DENUNZIA Di DOnATo FRongiLLo.
Die vigesima prima mensis martii 1794.
Donato Frongillo di Napoli dice essere
ebanista, con casa e bottega al vicolo
di Belmonte alle case de' fratelli Parascanolo, di età sua di anni venticinque
in circa, ut dicitur principalis
denuncians cum iuramento interrogatus et examinatus ; et primo dicit:
"Signori illustrissimi, la verità
si è questa: come il dopo pranzo del giorno di domenica, sedici del corrente
mese di marzo anno 1794, uniti essendo io e li fratelli Angelo e Frarcesco
Biancardi, di mestiere il primo indoratore ed il secondo intagliatore, ci portammo a passeggiare per diverse
strade di questa città e verso le ore 22 pervennimmo sul Molo. Stando in que'
poggioli sedere ed a discorrere indifferentemente, si unirono a noi Vincenzo
Marinelli, ebanista, con bottega nella contrada della Cisterna dell'Olio e con
casa incontro il palazzo dell'illustre principe di Belmonte; un di costui
fratello di mestiere sartore, che non so a nome; un altro giovine, di mestiere
ebanista, soprannominato il Sargente,
il quale abita nel vicolo della Candelora; un prete di avanzata età, de'
quali non ne so i nomi e casati; la suocera di Vincenzo chiamata Annarella; la
di lui moglie chiamata Antoniella; la
moglie del Sargente e la di
costei madre; ed un altro uomo che
intesi essere scarparo; li nomi e casati de' quali anche mi sono ignoti; e tutti ci fermammo a
discorrere di cose indifferenti.
Dopo alquanto tempo tra noi si
determinò di fare una merenda dentro la cantina del Cristo, sita verso la porta
piccola di San Giorgio de' Genovesi. Con questo appuntamento partitici tutti
noi giunsimo nelle vicinanze dello Spedaletto, ed, essendo ben presto per
portarsi in detta cantina, dicemmo a dette donne ed al sacerdote di avviarsi in
detta cantina, perché poco dopo saremmo anche noi andati.
Divisici, dunque, presimo a tornarci
indietro per il Molo, e, strada facendo, essi di Marinelli, e con precisione il Sargente e 'l Sartore, introdussero
un discorso relativamente ai Francesi, e, nel corso del medesimo, dissero a noi
se avevamo
saputo qualche notizia, de' Francesi, o la presa, che avevan già fatta, di una
città, che non mi ricordo come la denominarono. Noi risposimo, cioè io e li
fratelli di Biancardi, non averne saputa cosa; e quelli, continuando a
discorrere della bravura de' Francesi, dissero finalmente che, per la presa di
quella città, erano già vicini a venire in Napoli. Passarono poi a parlare
della carestia, ch' era in questa città ne' generi del vitto, e de' prezzi sommamente
alterati, e conchiusero che tutto era caro e appena si poteva vivere.
Indi proseguirono a dire che loro
amavano molto la libertà de' Francesi, perché così non si vedevano tanti
aggravi e carestia, né [mancanza di] viveri, causa per la quale erano essi a
sottoscriversi in una nota, che stava in mano di un ufficiale (del quale non
ispiegarono il nome ed il reggimento), per amici de' Francesi, ai quali
unirsisi, subito che arrivavano in questa capitale.
E finalmente dissero che, venendo li
Francesi, godrebbesi della libertà, dell'abbondanza dei viveri e non si pagava
la pigione di casa; e passarono, di più, essi ad invitarci a concorrere e
firmare la nota suddetta, sottoscritta d'altri in numero più di trecento.
Io e li fratelli Biancardi credemmo sulle
prime che burlassero, ma dai replicati loro discorsi e dalla premura, che si
faceva dal Sargente e dal Sartore, di
trovare l'ufficiale tra le genti, ch'erano sul
Molo, per portarglielo a farci sottoscrivere la nota, ci
accertammo allora di essere effettivamente quelli gente sediziosa e nemica
dello Stato e del re, per cui subitamente noi cercammo le occasioni di
licenziarci ed andarcene via; e siccome il Vincenzo prese a trattenersi, il
fratello ed il Sargente, girando
sempre intorno per il Molo, si videro parlare ora con uno ed ora con un altro,
che io non potei distinguere chi essi fossero, né le di loro fattezze e i
vestimenti. Verso tre quarti di notte dello stesso giorno ne andarono via li
fratelli Biancardi senza prendere permesso alcuno. Io cercai similmente
andarmene, ma il Vincenzo non mi lasciava punto solo, che me ne avessi potuto
andare, per cui dovei con lui accompagnarmi, e tuttocché, per strada seco lui
strepitando, mi fussi molto riscaldato e risentito delle seduzioni fattemisi
dal di lui fratello e dal Sargente per
indurmi a soscrivere nel complotto, e tra tali contrasti arrivati in detta
cantina, ritrovammo le descritte donne congiunte del soprannominato Sargente e del Marinello, ed
il prete anzidetto, con il quale in compagnia eransi dette donne lasciate nella
vicinanze della chiesa dell'Ospedaletto. Tutti essi, dunque, nel vederci
alterati, sbigottiti e smorti di colore, ce ne domandarono la cagione e ciocchè
eraci avvenuto, e noi loro dicemmo che lo Sargente ci voleva indurre ad unire seco lui in un complotto, senz'altro dire; ma, come io strepitavo di volermene andare, il Vincenzo
Marinelli, dissuadendomi con buone maniere, mi fece trattenere; ed intanto,
uscito il Vincenzo Marinelli da quel luogo, ritornò poi in unione del fratello
e del Sargente
e dello Scarparo; e, come io presi a dolermi con il Sargente, che mi voleva indurre a complottarmi a favore dei
Francesi, lo Scarparo rispose
: " Si no' coglione: pe na cosa da niente ti si' miso appaura. Si veneno
li Franzisi a Napoli, è cosa bona, e noi volimmo fa' liberté". Ciò io
sentendo con tutti gli altri, che stavamo in detta cantina di sopra nominati,
lo sgridammo, ed io fui quello che maggiormente me ne risentii e perciò voleva
andarmene via, ma il Vincenzo Marinelli si pose a quietarmi, dicendo che lo Sargente burlava. Intanto, terminatosi così l'affare ed avendo
cenato con essi in detta cantina, ce ne ritornammo tutti nelle nostre
rispettive case, e, gionto io nella mia, cominciai a riflettere a quanto di
sopra ho deposto e risolvei il tutto palesare a S. E. il signor cavalier
Medici, reggente della Gran Corte. Ma, come mi venne pensiere che, ciò
appurandosi, potevo essere ammazzato dalle persone del complotto suddetto, su
tale considerazione procrastinai sino al giorno 21 dello stesso mese di marzo,
ma in tal giorno, risolutamente cancellato il mio timore, mi portai da questo eccellentissimo signor
cavaliere, a cui manifestai
quanto di sopra. Da detto giorno fin oggi ho inteso con pubblicità dire che si
sia scoverta una grande congiura contro lo Stato e governo di Napoli e di
essersi perciò carcerati molti individui, ch'erano nella congiura medesima,
tra' quali il Vincenzo Marinelli, il di costui fratello di mestiere sartore, lo
Sargente e lo Scarparo. Ed è la verità ».
E dettoli chi puol contestare quanto di
sopra, disse : " Signori illustrissimi,
li nominati in questa mia deposizione ed altri che il sapessero ".
Donato Frongillo ho deposto, come
sopra.