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MONITORE NAPOLITANO |
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DECADI' 20. GERMILE ANNO VII. DELLA LIBERTA'; I. DELLA REPUBBLICA NAPOLETANA UNA, ED INDIVISIBILE (MARTEDI' 9. APRILE 1799) Num. 18 |
Discussione de' feudi.
Dopo la disfatta del trono, ragion
volea, che seguisse immediatamente nella nostra Repubblica l'abolizione dell'oppressione
feudale. Di fatti il rappresentante Albanese, membro allora del Comitato di
Legislazione, ne propose ben tosto il progetto di legge, ed il nostro Governo
avendo in mira, che né i Cittadini soffrissero più un vergognoso giogo figlio
dell'usurpazione, nè i posteri de' feudatari rimanessero esposti ad una totale
indigenza, se n e seriamente occupato così nelle due pubbliche che in molte
altre private sessioni. L'invito fatto a' Cittadini, perché suggerissero i loro
lumi, ha prodotto tanti scritti ed allegazioni in rischiaramento della
questione, che lungo sarebbe il solo farne menzione. Ci limitiamo noi a cennare
i pareri più ragionati de' nostri rappresentanti, a' quali vanno a ridursi a un
dipresso quelli degli altri scrittori.
Tutti son convenuti che dovessero
abolirsi senza indennità i diritti personali, cioè quelli che inchiudono
servitù di persona, e servitù d'industria. Era poi in questione se dovessero
conservarsi a' Baroni i così detti diritti reali; cioè il possesso de'
terreni feudali e le prestazioni che sotto titolo di decinie, vigesinie,
terraggio, fida ecc. in molti feudi pagano i cittadini al Barone pe' diritti
che questi pretendeva rappresentare su' fondi compresi nel territorio del
feudo; o, non conservandoli, se indennità, e quale si doveva pagare a detti
Baroni.
La servitù de' terreni e stata un'
implicita conseguenza della servitù della Nazione. Ognun sa che tali terreni
furono quelli, che il vincitore si usurpò ed appropriò a se stesso sul vinto:
ognun sa che, ne tempi barbari, terreni non vi erano senza un dato numero di
schiavi addetti a coltivarli: che maggiori o minori agevolezze per principio
religioso, per bontà particolare de' padroni medesimi o per l'insensibile
addolcimento de' tempi si andarono accordando a tai servi, e quindi si cominciò
ad accordar loro di lavorare a proprio conto il terreno, cui erano addetti,
sotto varie prestazioni da farsi a' Padroni, e derivarono da ciò tutte le varie
denominazioni di terratico, di decima ecc. Laonde, considerando
taluni, il possesso de' terreni feudali come vizioso effetto della servitù
Nazionale, le prestazioni prediali, come effetto della servitù Nazionale e
personale insieme, credevano e l'uno e l'altre intrinsecamente distrutte
nell'atto mercé il quale la Nazione aveva proclamata la sua libertà e si era
reintegrata ne' suoi diritti; e perciò volevano devoluti i primi ed abolite le
seconde, sostenendo non dover la Nazione, per tanti secoli conculcata, pagare
un compenso alle famiglie de' suoi oppressori per rientrare ne' suoi diritti, e
che abbastanza mostravasi generosa, quando non ripeteva indennità da loro e gli
lasciava in tante altre ricchezze il frutto ammassato per tante generazioni
sulla pubblica oppressione.
Capo di questo parere fu il
Rappresentante Cestari. Noi riferiamo alcuni principali squarci del suo
discorso.
«Governo feudale e governo monarchico,
qual fu il passato che ci oppresse, non differiscono che nel nome. Una tirannia
meno estesa non lascia di esser tirannia... gli uomini non saranno giammai repubblicani,
se non quando saranno distrutte tutte le servitù di qualunque genere siano, e
restituite le proprietà a quello stato, in cui erano prima che il feudo
esistesse.
«Voi deliberate, e credete, questa una
pruova della vostra giustizia. V'ingannate. Questa è una pruova della vostra
debolezza. Quando Cesare oppresse la Repubblica, mise forse in deliberazione
col Senato le ingiustizie che meditava? Deliberò, quando mandava tante vittime
al macello, I' infamissimo fondatore (Ruggieri ) della tirannia Sicula,
e nostra? Deliberò Federico II? Deliberò Carlo I d'Angiò e tutti gli altri
tiranni suoi successori? Deliberarono forse i Baroni quando introdussero tante
servitù personali? Deliberarono quando invasero i beni comuni ed i privati delle
Università del Regno? E noti arrossiranno uomini liberi di porre in
deliberazione, se debbano togliere al ladro il furto, se debbano esser liberi i
fondi, ed in qual modo debbano acquistare gli uomini la libertà primitiva? Vi
lusingate forse stabilire l'uguaglianza, lasciando un pugno di ricche famiglie
con tutta la ricchezza della Repubblica?
«Io non vi dimando l'abolizione delle
servitù personali, non l'abolizione di quelle servitù che si addimandano
Dogana, Bagliva, Piazza, Zecca, misura e simili, non la libertà delle acque, non la
libertà dell'umana industria: no. Voi nulla allora differireste dal profugo
tiranno, che abolì li passi in tutto il regno ed in molte parti abolì una
quantità di servitù personali, serbando quelle forme che allora dicevansi
legali per un abuso di vocaboli. Io non vi domando l'abolizione delle decime e
de' terraggi... Hanno i Baroni creduto, che essi erano proprietari non solo
delle persone, ma di tutti gli atomi di terra del feudo: quindi ne hanno tratto
tutte quelle mostruose e tiranniche conseguenze, dalle quali sono nate le
decime, e le redecime. Se la redecima è una servitù personale, non dev’ essere
sotto altro punto di veduta osservata la decima.
Propose quindi come giusta reintegra l’
incorporamento alla Nazione di tutti i fondi feudali e soggiunse: «Essi (i Baroni ) ci assordano ricordandoci il
sacro nome di una proprietà inviolabile.
Chiamerete proprietà legittima quella,
la quale altra origine non conosce, salvochè la forza, la violenza, la
Conquista, la frode, l'usurpazione, l'editto di un tiranno? Io non conosco
altra proprietà, se non quella, che deriva dal diritto naturale comune a tutta
l'umanità. Le immense masse di proprietà non sono mai derivate dalla natura, ma
dalla rapacità, dalla ingordigia, dall'orgoglio e dalla sete di dominare. Date
un'occhiata al calamitoso stato del Regno, vedete quanto sia esausto di forze,
quanti pesi l'opprimono e qual enorme debito debba soddisfare. In che modo vi
lusingate riparare a quest'immensi mali senza restituire alla Nazione tutti i
fondi feudali, che nella loro giusta e primitiva origine, essendo della
Nazione, le furon tolti colla forza e colla violenza, che non riconosce mai
dritto?
«Li fondi feudali sotto la passata
tirannia erano di lor natura devolvibili secondo li casi prescritti dalla
pretesa legge feudale, e non saranno devolvibili, quando la necessità delle
nostre circostanze l'esige, quando la giustizia lo reclama, quando la volontà
generale di tutta I' intera Nazione, il di cui bene devesi aver in mira, lo comanda?
Conchiuse in fine il suo parere col famoso detto di Tacito nelle sue storie:
Apud sapientes cassa habebantur quae neq. dari, neq. accipi, salva
Republica poterant &c.
Con lui sentirono Laubert, Paribelli,
ed altri: insistendo particolarmente sul danno, che riceverebbe la società, se
le famiglie aristocratiche, già per secoli prepotenti, rimanessero tuttavia
potenti.
Altri non poneano già in dubbio che il
possesso di tali terreni, proprietà per lo innanzi o de' Comuni o de' liberi
cittadini, fu un'usurpazione del vincitore, e quindi porti seco la viziosa
origine della servitù nazionale.
Ma poiché i terreni sono vendibili,
opinavano doversi i baroni reputare quai possessori di buona fede, ove
pruovassero legittimamente di averli di fatto comperati; e propendevano a
credere le prestazioni prediali presso molti di essi derivate altresì da
particolare contratto tra baroni ed i suoi già vassalli. Ma non potendo negarsi
alla convinzione, che pur presso molti effetto fossero di usurpazione e
prepotenza, desideravano, che i Baroni innanzi ad una particolar Commissione
dovessero in determinato tempo giustificare i titoli del loro possesso, o per
serbarli come liberi fondi, qual conviene in una democrazia, o per perderli in
tutto.
Capo di questo secondo parere fu il
Rappresentante Mario Pagano. Egli, dopo aver diffinita la feudalità una
catena, che parte dalla mano del tiranno, attacca a lui i baroni, i quali la
distendono sul popolo e gliene stringono i colli e le braccia, diffinito il
feudo parte della preda, che il principe assassino accordò ai suoi compagni che
furomo i primi organi della violenza e della rapina, ed una caparra data loro
per sostenere col ferro l'antico delitto; soggiunse: «Dunque, tutto si
tolga a coloro, che da' primi ladroni tengono ragione? Cotesto argomento per
provar troppo prova nulla. I primi domini furono le prime rapine... la
necessità politica ci costringe a riconoscere talora gli atti, che la purità
della morale ci obbliga a detestare.
«Le prerogative che offendono la
naturale libertà dell'uomo, rimangono distrutte dalla proclamazione istessa
della libertà del Popolo Napoletano. La perdita della giurisdizione non merita
alcun compenso: chi ha comperato la giurisdizione, e chi l' ha venduta hanno
ugualmente attentato alla sovranità del Popolo, hanno commesso un delitto. Le
nostre forze e le nostre facoltà fisiche passano per dir così in quella terra
che le nostre braccia coltivano, e la terra divien nostra, e di quelli ai quali
legittimamente la tramandiamo. La proprietà dunque è sacra ed inviolabile come
i diritti personali: i diritti proibitivi distruggono la proprietà, perché
vietano al possessore di liberamente servirsi del suo; niun compenso agli
anzidetti baroni si deve per la loro abolizione. Le imposizioni tributarie non
debbono punto sussistere, né debbono affatto indennizzarsi. Il dritto d'imporre
tributi è un attributo della Sovranità. Il venderlo, il comprarlo è una
violazione della Sovranità istessa; se la Nazione non può punire i tiranni, che
ne spogliarono il Popolo, e i complici del misfatto che accettarono il dono
della scellerata rapina, ovvero la comperarono; la Nazione non deve per certo
compensare coloro, che dal delitto pretendono ripetere ragione ».
Passò poi ad esaminare i diritti
prediali, che posseggono gli anzidetti Baroni, e soggiunse.
«I barbari figli del Settentrione, che ci domarono, parte del
terreno lasciarono ai naturali del luogo, e parte distribuirono tra loro, il
tiranno ed i suoi sanguinari satelliti. Ecco la sorgente della varia classe de'
beni ne' dianzi feudi. V'ha de' fondi lasciati ai Cittadini o alle Comuni, e
de' beni donati ai compagni del principe oppressore. Egli è certo, che i beni
infeudati erano nazionali tutti;. perché beni delle Comuni o beni de'
Cittadini, i quali divengono comunali quando la loro discendenza è perita. Egli
è pur Certo che siffatti beni vennero da prima concessi o per complicità di
delitto o per infame dono di un tiranno, che arricchiva la prostituta Lucrezia
Lagni, o di una sfrenata Giovanna, che pagava le sue lascivie colla
dilapidazione de' beni nazionali. Ma egli è certo ancora, che la maggior parte
de' baroni hanno comperati i feudi o dai tiranni stessi, o da que' primi gran
vassalli della corona, e gli hanno comperati di buona fede, e perché i beni
nazionali sono vendibili, e perché l'ignoranza de' secoli aveva nella caligine
involti i dritti del Popolo, e si credeva perciò legittimo il sempre tirannico
governo di un solo».
«Il danaro ch'essi pagarono fu versato in
pubblico vantaggio; che, sebbene i tiranni ne avessero spesso abusato per i
loro capricci, tuttavia devesi supporre impiegato per lo mantenimento dei
pubblici Funzionari. Che se un tale principio venga rigettato, quale
sconvolgimento di cose ne seguirebbe? ».
«Non vi ha dubbio, che i dianzi Baroni,
non abbiano abusato del loro potere e dell'avvilimento de' popoli per usurpar i
beni comunali, per imporre delle prestazioni decimali sugli anzidetti beni
comunali. Tutto abolire, e tutto lasciare ai Baroni sarebbe ugualmente
ingiusto. Lasciar parte, e privarli d'altra parte de' beni, e delle prestazioni
ch'esigono senza conoscenza di causa, sarebbe un oprar a caso, e confonder le
ragioni di coloro ch' hanno ragioni diverse. Rimettere a' Tribunali ordinari la
conoscenza di siffatte liti, lasciare a' Baroni la facoltà di sperimentare
contra i poveri Cittadini, e le Comune le loro pretensioni, è un gittar la
Nazione per un secolo in un vortice di liti, è lasciar battere un potente
contra un debole. Quindi conchiuse col proporre una general sospensione di
tutte le prestazioni, ch'esigono i Baroni sotto qualunque nome, creare una
commissione di sette probi cittadini innanzi alla quale, nello spazio di tre
mesi, i baroni debbano legittimare il loro dominio. Se nello spazio di tre mesi
non l'eseguano, s'intendono decaduti per sempre. La prescrizione anche di
lunghissimo tempo, qualunque possesso, o pagamento di adoe e di relevj non sarà
titolo legittimo. I beni, che legittimamente rimarranno a' baroni, resteranno
disciolti da ogni vincolo feudale, ed acquisteranno la facoltà allodiale,
soggetti soltanto all' imposizione ordinaria. Ma per la cessione, che fa la
nazione del suo dominio eminente e della devoluzione, dovranno i baroni darle
il giusto compenso o in danaro o in terreno o in qualunque altra maniera si
giudichi più a proposito».
Con lui sentiva a un di presso
Bisceglia e proponeva, che le servitù attive sopra le terre, le decime ecc.,
trovate figlie dell'abuso, restassero abolite, senza alcun compenso; provate
legittime, si continuassero, rimanendo in libertà dei proprietarj di
riscattarne le terre con affrancarne il peso al prezzo usitato nel luogo.
Proponeva ulteriormente, che de' fondi
finora riputati incontrastabilmente feudali, per mezzo di una o più Commissioni,
si liquidasse da una parte il valore del dominio diretto della Nazione,
dall'altro quello del dominio utile degli ex-baroni, e di qualunque altro o
Comune, o Privato, che vi avesse diritto; liquidate cosi le rispettive tangenti
di ciascuno, fossero a ciascuno compensate su' fondi medesimi, divenuti però
liberi presso di ognuno. Le liti pendenti restassero decise in pro delle
Comuni.
Consimile fu il parere del
Rappresentante Fasulo; se non che insisteva per un compenso da darsi dagli
ex-feudatarj alla Nazione per la rinuncia al suo dominio eminente, alle
devoluzioni e servigi militari, e conservata a lei la devoluzione di que'
feudi, i cui possessori si trovano in atto mancanti di successori in grado a
succedere.
Dall'unione di questi più moderati avvisi,
deriva intanto: 1. Che alla Nazione si doveva sempre un compenso. 2. Che molti
Baroni, ai quali non fosse riuscito provare specchiatamente il loro titolo,
sarebbero rimasti spogliati della intutto. 3. Che il provarli avrebbe e loro ed
i Comuni involti in liti complicate, e dispendiose, ed avrebbe, durante la
pruova, dato luogo ad intrighi e mantenute le animosità particolari. Quindi,
collimando e questi e gli altri più decisi pareri, e cribrandoli insieme, la
Generalità de' Rappresentanti ha considerato come invidiosa una legge, la quale
frammettesse distinzione fra una famiglia e l'altra de' Baroni. Eglino, qual si
conviene ad un Legislatore, han generalizzate le loro vedute, guardato
l'oggetto in grande, considerato il baronaggio e non le particolari famiglie.
Han posto sulla bilancia i diritti nazionali e quella suprema salus populi, quella
intrinseca dignità che non può scompagnarsi da Popolo libero, con quello che
l'equità poteva conservar ai Baroni, han conosciuto conferire al vantaggio
pubblico e privato de' Cittadini, che ciascun sia al più presto certo e sicuro
del libero possesso de' suoi fondi, possesso non contrastato da liti nè turbato
da dubbi. Quindi compera o usurpazione, dono o frode, quale che fosse l'origine
de' possessi feudali, non han voluto considerare una famiglia baronale come in
peggiore condizione di un'altra: tutte ha poste in una sola linea, e tutte
ammesse alle medesime condizioni, ed è noto che siasi preso per base della
legge: che la Nazione rinunzia al diritto di devoluzione ed a qualunque altro
diritto essa possa rappresentare su tali beni; ritengono i dianzi baroni un
quarto solo de' così detti fondi feudali, da possederli in perfetta e libera
proprietà.
Ecco il voto del Rappresentante
Logoteta, che trasse seco quello degli altri.
«Adversus fures aeterna
auctoritas esto. Non vi è chi non
sappia che alcuni vagabondi del Settentrione, venuti in queste beate regioni
facendo uso della forza e di quella perfidia connaturale a' tiranni, oppresero
gl'innocenti abitanti di questo suolo, si divisero le loro spoglie, ed
estinsero que' beni di libertà che gli stessi Saraceni avevano rispettati.
Leggendo la storia de' Normanni, Svevi, Angiomi, Aragonesi, Austriaci e
Borboni, altro non si osserva, che profusioni immense di Città, di Castelli e
di Torri, e finanche d'uomini, donati da tali mostri a' complici e sostenitori
della loro tirannide. Ed il popolo! Il Popolo gemeva sempre nella più estrema
miseria.
«Oggidì, che la Maestà del Popolo
Napoletano è risorta, e che si vive in Governo Democratico, queste istituzioni
assurde e ridicole devono scomparire da questo suolo. Il mio voto è per la
legge nel modo che si trova distesa dal Cittadino Albanese.
Per valutare questa legge è necessario
primieramente far astrazione di tutti i redditi che provenivano a' Baroni da
diritti proibitivi su le persone e su le industrie, diritti che, lesivi del
diritto dell'uomo, non ammettevano compenso; e ristringere la questione a' soli
diritti e possessi prediali. Considerare in secondo luogo quante famiglie
avrebbero potuto provare il legittimo titolo al possesso di questi, e quante
no. Ed in qual condizioni si sarebbero trovate quelle che non avessero 'potuto
provarlo; e fatto compenso di una famiglia coll'altra, considerar tutte insieme
la sorte del Baronaggio.
Può darsi che alcuna famiglia si trovi
in grazia di tal legge in circostanze più infelici che un'altra. Essa avrebbe
dritto allora a particolari soccorsi della munificenza nazionale, ed a
particolari provvedimenti, non come barone, ma come famiglia e Cittadini
necessitosi: sarà questo l'oggetto della giustizia distributiva, cui compete
rimediare gl'inconvenienti particolari che ogni legge, la quale guarda solo i
rapporti generali, dee di necessità produrre, molto più se legge riformatrice
di radicati abusi ed ingiustizie.
Prima di lasciar questo articolo giova
osservare, come il resto dell'Italia non avendo da altri ricevuta la feudalità
che da Carlo Magno, noi da Normanni, ora l’Italia e noi, le private e la
pubblica servitù distruggiamo sotto gli auspici e la protezione della Francia,
e guida la Provvidenza l'invitta e generosa nazione Francese a compensare come
nazione libera quei torti che fece una volta come Nazione serva di un Re.
GOVERNO PROVVISORIO
Pendente intanto la sanzione, osando il
già Principe di Avellino esiger i diritti proibitivi nel già feudo di
Atripalda, inseriamo la seguente decisione dei Governo.
Napoli, il dì 8. Germile anno 7 della
Libertà 28 Marzo 1799 v. s.
IL COMITATO CENTRALE
ALLA MUNICIPALITA' DI
ATRIPALDA.
CITTADINI MUNICIPALISTI
In risposta alla vostra rappresentanza
de' 5. corrente vi prevenghiamo, che questo Governo Provvisorio ha ordinato,
che si faccia sentire agli ex‑Baroni, che dimandano di continuare
l'esazione de' dritti proibitivi, a causa, che non ancora si è pubblicata la
legge abolitiva della feudalità, che colla proclamazione della Repubblica tali
abusi sono rimasti tolti col fatto, Questa determinazione è stata già
comunicata al Cittadino Giovanni Caracciolo, in seguito della quale speriamo,
che si metta fine alle Vostre doglianze, ed alle vessazioni che per parte sua
vi hanno dato luogo.
Abamonti Pres. ‑
Sirchi Segr
Il Comitato di legislazione ha emanata
altra interessante decisione relativa alla futura sorte de monaci, sulla
rimostranza dei Cittadino Arcangiolo Sanseverino, cui il primogenito ricusava
assegnar il capitale del suo livello, a tenor della legge de' fedecommessi,
sulla ragione di esser egli Religioso, e perciò morto al mondo.
DAL COMITATO DI LEGISLAZIONE
11. Germile anno 7. della Libertà
AL MINISTRO DI GIUSTIZIA.
Il Comitato di legislazione vi rimette la memoria del Cittadino
Arcangelo Sanseverino, e v'invita a rescrivere al Consiglio Nazionale, che a tenore
della Legge abolitiva de' fedecommessi l'intero assegnamento del detto
Cittadino deve esser ridotto in Capitale, non ostanti le pretese rinuncie di
cui non dee aversi conto, contrarie al sistema Repubblicano, che considera i
Religiosi come individui della Società, non già come morti al mondo ‑
Logoteta Presidente ‑ Rossi Segretario.
DAL COMITATO DI
LEGISLAZIONE
14. Germile anno 7. della Libertà
AL MINISTRO DI GIUSTIZIA.
Il Comitato di Legislazione
rimettendovi la memoria del Cittadino Gioan-Battista Sanseverino, v'invita a
rescrivere al consiglio Nazionale, che l'invito fattogli da questo Comitato
concernente la dichiarazione, che i religiosi debano considerarsi come
cittadini, e per consequenza ad onta di qualsivoglia forzata rinuncia, debbono avere
ridotto il loro assegnamento in Capitale alla raggione dei tre
per cento, è abbastanza chiaro per non ammettere strani sofismi, ed
insussistenti cavilli, e che per consequenza siano nel Chiostro residenti, o
siano secolarizzati, debbano tutti equalmente godere del beneficio della legge.
Salute, e Fratellanza ‑ Logoteta
Presidente ‑ Rossi Segretario.
Fralle numerose vittime immolate dal
furore degl'Insurgenti, una è stata in Laureana sua patria, dipartimento del
Sele, il Cittadino Michele Simeoni Padre di 8 figliuoli, e fratello del
benemerito Cittadino Gaetano Simeoni, Capitano di Artiglieria, che chiuso co'
patrioti in S. Eramo, comandò colà la medesima, ed ora la comanda nella
spedizione per la Calabria.
Il Governo volendo accorrere al
momentaneo soccorso di questa numerosa famiglia, ha invitato il Cittadino
Arcambal Ministro di guerra, a disporre, che due di essi otto figli si
allochino nell'accademia militare.
Ed intento ugualmente al sollievo di
quegli uomini che per la lor decrepita età, e per l'onoratezza delle loro
azioni e servigi, o per lo bisogno in cui strettamente si trovano, meritano di
esser soccorsi; ha fatti passare ducati cinquecento al nonagenario Gen.
Giuseppe Pietra, perché possa avvalersene per suo mantenimento dichiarandoli che
a miglior tempo non dimenticarà la nostra Repub. di sovvenirlo con altre somme.
Il nostro Caracciolo, direttore
interino della Marina, annuncia che il parlamentario inglese di Jeri era
l'ufficiale John Juelchi, nella lancia del vascello Coloden, col
pretesto di prender cognizione degli effetti lasciati dal ministro Hamilton, di
fatti per osservar le nostre batterie (di poco buona loro aspettiva); giacchè
niun ignora, ed è noto a tutti gl'Inglesi, che quegli nulla qui lasciò che gli
appartenesse. Fu accordato al preteso parlamentario quanto chiedeva; fu
condotto di persona alla casa di quel ministro, dove se li permise che
ocularmente ne facesse l'ispezione. Ma i bravi Inglesi avevano sbarcati
buon numero di forzati (solita milizia ausiliare di Ferdinando e compagni)
nella vicina isola di Procida ed Ischia: assicura però Caracciolo che tali
assassini erano già stati in gran parte arrestati.
In conseguenza del riferito invito del
generale Macdonald di mandar tre Rappresentanti per riordinar i dipartimenti, à
stimato il Governo non isceglierli dal suo seno. Ha perciò nominato Commissario
organizzatore per la già Puglia il cittadino Amodio Ricciardi, per la Calabria
Vincenzo Russo. Restando inominato il Commissario organizzatore degli Abbruzzi,
si vede che voglia farvisi restar come tale il Rappresentante Delfico, che
tuttavia colà si ritrova. Dispiace ciò non poco a' buoni patrioti che credono
più utile, anzi necessario, alla Patria la sua presenza e riunione qui a' suoi
colleghi e desiderano si proccurino i mezzi da facilitargliene la venuta.
VARIETA'
Da che è incominciata la rivoluzione,
tutt' i fogli del Popolo divenuti liberi si lagnano a vicenda de' cosiddetti allarmisti.
Il numero, o 'l deciso carattere, de' Patrioti di Napoli, ha fatto a questa
genia di persone prendere un nuovo sistema, o per meglio dire, un nuovo tipo di
spiritose invenzioni: e non potendo atterrire il buon senso ed il coraggio de'
Patrioti Napoletani con frasche di esterni perigli, tentano mentre gli animi
sono ancor caldi a pecore sospettosi, siccome avviene in tutti
gl'incominciamenti, atterrarne la tranquillità e la fiducia verso chi si deve
avere maggiore, collo spargere notizie di promozioni e provviste
aristocratiche.
Si dice ora, ma niuna persona di buon senso
crede, che Marco Ottobono, perpetuo ed intrinseco cortigiano del fu Rè,
debba destinarsi Ispettore della commissione delle strade e delle Poste,
rinnovando in lui l'impiego e l'esorbitante soldo del già Marchese della
Valva. Una democrazia non ammette un Ispettore, ma bensì un'ispezione di
più membri. L'oggetto delle pubbliche strade richiede che questi membri siano
architetti ed ingegneri. La pianta della Repubblica richiede che ogni
Dipartimento faccia ed invigili su le sue strade e ne suddivida la cura co i
Cantoni e questi colle Municipalità. L'esperienza ha provato che a' tempi di Ferdinando
in cui da Napoli si volevano formare tutte le strade dello Stato, lo Stato non
ebbe mai strade, e le poche che vi furono, furono sempre care e pessime; e quando
Ferdinando levò la giunta per riconcentrar giunta e soldi di essa nel
solo marchese della Valva, tutto il pubblico trovò il fatto degno del
dispotismo e della follia di Ferdinando.
N.B. dove nel num. passato dice Dà in seguito l'abbraccio
fraterno, correggete Il Presid. dà in seguito ec.
Dove dice Il Senato Romano ringraziò
Cajo Carbone, correggete Cajo Varrone.
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