CARLO DE NICOLA

DIARIO

NAPOLETANO

 

 

SETTEMBRE 1799 

 

Domenica 1 settembre. Circa le ore undeci di Spagna questa mattina sono entrati alcuni legni che hanno salutato il porto con varii tiri di cannone, la bandiera di uno di essi che ho veduta era dei Stati Uniti d'America, si è creduto che fossero i Moscoviti che si aspettano, ma non è stato così. Si era sparsa una voce sicura della presa di Roma, ma neanche si è verificata.

Il Re si dice che non venga per ora, perché non è sicuro ancora del popolo. Questa diffidenza lo fece partire l'anno passato ed accelerar fece i nostri travagli, dando ansa e comodo ai ribelli di far venire i Francesi faccia Iddio che la diffidenza medesima non ci rechi ora qualche altro guaio.

Lunedì 2 settembre. E’ arrivata notizia sicura della presa di Roma, che si dice seguita nel seguente modo. Il giorno 23 agosto le nostre truppe ebbero avviso che l'armata Austro‑Russa il giorno seguente sarebbe stata alle porte di Roma. Il celebre fra Diavolo profittò dell'avviso, e prese l'altura la notte stessa dei 23, circa le ore 6 d'Italia piombò entro Roma e gittò lo spavento e la costernazione nella guarnigione francese e patriotta di Roma che immediatamente come seguì in Napoli si chiuse in castel s. Angelo, lasciandolo padrone della città. Si è spedita la notizia a Palermo, e si manda l'artiglieria verso Roma con un corpo di 1500 altri uomini di guarnigione.

La giornata d'oggi è quella dell'epoca delle nostre sventure, giacchè la leva dei 2 settembre 1798 aprì la scena alle sciagure che pel corso di un anno abbiamo sofferte, speriamo che cominci da questo giorno medesimo con la lieta novella, qual'è quella della presa di Roma, una per noi epoca felice ed avventurata che faccia dimenticarci i passati travagli.

Ieri sera furono trasportati moltissimi dei detenuti nelle carceri della Vicaria per imbarcarsi, giacché continuano a levarsi da Napoli.

Quest'oggi e questa sera si son viste girare molte pattuglie di truppa Inglese sbarcata dalla fregata qui arrivata.

Il direttore di Polizia d. Antonio La Rossa sta formando un nuovo corpo di gente d'arme vestito alla leggiera d' color grigio, ed hanno la denominazione di fucilieri di polizia; bisogna che tutto abbia un'aria di novità.

Martedì 3. La notte scorsa vi è stata la decisione della Giunta di Stato, ed è stato condannato il conte di Ruvo, Ettore Carafa, a perdere la testa su di un palco. Quest'oggi stesso è passato alla cappella, e domani si eseguirà la sentenza. Basset, Mantonè e due altri sono condannati alla forca, ma perché compresi nella capitolazione, non si eseguono. Il medico d. Antonio Sementini è stato escarcerato, e suo figlio condannato ad anni dieci di esilio.

Si è detto tornato Martucci, ma non è stato vero. Si dice che uno degl'incarichi pei quali è partito, sia quello di far cessare l'anarchia popolare, avendo Ruffo proposto il disarmamento del popolo senz'essere stato inteso. La verità è che se il popolo non si mette in soggezione, si andrà da male in peggio. La notizia della presa di Roma non si è avverata.

Mercordì 4. Ieri sera vi fu molta truppa in moto per la città, e a notte avanzata vi fu nel quartiere detto della Duchesca un allarme cagionato da truppa che andò a fare visita in alcune

case per carcerazione da fare. Come quello è un quartiere popolato molto di plebe, così questa insolente oltre modo si e posta in sussulto, ed è andata a far violenza al monastero di s. Clemente volendo obligare quelle monache a suonare la campana ad armi. Per grazia di Dio le monache non hanno dato retta a tale inchiesta, altrimenti poteva sortire qualche disordine. Quali carcerazioni siensi fatte da me s'ignora.

Questa mattina il popolo stesso ha cagionato altro rumore. Dalla stamperia Reale sono usciti alcuni fogli stampati che contenevano un proclama dei patriotti Perugini che rinfacciava alla Francia e ai Francesi la cattiva fede; terminava con l'espressione republicana salute e fratellanza. Si è data la combinazione che leggendosi da un galantuomo a voce alta in mezzo Toledo, il popolo intese quelle espressioni, e subito allarmato lo ha arrestato e condotto alla Giunta di Stato. Indi è andato arrestando coloro che andavano vendendo tali carte. La Giunta ha veduto che tutto era trasporto di plebe stupida e riscaldata, ma non ha potuto rilasciare l'arrestato per timore che nol maltrattassero. Ha poi mandati gli ordini perché si procurasse far sciogliere gli aggruppamenti di popolo ch'erano cominciati a farsi. Siamo sempre lì, se il popolo non si mette in soggezione andiamo di male in peggio. Si dice che si pensi a disarmarlo, ma anche il Governo teme di compromettersi: si dice che delle carcerazioni siensi fatte, anzi si dice che andata una deputazione popolare a far strepito alla Giunta perché si spedissero le causo dei rei di Stato, la Giunta la mandò da Ruffo, il quale notar fece i loro nomi col pretesto di far noto al Re il loro zelo, e poi la notte gli mandò ad arrestare. Tutto va bene, ma bisogna che gli si faccia vedere il viso delle armi, come suol dirsi, altrimenti tutto è inutile.

Quest'oggi è seguita la decollazione del Conte di Ruvo, Ettore Carafa, che sento sia morto contritissimo.

La Giunta di Stato si dice che da qui a due altri mesi sarà sciolta, perché S. M. ha ordinato che si decidano le cause, perché altrimenti non finiranno mai. Per esempio, si è fatta una classe degli ascritti alla Sala patriottica che ne comprende 1060, per questi sento che sia ordinata la deportazione e confisca dei beni, così degli altri. Il numero degli arrestati mi si dice ascendere a novemila seicento, e che ve ne siano da circa 800 altri di dubia qualità, pei quali si stanno acquistando ulteriori lumi per arrestarli.

Mi si assicura che il principe di Torella ebbe un carico provato da testimoni di essere stato egli alla testa della sua compagnia a cavallo quel giorno che furono trascinate e brugiate le bandiere Regie avanti al Palazzo. All'incontro il Principe ha mostrato la coartata di essersi egli quel giorno trovato a letto ammalato, ed ha fatto constare non aver egli mai montato a cavallo perché pativa di capogiri talmente che non poteva reggersi. Tale difesa non gli valse, e sta colla sentenza di morte, della quale la capitolazione lo ha salvato.

E’ sicuro che i patriotti portati da Cancelliere a Tolone, appena arrivati furono posti in ferri dai Francesi. Che belli amici si avevano scelti, che bella lealtà, che belle promesse! La rivoluzione di Napoli sarà di obbrobrio eterno alla Nazione francese. Quest'oggi dicesi scoverta la flotta Russo‑Ottomana.

Giovedì 5. Effettivamente sono in rada alcuni legni Moscoviti, non si sa ancora l'oggetto perché son venuti.

E’ degno di tramandarsi alla posterità il seguente aneddoto.

Un macellaio di cognome Martusciello, quando S. M. venne in rada, caricò una barca di varj rinfreschi come frutta ed altro, e li portò a bordo, trovò che il Re non era arrivato ancora, ed egli lasciò tutto all'ammiraglio Inglese, pregandolo a farlo avvisato subito che S. M. arrivasse. L'Inglese gli mantenne la parola, ed egli si portò subito colla solita barca a complimentare S. M., e all'ammiraglio Inglese presentò un mazzetto con un anello di brillanti che si tolse del dito. Ora si è saputo che lo stesso macellaio, tornato il Re a Palermo, si è là portato con la moglie, e fece in Palermo una publica entrata in questo modo. Marciavano innanzi a lui venti vacche ben pasciute ed ornate in tela d'argento, venti vitelli, così a venti a venti altri animali da macello; seguivano poi altri doni di frutta e cose simili. Indi egli in abito nero e parrucca gittando monete di argento. Ed in questo modo caminando arrivò al Palazzo Reale. S. M. chiamato dalle grida corse al balcone e lo applaudì colle mani. Indi fece salirlo sull'appartamento; entrato egli con la moglie presentò tutto a S. M. e vedendo la nutrice che aveva in braccio la ragazzina della Principessa ereditaria, la moglie di Martusciello si tolse dal collo un filo di perle e lo regalò alla nutrice, pregandola di aver cura dell'Infante. Ritiratosi a casa sua fece sentire a tutti i Napoletani che trovavansi a Palermo, che gli avrebbe somministrato tutto quel denaro che poteva bisognarli, e durante il tempo di sua dimora in Palermo si è trattato sempre alla grande e inutilmente.

Sono stato assicurato che la Giunta di Stato abbia effettivamente avuto un dispaccio d'istruzione per le cause dei rei di Stato, e che contenga le seguenti determinazioni. Per i glubisti ascritti prima e dopo la venuta dei Francesi, giudicati a tenore delle leggi, lo stesso pei rappresentanti ed altri incaricati di prim'ordine. Per gli ascritti e giurati alle Sale patriottiche, deportazione in vita e confisca dei beni. Per i civici volontarii, e per quel che avevano graduazione, una mortificazione ad arbitrio della Giunta. Per i civici forzosi, ammessi alla Reale indulgenza. Per i municipalisti ed altri impiegati volontarii, una mortificazione, e privati di ogni impiego, ed esclusi da quelli in ogni tempo. Per i municipalisti ed impiegati necessarii e forzosi, esclusi da ogni impiego. Per quei che hanno poi carichi particolari, giudicati secondo le circostanze.

Non mancano dei disordini che si commettono dal popolaccio, e non è sicuro il girare per la città dopo le ore due, né l'uscire da quella. Nella strada di Portici fu verso un'ora e mezza di notte arrestata la carrozza del cav. Marulli sotto la solita scusa di vedere chi fosse, ed avendolo fatto calare si presero quanto aveva, anche la chiave d'oro, credendo che veramente fosse d'oro. Per la città arrestano col chi viva, e poi spogliano. Il direttore di Polizia, della Rossa, ha prese però le misure per dar torneo a tali disordini, e sta per tal motivo sollecitando la formazione dei suoi fucilieri di Polizia, dei quali ne ha vestiti cento, e domani ne veste altrettanti.

I legni Moscoviti sento che abbiano sbarcati altri 1500 uomini.

Venerdì 6. Si è publicato colle stampe il dettaglio di una luminosa azione seguita il giorno 15 agosto nelle campagne di Novi. L'esercito francese forte di 50 m. uomini comandati dal generale in capo Joubert fu attaccato dall'esercito Austro-Russo. L'azione fu vivissima, e tre volte i Russi avendo attaccato il centro dell'esercito francese furono respinti con perdita. Il generale Austriaco barone Melas si mosse finalmente con sedici battaglioni e caricò l'ala sinistra nemica in maniera che fece piegarla e darsi in fuga, e con lei tutto l'esercito che fu inseguito fino a notte avanzata. Restò morto sul campo il generale francese Joubert, e mortalmente ferito Moreau. Altri quattro generali rimasero prigionieri con 4 o 5m. tra ufficiali e soldati, e tutta l'artiglieria nemica rimase in mano agli Austro‑Russi. Il generale Melas confessa essergli costata cara tale vittoria, ma dice che le conseguenze ne saranno brillanti, e per poco altro si sentiranno i Francesi in Italia.

Si è mandata insinuazione ai luoghi pii di prestarsi all'opera del riscatto dei schiavi presso i Barbareschi con una prestazione in denaro. Fatto sta che i luoghi pii sono esausti, e il direttore Zurlo li vuole annichiliti.

Questa sera si è sparsa voce dell'arresto del duca della Salandra. Sarebbe un'altra scena tragica questa. Il piú acerrimo realista si è mostrato il duca sotto il Governo republicano, fino ad andar sempre vestito a lutto, ed a parlare senza ritegno. Ne riporterebbe questo premio.

Sabato 7. Domani alle sette di Spagna parte per Roma il generale Broccard (Bourcard) con duemila uomini di truppa di linea e molta massa, vanno con lui da volontari molti ufficiali del distrutto esercito di S. M. La notizia di Salandra fu falsa, lode a Dio.

Il dispaccio venuto da Palermo, e che accennai l'altro ]eri, sento che sia piú aspro di quello che mi si disse, spero averne la copia. Questa mattina è surta la voce che S. M. con altro dispaccio ringraziava tutti coloro non ostante il rigore dei ribelli, si erano esentati dal servire, ascrivendosi da contribuenti.

Mi rincrescerebbe se fosse vera l'altra notizia che si è detta, cioè di qualche dissenzione tra l'Inghilterra e la Moscovia relativamente a Malta, giacchè il Czar avendo preso il titolo di Gran Maestro dell'Ordine ne vuole la protezione, e la chiede per sè. L'Inghilterra all'opposto la vorrebbe per conquista. Questa dissenzione potrebbe nuocere agl'interessi nostri in particolare.

Domenica S. Questa era la gran giornata della sontuosa festa di Piedigrotta per la uscita dei Sovrani con intero treno e squadroni di tutta la truppa accampata alle spiagge, e squadra situata in rada. Festa ricca insieme e maestosa, che attirava il concorso di tutta la popolazione vicina. Ci è mancata quest'anno con infinito rincrescimento; si è veduta bensì venire anche della molta gente di campagna, che si lusingava forse che ci fosse. Abbiamo avuto la festa anco a s. Chiara, fatta dai gentiluomini di Camera e Scheffi di Corte, con molta sontuosità questa mattina.

Il generale Broccard è partito, ma si spera di sentir presa Roma. Si dice giunta notizia d'un'altra disfatta data dall'arciduca Carlo all'esercito francese sul Reno comandato da Massena con la prigionia del d. generale, dopo saltatogli un braccio con un colpo di cannone.

Cennai nei passati giorni il rumore che il popolaccio fatto aveva per una carta stampata, in cui aveva veduto scritto salute e fratellanza. Mi è pervenuto il d.o foglio, e meriterebbe che si facesse non solo noto, ma publico a tutti, acciò fosse ognuno a giorno della perfidia francese, e conoscesse da quali orrori ed umiliazioni siamo noi stati liberati. Ne darò un estratto,perché non so se mi riesca di poterne conservare una copia.

Porta la data di Perugia, e l'epigrafe Avviso interessantissimo per gl'Italiani, ed incomincia così: « Popoli d'Italia, mirate con indignazione ed orrore nel documento autentico che io riporto a qual funesto destino vi aveva riserbato il piú infame complotto, l'esito della slealtà e della perfidia, il direttorio esecutivo diFrancia ecc. ». Questo è il grande monumento pubblicato in Perugia, colla data di quest'anno presso Carlo Badual e figli, che dovrebbe farsi noto a tutte le popolazioni Italiane, perché si ricredessero. E pure il nostro stupido popolaccio, per avervi trovato Salute e Fratellanza, ha posto nella necessità il Governodi farne proibire la ulteriore publicazione. Sul proposito dei capi di opera trasportatisi dai Francesi, devo avvertire, che l'Ercole Farnese è rimasto, essendosi trovato incassato ma non partito ancora.

Lunedì 9. Son cominciate a trattarsi nella Giunta di Stato le cause di minor momento ad oggetto di sfollare le carceri da tanti arrestati. Il principe di Torella e Riario, dicesi, che ab­biano avuta la grazia della vita per effetto della capitolazione, ma resteranno in vita nel fosso del Maritimo; grazia piú orribile della morte.

Quest'oggi nel cortile del Tribunale di Capuana mentre reg­gevasi Camera Reale[*1]  è accaduto un disordine non nuovo, ma di funeste conseguenze. E’ stata sempre antipatia tra birri e soldati, e da questi si è preteso sempre che passando birri innanzi a sentinelle militari, dovessero togliersi il cappello. La nuova squadra dei fucilieri di Polizia che sta formando il direttore La Rossa credeva forse non doversi considerare come l'antica sbirraglia, e non si toglieva perciò il cappello ai militari. Quest'oggi dunque essendo di guardia un uffiziale forse piú formalista, ha maltrattato uno dei detti fucilieri, perché non si aveva tolto il cappello passandogli avanti. Il fuciliere ha voluto rispondergli con impertinenza e l'uffiziale dalla sua gente ha fatto cacciar fuori lui e tutta la squadra di Polizia, che vi era in quel cortile. Uscendo la porta uno di essi ha continuato a tenere il cappello in testa. La sentinella a cavallo con la carabina ha fatto cascarcelo, il fuciliere si è calato a prenderlo a terra, forse con modo improprio ed anche minacciante, e la sentinella gli ha scaricata in testa la carabina, che fortunatamente gli ha preso il solo cappello, e la palla è passata a ferire un altro fuciliere nella coscia. Questo l'accaduto d'oggi; se non si ripara, sentiremo ogni giorno attacchi tra soldati e birri.

Si dicono arrivati a Gaeta ottomila Moscoviti.

Molti generi che ci mancavano da un pezzo sono venuti in dogana, come zuccaro, caffè, cacao, e simili; per cui si crede che dovranno sentirsi gli antichi prezzi, avendo pagato il zuccaro fino a 24 carlini, ed il caffè a carlini 32 il rotolo.

Martedì 10. Si è publicata colle stampe la capitolazione di Civita Castellana seguita il giorno 25 agosto; di breve, sentiremo attaccata Roma. Si è permesso alla guarnigione di Civita Castellana il potersi ritirare a Roma, ciò fa vedere che non si cura. Fra i capi della capitolazione v'è il perdono generale, che si dice accordato dal generale Austriaco « perché questa è la mente del Sovrano ». Volesse Iddio e si regolasse così il nostro Re, ma ètutto il contrario, come va a vedersi dall'estratto che vengo a notare del dispaccio che accennai l'altro giorno, quando mi fu riferito semplicemente.

Porta questo la data del 27 agosto della Segreteria di Giustizia, 23 da Palermo, diretto al Card. Ruffo dal generale Acton. Risponde ad una rappresentanza della Giunta di Stato in adempimento di altra Real Carta del 30 luglio colla quale S. M. gli aveva manifestato che nel formare la Giunta aveva avuta la mira principale di provvedere i mezzi piú efficaci a sradicare i ribelli, e dare degli esempi di pronta e severa giustizia, che in ogni tempo scoraggiasse i perversi. Ma che per conciliare la giustizia colla connaturale clemenza del Re, e risparmiare al possibile il sangue umano, volea S. M. che il piú gran numero dei rei fosse punito colla deportazione in vita e confisca dei beni ancorché meritassero l'ultimo supplizio, e però l'ingiungeva, non meno il pronto e sollecito castigo dei principali rei, secondo tutto il rigore delle leggi, che un piano da comprendere le classi dei meno colpevoli, i quali meritare potessero la deportazione e confine d a infliggersi dalla Giunta, fissando un metodo semplice e conveniente per evitare le lungherie, e sgravarsi con celerità i Regni di S. M. da tali scellerati. La Giunta dice aver trovata difficile la classificazione, prima perché credeva che fosse bisognata una sommaria cognizione dei reati di ciascuno, locché il numero eccedente degli arrestati e le altre circostanze non permettevano; secondo perché in tali delitti tutto è atroce e tutto è punibile con severità, onde la distanza è nulla, o assai poca. Pur non di meno per secondare i moti del pietoso cuore di S. M. proponeva i suoi sentimenti nel seguente modo formando così le classi. Prima, tutti coloro che al numero di 416 si trovano notati in un libro intitolato Coscrizione dei Patriotti, che hanno giurato nella Sala patriottica, di vivere liberi o morire. La Giunta crede che sieno tutti gravi delinquenti, ma come tra questi vi sono di quei che hanno altri delitti complicati, così opina per costoro doversi giudicare, e per tutti gli altri mettersi nella classe dei meno colpevoli, s condo le mire del Re. Seconda classe, vi è un altro libro intitolato, Elenco di tutti gl'individui componenti la Società popolare ai 19 fiorile, anno VII della libertà, ove sono coscritti altri 471 patriotti. Questi anche li giudica gravi, perché cospiravano allo stesso fine, ma meno, perché manca in loro la qualità del giuramento, e però tolti quelli che hanno qualche altro delitto complicato, tutti gli altri compor possono la seconda classe dei meno colpevoli. Terza classe. Quel che hanno servita la truppa di linea e la nazionale, che si dividono in truppa di Marina e di terra. I primi sono più delinquenti, perché nel Provisorio giurarono libertà o morte, e però dovrebbero soggettarsi a condanna giudiziaria. Per quei di terra, vi sono coloro che oltre il servizio preso, hanno poi combattuto nelle diverse spedizioni contro le truppe di S. M., suoi alleati, e Realisti. Fra questi debbono collocarsi in primo luogo coloro che fino all'ultimo punto hanno combattuto nei castelli di s. Elmo, Capua e Gaeta, onde in confronto di questi crede la Giunta che gli altri sieno meno colpevoli. Quarta classe. Tutti gl'impiegati al Governo e magistratura, la Giunta li crede delinquenti, perché da una mano illegittima e da un capo di ribelli ricevettero la potestà che compiutamente esercitarono. Ma che in confronto sono piú rei quelli che occuparono la rappresentanza del Governo provisorio, quelli del Potere Esecutivo, del Comitato Legislativo, del Tribunale Rivoluzionario, dell'Alta Commissione Militare. Questi crede doversi giudicare, gli altri annoverare nella classe dei meno colpevoli. Si escludono da tal reato quei che occuparono oppure restarono nelle antiche magistrature, variato il nome e il solo esecutivo delle leggi e costituzioni con le quali si governavano nel tempo della tranquillità dello Stato. Quinta classe. I proclamatori, i predicatori, i seduttori sono gravi delinquenti, distingue però la Giunta quelli che sugli altari e nei luoghi publici hanno predicato da quelli che ciò hanno fatto in privato. I primi la Giunta dice doversi assoggettare a condan na, i secondi annoverarsi nella classe dei meno colpevoli. In questo modo la Giunta ha creduto poter classificare i piú o meno colpevoli, ma ha rassegnato pure che nella classe dei meno colpevoli possano esservi quel in cui concorrono piú colpe che li rendono deliquenti, e nel numero dei piú gravi potervi essere di quei che, per una legale eccezione o particolare difesa, meritarono diminuzione di pena. Si rimette in fine la Giunta all'alta economia e potestà del Re per deliberare dei suddetti rei a tenore delle Sovrane manifestazioni.

Il Re risolve così col dispaccio seguente:

S. M. avendo preso in considerazione quanto la Giunta ha espresso, è venuta ad uniformarsi alla classificazione fatta dei rei meno colpevoli, e comanda che la Giunta sud.a in questa conformita esegua pei rei meno colpevoli e colla maggiore possibile celerità per passarsi alla deportazione e confisca dei beni di tali rei, giudicando la Giunta secondo il rigore delle leggi e con eguale sollecitudine gli altri rei principali e più gravi.

 

Mercordì 11. Ieri sera circa le ore due fuori lo Spirito Santo una pattuglia a cavallo, o per abbaglio del Santo, o per altro accidente, si attaccò colla sentinella ch'è alle carceri di s. Felice, questa fece fuoco, corsero i Moscoviti ed il fuoco crebbe, non se ne sa il dettaglio preciso. Altri disordini non sono mancati, né mancano sera per sera, come di gente assassinata col pretesto di Giacobinismo, e di botteghe sfasciate. Si dice che il direttore La Rossa abbia data la sua dimissione. Sarebbe un altro malanno, essendo Ministro di petto, di ottime intenzioni, ed impegnato pel bene publico senza rnistero e fini privati.

Non mi ricordo se ho accennato che il Presidente ossia Vicepresidente pensi di unire le quattro Ruote per far risolvere i pagamenti da farsi generalmente in contanti per finire di gittare nel discredito le carte di Banco.

La vendita dei beni dei luoghi pii soppressi la Corte anche vuol farli in contanti; la decima la vuole in contanti, i pesi fiscali in contanti, ed i Banchi continuano ad essere chiusi, restando ai particolari le carte che hanno il valore della metà fin'ora, e di qui a poco del niente.

I cappellani del Tesoro avevano la prerogativa di essere del ceto dei Cavalieri di Piazza, vacando un luogo, si è dato ad un tal Cafiero del ceto dei negozianti, dicendosi che la distinzione della Piazza è terminata. Lascio a chi mai sarà per leggere queste memorie di fare le sue riflessioni, e passo ad accennare un altro fatto. Il primario dei Tavolarii del S. C. doveva essere Cavaliere di Piazza e dalla Piazza doveva elegersi, si è eletto non so come, e si èuscito dalle Piazze, essendosi conferito ad un certo di cognome Petroni.

Giovedì 12. Ogni sera si tiene truppa sopra l'armi temendosi di qualche disordine, perché la città niente è quieta, e non mancano giornalmente dei malanni causati da gente malintenzionata, e dal popolaccio. Queste notizie sono così arrivate fuori Regno, che molti bastimenti mercantili carichi di generi che sono in Livorno hanno ricusato di voler venire in Napoli temendo gli assassinii, le crudeltà, e barbarie che qui si commettono, o almeno si son commesse da un popolo dato in preda alla rapina e al sangue.

Si crederebbe questo che vengo a narrare, se non fosse accaduto sotto gli occhi di un immenso popolo? almeno non si crederà nell'avvenire. Mentre in s. Agostino dei Scalzi si celebrava martedì la festa di s. Niccolò Tolentino ed il ritorno di S. M., una turba di gente popolare, istigata da un infame assassino, che aveva presa di mira la casa d'un particolare, cominciò a dire, che questi era Giacobino, e fecero arrestarlo dalla truppa in massa che si prestò volentieri colla speranza del saccheggio. Questo povero infelice ebbe tanto spavento nel vedersi arrestato, che cadde morto all'istante. Fu arrestato allora colui che faceva l'istigatore, se gli trovò sopra uno stile ed una carta republicana, che confessò di portarla in sacca per farla poi trovare addosso a colui che voleva far arrestare. Non mi fido dire altro.

Quest'oggi sento essersi saccheggiata la casa di un galan­tuomo all'Olivella, solo perché stava chiusa, essendosi fatto spargere la voce che vi teneva dei Giacobini. La casa si è aperta, niuno vi era, e frattanto si è saccheggiata.

Il Vicepresidente del S. C. ha publicato un suo decretum pro indicenda unione quatuor aularum S. R. C. ad oggetto di discutersi i seguenti punti[*2] .

La giornata dei 14 era fissata per tale unione, ed aveva il Presidente destinati per avvocati a sostenere il pro et contra, d. Michele d'Urso e d. Vincenzo Volpicella. Il primo di essi ha rinunziato, e si dice che forse si tratterà senza tali arringhe, essendosi anche differita la giornata fino ai 24 del corrente. Vi è chi crede che tal decisione urti nella publica economia, e possa causare maggiore discredito delle carte di Banco; e cagionare piú danni che utile. Di fatto anche nel consesso dei Ministri vi è stato chi si è opposto a tale unione.

Quello che vi è di certo è che la Corte vuole accreditare le carte di banco per darle, ma non per riceverle, per cui la decima ed i pesi fiscali tutti ha ordinato che si paghino in contanti, più ha esposti venali i beni dei monasteri soppressi, e vuole le offerte in contanti. La unione delle quattro Ruote metterà il sugello al discredito delle carte di Banco, e siccome l'aggio è al 50 per %, così lo vedremo crescere fino a non trovarsi piú a vendere le carte di Banco.

La casa all'Olivella non è stata interamente saccheggiata, perché corse la truppa Inglese ad impedirlo.

Si è detto che una spedizione lazzaresca sia andata a Palermo chiedendo il ritorno del Re, e promettendo per sua quiete il massacro in un giorno di tutte le giamberghe, e la loro espulsione, vale a dire di tutti coloro che sono di un ceto al di sopra del loro. Furono essi per quanto si dice arrestati e meriterebbero essere per esempio degli altri tutti afforcati. Chi è stato in Napoli ha veduto questo stesso popolaccio che fa ora il zelante deliziarsi cantando la Carmagnola, andando gridando, voci di libertà, vendendo carte che si publicavano con espressioni ignominiose ed irreligiose. Ed ora essi sono gli eroi, gli altri ceti i ribelli, mentre dai birboni che volevano governar Napoli, questi stessi due ceti si erano presi di mira, ed il popolaccio era accarezzato.

Mi è pervenuta copia di una lettera del Re che diede causa alla rappresentanza della Giunta, ed alla classificazione fatta in seguito; la trascrivo per intero al margine[*3] .

Venerdì 13. La Giunta di Stato è occupata quest'oggi a decidere piú cause capitali, si è in aspettativa per sentirne l'esito.

Il Presidente d. Vincenzo Sanseverino quest'oggi ha avuto il dispaccio di Presidente di Foggia.

Si sente che la Giunta stia liquidando il giuramento dato dai ministri eletti pel Tribunale di Cassazione, e si teme qualche nuova tempesta pei tre ministri Targiani, de Rosa, e Paternò che stiedero per tal causa arrestati per otto giorni. Il publico sa il cuore, la religione, il costume di questi ministri, e gli desidera aggraziati, e volesse Iddio che a S. M. si facesse arrivare questa voce publica ch'è il più sicuro testimonio della innocenza di di questi tre soggetti.

Sabato 14, Si hanno notizie di grandi carcerazioni che si fanno pel Regno dai Visitatori, ed anco delle esecuzioni; il terrore si spande da per tutto nel Regno di Napoli, mentre l'Imperatore e il Gran Duca di Toscana fanno campeggiare una clemenza, ed un generale perdono: giudicheranno i posteri.

Sono stati chiamati ed interrogati dagli inquisitori di Stato i domestici di Targiani, Rosa, e Paternò circa le persone che intervenivano nell'atto di possesso del Tribunale di Cassazione.

Ecco le decisioni della Giunta di Stato nel giorno di ieri.

D. Elisabetta Molina Sanfelice, decapitata[*4] ; P. de Meo afforcato[*5] ; Ercole d'Agnese, forca e relazione a S. M. perché conipreso nella capitolazione[*6] ; Sancaprè, relegazione di anni dieci, indi sfratto dal Regno [*7] ; d. Nicola Pignatelli, relegato vita durante[*8] ; d. Ferdinando Carcani, relegato per anni dieci[*9] ; d. Gaetano Scudiero, relegato per dieci anni; d. Carolina Scudiero, due anni di Conservatorio.

Si hanno d'Italia felicissime notizie, a riserbo di Genova, Ancona e Roma, tutto il restante d'Italia è purgato dai Francesi, ed a giorni sentiremo questi luoghi in potere delle truppe alleate. Corre voce che in Palermo vi sia stato un tremuoto ed un attacco tra Turchi e Siciliani che produsse sconcerto, e fece correre molto sangue.

Nella scorsa notte son passati al castello del Carmine il P. de Meo e la Molina San Felice. Domani si eseguirà per ambedue la sentenza. La Molina protestò la sua innocenza. Ella è giovane e di bell'aspetto; l'avvocato Moles, che l'ha difesa, credeva liberarla da morte, avendo sostenuto che non vi sia legge che con danni a morire chi scovra congiura a quel Governo sotto il quale si trova. E che colei per tal motivo non era rea di lesa

Maestà o di ribellione verso il Re, che non poteva certamente sapere se veniva o no giovato dalla controrivoluzione ch'ella scovrì. Quest'oggi si è detto che forse siavi sospensione per la Molina, essendosi accordata revisione o sia riesame della decisione. Ciò sarebbe cosa tutto nuova in questa Giunta che giudica inappellabilmente e senza gravame. Potrebbe essere piuttosto quello che si è detto, cioè di essere arrivato un dispaccio d'indulto.

Lunedì 16. Fu verissima la sospensione pel due condannati Molina e de Meo che uscirono il giorno dalla Cappella. Ecco l'aneddoto interessantissimo perché dà lume alla storia del tempo. Ieri Molina era stata condannata con disparità di voti, perché d. Antonio La Rossa era stato di vita, e due altri devennero a sentenza di morte, per non discordare dal compagni; ma La Rossa tenne fermo. Gli avvocati di lei Vanvitelli e Moles chiesero il rimedio della nullità, dicendo, che essendosi dalla Giunta adottata la costituzione Sicula, questa ammette il gravame subito che uno dei votanti sia discorde. Non gli giovò tale inchiesta, si protestarono, ma la Molina passò in Cappella. La madre di lei, donna piena di coraggio, andò strepitando attorno, ed arrivò a dire a Damiano, che il sangue della figlia sarebbe stato vendicato col sangue loro. Ieri al giorno si seppe che la Giunta avea ricevuto dispaccio d'indulgenza, e non lo aveva reso publico. Corse l'avvocato Consigliere Vanvitelli dal direttore d. Antonio La Rossa, il quale, non ostante l'immenso diluvio che faceva, essendo stata un'orrida giornata, corse alla Giunta e fece i piú alti strepiti contro un sì crudele ed irregolare modo di procedere.

Arrivò a dire ai compagni, che invece di fare i Ministri, potevano fare i boia, e situarsi al Mercato per appendere e spendere la gente, chiese conto del dispaccio, e volle che si rendesse noto, così fu sospesa la esecuzione, e Il dispaccio s'è saputo Eccone il riassunto. Cospiratori, relegazione[*10] , e confisca dei beni in vita. Impugnatori di armi contro il Re, relegazione e confisca dei beni a tempo. Proclamatori, scrittori, ed altri di simil natura, gastigo e sequestro dei beni a tempo e proporzionata in ente al delitto. Burò, guardia civica, ed impieghi subalterni, purché non siano ascritti ai patriotti, liberi e franchi da ogni pena. Si ordina infine non procedersi contro coloro che non sono ancora liquidati rei, e che si liberino coloro pei quali non vi è indizio di tortura[*11] .

Questo dispaccio è degno della clemenza del Re, e non puole immaginarsi la esultazione che ha prodotto negli animi di tutti i buoni, che purtroppo erano avviliti dallo spavento e terrore che incutevano le continue carneficine.

Si dice che sia tutto effetto dei buoni officii di S. M. la Regina; ciò la renderà degna di un nome immortale, mentre contro lei hanno sfogato scrivendo e parlando.

Si crederà che la Giunta con questo dispaccio in sacca mandar volesse alla forca una donna ed un ecclesiastico? Il Cardinal Buffo è così disgustato di tal modo di procedere della Giunta e di tutte le passate operazioni del Governo, che per quanto mi si dice, aspetta sentire che Roma sia presa, per andarsene da Napoli. Mi si dice pure che abbia scritto molto forte al Re, protestando che se si continua nel cominciato rigore egli non si comprometteva della tranquillità del Regno. Disse sicuramente ad una persona che gli rincresceva trovarsi al suo posto, molto piú che non vedeva apparenza per esentarsene non essendovi speranza che la Corte si restituisse per ora in Napoli.

Vi è però chi crede che forse si comincia a pensare di venirsene specialmente dopo l'accaduto coi Turchi, accaduto che produsse del grande disordine. La causa non la so, ma per quanto si dice fu perché salite sui legni alcune donne Palermitane coi loro uomini, i Turchi obligarono gli uomini ad andarsene, ritenendo le donne, cosa che produsse com'è naturale un rumore grandissimo.

Questa notte parte per Palermo la duchessa di Corigliano Marini, chiamata colà dalla Sovrana.

La chiamata alla Giunta dei servitori di quei Ministri che furono istallati al Tribunale di Cassazione, e agli altri Tribunali Republicani, fu per l'inquisizione contro d. Giorgio Pigliacelli, già Ministro di Giustizia e Polizia della Republica.

Martedì 17. Per ordine di S. M. tutti i rei di Stato, condannati a morte e non eseguiti per effetto della capitolazione, si sono la scorsa notte imbarcati per Palermo, ove sentiranno il loro destino.

Nella rada di Palermo sono la squadra Inglese, la Russa-Ottomana, e la Portoghese; scrivono di là che sia il piú (bello) colpo d'occhio, e deve essere così. Si crede che verranno a questa volta, e molti si lusingano che venga la Corte a Procida fra giorni.

Con Real Carta venuta da Palermo S. M. ha ordinato che le decisioni profferite secondo le leggi formate dal preteso Governo Provisorio, o secondo lo spirito degl'infami principii democratici tanto dagli antichi magistrati, quanto dai giudici nuovamente eletti dalla sedicente Republica, o per effetto dei di lei stabilimenti restino del tutto nulli, e si abbiano come non fatte. Volendo poi S. M. far uso della sua Sovrana clemenza ed autorità[*12] , si è degnata e viene ad accordare una sanatoria a quei decreti, decisioni, ed ordini, emanati a tenore delle leggi Monarchiche vigenti nel tempo dell'invasione dei Francesi. A qual uopo comanda S. M., che si commetta alla R. Camera di s. Chiara, perché proponga i mezzi da osservarsi per togliere dai processi tutte le carte confacenti, la qual norma deve essere ancora eseguita per le scritture di simil natura esistenti negli archivii ed altri luoghi publici, ed anche per le scritture dei privati che ne vogliono far uso in giudizio

Mercordì 18. S. Elmo ha dato il segno questa mattina di squadra che veniva alle ore 21. Quest'oggi poi sono entrati in rada sette legni da guerra Moscoviti, e si dice che sia la vanguardia della squadra Russa‑Ottomana.

Mi è pervenuto il dispaccio di cui notai l'estratto giorni sono, ma vi è molta variazione, per cui vado a riassumerlo.

E' stato destinato il commendatore d. Nicola Perres per avvocato di tutte le cause delle case del fu duca d'Andria, ossia conte di Ruvo, del fu principe di Torella[*13] , e del principe d'Angri; tutti gli avvocati e procuratori che dette case avevano sono stati disdetti.

Ecco il riassunto del dispaccio:

«Lungo proemio sulli gravi disordini della rivoluzione di Napoli, difficoltà di evitare le conseguenze di una esatta perquisizione dei rei, dei quali essendovene 8000 circa detenuti, i processi annunziavano Infinito numero di correi. Indi conflitto nell'animo del Re per l'osservanza delle leggi che volevano di tali rei il castigo, sensibilità dell'animo suo in volerne l'assoluzione. Ma finalmente, si dice, il sentimento del paterno amore che nutre il Re N. S. pei suoi vassalli ha saputo trionfare, ed ordina: che la Giunta di Stato condanni col rigore delle leggi tutti gl'individui del Governo Republicano con sommario processo e dispensando dalla liturgia criminale e da quelle formalità che non alterano la verità ed il fatto. Per quei che gli ha per rei di lesa Maestà in primo capite, passi a condannarli pure, senza trascinar con essi tanti altri rei che da tali processure risulterebbero. Nella stessa classe situa tutti i fautori, i proclamatori, coloro che avessero prese le armi, e che siensi segnalati nella empietà. Prima però di eseguirsi le sentenze, ordina che se ne faccia relazione a lui, per aspettare gli ordini che gli saranno dettati dalla sua somma giustizia ed infinita clemenza. Per altri rei che anco meritassero l'ultimo supplizio, gli esenta da tale pena. Questi sono gli ascritti alla sala patriottica con giuramento di vivere liberi o morire, sebene avessero per così dire segnata colle loro mani la loro sentenza di morte, pure vuole che verificati i caratteri, siano asportati lor vita durante dai Reali dominii, e che la Giunta sommariamente decida sulla confiscazione dei loro beni. Per taluno che occorra di riferire, potrà farlo. Per tutti altri rei di somigliante peso, ordina lo stesso, potendo bensì la Giunta, secondo le circostanze, transigere la pena. Per tutti gli altri non compresi in dette due classi principali, ordina che siano esiliati, e i loro beni restino per ora sequestrati, riserbando al suo sovrano arbitrio, ristabilita che sarà la publica quiete, di abilitare ad un esame giudiziario alcuni che lo chiedessero, altri abilitarli a tornare nella loro patria, quando con la condotta avessero dati segni non equivoci di emenda, giacchè in qualunque luogo si condurranno S. M. non lascerà di tenerne le più esatte ed appurate relazioni. Per tutti gli arrestati pei quali non vi è indizio a cattura, vuole che siano posti in libertà. Si riserba far esperimentare in appresso e senza ritardo gli effetti della sua sovrana clemenza a tutti i rei che trovansi detenuti. Per tutti coloro che debbonsi deportare ed esiliare dai Reali dominij ordina che in caso di contravvenzione siano soggetti alla pena di morte, e chi gli dasse aiuto ed asilo relegato in un'isola per dieci anni. Quanto sta disposto pei rei detenuti nella capitale, tanto vuole che si esegua pure per quelli delle provincie, dando perciò gli ordini ai Visitatori, accio con eguale misura si diriggano.

La conclusione è quella che segue;

 

Vuole infine S. M. che nel palesare V. Em.za queste sue Sovrane deliberazioni a cotesta Giunta di Stato per la esecuzione che ne risulta s'incarichi a derimere e a passare sopra i piccoli ostacoli che se li potranno presentare nella esecuzione, e dove dei validi ed insuperabili ne rimarchi, lo dica, proponendo il suo parere, e suggerendo ancora quanto altro stimi proporre perché la giustizia facci il suo corso spedito, il pubblico riceva dei vivi esempii, ed il Regno resti purgato dai malintenzionati cittadini, e si metta fine alle turbolenze al piú presto possibile, e rasserenasi la publica tranquillità. Nell'intelligenza che su quanto potrà esporre la Giunta di Stato, V. Em.za ne tratti nella Giunta di Governo, acciocché sulle proposizioni e pareri della Giunta del buon Governo, S. M. con più chiarezza e serenità possa comunicare a V. Em.za gli ulteriori suoi ordini. R. Segreteria, Nap. 13 settembre 1799 ».

 

Giovedì 19. Dai legni Russi arrivati ieri sono sbarcati circa400 uomini, ma si dice che partiranno per Roma. L'ammiraglio ha detto che la Corte di breve sarebbe venuta in Napoli, almeno il Re. Lo stesso ammiraglio domandò come il popolo stasse quieto, e come si conducessero le truppe Moscovite, gli fu risposto, che il popolo non era ancora interamente quieto, e che i soldati Moscoviti non avevano dato il menomo disgusto.

Difatti è così, perché non si dà gente meglio disciplinata di loro.

L'ammiraglio soggiunse che pel popolo si farebbe stare a dovere, e pei Moscoviti, i nuovi venuti sarebbero come fratelli.

Questa sera mi vien detto di sicuro, che il Re sarà in Napoli pel giorno 4 di ottobre. Mi si è detto pure, che i Siciliani non vogliono che la Corte si restituisca più in Napoli.

Venerdì 20. Questa mattina è pervenuto dispaccio al presidente del S. C. in seguito di rimostranza, coll'ordinativo, che dovendosi esaminare dalla Giunta di Stato ministri, ciò si facesse a norma del prescritto dalle Prammatiche, cioè che si ricorra a S. M. da chi vuole il testimonio del ministro, il Re rimette al ministro il ricorso, acciò dica quello che sa. Il ministro risponde in scritto, e questa sua risposta fatta a S. M. vale per qualunque giurata deposizione quasi facta toto iure civili  teste, perché risiede tutto nella suprema potestà. Questa rimostranza si è fatta dal presidente a suggestione del caporuota d. Tommaso Caravita principe di Serignano, il quale avendo saputo che molti consiglieri erano stati chiamati a deporre dalla Giunta, suggerì al presidente[*14]  il fare tal rimostranza, per sostenere il decoro della magistratura.

Sabato 21. Continua la voce che S. M. sia per venire di breve, ma domani potrà sapersi qualche cosa di piú preciso, perché si dice che sia arrivato il già maggiore della Piazza, d. Filippo Cancellieri, che porta da Palermo varie disposizioni.

Quel Martuscello, di cui riportai quanto aveva fatto in Palermo ha publicato un dettaglio delle accoglienze ricevute dai Padroni, e dei doni riportati nel ritornarsene. Eccone un estratto:

Essendo ancora in Napoli ebbe dalla Regina la seguente lettera:

  « Ho molto gradito i i fiori e le frutta che mi avete mandati, li ho accettati, perché sono certa che vengono per parte di un sud­dito fedele, come voi siete, e che come tale vi siete diportato per il tempo passato, ed avete persistito nel tempo della piú iniqua rivoluzione, nella quale avete saputo ben conservare la fedeltà ai vostri padroni, con darne certe riprove che mi son note. Come parimenti ben conosco quello che avete fatto in aiuto dei buoni e fedeli sudditi, ed i contrasegni di vero giubilo che avete mostrato all'arrivo del Re vostro Padrone. Conti­nuate la vostra fedeltà verso i vostri Padroni, sia la vostra condotta esempio a tutti i buoni, di confusione a tutti i cattivi, contate sulla gratitudine dei vostri Padroni, e sulla mia partico­lare, e che sarò sempre la vostra buona Padrona ‑ Carolina ‑Palermo 31 luglio 1799 ‑ a Martuscello ».

Questa lettera fu accompagnata da una scatola di oro di non ordinaria grandezza contornata di due grandi ed ottimi brillanti con cifra dinotante Cor fedelis. Egli così l'ha interpretata, ma io credo che fosse la solita cifra F. e C., cioè Ferdinando e Carolina. Essendo poi andato in Palermo, con precedente permesso, fu introdotto dalle MM. Loro, che lo animarono vedendolo confuso, indi fu trattato nello stesso Palazzo del conte di Pastiglia, che glie lo cedette passando ad abitare altrove. Ivi fu trattato a spese della Corte, di carrozza, pranzo, cena, rinfreschi, caffè, e merenda di dolci pei figli. Il Principe d. Leopoldo scrisse al di lui figlio, inviandoli un complimento, il seguente biglietto:

 

« Tu sei figlio di un fedele servidore del mio caro Papà, io ti do un ricordo ben piccolo, ma come posso della mia gratitudine ‑ Leopoldo Borbone ».

 

Avendo preso congedo ebbe i seguenti regali. Dalla Regina fu dato alla di lui moglie un medaglione ben grande ligato a giorno con doppio giro di brillanti ben grossi, di ottima qualità, con cifra M. C. ancora di brillanti. A lui un anello di brillanti di non ordinaria grandezza, una ripetizione con catena d'oro, ed un pomo di legno mpetrier legato in oro. A sua figlia Raimonda un tosone d'oro coll'effigie di S. M. la Regina, contornato di rari brillanti, e la chiamò commare, promettendo di mandare ciò ad effetto al suo ritorno in Napoli. Il principe ereditario gli donò una scatola d'oro col suo ritratto in grande. La Principessa ereditaria, alla moglie, un medaglione d'oro coi ritratti suo e della figlia, con catena d'oro bastante a girare il petto e le spalle. Il Principe Leopoldo al detto suo figlio Raimondo una mostra d'oro alla corriera, con catena, suggello e chiave d'oro, ed un anello girato di perle coi suoi capelli ligati con rosette d'Olanda. Arrivato in Napoli, ebbe il seguente dispaccio:

« Avendo preso il Re in considerazione i rilevanti servigi prestati alla Real Corona dal benemerito d. Raimondo Martuscello, e volendogli dare un contrasegno della sua Reale munificenza per l'attaccamento e la fedeltà colla quale si è distinto in più occasioni nel tempo della passata rivoluzione di Napoli, ha risoluto perciò la M. S. di conferirne al medesimo d. Raimondo Martuscello una massaria dell'annua rendita di D/. milledugento da passare a perpetuità nella di lui famiglia. R. Segret. Palermo, 3 Sett. ‑ Gius. Zurlo ‑ Sig. d. Raimondo Martuscello ».

 

Domenica 22. Questa mattina si è sparsa generalmente la nuova che Cancellieri portato avesse un generale amplissimo indulto, a norma di quello fatto dall'Imperatore colla restituzione ancora dei beni dei condannati agli credi fidecominissarii. E si è così universalizzata che ha prodotta l'allegria in tutta la città, ove ciascuno ha, chi il parente, chi l'amico, e chi fratelli e figli, chi madre, che di tale indulto ha bisogno. Si è sparsa pure la voce che Roma fosse stata presa d'assalto.

Quest'oggi poi si è saputo che l'indulto non in altro consisteva, se non che in ammettere a perdono i municipalisti e le guardie civiche del Regno, in seguito di rimostranza del Visitatore Mons. Ludovici, il quale ha fatto rapporto che costoro erano la miglior gente dei rispettivi paesi, perché per municipalisti eransi prescelti quelli che avevano l'opinione della popolazione, e per guardie civiche la gente più proba e quieta del luogo. La notizia di Roma è stata falsa in tutto.

Questa sera ho saputo che la Corte, forse il giorno 4 ottobre solennizzerà il compleannos del Principe ereditario, e la notte si metterà in mare per restituirsi in Napoli, soggiungeva questa persona, che la Regina non ha incontrato giovamento da quell'acre, e che abbia del gonfiore ai piedi, per cui sollecita il venirsene. Vi è chi dice che i Siciliani si oppongono, e che alcuni vogliono che restino il Principe e la Principessa ereditaria.

Lunedì 23. Questa mattina si è publicato con affissi ordine a tutti coloro che hanno patente di Realisti nelle varie Società formate di esibire le armi fra due giorni. Ciò si desidera, perché non si vedevano per Napoli che genti armate con tale pretesto. Salvatore Bruni della sua compagnia ne ha formato un corpo di truppe, con uniforme bianco e verde spessissimo.

L'allegria d'ieri per l'indulto è scomparsa col sentirsi ordinata l'esecuzione della sentenza per Basset, Mantonè, ed un tal de Seis, (Sieyés) che si eseguirà domani; già si credeva che fosse cessato lo spargimento di sangue.

Il fatto che accennai di Palermo coi Turchi fu seriissimo, tanto che nella mischia, vi rimasero morti da 12 Turchi e piú Siciliani. L'ammiraglio Turco suonò la generale, e si pose in situazione di bombardare Palermo, per cui la Corte fuggì in campagna, e non vi volle poco ad assicurarla che tutto era stato accidente, perché dubitava di tradimento.

L'ammiraglio Nelson, chi vuole che sia stato richiamato a Londra per dar conto del passo falso dato di non aver ammessa la capitolazione fatta in Napoli colla guarnigione dei Castelli Nuovo e dell'Ovo, chi per andare a trattare con la Porta Ottomana.

La Giunta di Stato fece le seguenti condanne: decollati, d. Ferdinando, e d. Mario Pignatelli Strongoli, d. Filippo Marini[*15] , d. Giuseppe Riario Corleto, d. Vincenzo Pignatelli di Marsico Nuovo ‑ Afforcati, d. Prosdocimo Rotondo, d. Luigi Bozzaotra, d. Francesco Grimaldi, d. Francesco Astore ‑ Esiliati, d. Francesco e d. Andrea Pierapertosa ‑ Deportato a a vita d. Luigi Riario ‑ Relegato per 1,5 anni, sacerdote d. Giov. Battista Rotondo ‑ Escarcerati, d. Carlo Pisciotta, d. Bartolomeo Apicella ‑ Alla Giunta di Guerra dei generali, d. Vincenzo Pignatelli Strongoli.

Quando finiranno tante stragi che non si possono sentire senza ribrezzo. Non vi è nella storia delle rivoluzioni esempio di tante vittime sacrificate. Oh Dio quanto è mal consigliato 'l Re! Come potrà tornare in mezzo ad un popolo di malcontenti, divenuti tali per soverchio rigore. La Giunta di Stato è una Giunta di carnefici. S. M. è ingannato, perché se gli si facesse presente quanto convenisse a restituire la tranquillità in questo infelice Regno, lo farebbe certamente; veggasi nel seguente fatto.

Il Visitatore Mons. Ludovici vescovo di Policastro rappresentò che se si eseguiva quanto gli era stato ingiunto, cioè di arrestare i municipalisti e le guardie civiche, si sarebbero processati i buoni e lasciati impuniti i malvagi, dappoiché nelle provincie i municipalisti ed altri del Governo erano stati eletti dal popolo, e le loro elezioni erano cadute nelle persone piú probe dei rispettivi luoghi. Le guardie civiche le avevano fatte i piú quieti per custodire le loro patrie. S. M. con Real carta da Palermo in data 21 corrente si è uniformato, ed ha ordinato che non si molestassero, ma solo si prendesse notizia di loro condotta.

Si è affisso editto in nome di S. M. minacciando pena di morte a chi commettesse saccheggi, rapine e altri attentati simili; frusta e dieci anni di galera a chi arrestasse qualunque persona ancorché fosse conosciuto ribelle; frusta e galera ed altra pena ad arbitrio, fino alla morte, a chi insultasse qualunque cittadino, chiamandolo Giacobino: le pene comminate dalle Regie Prammatiche a chi asporti armi senza nuovo permesso posteriore a d.o editto.

Si è eseguita quest'oggi la sentenza di morte per Mantonè e quel tale Seis, o cognome consimile, per Basset si è sospesa, perché ha chiesta indulgenza per palesare altro.

Dai vascelli sono sbarcate truppe Moscovite, ora si dice che detti vascelli faranno vela. Vi è chi mette in dubio tutte le ottime notizie d'Italia, e ci fa temere una nuova invasione. Allora sì che sarebbe terminata per noi.

Mercordì 25. Una frusta si è data questa mattina con molto rigore e maggiore apparato a tre del basso popolo rei di furti ed omicidii. Si son fatti girare per le strade più popolose della città in mezzo a molta cavalleria e fanteria. Era necessario che si cominciasse a domare il popolo basso che purtroppo s'era reso baldanzoso, e tutti chiamava Giacobini per assassinarli e rubarli. Molti, si sente che sieno nelle forze della Giustizia vicini a subire la stessa pena, e si va inquirendo contro dei piú rei di rapine, saccheggi, ed assassinii commessi sotto la sofferta anarchia dei giorni della controrivoluzione. Di quei che commisero la esacranda barbarie nel corpo di Fiani, molti furono arrestati dal colonnello d. Scipione la Marra, che pria di consegnarli al braccio pagano cioè alla Vicaria, li tenne nel castello del Carmine, facendogli consegnare cinquanta legnate da tempo in tempo. Si ricorderà chi legge di tale barbarie, ma per vieppiù sentirne l'orrore, ricorderò nuovamente che dopo aver fatto a pezzi il cadavere e portatene le membra per la città, arrivò la barbarie a metterle al fuoco, cuocerle e mangiarle. Ripugna la mano a scrivere tali orrori.

Si dice che sia venuta la uniformazione di S. M. alle sentenze di morte della Molina[*16]  e P. de Meo, cosa da fare similmente orrore è la condanna della Molina.

Ieri unite nelle quattro Ruote il S. R. C. risolvette sul decreto del vicepresidente pei pagamenti da farsi in contanti ed in carte di Banco. La risoluzione fu un appuntamento di allargare la mano nelle decisioni a favore dei pagamenti in contanti, specialmente per le rendite dei terreni, dei censi, su quelli delle botteghe di negozio e simili, che introitando contanti, fanno il negozio poi di venderlo e pagare in carta i padroni. Un tale appuntamento non si è publicato, ma già la città è in allarme, e si rifiutano le carte di Banco.

Della determinazione del S. C. si parla male, perché regolata con private, non con publiche vedute, molto piú perché non si rende publica, e par che resti il litigante all'oscuro di quel dritto che deve giudicarlo.

Giovedì 26. Niente di particolare ci ha somministrato la giornata di oggi, ma son corse molte notizie, fra quali la morte di Pio VI arrivata per istaffetta a Sua Emin.za Ruffo. Si dice morto in viaggio, mentre facevasi inoltrare nella Francia, al giorno 28 del passato mese di agosto[*17] . Si dice poi Genova presa per assalto con massacro di piú migliaia di Francesi tutti figlioli non eccedenti l'età di anni 17. Roma si vuole che stia capitolando.

Questa sera si è chiuso il Sangue del nostro Protettore s. Gennaro, che in tutti i giorni ha fatto vedere costantemente la sua miracolosa liquefazione. Il primo giorno fu notato che non volle liquefarsi nel Tesoro, dove stiede per tre ore esposto fra le preci e schiamazzi soliti del popolaccio, portato poi sull'altare maggiore della cattedrale, sulle scale si liquefece a vista di quanti vi erano.

Venerdì 27. Molte carcerazioni segretamente eseguite si dicono di soggetti ragguardevoli, conseguenza di quanto ha manifestato Basset, fra gli altri si dicono arrestati due Cavalieri dell'Ordine di s. Gennaro, ma s'ignora chi siano. Si dice pure che siansi mandati a richiamare moltissimi uffiziali della piana maggiore della truppa marciata verso Roma. Annibale Giordano s  vuole che fosse in questo complotto, per cui è stato ristretto, e si dice pure se gli sia trovata addosso una boccetta di veleno.

La capitolazione di Roma si dice non seguita ancor per disparere tra i generali Inglese e Moscovita. Il primo voleva accordare alla guarnigione l'andarsene ove gli piacesse colle armi e carri coverti; il secondo si è opposto, dicendo che la guerra per terra la sosteneva con le sue truppe, ed in conseguenza non voleva che questa guarnigione andasse ad ingrossare il resto dell'armata Francese che ancora è in Italia, e però la voleva prigioniera di guerra.

Vi è chi mette in dubio la morte di Sua Santità, altri dicono che sia morto di disagio nel viaggio per Valenza trasportandolo. Dicesi un aneddoto: che per derisione un giorno lo posero su di un carro portandolo così, come in berlina, scoverto agli occhi delle popolazioni per le quali passavano, ma che rimasero delusi, perché tutti gli s'inchinavano nel passaggio, e gli chiedevano la benedizione, per cui lo misero di nuovo nella carrozza.

La grazia che si disse fatta a s. Severino non fu altra, che il permesso di sollennizzare una festa annuale nella Chiesa.

Sabato 28. Niente di nuovo ci ha somministrato la giornata di oggi. Una favoletta si è raccontata questa mattina, cioè che Basset si fosse avvelenato, e avesse lasciato scritto che egli aveva promesso di denunziare per prender tempo per questa operazione. Si è detto pure che Mantonè, prima di essere portato alla forca, chiese di scrivere e di restar solo, ma stato poi qualche tempo, chiamò nuovamente i Bianchi, e disse aver cangiata risoluzione. Si vuole che avesse pensato a denunziare. Anche Prosdocimo Rotondo si dice che voleva indultarsi. Non si mette in dubio, che siano seguite carcerazioni di Nobili ed uffiziali graduati.

Tutte le Società Realiste sono state disarmate. Si sta provedendo alle cause contro i ministri detenuti, tra i quali d. Ilario Pirelli, di cui si teme. Il fiscale non lo risparmierà certamente. Da Sicilia è venuto fuori un altro Promotore fiscale per la Giunta, di nome d. Francesco Maggiore. Anco di Sua Eminenza Zurlo si dice, che vi siano triste notizie. Si parla di una lettera da lui scritta al generale Championnet, in cui lo felicita della sua venuta in Napoli, e dice averla da più tempo desiderata. lo non lo credo.

Si ha notizia che in Milano si è tentata una rivoluzione da quei stessi ai quali l'Imperatore aveva accordato il perdono. Se mai è vero, ciò farà sempre piú allontanare le idee di perdono pei rei di Napoli, e seguiteranno a sentirsi condanne ed esecuzioni.

Domenica 29. Circa le ore 15 è accaduto un barbaro omicidio. Uno dei detenuti nelle carceri della Vicaria per essersi accostato alla cancella per guardare di fuori, ha ricevuta una palla in fronte, tiratagli da uno dei soldati di sentinella, ed è rimasto morto sul fatto. Barbarie simili formeranno il disonore perpetuo della nostra Nazione.

Continuano le carcerazioni popolari, e nella scorsa notte ne son seguite in Antignano ed a Soccavo. Il popolo lo sente a male, ed io ho inteso dire: «che gli abbiamo fatto, perché deve castigare? per noi ha ricuperato il Regno, e se abbiamo saccheggiato, lo abbiamo fatto nella roba dei traditori » e simili querele.

Anco le feste continuano, e questa mattina si celebra solenne quella di s. Michele Arcangelo nella chiesa della Pietra Santa, seguita da tre ore d'illuminazione per tutta la strada per quanto si estende, dalla chiesa della Croce di Lucca al Purgatorio, avendoci a tal uopo fatte delle palizzate con tele dipinte. Domani poi vi è Te Deum solenne cantato con invito nella chiesa di s. Ferdinando, a spese dei Cavalieri dell'Ordine Costantimano, di cui è quella chiesa.

Si dice arrestato Dillon castellano di s. Elmo, si dice scoverta una seriissima cospirazione; si dicono arresti di molti cospicui soggetti di riguardo, porzione dei quali si trovano nell'esercito ch'è alla spedizione di Roma.

Si son posti questa mattina in cappella i seguenti soggetti; Genzano figlio, dell'età di anni 20[*18] , i due Strongoli e la Molina, per essere decollati. Prosdocimo Rotondo, il P. de Meo, Astorre ed Agnese, per essere afforcati.

Questa notte parte altra truppa per Roma, e pure vi è ancora chi sostiene che abbia capitolato. Iddio ci liberi da qualche altro disastro.

Della morte del Pontefice non si dubita piú, anzi si dice che i Cardinali siano già cominciati ad unirsi in Padova per chiudersi in conclave, avendo all'uopo eletto il monastero di s. Giustina dei PP. Benedettini.

Il principe di Torella, che fu imbarcato con Albanese, Abbamonte, Albarella ed altri per andare al loro destino, si dice morto in viaggio.

La casa del medico Cirillo, col suo magnifico orto botanico, sito a Ponte Nuovo, è stata data in dono a d. Scipione La Marra per compenso del danni sofferti.

Il seguente fatto che viene sul momento ad accadere, farà sempre piú vedere lo stato della nostra città, uno dei pregi della quale era la sicurezza con cui giravasi la notte, sopratutto accompagnato da un servitore col lume. Poco dopo le ore quattro d'Italia, lo ho inteso alcune grida seguite da un colpo di pistola, indi si è saputo che ritirandosi col servitore il giudice della G. C. criminale, d. Salvatore de Giovanni, è stato assalito da quattro persone per assassinarlo, poco discosto dal suo palazzo. Egli si è posto in difesa tirando mano alla spada, uno dei quattro gli ha lasciato un colpo di pistolotto, che non lo ha colpito; ma come nell'accelerare il passo è caduto, così lo hanno creduto ferito, e son fuggiti. Quattro palle si veggono attaccate alla porta di una bottega[*19] . Ecco qual'è la nostra sicurezza in mezzo a tanta truppa, gente d'armi, Tribunale di Polizia, e che so io.

Lunedì 30. Circa le ore 14 è entrato in rada una nostra fregata, che ha salutato il porto con più tiri di cannone, si dice proveniente da Palermo. Circa la stess'ora è partita una colonna di 900 Moscoviti per Roma. Per notizia sicura che di là ho avuta con lettera del 26, vi è sospensione d'armi, ciò potrebbe combinare colla notizia che mi è stata data, cioè che i Francesi ed i patriotti Romani non hanno voluto stare alle facoltà che i generali dicevano avere per la capitolazione, dubitando non gli accadesse quello che accadde ai patriotti Napoletani del castel Nuovo e dell'Ovo, per cui hanno voluto che si mandasse a Palermo a soscriversi da S. M.

La esecuzione è seguita alle ore 19[*20]  per cinque degli otto posti in Cappella, essendosi sospesa per tre, cioè, per la donna Molines, perché a premura dei Bianchi, fattosi la ricognizione da mammane e chirurgi, si è trovato vero esser gravida, come aveva asserito; pel figlio di Genzano poi e per Agnese, perché si son trovati moribondi. Per cui al Genzano si è data l'estrema unzione ed i Bianchi terminata la esecuzione, son tornati nel castello ad assisterli, perché vicini a morire.

Con la fregata di questa mattina è tornato d. Domenico Martucci, il principe di Bisignano con la moglie, e la principessa de Luzzi  Si dice che portino notizia che S. M. non abbia piú idea di tornare in Napoli, ma voglia fissare la sua dimora in Palermo Veramente se continuano le condanne non verrà certamente in mezzo ad una Nobiltà per ogni verso disgustata.

Alla festa di s. Ferdinando questa mattina molta poca gente ha assistito, ed era naturale, perché il parentato dei Nobili che dovevano questa mattina eseguirsi e molto esteso.

Circa le ore 21 è arrivato altro legno da guerra. Oltre la colonna Moscovita partita questa mattina, altra truppa e quantità di artiglieria è partita circa le ore 10 d'Italia.

Mi vien detto che Martucci non sia tornato molto contento del suo viaggio, e che parli di ripigliare il suo carico di fiscale di Camera. Mi vien detto di piú che in una lettera scritta da S. M. la Regina al Card. Ruffo, vi sia un paragrafo il quale li dica presso a poco così: « vi raccomando Martucci, questi è un fedele servitore del Re, ma qui è stato poco fortunato ».

Alle ore 20 è arrivato corriere da Roma colla notizia della capitolazione di Roma, Ruffo ha publicata tal novella.

 

 

 

 

Manda un messaggio

 

 

 

 

 


 [*1]         In marg. Continua a reggersi in Tribunale fino a che il vicepresidente lorio non passi ad abitare una casa in mezzo Napoli, continuando tuttora a dimorare all'Infrascata.

 [*2] In marg. Ecco l'epigrafe di tal decreto, ossia proemio: «Quoniam frequentissime suboriuntur controversiae inter creditores et debitores quoad modum persolvendi aes alienum, scilicet in pecunia numerata, vel mini­sterio Banci, et huiusmodi lites magistratíbus in dies maximum negotium lacessunt, non sine litigatorum detrimento, ad evitanda opiníonum varie­ tatem in iis derimendis, ita ut intendum in uno eodemque articulo dissi­ miles feruntur sententiae, ideo existimavimus ut S. R. C. quo sibi perpetuo constaret, et ne amplíus huiuscemodi occupationibus distentum, in publica commoda peccare videatur, junctis aulis ex Regali constitutione 1738 diversas quaestiones id genus quotidie in loro obstrepentes, semel ad certam iudicandi normam decernat atque inde S. R. M. proponat.

Et primo. An colonis emphiteutis vel venditoribus censualium in pecunia numerata sii merces, canon, vel annualitas persolvenda, ex quo ipsimet non aliter, al moris est, vendunt fructus perceptos ex lundis locatis in emphiteusim concessis, vel pro annuali censi suppositis? Secundo. An idem servandum sii in pensione officinarum atque ac in tabernae seu negotiatoriae, ferrariae libreriae, medicinae exercendae causa, seu vinariae, cascariae, oleariae, meritoriae, atque alíarum id generis? Tertio. An in solutione alimentorum et aliarum assignatíonum quae habentur pro alimentís, debitor praesentem pecuniam solvere tenuatur, Pel id per schedulam Bancarium possii? Quarto. Utrum artifices et aliis qui operam locant mercedem in pecunia numerata petere possint, et quid statuendum sii quoties eorum opera magni aestimanda sii. Quinto. An solutio iurium sigilli, signi, actuaríorum, scribarum, porteriorum, et notariorum fieri possit per publicam mensam? Sexto. Quid landem hac in quaestione dicendum sii de illorum salario qui in comunitatibus vel privatis inserviunt? Datum Neap. die 9 mens. septembri 1799 Michael de Iorio S. R. C. PP.

 [*3]         Manca.

 

 [*4]         In marg. Costei è quella Luisa che si nomina nella lettera di S. M. che scovrì la congiura dei Baccher. Ha obbligazione alla Pimentel, che la nominò nel Monitore.

 [*5]         In marg. Questi è Crucifero, fratello di un Giudice criminale giubilato, non so che gli sia stato d'imputazione.

 

 [*6]         Costui era dell'Esecutivo, e non si dubita di essere stato un birbone senza religione. Si ricorda al fatto della monaca da lui fatta uscire dalla clausura per darla in moglie alla republicana ad uno che aveva i quattro ordini.

 

 [*7]         In marg. Costui non so chi sia

 [*8]         In marg. Costui è uno spurio, marito di d. Carolina Scudiero, di lui, della moglie e cognato Gaetano Scudiero, non so i carichi.

 

 [*9]         In marg. Fu segretario della Commissione Esecutiva, ed era stato uffiziale della Segreteria Reale.

 [*10]       In marg. Credo che debba dire relegazione a vita e confisca dei beni, altrimenti sarebbe anche confisca durante la vita del reo, e sarebbe maggiore clemenza perché non si priverebbero gli eredi della roba.

 

 [*11]       In marg. Deve dire indizii a cattura; altre diversità sento vi siano.

 [*12]       In marg. Son tutte espressioni del dispaccio.

 

 [*13]       In marg. Fu principe di Torella dice l'avviso, considerandolo morto civilmente, sebbene vivo ancora, ma naturalmente come dissi, ed è partito e con tutti gli altri per sentire, arrivati che saranno a Palermo, il loro destino.

 

 [*14]       In marg. S'intende già vicepresidente, ma da tutti presidente si chiama.

 [*15]       In marg. Figlio unico del marchese di Genzano, figliolo di venti anni circa.

 

 [*16]       In marg. Costei ha detto di esser gravida per prender tempo.

 

 [*17]       In marg. Di questo Pontefice le profezie che sono stampate in Vallemont, Elementi di Storia, sotto il nome di s. Malachia, dicono, peregrínusapostolicus, e si vede avverato, essendo morto peregrinando. Il suo pontificato è stato lunghissimo e pieno di accidenti, che non è del mio intento rapportare. Iddio liberi l'orbe cattolico da qualche scisma. Fra le profezie che corrono, ve ne ha una che dice: due Pastori sederanno sulla cattedra di s. Pietro, quella di S. Malachia ci annunzia anche male col motto Aquila rapax.

 

 [*18]       In marg. Questo infelice figliolo anche fu prevaricato dall'ajo, e il suo reato è stato aver tagliata la testa alla statua di Carlo III.

 [*19]       In marg. Anzi al portone, e per quanto ho saputo da lui stesso, la caduta lo salvò dal colpo di pistoncino, o carabina che fu, non essendo stata pistola, come si disse. Due lo arrestarono, uno col prenderlo alla gola, l'altro col dargli la mano all'orologio. Egli fece segno di tirare la spada ed uno di essi si diede indietro, e gli alzò l'arme da fuoco in faccia. Al vedere ciò retrocedendo provò guadagnare il portone, prese il falso della strada e cadde, il ladro lasciò allora il colpo, per cui lo scampò. Si trattennero ancora qualche minuto a vedere che dovessero fare, indi se ne andarono vedendo uscir gente dal portone. Che sarà di noi nel prossimo, inverno? e la Polizia? tanti giudici? tanti ispettori e subispettori?

 [*20]       In marg. Nel sospendersi il monaco de Meo è caduto improvvisamente un diluvio immenso d'acqua, violentissimo, ma di poca durata.