilite percezioni) per adoperarne porzione all'acquisto di notizie
indispensabili alla sua commissione, sia dalla Capitale o dalle Provincie, sia
anche da fuori per le mosse del nemico. Siccome trovasi nel maggior disordine
la detta Capitale pei partiti che la lacerano, e dei quali è giuoco il popolo,
farà vegliare da abili ed adattati soggetti, ad informarsi del tutto bene e giornalmente;
e si procurerà ivi benanche delle corrispondenze ed intelligenze che fomentino
tra i buoni e cordati vassalli i veri sentimenti d'attaccamento ad ogni loro
più sacro dovere: non risparmierà denaro per quest'oggetto quando crederà
poterselo proficuamente impiegare.
« In casi parimente da lei
creduti necessari o opportuni potrà adoprare somme e promesse per guadagnarsi
soggetti che possano rendere servizi utili allo stato, alla religione e corona,
negli attuali momenti.
« Non mi estendo in dettagli
maggiori per le misure di difesa che nel massimo grado da lei aspetto; molto
meno per quelle contro le mozioni interne, attruppamenti, seduzioni, emissari,
e mala volontà di alcuni. Lascio al discernimento di V. Eminenza il prendere le
più pronte determinazioni, e per la giustizia subitanea contro tale
delinquenti. I Presidi (quello di Lecce specialmente) alcuni ben cordati
vassalli ed abitanti in quelle parti, i Vescovi, i parrochi ed onesti
Ecclesiastici, la informeranno di tutto dei bisogni, come dei mezzi locali, e
questi ultimi saranno certamente adoperati con quella straordinaria energia e
vivacità, che prescrivono le circostanze.
« Attendo dall'Imperatore
soccorsi d'ogni genere: il Turco me li promette ugualmente: così la Russia:
onde le squadre di quest'ultima potenza, prossime al littorale di queste
regioni, sono pronte a soccorrermi.
« Ne avviso lei, perchè
nelle occasioni possa prevalersene ed ammettere benanche porzione di quelle
truppe nelle provincie, se il caso lo richiedesse; come ricevere pure dalle
loro squadre quegli ajuti che la natura delle operazioni facessero considerar
utili alla sicura loro difesa.
« Le accenno queste misure
dipendenti dall'esterno per ogni buon fine, mentre le farò passare indi quelle
ulteriori notizie che riguarderanno un più sicuro concerto. Lo stesso saprà
relativamente agl'Inglesi, la squadra de' quali veglia asseverantemente alla
salvezza della Sicilia.
Ogni modo di ricevere nuove
e di spedirmele regolarmente almeno due volte la settimana sarà da lei
stabilito ed assicurato con precisione, perchè le notizie concernenti la
importante sua Commissione mi giungano spesso e opportunamente come necessarie
e indispensabile alla difesa di questo Regno.
« Confido nel suo attaccamento
‑ e nei suo’ lumi ed attendo ch'Ella corrisponderà, come ne sono sicuro,
a quanto vivamente e pienamente da Lei spero.
Palermo 25 Gennaio 1799.
FERDINANDO.
Come si vede, Ferdinando non
perdeva tempo: queste istruzioni erano date a Palermo il dopodomani
dell'entrata dei Francesi a Napoli, e tre giorni dopo la proclamazione della
repubblica Napoletana.
Le intenzioni reali vennero
rimesse al Cardinal Ruffo con tre mila ducati che dovevano aiutarlo a fare il
viaggio da Palermo in Calabria ‑Il Principe di Luzzi, allora ministro
delle finanze, lo prevenne nel tempo stesso che il Marchese D. Francesco
Taccone, Tesoriere generale del Regno di Napoli, era arrivato a Messina con
500,000 ducati contanti che avea rilasciati in cambio di biglietti di banca ‑
Ora, poichè questa somma apparteneva alla cassa generale del Regno di Napoli,
il re preveniva il Cardinale che l'autorizzava a disporre di questa somma per
applicarla ai bisogni della sua spedizione; inoltre, lo stesso Principe di
Luzzi era benanco incaricato di dirgli che erano stati dati ordini al Generale
Danero, Governatore della Piazza di Messina, onde mettesse a sua disposizione
le armi e le munizioni necessarie ‑ e gli apprestasse infine qualunque
aiuto che sarebbe in potere di arrecargli.
L'aiutante reale, Marchese
Malaspina, venne, con l'autorizzazione del Ministro della Guerra Acton, messo a
disposizione del Cardinale [*2].
Lo stesso giorno, 27
Gennaio, il Cardinale prese congedo dal Re e dalla famiglia Reale, si mise
immediatamente in viaggio, percorrendo la via, metà per terra ‑ metà per
mare, secondochè gli si offriva la facilità di andare più sollecitamente.
Giunto a Messina, sua prima
cura fu di mettersi alla ricerca del Marchese Taccone; ma questi si ricusò alla
consegna dei cinque cento mila ducati, affermando che prima della sua partenza
da Napoli, egli li aveva, per ordine del Generale Acton, rimessi al Vicario
Generale, Pignatelli. Il Cardinale gli chiese allora di fargli il conto della
sua situazione o meglio della situazione della sua Cassa; ma il Marchese
rispose che gli era impossibile dare dei conti, attesochè le carte ed i
registri della tesoreria erano rimasti a Napoli. Il Cardinale Commissario
conosceva abbastanza l'uso che hanno i contabili napoletani di alterare le loro
cifre per insistere ulteriormente ; si diresse al Generale Danero pensando che
con armi e con munizioni potrebbesi alle strette fare ammeno del denaro; ma non
ne ricavò miglior profitto. Temendo il General Danero che le armi e le
munizioni che dava al Cardinale non fossero destinate a cadere nelle mani del
nemico, ricusò di rimettergliele.
Il Cardinale scrisse a
Palermo per lagnarsi col Re; Danero scrisse, Taccone scrisse scusandosi,
accusando gli altri. Ma, siccome il Cardinale non aveva il tempo d'attendere la
risposta, a causa dell'urgenza della situazione, e siccome il Consigliere D.
Angelo De Fiore era passato dalla Calabria a Messina, ed aveva prevenuta Sua
Eminenza che Palmi, Bagnara, Scilla e Reggio erano in procinto di
democratizzarsi e che una volta democratizzate sarebbe impossibile sbarcare in
Calabria senza una forza considerevole, persuaso che non eravi un momento da
perdere per ricondurre al re tutti quei cuori titubanti, il Cardinale decise di
partire allo istante per le Calabrie, affidandosi al suo genio avventuroso ed
al presentimento che aveva di condurre la sua spedizione a buon termine.
Ora, ecco in quale stato
sociale trovavasi la Calabria la popolazione potea dividersi in tre classi: la
prima fanatizzata dai preti, attribuendo alla collera che ispiravano al Signore
le nuove dottrine che infiltravansi nella società, tutti i mali del tempo,
eruzioni del Vesuvio, terremoti, carestia, raccontando seriamente che a Lecce,
la statua di S. Oronzo erasi orribilmente agitata sulla sua base, al momento in
cui si piantava l'albero della libertà; che a Copertino, la statua di S.
Giuseppe aveva sparso abbondanza di sudore, che a Mesagne, l'immagine della
Beata Vergine del Carmine aveva cambiato di colore durante più ore, in fine che
nella terra di Santa Susanna un Crocifisso gettò sangue dalla ferita del suo fianco.
La seconda classe era quella
degl'indifferenti, curando solamente di vivere tranquilla che domandano a non
compromettersi con nessun partito, e che fanno la classe di quelle ombre, vista
da Dante nell'inferno, la quale non era stata nè per Dio, nè per Satana, ma per
sè stessa: la classe egoista in fine.
La terza classe era quella
degli spiriti intelligenti che, vergognosa della servitù e della ignoranza in
cui vivevano i loro compatriotti chiamavano con tutto il cuore un progresso
morale e politico, di quelli che, avendo viaggiato, studiato a Napoli, erano
ritornati in casa loro imbevuti delle nuove dottrine di Vico, di Genovesi, di
Filangieri; che, ammiratori della rivoluzione Francese, deplorandone gli eccessi,
ne avevano adottato i principi e avrebbero voluto senza effusione di sangue, e
anche col poco che bisogna spargerne nelle catastrofi politiche, applicarle
all'Italia meridionale. Costoro erano i meno numerosi, ma erano i più
intelligenti, i più arrischiosi, i più intraprendenti, i più bravi.
Gli è per l'influenza e gli
sforzi di cotestoro, che tutte le Calabrie eransi così prontamente
democratizzate, meno le quattro città, da noi già nominate, che, per
circostanze particolari, D. Angelo di Fiore avea mantenute sotto l'influenza
del Re; ma che per confessione dello stesso, se non si era sollecito, sarebbero
in procinto di sfuggire a questa influenza.
Il Cardinale, come dicemmo,
non perdette tempo e l'otto febbraio 1799, egli sbarcò sulla spiaggia di Catona
di rimpetto a Messina, al punto stesso che al tempo dei Lucani, chiamavasi
Bructium, e quando la Calabria era la Magna Grecia, chiamavasi Columna regina.
Tutto il suo seguito
consisteva nel marchese Malaspina luogotenente del Re, l'abate Lorenzo
Sparziani suo secretario, D. Annibale Caporossi suo Cappellano – questi due
ultimi romani e sessagenari ‑ D. Carlo Cuccaro di Caserta, suo cameriere,
e un semplice domestico. Egli arrecava con sè
una bandiera rappresentante da un lato le armi reali e dall'altro la
croce con questa leggenda, improntata al Labarum
di Costantino: in hoc signo vinces.
Era stato preceduto dal
Consigliere D. Angelo de Fiore, che rattrovavasi al punto dove egli sbarcò, con
quasi trecento uomini armati, la maggior parte vassalli di Ruffo di Scilla o di
Ruffo di Bagnara e comandati da D. Francesco Cortone di Scilla, officiale delle
milizie provinciali.
Ci diffondiamo forse un poco
minutamente su tutti questi dettagli; ma noi crediamo che in ciò è la vera
storia.
Il Cardinale andò ad
alloggiare lo stesso giorno nella villa di suo fratello il Duca di Baranello,
situata nel più incantevole punto di vista dello stretto: subito al balcone
della villa, fu spiegata la bandiera Reale, sotto la guardia dei trecento
uomini, nucleo della futura armata del Cardinale che bivaccava all'intorno del
Casino.
Da questa prima sosta il
Cardinale spedì un'enciclica ai Vescovi, ai curati, al clero, a tutta la
popolazione in fine.
Egli diceva che al momento
in cui la rivoluzione procedeva in Francia col regicidio, con la proscrizione,
con l'ateismo, con la minaccia ai preti, col saccheggio delle Chiese, colla
profanazione dei luoghi santi; quando la stessa cosa erasi verificata a Roma,
col sacrilego attentato commesso sul Vicario di Gesù Cristo; quando gli effetti
di questa stessa rivoluzione riproducevansi a Napoli, col tradimento
nell'armata, l'obblio dell'obbedienza nei sudditi, la ribellione nella capitale
e nelle Provincie, era dovere di ogni buon cristiano, di ogni onesto cittadino
di difendere la religione, il Re, la patria, l'onore della famiglia, la
proprietà; e che, sopra tutto, spettava ai ministri del Santuario di dare
l'esempio.
Per conseguenza egli dava
per punto di riunione a tutti gli uomini della montagna che risponderebbero
alla sua chiamata, Mileto, e ad ogni uomo della pianura, Palmi.
I Calabresi della pianura e
della montagna erano dunque invitati a prendere le armi, ed a recarsi al
convegno indicato.
Questa enciclica, scritta e
spedita con corrieri verso i quattro punti cardinali, il Vicario generale
discese, conducendosi fino alla riva del mare.
Là egli vide due uomini
usciti da una barca, e in uno di questi due uomini credette riconoscere
l'ammiraglio Francesco Caracciolo, che, come dicemmo, aveva scortato il Re da
Napoli a Palermo.
Egli si avanzò verso di lui:
era in effetti Francesco Caracciolo; l'altro un Francese chiamato Perier.
Questi due uomini che divenivano nemici mortali, si strinsero la mano un ultima
volta e scambiarono fra loro le ultime parole cordiali.
Francesco Caracciolo
raccontò al Cardinale che, disgustato di servire il Re per le ingiustizie che
gli erano state fatte, e sopra tutto per la preferenza offensiva data da
Ferdinando a Nelson nel passaggio della famiglia reale in Sicilia, aveva
lasciato la sua corvetta a Palermo, ed aveva chiesto a S. M. l'autorizzazione
di ritornare a Napoli; che il Re gliela aveva accordata, ma con questa
restrizione tutta gesuitica, che Ferdinando scrisse di proprio pugno sulla
domanda.
‑ Accordato ‑ Ma
che il cavaliere Caracciolo non dimentichi che Napoli è in potere del nemico.
Allora il Cardinale
s'informò dai due viaggiatori come avveniva che dessi si trovassero a Catona.
Caracciolo rispose semplicemente, che avendo lasciato la sua fregata a Palermo
e non avendo mezzi di trasporto per ritornare a Napoli, pensava dirigersi verso
la Calabria, e fare il viaggio parte per terra, parte per mare, a seconda che
lo permetterebbero le circostanze.
Il Cardinale non gli dimandò
altre spiegazioni, e l'invitò a pranzare con lui, promettendogli di fargli
mangiare se accettava, il miglior pesce del faro.
Caracciolo si scusò dicendo
che voleva, in vista dei grandi avvenimenti che succedevano, raggiungere Napoli
senza perdere un momento.
Poscia alla sua volta:
‑ E posso io, disse
egli, domandare senza indiscrezione a Vostra Eminenza cosa conta fare qui.
‑ lo, disse il
Cardinale, voi lo vedete, sono come l'uccel sul ramo, pronto a volarmente sulla
Sicilia al primo vento contrario, ma anche pronto ad andare più lontano se il
vento è favorevole.
E dicendo queste parole,
Caracciolo e il Cardinale si lasciarono, per non più ritrovarsi, se non nelle
terribili circostanze che racconteremo ben presto.
La lettera enciclica del
Cardinale produsse in tutta la bassa Calabria l'effetto di una scossa elettrica
; quanto più erasi lontano da Napoli, tanto più il debole riflesso
intellettuale che sfuggiva dalla Capitale andavasi affievolendo, l'antico
Brutium, sopra tutto, questa patria degli schiavi fuggendo i loro padroni, era
rimasta nella più crassa ignoranza, nell'immobilità la più completa, cosicchè
gli stessi uomini che la vigilia, senza sapere ciò che dicevano, gridavano: Viva la repubblica, muoiano i tiranni, si misero
a gridare con la stessa voce: Viva la
Religione, Viva il Re, muoiano i giacobini.
Guai a chi mostravasi
indifferente alla causa Borbonica, guai a chi non gridava più forte di loro, o
almeno così alto che loro! ! Il grido: è un
giacobino! facevasi sentire, e come a Napoli, questo grido era una condanna
di morte.
Quanti eranvi partigiani
della rivoluzione; quanti avevano manifestato la loro simpatia per la Francia,
erano forzati a fuggire: gli uni prendevan la strada di Monteleone, gli altri
quella di Catanzaro, gli altri quella di Cotrone, soli luoghi della Calabria
ulteriore, ove restassero ancora municipi democratici ed un potere
rivoluzionario: questa persistenza nella primitiva opinione era mantenuta, presso
queste tre città, dalla speranza dell'arrivo di un esercito francese.
Ma, da tutte le altre città,
da tutti gli altri paesi, vedevansi uscire, come se andassero in processione,
turbe di contadini, col parroco alla testa, portando la croce nelle mani, avendo
ai loro cappelli il nastro bianco, e dirigendosi, se venivano dalla montagna,
verso Mileto, se venivano dalla pianura, verso Palmi. Le città ed i villaggi
abbandonati dagli uomini validi, più non erano abitati che dalle donne, da'
vecchi, e da' fanciulli, di maniera che in pochi giorni, al solo campo di Palmi
trovavansi raccolti circa venti mila uomini armati, e quasi altrettanti al
campo di Mileto, avendo tutti con essi viveri e munizioni, dando i ricchi ai
poveri, i conventi a tutti.
I principali stabilimenti
religiosi che si distinsero in occasione furono la Certosa di S. Stefano del
Bosco e il monistero di S. Domenico Soriano.
In mezzo a quella massa di
volontari eranvi degli ecclesiastici di ogni grado, dal curato del villaggio
fino al vescovo delle grandi città ; eranvi dei ricchi proprietari e dei poveri
giornalieri. Infine, dice lo
scrittore sanfedista Domenico Sacchinelli, eravi
della gente onesta, mossa per amore del Re e della religione, ma sventuratamente,
pure, gran numero di assassini, di omicidi e di ladri, spinti dallo spirito di rapina, di vendetta e di sangue.
Nel numero di questi ultimi
facciamo subito menzione di quattro uomini che si acquistarono, nel delitto,
una terribile celebrità.
Que' quattro uomini dei
quali ci contenteremo di inserire qui i nomi, e dei quali dovremo più tardi
raccontare le geste, erano: Pronio già da noi nominato, Sciarpa, Gaetano
Mammone, e Fra Diavolo.
Allorquando il tribunale di
Catanzaro, connobbe lo sbarco del Cardinal Ruffo a Catona e seppe per quale
scopo questo sbarco aveva luogo, prese tutte le provvidenze onde opporsi alla
sua marcia, mettendo a prezzo la di lui testa, quella di Fiore, e quella di
Carbone.
In quanto al Cardinale, poco
curandosi di ciò che organizzavasi contro di lui, continuava, mentre che
riunivasi la futura armata, a dimorare a Catona, ove finì coll'ottenere da
Messina due piccoli cannoni, e due obici con le rispettive munizioni : erasi
senza artiglieri: ma a Catona si trovò un caporale di artiglieria, chiamato
Rosa, che s'incaricò d'organizzare il servizio di questi quattro pezzi.
Solamente, allorquando si volle provare la polvere, si riconobbe semplicemente
che era, carbone pestato ‑ frode abituale
dei magazzinieri ‑ dice senza meraviglia alcuna, l'istorico dal quale
rileviamo questi particolari: a Napoli si racconta un furto, ma non fa
meraviglia.
Infine, il Cardinale, visto
il prodigioso effetto prodotto dalla sua enciclica, e il numero incredibile di
volontari che l'aspettavano nelle due città designate come luogo di convegno,
alla pianura e alla montagna, scrisse a Monsignor Capece Minutolo, vescovo di
Mileto, pregandolo di vegliare acciocchè tutti i volontari riunitisi nella sua
diocesi trovassero degli alloggi, e aspettassero tranquillamente e senza
impazienza il suo arrivo che avrebbe luogo fra qualche giorno.
Abbandonando allora la
spiaggia di Catona, il Cardinal Ruffo montò a cavallo, e alla testa di qualche
centinaio d'uomini armati, marciò verso il Campo di Palmi, ove, come dicemmo,
s'ammassavano in un modo maraviglioso delle intere popolazioni guidate da
monaci e da preti.
Lasciamolo proseguire, come
un altro Lavalette o come un altro Richelieu, il littorale della Calabria, con
la sottana rossa, la croce in mano, la spada al fianco, e portiamo i nostri
sguardi sopra un altro punto di questa strana terra, ove compivansi altri
avvenimenti non meno inattesi, ma benanche non meno incredibili.
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