Montserrat Moli Frigola

 

La chinea

 

Chinea in senso letterale, era la mula bianca (o il cavallo ambiatore delle Asturie) che i Re di Spagna presentavano annualmente al papa in forma solenne per il pagamento del censo per il Regno di Napoli. Il cavallo, convenientemente. ammaestrato, s'inginocchiava davanti al pontefice e gli offriva la somma di danaro contenuta in un vaso d'argento fissato alla sella.

 

L'uso risale ai normanni, i quali, dopo la conquista, avevano ricevuto come feudo dalla Santa Sede il Mezzogiorno d'Italia in cambio dell'offerta al papa, ogni tre anni, d'un cavallo ambiatore. Il censo, pagato fino al 1787, veniva presentato da un ambasciatore straordinario, dopo che il sovrano aveva ottenuto l'investitura, solitamente alla vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo, nella basilica Vaticana o nel palazzo del Quirinale, oppure l'otto di settembre, festività della nascita della Madonna, nella chiesa di S. Maria del Popolo, in caso di sede vacante o di altre evenienze. L'offerta era preceduta da una solenne cavalcata della durata di due ore e mezza, lungo un itinerario preciso, che prevedeva il passaggio per Castel Sant'Angelo, se la chinea veniva presentata in Vaticano, o per il Corso e la Chiesa del Gesù, se veniva presentata al Quirinale. Per rendere più solenne la cerimonia, con decreto del 12 maggio 1691 di Carlo II, si obbligavano i «Grandi » di Spagna a partecipare al solenne corteo, al quale seguivano per due sere spari di macchine pirotecniche accompagnati da esecuzioni musicali, balli e rinfreschi.

 

La chinea, per la sua regolarità, non era soltanto la festa estiva per eccellenza, ma il migliore biglietto da visita della monarchia spagnola (poi di quella napoletana) nella città eterna, l'arma propagandistica più convincente per guadagnare un consenso universale e l'appoggio politico delle altre potenze. Le celebrazioni erano fastosissime, malgrado i problemi politici della nazione, ed il consueto ritardo nell'invio del danaro per il loro svolgimento. In occasione della festa, palazzo di Spagna e, successivamente, palazzo Colonna e palazzo Farnese, diventavano per due mesi all'anno l'atelier di inventori, pittori, disegnatori e architetti di macchine, nonché il momento di aggregazione di artificieri, fuocaroli, musicisti, fornitori e cuochi. Questi palazzi, inoltre, diventavano, per due giorni all'anno, sede dell'ambasciata straordinaria, luogo dal quale partiva la cavalcata e davanti al quale si innalzavano le « stupefacenti » macchine per i fuochi d'artificio, dove si disponevano le luminarie tenute accese le sere della vigilia e il giorno della festività dei santi Pietro e Paolo. Piuttosto scarna è la documentazione iconografica sulla festa nel corso del Seicento.

 

Il 29 giugno del 1500 Girolamo Sperandeo, ambasciatore del re Federico di Napoli, presentava la chinea al papa Alessandro VI sotto un temporale, suscitando la protesta dell'ambasciatore del re di Francia (Presentazione d'Accanea per il regno di Napoli al Pontefice Alessandro VI  li 29 Giugno 1500 con protesta per parte del Re di Francia, ms. 205, A.A.S.S.S. Roma).

 

Il 29 giugno del 1600 il tributo veniva presentato a Clemente VIII dal duca di Sessa, ambasciatore di Spagna, « sendosi S.E. comparso con gran pompa et numerosa cavalcata essendosi tra gli altri SSr. la maggior parte de titolati romani, oltre otto vescovi et ivi prelati havendo per detto Amb[asciatore] tenuto tutto il giorno corte bandita con haver banchettato l'amb[asciatorel dell'Implero], di Venetia, e di Savoia, et molti Prelati non essendosi intervenuto l'Amb[asciatore] X [ristianissi]mo risentito » (B. A.V., Urb. lat. 1068, f. 413v).

 

Innocenzo X, nel 1650 riceveva il tributo nella basilica Vaticana, superbamente ornata di ricchi arazzi dei Barberini « tessuti d'oro e d'altri adobbi » (G.S. Ruggieti 1650, pp. 64‑65; cfr. inoltre G. Gigli 1958, p. 366).

 

Domingo de Mendoza duca dell'Infantado indossava una « ricca livrea di panno tra 50 Paggi e Palafrenieri di damasco nero, con bavari a' ferraioli, e maniche, e armacolli di lama d'argento turchina con piume bianche, e turchine a' cappelli; e spade, e pugnali con guardie dorate, e calzette, e legacci di seta parimente turchina, che resero una bellissima vista ». Vi era inoltre « una ricchissima carrozza tirata da sei cavalli tutta messa ad oro, e con finimenti indorati con il fondo d'oro, e sopra fiori pur d'oro ricamati con grossi Alamari medesimamente dell'istessa materia» (G.S. Ruggieri 1650, pp. 164‑65; cfr. inoltre G. Gigli 1958, p. 366).

 

Sebbene alcuni ritengano che le cerimonie seicentesche si riducessero alla semplice solenne cavalcata, non solo il palazzo di Spagna venne « coperto tutto di festoni di carte di diversi colori e d'armi di Sua Santità, della Maestà Cattolica, e di diversi altri Regni di Spagna », ma <<in mezzo ad essa piazza e poco lontano fu eretto un [ ... ] palco quadrato sopra i di cui quattro suoi Angoli si vedevano fatte a foggia di vasi quattro Armi, doi del Principe e doi del Rè Cattolico, e ne' suoi piedi era foderato di legname finto a marmi dipinti con l'arme dell'Ambasciatore, e sopra nel mezzo di detto palco spicciò una Fontana di vino da una torre finta per tutto il giorno e parte della sera [e] in faccia al sudetto palazzo fù eretta una gran machina di fuoco artificiale, che rappresentava un Monte, sopra di cui era un Castello arme di Castiglia, e [ ... ] intorno in atto chi di fuggire, e chi di seguire diverse fiere, come Leoni, Cervi, Griffi et altri animali, e doi fiumicelli, che fingevano scaturire da due bande sotto a le radici di essa [macchina] molto bella, e più ricca dell'ordinario [alla quale] su l'una della notte, fu dato fuoco [ ... ] che fece molti bei giochi, e scherzi di fuochi». La macchina si trasforma il giorno successivo in « una Torre arme di Castiglia con dei Cavalli sopra voltatisi le schiene in mezzo de' quali un poco più alto si vedeva un Leone coronato » (G.S. Ruggieri 1650, pp. 165‑66).

 

Il contestabile Lorenzo Onofrio Colonna presenta nel 1675 la chinea a Clemente X nel palazzo del Quirinale « con modesta e nobile livrea [ ... ] assai degno e civile, vestito [di] nero a fiori d'oro, positivamente guarnito il Tosone d'oro, fregiato di Diamanti » con una cavalcata molto più pomposa rispetto a quella del 1650, nella quale era notevolmente maggiore anche il numero dei « Grandi » di Spagna che vi prendevano parte (R. Caetano 1691, pp. 272‑75).

 

Il Caetano sottolinea inoltre che i fuochi d'artificio della prima macchina in piazza di Spagna « riuscirono più vaghi ne lo strepito de le fiamme, che belli a la vista de' risguardanti » e che la fontana di vino rosso « fu cagione, che molti andassero a dormire prima, che il fuoco si riducesse in cenere ». La seconda sera, dopo « una nobile colatione di Canditi, e Confetture et Acque gelate », venne incendiata la « seconda Machina artificiosa di foco, la quale riuscì migliore de la prima a la vista per il disegno, et eguale ne l'incendiarsi con misurati ripartimenti di tempi artificiosi; di piacere di chi vi si trovò, poiché ne la confusione giocosa di ambedue le sere, non vi successe male alcuno » (R. Caetano, pp. 272‑75). Filippo IV e Carlo Il codificarono il cerimoniale, mentre Maffeo Barberini, principe di Palestrina e contestabile Colonna, nel diventare l'ambasciatore straordinario abituale del re cattolico, privatizzava la festa per la presentazione della chinea. In questo periodo di fine Seicento l'ambasciatore di Spagna, duca di Medinaceli, complicava i cerimoniali fino all'esasperazione, mentre un altro ambasciatore riproponeva, attraverso un memoriale, l'abolizione della presentazione della chinea in forma solenne come già aveva cercato di fare Ferdinando il Cattolico ‑ perché « sarebbe di vantaggio et utile al servizio del Re, poiché le genti se ne scorderebbero e s'avanzerebbe questa spesa inutile stante che non vi è dubbio che si contradiscono tributo e feste ». In seguito alla reazione suscitata dalla sua proposta, scriveva un altro memoriale nel quale pregava il suo successore di porre « ogni studio et applicazione acciò con la maggior grandiosità, lustro e splendore e numeroso accompagnamento segua la cavalcata, dipendendo tal grandezza il far conoscere l'autorità, che'l Re nostro Signore tiene in Roma, et il credito del suo amb[asciatorel, e [che] non solo si devono invitar li vassalli di S.M. ma gli indiferenti perché funzione che vi riguarda in primo luogo Sua Santità e la Sede Apostolica». La motivazione di tale cambiamento va ricercata nello sforzo di superare la Francia, rivale della Spagna, nelle celebrazioní festive della Roma barocca.

In questo clima di competitività assistiamo nel 1700 alla presentazione dell'ultima chinea asburgica a papa Innocenzo XII, da parte di Fabrizio Colonna, accompagnato dal cardinale Pietro De Giudicis; si tratta anche dell'ultima volta che la cavalcata ha inizio da piazza di Spagna, dove per l'occasione furono innalzate le macchine pirotecniche, che tanto incantarono il direttore della Accademia di Francia (Funcíon de la acanea del ano 1700, ms. 205, ff. 163r166v, A.A.S.S.S. Roma).

 

Nel Settecento le feste della chinea riassumono tutta l'esperienza accuMulata nel corso di due secoli e mezzo. Esse sono il riflesso dell'ambiente politico napoletano, scenario delle alterne vicende che interessano i pretendenti alla Corona di Spagna

Dopo un lungo intervallo (1702‑l72l), nel 1722 Innocenzo XIII concedeva L'investitura a Carlo VI per avere conquistato il Regno delle Due Sicilie. L'importanza dello evento fece sì che l'architetto Filippo Barigioni, nel progettare il catafalco di Innocenzo XIII a S. Pietro, inserisse nella facciata « che guarda all'Altare della Pietà, e Coro de' Signori Canonici, la presentazione della Chinea dalla Santità Sua, nuovamente introdotta col motto « Firmatum est Regnum eius 3, Regum 11, 12 » (« Diario ordinario », 1035, 22 marzo 1724, p. 10).

 

Le macchine per i fuochi d'artificio delle chinee dell'arciduca Carlo d'Austria (17221734) ‑ descritte in relazioni e cronache accompagnate da incisioni « date alle stampe alla publica luce in grand'abbondanza dispensate e da tutti gradite » ‑_ non furono   più allestite in piazza di Spagna, ma a piazza Santi Apostoli, davanti a palazzo Colonna, dove risiedeva l'ambasciatore straordinario incaricato dall'imperatore della presentazione del censo.

 

Alessandro Specchi, allievo di Carlo Fontana, in collaborazione con il disegnatore e incisore Francesco Faraone Aquila, progettava delle macchine di fuoco, dove Carlo d'Austria personificava alcuni dèi dello Olimpo, soprattutto Mercurio, che non risparmia sforzi per acquistare pace, concordia, gloria e onore.

 

L'ascesa al trono delle Due Sicilie e la successiva investitura di Carlo di Borbone vengono interpretate nella festa romana della chinea come una « sottomissione pirotecnica » al papato, forse perché le fabbriche sono illusorie ed effimere e « vanno a finire in fumo » (Maurizio Fagiolo 1974, pp. 91‑104).

 

Le feste di Carlo di Borbone si integravano perfettamente nella politica culturale dei papi del Settecento, e cercavano d'imitare e superare, in una specie di revival del secolo della meraviglia, l'operato dai re Aragonesi agli Asburgo.

 

Volendo poi affermare la propria indipendenza dalla Spagna, Carlo scelse come scenario neutrale per la festa palazzo Farnese, su cui prospettava l'edificio dei suoi antenati, i Farnese di Parma e di Piacenza. Nella sua mente vi era forse lo scopo ben preciso di collegare le « allegrezze » della giovane monarchia ai vecchi fasti della nazione spagnola.

 

Il primo Borbone di Napoli era soprattutto interessato a una parte della festa: la costruzione delle macchine per i fuochi d'artificio, che sono in definitiva la migliore réclame per la sua non ancora solida monarchia.

 

Nell'invenzione e costruzione delle macchi­ne Carlo cercava di richiamarsi ai fasti degli antichi romani, nell'intento di superare le macchine fatte costruire sotto il governo dell'arciduca.

 

L'iconografia degli apparati adoperava simbologie complesse, in uno sforzo di recupero dell'antico, teso a illustrare la storia di Napoli dal 1738 al 1759.

 

Con Carlo di Borbone la direzione degli apparati non è più monopolio di italiani, ma si giova del contributo di artisti delle nazioni amiche: la Francia del Re Sole, la Spagna di Filippo V, ma anche la Germania di Maria Amalia di Sassonia. Michelangelo Specchi, architetto di casa Colonna, coordinò dal 1738 al 1750 il lavoro di maestranze francesi, tedesche e spagnole, nonché dei « fuocaroli », che dal 1751 sembrarono perdere quel ruolo fondamentale rivestito nel passato, tanto che le loro firme vennero perfino cancellate dalle incisioni. L'introduzione della decorazione teatrale o architettonica a partire dal 1745, dimostra la maggiore importanza accordata all'evento dal rifondatore di Partenope, che sottolinea così l'importanza politica del Regno, non più dipendente dalla Spagna. Anche perché, dopo la guerra di Successione, questa fu la prima occasione in cui Carlo poté aiutare il papa contro gli infedeli‑austriaci. L'allegoria mitologica compare soltanto nell'apparato allestito dallo spagnolo Francisco Preciado de la Vega nel 1750.

 

Carlo diventava il grande costruttore, discendente dai romani, che fortifica la città, restaura il palazzo reale, costruisce un nuovo molo, nuove strade, giardini orientalizzanti e ville a Capodimonte e a Portici; e riscopre anche le meraviglie del Vesuvio, attraverso la lettura di Plinio. A fianco però delle meraviglie della reggia, Roma incomincia a comparire timidamente in queste macchine con temi tratti dal repertorio abituale: il Pantheon e Castel Sant'Angelo. Nelle allegorie, ispirate alle eroiche virtù di Carlo, compare la tautologia assoluta rivolta al fuoco, principio e fine di tutta la festa, personificato dai vulcani delle Due Sicilie, l'Etna e il Vesuvio, che emergono sullo sfondo delle composizioni dal 1738 al 1759. Il Vesuvio, meta di viaggiatori che raggiungevano la cima per calarsi nel cratere, diventava protagonista nel 1750; una citazione di Plinio esaltava appunto il concetto del « viaggio ». Nel 1760 Ferdinando di Borbone terzogenito di Carlo, succedeva al padre nel Regno di Napoli e nella presentazione della chinea, fino al 1787. Monopolizzarono la costruzione e progettazione delle macchine di questo periodo Paolo Posi, architetto camerale della Repubblica di Venezia e di casa Colonna, in collaborazione con il suo allievo, l'architetto camerale Giuseppe Palazzi, e con l'incisore Giuseppe Vasi.

 

Posi, ultimo epigono del barocco, celebrava Ferdinando negli apparati come appassionato archeologo, e come l'entusiasta monarca favorevole al trasporto in piazza di elementi popolari (come la « tanto gradevole al popolo caccia dei Tori ») sulla platea d'un sontuoso edificio destinato al divertimento pubblico.

 

Ed è Palazzi con più freddezza del Posi, ma sempre nello stesso stile, a progettare un Campidoglio « alternativo », che celebra le Belle Arti. Questo omaggio alla scienza venne qui presentato in forma abbastanza schematica e riproposto, nel 1777, con un arco di trionfo dedicato al popolo romano e a Roma stessa, che spodesta Napoli come madre delle Belle Arti e delle scienze. E ancora con la « bambocciata nella quale si dispone il volo d'un pallone aerostatico », effettuata in un edificio neoclassico coronato da padiglioni a voliera di gusto rococò, che rappresenta il migliore sunto delle macchine pirotecniche settecentesche. D'altro canto, diversi apparati spettacolari fanno riferimento al mondo dello spettacolo attraverso la finzione. Così il teatro del 1761 presentava anche i locali destinati al ristoro e al guardaroba, mentre nel 1764 un teatrino di burattini viene sistemato davanti a una galleria illuminata a giorno e una cuccagna (1765) ai lati d'un prospetto architettonico. Inoltre i giochi atletici vengono sviluppati in una platea teatrale (1766) con tre ordini di palchetti e un palco reale, mentre nel 1769 un edificio destinato a pubblici divertimenti sembra un teatrino preparato per una festa di ballo con due corpi laterali per il buffet. Più tardi viene riproposta una giostra (1774) davanti a una villa per il divertimento dei nobili, le feste di monte Testaccio (1778), e un villareccio e notturno divertimento (1782) che si svolge in un casino grottesco illuminato con lampioni di vari colori. E quando la festa è già in netto declino viene rappresentata la mossa dei barberí alla piazza del Popolo (1783), come a indicare che la festa si è realmente trasferita a Roma.

Stralcio da "Montserrat Moli Frigola in Roma Sancta, parte III° - Feste, cerimonie, musica, solennita a Roma".

 

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