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Di Alexandre Dumas |
Libro IV
CAPITOLO III
Il 15 il 16, il 17, il 18 e il 19 giugno continuò il fuoco e nel tempo istesso i delitti. I repubblicani erano ancora padroni di S. Ferdinando, del Palazzo nazionale, di cui le finestre basse erano guernite di cannoni dalla parte che guarda Toledo. Avevano in loro potere S. Carlo e corrispondevano col castello Nuovo per mezzo dell'arsenale.
Dall'altra parte avevano S. Lucia, Pizzo Falcone, dove era il palazzo di Roccaromana, chiamato il giardino poco fa harem del fratel primogenito, divenuto dopo la sua partenza una specie di fortezza in cui si era rinchiuso Nicolino Caracciolo con alcuni amici; finalmente si appoggiavano al castello dell'Uovo, dove eransi racchiuse le donne e i fanciulli.
Tutto il resto della città, dal ponte della Maddalena fino all'estremità di Toledo, apparteneva dunque al Cardinale Ruffo, alle truppe sanfediste e ai lazzaroni.
La prima vendetta esercitata da costoro, e che per fortuna non fu che comica, fu sopra S. Gennaro.
S. Gennaro cui il miracolo erasi operato due volte con segni non equivoci di simpatia ‑ la prima volta in favore dei francesi, la seconda volta in favore dei repubblicani ‑ fu, grazie al Cardinal Ruffo, interamente
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fastidio a coloro che consegnerebbero le armi ‑ essendo intenzione di Sua Maestà accordar loro il perdono.
Egli stesso impegnavasi a sospendere le ostilità contro i castelli, che inalbererebbero bandiera bianca, in segno che accettavano l'armistizio; e guarentiva, sul suo onore la vita degli uffiziali che chiederebbero di parlamentare.
Nel tempo stesso mandò un suo ufficiale, con la bandiera parlamentare e preceduto da una tromba, ai patriotti di Santelmo, per partecipare loro che era suo disegno accordare una sospensione d'arme.
I patriotti di Santelmo, febbricitanti ancora del loro combattimento della notte, ed alteri del risultato ottenuto, risposero che erano risoluti a morire con le armi alla mano, e non avrebbero inteso nulla pria che Ruffo ed i sanfedisti avessero evacuato la città.
Ma il Corpo legislativo decideva altrimenti. Le stesse proposizioni gli erano state fatte, e, vedendo in una capitolazione il mezzo di salvare la vita dei cittadini più compromessi, aveva aperto delle conferenze; poi, siccome i castelli erano sotto la sua dipendenza, fece dire ai capi, cioè a Massa, comandante del castello Nuovo e a l'Aurora comandante del castello dell'Uovo che, se non trattavano, avrebbe egli trattato in nome loro.
Invitava inoltre Massa ad intendersi con Mèjean, non perchè si arrendesse alle stesse condizioni, giacchè nella sua qualità di francese, poteva accettare quelle condizioni che più gli piacessero; ma perchè approvasse la capitolazione dagli altri fatta.
L'armistizio adunque fu accettato e le basi della capitolazione stabilite.
Ma lo stesso giorno, 19 giugno, avvenne una cosa alla quale bisognava attendersi.
I calabresi, i lazzaroni, i forzati, i contadini, tutti quegli uomini di rapina e di sangue che servivano sotto gli Sciarpa, i Mammone, i Fra Diavolo, i Panedigrano o altri banditi di simil fatta, che non erano venuti a Napoli che nella speranza del saccheggio ed attirati dalla lussuria del sangue ‑ tutti questi uomini, vedendo il proclama del Cardinale che ordinava di cessare dai massacri e dal saccheggio, risolvettero di non uniformarvisi, e di proseguire il corso delle loro rapine e delle loro devastazioni.
Il Cardinale fremette, sentendo che l'arme di cui erasi servito stava per cadergli dalle mani.
Diè ordine di non aprire le prigioni ai prigionieri che vi si condurrebbero.
I briganti gridarono: Abbasso Ruffo, abbasso i Giacobini.
Il Cardinale rafforzò i corpi russi, turchi e svizzeri, che si trovavano in città.
Allora il popolo ‑ sebbene può chiamarsi popolo una accozzaglia d'assassini, di uccisori, di briganti allora il popolo, vedendo che si ricusava d'aprire le prigioni, fucilò i prigionieri, e li trasportò a bordo dei vascelli inglesi, che li conducevano al comandante del Re ad Ischia, il quale, per sbarazzarsene più presto, li faceva impiccare senza giudizio alcuno; e finalmente, come per impiccarli si perdeva pure troppo tempo, li faceva gettare in mare.
Dall'alto di Santelmo, del castello Nuovo, del castello dell'Uovo, i patriotti vedevano tutto ciò che accadeva in città, nel porto e in mare.
Si mandò anche un ultimatum al Cardinal Ruffo.
Se i massacri avessero continuato, si sarebbe fatto uso di rappresaglie, e, per quanti patriotti sarebbero stati massacrati, altrettanti ostaggi sarebbero gittati dall'alto delle mura, cominciando dal fratello del Cardinale e dal cugino di Micheroux.
La faccenda si complicava, non si poteva dubitare che uomini coraggiosi e disperati non mantenessero, qualunque esse fossero, le minacce che avevano fatto.
Il Cardinale vide che non v'era un istante da perdere. Convocò i capi di tutti i corpi, supplicandoli di tenere i loro soldati all'obbedienza la più rigorosa, e promettendo loro le più gloriose ricompense se riuscivano a incatenare tutta quella popolazione.
I Si formarono delle pattuglie, composte solamente di sotto ufficiali, per percorrere le strade, e a forza di minacce, di promesse, di danaro sparso, il sangue cessò di essere versato : per un istante Napoli respirò.
Sopravvenne la notte; fiduciosi nell'armistizio proclamato e nella finta tranquillità che regnava, i patriotti non racchiusi nei castelli, ma solamente nascosti nelle città, tornarono in gran parte alle loro case.
Durante la notte furono arrestati, per ordine del Cardinale. Fra loro era il general Federici. Tutti i prigionieri fatti in quella notte di tradimento, dal 20 al 21 cioè, furono condotti nell'immenso fabbricato rosso dei Granili, dove furono ammonticchiati in sì gran numero, che non potevano coricarsi e neppure sedere.
Per due giorni più di mille uomini restarono così senza pane e senza acqua, soffocando per la mancanza dell'aria, e col cuore spezzato dai gemiti dei feriti che morivano in mezzo a loro ed ai quali, per obblio o a bella posta, non si recava soccorso alcuno.
Più di trecento tra loro perirono in tal guisa.
Tutto ciò era ignorato nei castelli e si credeva che l'armistizio fosse lealmente osservato dai realisti come lo era dai patriotti.
Il 21, profittando dell'armistizio, i patriotti dei due castelli, risolvettero di far ciò che facevano gli antichi quando andavano a morte:
Il
pranzo libero.
Cesare solo mancava per ricevere le
parole sacramentali : morituri te
salutant.
Fu una triste festa quella suprema solennità. La piazza scelta fu quella del palazzo Nazionale ‑‑ molto più stretta allora di quello che è oggi.
Si cominciò col celebrare, sull'altare della Patria, i funerali dei martiri, morti per la libertà, martiri dei quali il vescovo della Torre, rappresentante il Corpo legislativo, pronunziò l'orazione funebre.
Fu imbandita la mensa. Vi si bevve
alla salute delle due grandi Dee invocate
dai popoli oppressi: la Libertà, la Morte!
Dai loro avamposti i realisti vedevano il funebre festino, di cui non comprendevano la sublime mestizia.
Il Cardinale, invece, comprendeva di che erano capaci nel momento supremo uomini che si preparavano con quella solenne tranquillità.
Laonde, durante il pranzo, faceva ricostruire la batteria di Chiaja, ponendovi altri cannoni, e facendo eriggere altra batteria all'estremità del Porto.
Nuova infrazione all'armistizio!
Del resto, fu singolarmente punita in colui che l'eseguiva.
Era allora al castello Nuovo un giovane capitano di artiglieria, a nome Giuseppe Rossaroll [*1]che dall'alto di una delle torri, esaminava questo lavoro sleale. Vedendo in mezzo ai lavoranti un uffiziale inglese, rimarchevole per il suo uniforme, gli gridò:
‑ Eh! l'abito rosso là giù! se continuate, vi prevengo che faccio fuoco.
L'inglese non aveva ben compreso; si fece spiegare la minaccia; allora, con un gesto di disprezzo, mostrò al capitano Rossaroll, ciò che i lazzaroni mostrano al Vesuvio quando vogliono insultarlo.
Rossaroll strappò il fucile dalle mani della sentinella e fece fuoco ; l'inglese cadde ferito mortalmente. Rossaroll aveva una grande riputazione popolare a Napoli; era uno dei cacciatori più abili della città, ‑ ed il colpo che aveva tirato ne era una pruova ‑ e nell'istesso tempo uno dei migliori schermitori.
Fu riconosciuto e si gridò: E’ Rossaroll!
‑ Ebbene, sì! sono io, rispose egli, non siete forse contenti ?
E riprese dalle mani della sentinella il fucile che questa aveva tornato a caricare.
Ma i lavoranti si nascosero dietro la gabbionata innalzata, e non uscirono che quando Rossaroll non fu più sulla piatta forma.
Era disceso per fare il suo rapporto, e indrizzar le sue lagnanze al Direttorio; poichè, malgrado la tregua, e, mentre dicevasi la messa dei morti ed avea luogo il pranzo degli agonizzanti, si tradiva così la giurata fede. Il Cardinale rispose che le opere erano state ristaurate a sua insaputa da alcuni ufficiali subalterni, ma che i patriotti non dovevano punto inquietarsene, atteso che sarebbero distrutte, se la capitolazione non fosse firmata.
Il 22, nel mattino, Mèjean discese dal castello Santelmo, scortato dalla cavalleria realista e venne a conferire col Direttorio.
Lo scopo della sua visita era di non opporsi alle buone disposizioni dei Cardinale, offerendosi per mediatore tra i patriotti ed il Direttorio e promettendo condizioni che soddisfarebbero i più difficili a far contenti.
Il Direttorio chiese di riferirne al Corpo legislativo, e di chiamare alla deliberazione i patriotti del convento S. Martino.
Un salvacondotto del Cardinale fu dato al commandante Massa per andare a significare loro quanto offeriva il colonnello Mèjean, e riportare le loro proposte.
Il comandante Massa tornò con pieni poteri dei patriotti e furono redatte le seguenti condizioni, con una dichiarazione che, se non erano accettate nella loro totalità, l'armistizio sarebbe sciolto, e le ostilità ricomincerebbero subito.
Furono comunicate al Cardinale il quale, dopo una breve discussione, le accettò, dando loro la data del 19, cioè quella del giorno dell'armistizio.
« ART. I.
« I castelli Nuovo e dell'Uovo saranno rimessi nelle mani del comandante delle truppe di S. M. il Re delle Due Sicilie e di quelle de' suoi alleati il Re d'Inghilterra, dell'Imperatore di tutte le Russie e della porta Ottomana, con tutte le munizioni da guerra e da bocca, artiglieria ed effetti di ogni specie, esistenti ne magazzini, di cui si formerà l'inventario dai commessari rispettivi, dopo la firma della presente capitolazione.
« ART. II.
« Le truppe componenti le guarnigioni conserveranno i loro forti fino a che i bastimenti di cui si parlerà qui appresso, destinati a trasportare gl'individui, che vorranno andare a Tolone, saranno pronti a far vela.
« ART. III.
« Le guarnigioni usciranno cogli onori militari, armi, bagagli, tamburo battente, bandiere spiegate, micce accese, e ciascuna con due pezzi di artigliera. Esse deporranno le armi sul lido.
« ART. IV.
« Le persone, e le proprietà mobili di tutti gl'individui componenti le due guarnigioni, saranno rispettate e garantite.
« ART. V.
« Tutti i suddetti individui potranno scegliere d'imbarcarsi sopra bastimenti parlamentari che saranno loro preparati per condurli a Tolone, senza essere inquietati essi, nè le loro famiglie.
« ART. VI.
« Le condizioni convenute colla presente capitolazione, saranno comuni a tutte le persone de' due sessi rinchiuse ne' forti.
« ART. VII.
« Le stesse condizioni avranno luogo riguardo a tutti i prigionieri fatti sulle truppe repubblicane dalle truppe di S. M. il Re delle Due Sicilie, e da quelle de' suoi alleati, nei diversi combattimenti che hanno avuto luogo prima del blocco de' forti.
« ART. VIII.
« I signori arcivescovo di Salerno, Micheroux, Dillon, ed il Vescovo di Avellino detenuti, saranno rimessi al comando del forte Santelmo, ove vi resteranno in ostaggio, finchè sia assicurato l'arrivo a Tolone degl'individui che vi si manderanno.
« ART. IX.
« Tutti gli ostaggi e prigionieri di Stato rinchiusi nei forti, saranno rimessi in libertà subito dopo le firme della presente capitolazione.
« ART. X.
« Tutti gli articoli della presente capitolazione non potranno eseguirsi, se non dopo che saranno intieramente approvati dal comandante del forte Santelmo.
« Fatto nel castello Nuovo, a 19 giugno 1799.
«
Firmati ‑ MASSA, comandante del castello Nuovo;
« L'AURORA, comandante del castello dell'Uovo;
« F. CARDINALE RUFFO, vicario generale del Regno di Napoli;
« ANTONIO CAV. MICHEROUX, ministro plenipotenziario di S. M. il Re
delle Due Sicilie presso le truppe Russe;
« E. T. FOOTE, comandante la nave di S. M. Brittannica, la Sea‑Horse;
« BAILLIE, comandante le truppe di S. M. l'Imperatore di tutte te Russie;
« ACHMET, comandante le truppe Ottomane.
Sotto a queste firme era scritta l'approvazione seguente :
« In virtù delle deliberazioni prese dal Consiglio di guerra nel forte S. Elmo, il dì 3 messidoro, sulla lettera del generale Massa, comandante del castello Nuovo, in data del primo messidoro, il comandante diS. Elmo approva la suddetta capitolazione. Dal forte S. Elmo, 3 messidoro, anno 7 della repubblica Francese (21 giugno 1799).
«
Firmato: MÈJEAN.
Il giorno stesso in cui realmente la capitolazione fu firmata, cioè il 27 giugno, il Cardinale, lietissimo di essere giunto a un sì felice risultato, scrisse al Re il minuto racconto delle operazioni compite e incaricò il capitano Foote di consegnare la lettera a Sua Maestà in persona.
Il capitano Foote parti il medesimo
giorno per Palermo sopra la fregata Sea‑Horse.
Il dimani il Cardinale diè tutti gli ordini necessari perchè i bastimenti che dovevano trasportare le guarnigioni patriottiche a Tolone fossero pronti il più presto possibile.
In quella sera istessa del 23 giugno, in cui furono scambiati così tristi addii, si pensava pure che l'esilio era la più grande disgrazia da cui si potesse essere minacciato.
Niuno in fatti poteva non dubitare degli avvenimenti di cui sarebbe stata apportatrice l'aurora del domani.
Il 24 giugno, allo spuntar del giorno, Napoli potè scorgere all'altezza dell'isola di Capri, la squadra Inglese commandata da Nelson. Il Cardinale che aveva ricevuto dal Re e dalla Regina avviso del suo arrivo, l'attendeva; ma i repubblicani che, da parte loro, avevano ricevuto avviso dalla Francia, della partenza da Tolone della flotta franco‑ispana credettero fosse quella, e si rimproverarono di essersi tanto affrettati a firmare la capitolazione. Solamente tra loro niuno ebbe nemmeno l'idea di romperla.
Vi fu dunque una leggera agitazione tra il popolo; ma fu di breve durata, e poco tempo dopo, i vascelli avvicinandosi, avendo inalberato le bandiere inglese e portoghese, non si ebbe più dubbio alcuno sopra le nazioni a cui appartenevano tali vascelli.
I patriotti, del resto, vedendo approssimarsi la bandiera di una grande nazione, sotto il comando di un grande uomo, non vi attinsero che una certezza di più che la capitolazione sarebbe rispettata.
Ma prima della squadra giunse in rada, e si diresse verso il ponte della Maddalena, una scialuppa inglese che recava al prelato la seguente lettera di cui l'originale è rimasto nelle mani di Sacchinelli che l'ha fatto autografare.
«A bordo del Foudroyant 24 giugno 1799
alle 3 p. m. nel Golfo di Napoli.
« EMINENZA
« Milord Nelson mi prega d'informare l'Eminenza V. che ha ricevuto dal capitano Foote, comandante la fregata Sea‑Horse, una copia della capitolazione che Vostra Eminenza ha giudicato dover fare coi comandanti di S. Elmo, del castel Nuovo e del castel dell'Uovo che egli disapprova intieramente tali capitolazioni, e ch'è risoluto a non rimaner neutro colla forza imponente che ha l'onore di comandare ‑ che ha spedito a V. Eminenza i capitani Troubridge e Ball, comandanti i vascelli di S. M. Brittannica, il Culloden, e l'Alexander. I capitani son benissimo informati de' sentimenti di Milord Nelson, ed avran l'onore di farli conoscere all'Eminenza Vª. Milord spera che il sig. Cardinale Ruffo sarà della stessa sua opinione, e che domani, allo spuntar del giorno, potrà agire d'accordo con sua Eminenza.
« Il loro scopo non può essere che lo stesso, cioè ridurre il comun nemico, e sottomettere alla clemenza di S. M. Siciliana, i ribelli sudditi di lei.
« Ho l'onore rassegnarmi, « Di Vostra Eminenza,
«Umil.o ed Obedient., Servo
« W. HAMILTON
« Inviato straordinario e plenipotenziario di S. M. Britannica presso la S. M. Siciliana »
Questa lettera era recata in fatti al Cardinale dai capitani Ball e Troubridge.
La prima idea di Ruffo fu che Nelson disapprovava la capitolazione dei castelli, perchè, malgrado gli ordini del Re, erasi dato l'attacco in assenza della flotta inglese, contrariamente a quanto erasi convenuto. Ma s'accorse ben presto che non poteva essere così, avendo la vigilia ricevuto una lettera dalla regina, lettera che citiamo intieramente, in data dei 14 giugno, ed in cui gli annunziava che Nelson, con gran dispiacere del Principe reale, l'avea riaccompagnato a terra, non volendo esporlo alle vicissitudini di un combattimento navale contro i francesi. Nelson messosi alla ricerca della flotta gallo‑ispana non poteva esigere che lo si attendesse per cominciare le ostilità contro Napoli, non conoscendo egli stesso quanto giungerebbe dinanzi a questa città.
Ciò che appariva chiaro da tuttociò, si era che Nelson sembrava deciso a non voler rattificare la capitolazione. I due officiali inglesi giunsero pure fino a fare questa domanda a Ruffo:
‑ Nel caso di ripresa delle ostilità contro i ribelli, può l'Ammiraglio contare sulla vostra cooperazione?
Il Cardinale rispose positivamente ‑
che nulla le, farebbe mancare alla parola data, e che non un sol uomo del suo esercito marcerebbe con gl'Inglesi.
In ogni modo, comprese che una
visita da parte sua a Nelson toglierebbe tutti questi dubbi: montò sopra la
barca che aveva portato i due ufficiali inglesi, e fecesi condurre a bordo del Foudroyant.
Da lungi Nelson riconobbe il Cardinale dal suo costume di porpora e lo fece salutare con trenta colpi di cannone.
Fu ricevuto nel gabinetto dell'Ammiraglio dove trovò, oltre Nelson, sir William e milady Hamilton.
La presenza della bella Emma Lyonna, a cui non si attendeva, gli diè immediatamente la chiave della situazione. Si rammentò il passaggio della lettera della Regina, ricevuta la vigilia, passaggio in cui proibivagli ma troppo tardi, essendo il trattato firmato fin dal 22 di fare qualsifosse trattato con i ribelli. Emma Lyonna, dopo la proibizione per iscritto, era la proibizione vivente.
In fatti, ecco quanto era accaduto.
Partito il 14 dalla baja di Palermo, per andare alla ‑ricerca dei francesi, Nelson aveva ricevuto un dispaccio il 20, che gli annunziava che Sir Allan Gardner e Lord Keith erano partiti in cerca della squadra francese. Pensando allora che questa flotta era di 35 vascelli e che egli non aveva che cinque bastimenti inglesi, tre portoghesi, un brulotto ed un cutter, rivolvette di arrendersi al desiderio espressogli dal Re e dalla Regina, e di far vela direttamente verso il golfo di Napoli; allora siccome non era ancora molto lungi dalle coste di Sicilia, il suo cattivo genio lo spinse ad andare a prendere gli ordini delle LL. MM. Siciliane.
Il 21 sbarcava di nuovo a Palermo.
Ma questa volta non trattavasi più
di Principe reale. La Regina dalle lettere del Cardinale prevedeva questo
trattato, che temeva da principio ‑ tenendolo per vergognoso alla corona.
Versò tutti i suoi timori e tutto il suo odio nel cuore di Lady Hamilton e la
sospinse col marito, nel vascello di Nelson. Sapeva bene che questa donna di
cui disponeva a suo talento, era l'anima di quei due uomini ‑ la sua Nemesi lesbiana.
Quindi, ormai era tranquilla. Che il Cardinale trattasse o non trattasse era lo stesso. I trattati non si farebbero, se pur non erano fatti, e se lo erano sarebbero lacerati.
Il Cardinale conosceva lo strano legame che univa le due donne.
Comprese dunque che la conferenza che stava per avere con lord Nelson, sarebbe più seria che non aveva creduto da principio; non era più con lord Nelson che doveva trattare realmente, era con lo spirito della Regina rappresentato da questa Poppea moderna, che, come dice Tacito, parlando della Poppea antica ‑ avea tutto fuorchè un cuore onesto.
Il Cardinale non parlava che l'italiano ed il francese; Nelson parlava male l'italiano e punto il francese. Sir William Hamilton prese l'incarico di farla da interprete.
Il Cardinale cominciò in francese la narrazione degli avvenimenti del 13 e del 14 giugno: il terribile combattimento contro Schipani, la difesa di Antonio Toscano che preferì far saltare in aria il forte di Vigliena che di rendersi, i massacri ed i saccheggi seguiti in Napoli, fino alla sortita della notte del 18 e 19, che, poco mancò, tanto fu disastrosa pei sanfedisti, non rimettesse tutto in dubbio. Finalmente giunse alla necessità in cui erasi veduto di proporre l'armistizio e di firmare la capitolazione. Insistette dicendo che in ogni circostanza aveva costantemente preso consiglio dal bravo capitano Foote. Spiegò che, dopo i combattimenti del 13 e del 14, come pure alla notizia che una flotta franco‑spagnuola percorreva il Mediterraneo, ‑ nell'intenzione più che probabile di venire in soccorso dei patriotti napoletani ‑ non aveva potuto fare altrimenti, per non lasciare ai repubblicani il tempo di riaversi e per non lasciare ai francesi quello di giungere ‑ non aveva potuto fare altrimenti che di affrettare la capitolazione, acciò, essendo padrone dei castelli, potesse ristabilire il golfo di Napoli sopra un piede di difesa rispettabile. Finalmente terminò col dire che la capitolazione essendo stata firmata volontariamente e con buona fede, doveva essere religiosamente osservata e che agire altrimenti sarebbe mancare alla lealtà pubblica.
Nelson ascoltava silenzioso, Emma Lyonna era fatta di marmo.
Ma Hamilton con un viso pieno di
risentimento emise questa massima: I Sovrani
non capitolano con i loro sudditi ribelli.
Alla qual cosa il Cardinale riprese col suo sorriso scaltro :
‑ E' possibile che i sovrani non capitolino coi loro sudditi ribelli; ma una volta che i loro sudditi hanno capitolato con loro, i sovrani sono costretti ad eseguire la capitolazione.
Vedendo però tosto che Nelson dava ragione a Hamilton, ei comprese che sarebbe stato costretto di entrare in lotta non solo con Hamilton, che non era che l'eco di sua moglie, ma con quella bocca di pietra che, da parte della Regina, recava la morte, e rimaneva muta al par di quella ‑ ciò era quanto il Cardinale non voleva.
Allora alzandosi:
‑ I rappresentanti delle potenze alleate essendo intervenuti, disse egli, nel trattato che la signoria vostra vuol rompere, non posso rispondere che per mio conto, e questa risposta l'ho già data ai signori Ball e Troubridge, quanto a quella degli altri, la domanderà loro. Accordatemi la grazia di farmi ricondurre a terra.
Si salutarono freddamente e si separarono.
Ruffo erasi creato tre nemici mortali senza contare Ferdinando e Carolina[*2].
«
Al Vice Ammiraglio Lord Keith.
« Baia di Napoli 27 Giugno 1799.
« . . . . . . . . . . . . . . . . .
«
. . . . . Il giorno 21, alle ore due, mi diressi per alla volta di Palermo.
Sbarcando mi trovai di faccia le LL. MM. ed il generale, Acton, i quali mi
ripeterono la preghiera di recarmi immediatamente nella baia di Napoli per
vedere di condurre a buon termine gli affari di S.M. Siciliana in quella città[*3].
« Non perdetti un momento per mettere ad esecuzione quanto si richiedeva da me e giunsi nella baia di Napoli, dove viddi una bandiera di tregua sventolare sul vascello di S. M., il Sea‑Horse, così come in sulle mura de' forti Nuovo e dell'Uovo. Essendomi capitate, per istrada, lettere che mi'nformavano essersi sul punto di conchiudere coi ribelli un infame trattato al quale Foote aveva posto il suo nome, all'istante diedi il segnale della sospensione della tregua, risoluto a non dar mai la mia approvazione ad un accordo fatto o da farsi coi ribelli; ma ad ottener bensì che si arrendessero senza condizione alcuna. Spedii sul momento Troubridge e Ball al Cardinale Vicario Generale, onde manifestargli la mia opinione quanto all'infamia delle clausole del trattato di armistizio, e consegnargli le due note qui accluse [*4] ‑ Sua Eminenza mi disse che non rimetterebbe queste note, e che se mi piacesse rompere l'armistizio, si ritirerebbe. Troubridge diresse allora al Cardinale questa domanda esplicita: « Se Lord Nelson rompe l'armistizio vorrà l'Eminenza Vostra assisterlo nell'attacco delle fortezze? » ‑ Fu chiara ha sua risposta: « Non gli porgerò assistenza alcuna d'uomini nè d'armi [*5]. Dopo lungo discorrere, S. Eminenza chiese recarsi a bordo onde favellare con me della sua situazione. Posi in uso ogni argomento per convincerlo che i trattati e l'armistizio erano annullati dallo stesso arrivo della flotta. Ma un ammiraglio non ha tanta abilità da poter discutere con un Cardinale, allora, gli detti per iscritto la mia opinione.
«
Eccola:
«
Il grande Ammiraglio Lord Nelson è giunto colta flotta brittannica, il 25
giugno nella baia di Napoli, ove ha trovato essersi firmato un trattato con i
ribelli; trattato il quale, secondo la sua opinione non può esser posto ad
esecuzione, senza venir rattificato da Sua Maestà Siciliana.
« NELSON
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[*2] Nelson racconta egli stesso nella lettera qui sotto, i dettagli del suo viaggio da Palermo a Napoli e la sua conferenza con Ruffo; si vedrà che la sua relazione poco differisce da quanto abbiamo or ora posto sotto gli occhi del lettore.
[*4] Queste due note consistevano l'una in una Dichiarazione mandata ai Giacobini Napolitani ne' castelli Nuovo e dell'Ovo, colla data del 25 giugno 1799, in cui Nelson nella qualità di comandante in capo la flotta Brittannica nella baja di Napoli, fa avvertiti i Ribelli Sudditi di S. M. Siciliana, che egli non permetterà solo che s'imbarcassero od uscissero dalle dette fortezze, ma che esige s'affidino alla clemenza della M. S. ‑ l'altra nota era un'Intimazione indiritta al castello Santelmo, puranche del 25 giugno, colla quale Nelson fa sapere al comandante di detto castello, che giacchè il Cardinal Ruffo, ed il comandante delle forze Russe gli hanno intimato resa, se fra due ore ei non ha accettato, dovrà subire le conseguenze di questo rifiuto, ed esso Nelson non potrà accordar nulla.
[*5] Questa frase sola è una bella riabilitazioe pel Cardinale cui Ferdinando e Carolina aveano fatto il loro capro emissario.