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Lettera da' patriotti d'Italia
al Re delle Due Sicilie.
SIRE!
Permettete ad alcuni uomini
liberi i quali, non ostante che voi siate re, vi amano e vi stimano, in grazia
delle vostre virtù personali e del vostro dolce carattere, permettete, diciamo,
che vi facciano presenti alcune loro riflessioni, frutto d'una lunga esperienza
nelle vicende politiche, ed alcuni suggerimenti che nelle presenti circostanze
non potrebbero esservi che al sommo profittevoli. Felici essi e voi ancora, o
Sire, se quanto ardiscono scrivervi in questa lettera, farà sul vostro cuore
quel l'impressione salutare ch'essi tanto desiderano! e perchè non la
potrebbero eglino sperare?
Essi hanno il vantaggio di
esporre le loro idee ad un uomo abbastanza illuminato e ragionevole, per
volersi offendere di qualche forse disgustosa verità che se gli potrebbe avanzare;
ad un sovrano che dissimile da molti altri che portano un tal nome, non si e
lasciato per lungo tempo abbagliare dal fulgore del diadema che gli cinge la
fronte, in guisa da opprimere ed infelicitare capricciosamente coloro ch'erano
nati suoi sudditi. Questi ed altri riflessi fanno loro nutrire la dolce
lusinga, o Sire, che voi ascolterete volentieri i loro, qualunque siansi,
avvertimenti, e che forse non ricuserete di metterli a profitto.
L'inevitabile destino ha
fissato, o Sire, che buona parte dell'Europa, e particolar‑ mente
l'Italia tutta, debba esser democratizzata avanti la fine del secolo
decimottavo. Forza umana non v'ha che possa far fronte oggidì all'opinione de'
popoli che sono stanchi della tirannia, come ugualmente impossibile si rende
oggidì lo spegnere nel cuore di questi il sacro fuoco di libertà che gli
elettrizza, o l'arrestare il carro impepetuoso della rivoluzione che minaccia
di percorrere a grande spavento dei depositi, la superficie intera del globo.
Per meglio convincersi di
questa gran verità, non si ha che a gettar lo sguardo sul corso attuale delle
cose Lasciando da banda quel che concerne il sistema o per dir meglio, il
disequilibrio attuale di tutta l'Europa è '1 general cambiamento di politica
delle più grandi potenze che la dominano, arrestiamo per poco la nostra
attenzione, o sire, sulla nostra patria comune, sull'Italia che deve
interessarci a preferenza d'ogni altro paese della terra. Lo stato in cui essa
trovasi al presente, paragonato a quello in cui vedeasi un quinquennio
addietro, nel tempo stesso che offre un ampio pascolo alle riflessioni d'un
filosofo politico il quale da un angolo del suo gabinetto calcola a sangue
freddo il valore delle cagioni efficienti, e presagisce più o meno precisamente
la qualità e quantità degli effetti che da esse debbono derivarne; non può
altresì non incutere il più terribile allarme ne'pochi despoti che ancor
rimangono sul suolo di questa vasta penisola, e che orinai ben s'accorgono di
nulla aver guadagnato nella gran lotta ch'essi si sono finora ostinati a
sostenere contro l'indipendenza delle nazioni.
Dov'è andato mai a finire in
fatti il cumulo di tanti sforzi e ree coalizioni onde si è tentato d'impedire
al genio della libertà di penetrare dalla Gallia in queste nostre contrade?
cosa n'è addivenuto di tante armate che ingombravano, non ha guari, la quinta
parte dell'Italia, e sembravano il più saldo antemurale, il più fermo sostegno
dei troni? qual profitto mai ha recato alla causa dei re il sangue di 200 mila
combattenti, periti fralle gole delle Alpi e sotto le mura di Mantova? qual
bene, il dispendio di 150 milioni sterlini fatto dall'Inghilterra? qual
vantaggio, gl'intrighi machiavellici e la perfida degli oligarchi dell'Adria e
della Liguria? qual frutto finalmente, gli scongiuri, gli anatemi e tutte le
religiose imposture dei vecchio prete di Roma? Nulla, poi, nulla, e poi
arcinulla. Tutti i colpevoli maneggi anzi, tutte le arti seduttrici, tutte le
cabale insidiose, praticate finora dai nemici della libertà, sonosi rivolte in
loro disdoro e rovina, ed hanno chiaramente fatto conoscere quanto siano deboli
ed insufficienti i loro mezzi, a fronte della volontà decisa d'una nazione
intera, che vuol riacquistare i suoi diritti sovrani.
I principali nemici che avea
la democrazia in Italia, e che si erano mostrati i più accaniti contro la
rivoluzione, li vediamo oggi o distrutti, o dispersi e posti affatto fuori di
stato di nuocere al consolidamento della libertà in queste nostre regioni.
L'estinto regolo delle Alpi, che, qual nuovo Rodomonte, lusingava i principi
coalizzati di voler formare della Francia un mucchio di rovine, e di fare
scannare tutti i repubblicani, ha veduto all'incontro invader da questi i suoi
stati, espugnare le sue piazze forti, e mettere a contribuzione i suoi più
fedeli partigiani. Egli non ha potuto resistere al dolore della sua sconfitta,
ed è morto di rabbia e di dispetto. Il despota regnante che in altre
circostanze avrebbe seguito appuntino le orme del padre, è costretto al giorno
d'oggi a fingere ed a celare il suo amarore contro i Francesi sotto le
apparenze d'un'amicizia a cui il suo cuore non prende parte veruna. La sua
attuale impotenza è si grande, che sembra non esiste, che per sola generosità
delle repubbliche che circondano i suoi stati, e si potrebbe considerare
piuttosto come un feudatario di esse (ci si passi pur questo vocabolo) che come
un monarca indipendente.
Il vice‑despota
dell'Insubria e '1 duca di Modena i quali, non ostante la picciolezza della
loro entità politica, si sono mostrati dei più fervidi e de' più attivi
difensori della causa della tirannia, dopo aver veduto andar in fumo tutti i
loro progetti controrivoluzionari, tutti i loro piani liberticidi, hanno dovuto
finalmente abbandonar le sedi che aveano lungo tempo lordate coi loro delitti,
ed allontanarsi per sempre dall'Italia di cui aveano per tanti anni oppresso e
spogliato le più belle contrade.
Cosa vi diremo, o Sire, degli
aristocrati di Genova e di Venezia? Cosa del mitrato impostore del Vaticano? 1
primi, e voi ben lo sapete, avviliti e disonorati al cospetto de' popoli che
aveano in mille guise tiranneggiati, si sono veduti alla fine spogliare e de'
titoli che tanto gli insuperbivano e delle cariche che tanto gl'impinguavano, e
trovansi oggi ridotti al livello degli altri loro concittadini. Il secondo poi,
che ministro d'una religione di pace, dovea conciliare i partiti, invece di
aizzarli; soffocare la discordia, in vece di fomentarla, privo del soglio,
abbandonato dai suoi, disprezzato da tutti, si è visto in questi ultimi tempi
per cagion della pubblica sicurezza, obbligato a sortire da uno stato che non
avea saputo reggere, ed a cercar un ignobile asilo presso un principe
confinante che sarà forse col tempo colto dallo stesso destino.
Voi finalmente, o Sire... voi
sì (giacchè oseremo dirvelo) voi che assediato e circuito da una turba di
ministri infami, avete preso ovvero avete lasciato che a nome vostro si
prendesse parte nella grande coalizione contro la rigenerazione de' popoli; voi
che avreste potuto in vece, stante il vostro carattere Franco e leale, divenir
il pacificatore dell'Europa; voi oggi impallidite e tremate allo spettacolo del
grand'incendio che involve tutta l'Italia, e temete ben a ragione di dover
anche voi, privo del serto reale, fuggire quanto prima dalle rive del Sebeto.
Ecco a quale tristo stato uno
sciocco orgoglio ed una malintesa ostinazione di voler mantenere in servaggio
de' popoli che desideravano di ridivenir liberi, hanno ridotto quasi tutti i
potentati dell'Italia. Eppur: chi lo crederebbe? un tal terribile esempio, in
vece di far ravvedere quei pochi tra essi, che sono rimasti finora illesi dal
turbine revoluzionario, non li rende che più caparbj e più ciechi sulla via del
precipizio che sta per ingojarli. Voi stesso, o Sire, in luogo di adattarvi
alle circostanze de' tempi, secondando prudentemente lo slancio de' vostri
sudditi verso la libertà che ad ogni costo essi intendono di ricuperare,
lasciate per lo contrario che si raddoppino su di essi i ceppi della schiavitù;
permettere che s'incrudelisca in mille forme contro gli amici del buon senso e
della ragione; soffrite che dei preti scelerati fanatizzino, come meglio loro
torna conto, il misero popolo, e tutto occupato in folli armamenti ed in
rovinose misure di difesa, punto non vi accorgete che altro in tal guisa non
fate, che accelerare il vostro detronamento e la rigenerazione de' popoli
oppressi.
Ah, sire! qual mai lugubre
prospettiva s'affaccia ai nostri occhi indagatori! quai luttuosi avvenimenti
non dovete voi aspettarvi, se non vi svegliate a tempo dal vostro dannoso
letargo; se non opponete, senza ulteriori ritardi, i più energici, i più
decisivi ripari al torrente di sciagure che vi sovrasta e che minaccia di
distruggervi! Ma quali possono esser mai questi efficaci ripari, questi rimedj salutari, ora che i mali sono
giunti al loro colmo, e la rovina è così imminente? Ora che numerose falangi
nemiche, circondando il vostro regno
da per ogni parte, si preparano a farvi un'invasione, ed a portarvi tutti i disastri della guerra, ora che lo
spirito di rivolta fermenta in tutti i punti dello stato, e sta per produrre
un'esplosione terribile ed universale?
Ah, Sire! bisogna pur dirvelo: nelle fatali circostanze in cui vediamo ridotto voi ed il vostro paese, un solo espediente, a parer nostro, potrebbe salvare entrambi, e quello si è di deporre l'omai inutile diadema nelle mani del popolo, aprir le prigioni ai patriotti detenuti, mettersi alla loro testa, e far voi stesso la rivoluzione delle Sicilie. In tal guisa risparmiereste a voi ed alla vostra famiglia la vergogna d'esser espulsi dall'Italia, se non qualche altra cosa di peggio; ed allo stato, la calamità di essere da un'armata straniera spogliato per dritto di conquista de' suoi monumenti di belle arti, de' suoi vascelli e dei suo denaro.
Noi confessiamo che un tal
passo dee riescir ben doloroso per un uomo avvezzo a godere fin dalla nascita
del potere supremo; ma siamo presuasi altresì ch'esso non può essere gran fatto
ributtante e penoso per il buon re di Napoli, che dice di amare il suo popolo e
che desidera d'esser chiamato da questo, piuttosto col dolce nome di padre, che
con quello di odioso tiranno. Nelle presenti emergenze miglior prova certamente
non gli potreste dare, o Sire, dell'attaccamento e della benevolenza che avete
sempre protestato di avere per lui, quanto quella di rinunciargli
volontariamente quell'autorità sovrana ch'esso vi aveva affidata, e senza il
cui ricupero esso non può essere che sempreppiù misero e sventurato.
Se Tito, se Marco Aurelio
fossero sulla terra e si trovassero nelle stesse vostre circostanze, credete
voi, o Sire, ch'eglino esiterebbero un momento a prestarsi ai voti della
Nazione la qual facesse loro conoscere di non poter essere felice, fintantocchè
essi continuassero a regnare? Non scenderebbero eglino all'incontro
immediatamente dal trono, per secondare i di lei desiderj non abbraccerebbero
con avidità un'occasione così opportuna, per esternarle gli amorevoli
sentimenti del loro cuore, proccurandole con de' personali significanti
sacrifici quella felicità ch'essa desiderebbe? Ebbene, o Sire: voi che per le
vostre virtù personali e per la vostra amabile popolarità, solo tralla folla
dei re, avete meritato finora di essere paragonato a questi antichi imperatori,
eseguite oggi quel che essi non isdegnerebbero certamente di fare, se fossero
viventi e si trovassero nella medesima vostra posizione; abdicate tino scettro
che impedisce che siate amato quanto meritate; spezzate voi stesso le catene
del vostro popolo; operate voi stesso la rivoluzione dei vostri regni e formate
delle varie provincie che li compongono, tanti dipartimenti della rinata
Repubblica Romana; siate finalmente in tutto e per tutto il moderno Tito
dell'Italia.
Qual gloria non sarà la
vostra, o Sire, se per vostro ordine e senza la minima effusione di sangue,
vedrassi eretto l'albero rigeneratore de' popoli nelle piazze di Napoli e di
Palermo! Quanta stima non acquisterete presso le nazioni straniere ed anche
presso i vostri nemici, se darete questo esempio luminoso agli altri re della
terra? quante benedizioni non vi meriterete dai vostri sudditi i quali si
vedranno di vostra mano sciolti dai ceppi della schiavitù e sottratti dalle
disgrazie d'una guerra sanguinosa! Ecco, diranno i canuti vecchi ai loro teneri
nipoti, i giovani guerrieri alle loro spose, additandovi loro; ecco l'uomo
grande e sin golare, il quale, per esimerci da infiniti mali e per darci la
libertà, di re è divenuto semplice privato, di padrone assoluto s'è cambiato in
un uomo eguale agli altri; ecco l'eroe il quale ha amato, in vece del serto
reale, di cingere i suo capo con una civica corona; il padre della patria il
quale ha sacrificato il suo amor proprio e la sua fortuna alla salvezza dello
stato ed al bene generale de'suoi concittadini. Che il ciel gli sia in tutti gi'incontri
propizio e favorevole! che possa godere per lunghi anni, insiem con noi, di
quei beni e di quella felicità che la sua eroica azione ci fa sperare! Gli
altri popoli non mancheranno di far ecco a quest'espressioni di ammirazione e
di gratitudine; la storia si affretterà a scrivere ne' suoi fasti un atto
cotanto immortale; e la riconoscente Italia inalzerà monumenti di gloria al
virtuoso civismo dei già re delle due Sicilie.
Che se poi, sordo ai voti d'un
popolo oppresso e non curante degli stessi vostri interessi, ricuserete di
seguire i nostri salutari consigli, e lascerete che prevalgano a questi le
perfide suffestioni de' vostri ministri ai quali nulla cale la miseria o il ben
essere delle nazioni, ed ai quali le vostre medesime disgrazie non darebbero
che motivo di ridersi della vostra dabbenaggine e della vostra cieca confidenza
in essi, allora altro aspettar non vi dovrete, o Sire, che il crudo inevitabile
fato che vi prediciamo. Priacchè la luna abbia compito sei volte il suo giro,
voi vi vedrete, se non punito colla morte dei despoti, scacciato almeno
irremisibilmente dal vostro regno e costretto a cercar un ricovero in qualche
remoto angolo della Lamagna, ove, in mezzo ai freddi e barbari suoi abitatori,
coperto di rossore, avvilito dal forzoso cambiamento del vostro stato, divorato
da pungenti inutili rimorsi, carico delle maledizioni de' popoli liberi, ed
infamato presso la posterità, voi terminerete un'esistenza lacrimevole ed
infelice, rimproverandovi continuamente la vostra stolta ostinazione, ed
invidiando mille e mille volte la condizione de' più miserabili selvaggi della
Siberia e della Tartaria.
Fate ben bene presenti al
vostro spirito, o Sire, queste nostre rimostranze, rifettete profondamente sul
partito che credete potervi meglio convenire, e decidete.
G. M. Olivieri.