Francesco Lomonaco |
R A
P P O R T
O F A T T O D A FRANCESCO
LOMONACO PATRIOTA NAPOLETANO AL CITTADINO C A
R N O T MINISTRO DELLA GUERRA |
Prefazione
Un quadro di
avvenimenti orribili, che fanno fremere la natura umana, interessa sicuramente ogni
essere dotato di sentimento. Non si tratta con esso di appagare una inutile
curiosità; ma si procura di mettere in prospettiva l'indole del poter
arbitrario, e 'l carattere feroce de' re. Esponendo al ministro Carnot il
principale strumento del rovescio della Repubblica Napolitana, vengo alla
narrazione degli orrori, de' tratti di ferocia, e delle altre fatali vicende,
le quali ancora desolano la regione più bella della terra, le quali non si
leggono nelle pagine lugubri della storia antica e moderna, e che la barbarie
del dispotismo non ha mai prodotte sul teatro delle calamità umane,
dall'infanzia del mondo sino a' nostri dì. Quante volte la penna mi è caduta
dalle mani! Quante volte il pensiero è stato insanguinato dalle immagini
tragiche e nere, che interrompendo il sonno della mia ragione, hanno atterrita
la fantasia! Quante volte le carte che io vergava sono state bagnate dalle
lagrime le più amare!... Nello spiegare il filo de' fatti, gli spettri degli
estinti Eroi si son presentati a' miei occhi; i gemiti degli infelici, che o
ammucchiati languiscono nelle bastiglie o vanno errando sulla superficie del
globo, si sono da me intesi; gli urli de' carnefici hanno sovente turbata la
serie delle mie idee. Ho percorso sulle ale dell'immaginazione, il paese che mi
ha dato la culla, e non ho veduto che rottami, rovine ed abissi, la di cui
profondità si è involata a'miei sguardi giacché il cielo era oscurato. Da per
tutto le furie infernali del dispotismo mi hanno recato orrore e
spavento...Dopo questa pittura melanconica e rattristante, metto a giorno la
rea condotta dell'imbecille Claudio, della dissoluta Messalina e del vile
Seiano, relativamente al gran popolo nella brillante carriera della sua
rivoluzione. E qui si vedrà la debolezza di un governo oppressore andare unita
alla perfidia. Si scorgeranno i principi della giustizia universale calpestati;
i rapporti che mantengono la concordia dell' uman genere lesi in tutta la loro
estensione; gli sforzi di soffocare il grido della filosofia sempre più raddoppiati.
Finalmente, facendo una utile digressione, getto un colpo d'occhio sulle fasi
scorse dell'Italia, sul suo stato attuale, sull'attitudine imponente ch'ella
sarà per prendere sotto la influenza del genio vivificante della libertà e
delle scienze, e sul peso ch'ella farà nella bilancia de' futuri destini
dell'Europa. I corpi sociali, come i pianeti sono sviluppati nel cerchio de'
loro movimenti invariabili e regolari. È gran tempo che la forza del dispotismo
ha agito sulla terra; e quest'azione dev'essere bilanciata da una riazione
delle società civili. Le lunghe oppressioni debbono necessariamente menare la
indipendenza. Guai, guai a' tiranni!... La ragione, che già va divenendo
cosmopolita, incomincia a mostrare a' popoli la turpitudine delle loro catene,
ed essi arrossiscono a sopportarne il peso ed a baciare la mano che gli
strangola. Il grande albero delle scienze, che era tanto agitato da 'fieri
aquiloni della superstizione e della tirannia, gettando nel secolo futuro più
profonde le sue radici, spanderà i fronzuti rami, all'ombra de' quali sarà per
riposare la insultata umanità. Il lettore, se non ravviserà in codesto
travaglio una storia benfatta, giacché una buona storia è difficile a farsi vi
troverà almeno i materiali i più rilevanti, che saranno radunati con impegno
da' Tucididi e Taciti del secolo nell'ergere il monumento colossale de' fasti
correnti. Tra tante verità, ne scorgerà una scritta a caratteri di sangue, che
scorre da un cuore ferito, cioè che i re sono animali antropofagi, e che la loro
storia è il martirologio delle nazioni.
AL
CITTADINO CARNOT MINISTRO DELLA GUERRA.
Cittadino
Ministro!
Voi avete
mostrato dispiacere di non essere a giorno degli avvenimenti ch'ebbero luogo in
Napoli dopo la partenza delle truppe francesi, e d'ignorare chi fu
principalmente il perfido, il quale, dando gli ultimi colpi all'edificio eretto
dal prode Championnet, scavò la tomba della libertà napoletana. Un tenente
d'infanteria, il cittadino Bocquet, penetrato di patriottismo, ha fatto un
ampio quadro di tali vicende, ed ha denunciato il colpevole, che facendo
alleanza colla perfidia degl'Inglesi, ardì di mettere a traffico col loro
metallo la più bella delle cause, di esporre l'esistenza di un immenso numero
di repubblicani al pugnale della tirannia, di far succedere le scene patetiche,
che han rivoltato l'umanità e la natura, di denigrare il nome e la gloria della
grande nazione francese.
Il colpevole è
appunto il cittadino Mégean, o per meglio dire, Méchant, il quale si dice esser educato nella scuola
dei Foissac‑Latour. Questo è quel Mégean, il quale colmo d'ignominia e di
obbrobri, invece d'intendersi volontariamente dal seno delle società umane, osa
calpestare ancora la terra sacra, osa di più comparire innanzi all'areopago,
che gli deve fulminare la sentenza di morte, per ispargere le ombre della più
nera calunnia sull'orizzonte della verità. Ma invano, malvagio, invano ti
sforzi di cangiare il delitto in virtù, la corruzione in magnanimità, le
maledizioni di un intero popolo in voce dei tuoi privati affetti.
L'apologia di
Mégean, che ha per oggetto di dare all'accusa di Bocquet il colorito della,
calunnia, è rimasta senza risposta. Sicché io, armato del santo zelo della
verità imprendo a dimostrare la falsità delle sue asserzioni. Non crediate,
cittadino ministro, che nella breve storia dei fatti, dei quali farò l'analisi,
io voglia improntare i fiori dell'eloquenza. Non farò altri sforzi che quelli
di mettere in prospettiva con franchezza e con coraggio i reali e principali
anelli della catena degli avvenimenti; e mi protesto innanzi al cielo ed alla
terra, che conservando il posto di repubblicano, non mi avvilirò a proferire la
menoma menzogna. E' la lingua di Catilina traditore quella che vacilla ed
inciampa innanzi al senato; mentre Cicerone, agguerrito dagli augusti
sentimenti dei quali è infiammato, è chiaro ed ardito nell'esporre le trame
dell'empio parricida.
Si accusa in
sulle prime Mégean di non aver potuto dare aiuto ai patriotti napoletani,
quando lottavano cogl' insorgenti, per essergli di ostacolo le istruzioni di
Macdonald, che lo avea, secondo egli dice, incaricato della semplice e sola
difesa del forte Sant'Elmo. lo non cerco di penetrare i segreti di Macdonald,
so solamente che quando questo generale partì da Napoli assicurò il governo che
la repubblica restava sicura sotto la salvaguardia dei Francesi. Abrial tenne
lo stesso linguaggio, anzi soggiunse, che nel caso di un rovescio, i Francesi
avrebbero trasportati sulle loro spalle i repubblicani. Queste parole enfatiche
confermarono vieppiù tutti nella certa idea, che nel diluvio delle calamità
l'arca della salute era affidata a Mégean.
Ma si
ammettono in suo favore le intenzioni di Macdonald; io gli ricordo, ch'egli
trasgredì una volta le pretese istruzioni, quando per mettere un pugno
di francesi alla testa dei patriotti che andavano a spargere il sangue per la
salute della patria, volle in prezzo del beneficio la somma di quattordicimila
ducati. Perché non s'interessò in seguito a porgere la benefica mano ai
repubblicani, precisamente allorché gl'insorgenti minacciavano le porte della
capitale? La soluzione del problema è chiara. Non era la forza imponente dei
nemico quella che facea paura a Mégean. Questa era la spossatezza della
repubblica, la quale, ristretta nel recinto delle mura della capitale, essendo
ridotta all'orlo della miseria, non potea prestare nuovi alimenti
all'ingordigia del piccolo Verre. Quale fu dunque l'origine della di lui
criminosa apatia? Fu il superstizioso scrupolo di eseguire i comandi del
generale Macdonald o pure fu la mancanza dell'oro che non poté spegnere la sua
sete inestinguibile?....
Si scusa di
più di non aver munito il forte Sant'Elmo, perché i governanti, i quali
mancavano di energia, si erano opposti alle sue mire. Infame Clodio! osi
calunniare i fondatori della libertà, i difensori dei diritti dei popolo! Vivi
noti hai voluto proteggerli; morti vuoi insultarli? Vile insello
dell'aristocrazia ! cessa di mordere quei cadaveri, che la stessa mano profana
dei dispotismo non ha il potere di turbare nel santuario dell'immortalità.
Come! gli eroi che si erano gettati nel fuoco della rivoluzione in mezzo ai
trasporti della gioia la più sensibile; quei che, sacrificando i loro più cari
interessi privati, non si occupavano che della patria, non respiravano che per
la patria; quei che negli ultimi momenti della loro esistenza non si
dimenticarono sotto la scure dei carnefici di essere i Timoleoni e i Trasibuli
di Napoli, erano uomini freddi e senza energia! Come si può mai concepire, che
trascurando eglino la causa pubblica, volessero a bella posta procurare il
martirio di loro stessi, la distruzione delle loro case, l'esterminio delle
loro famiglie, la perdita di tutto ciò ch'è più caro ai mortali!... Quale
logica, eccetto che l'enormità del tuo delitto, può mai farti così stranamente
combinare le idee? Vedremo fra poco qual fu l'energia che tu spiegasti, quando
si approssimò l'occasione in cui dovevi fare il proprio dovere. Vedremo come
eseguisti le istruzioni di Macdonald.
Ma, dato che
le autorità costituite, immerse nel più profondo letargo, non fossero concorse
a munire, come conveniva, il forte; conceduta la bizzarria di questa ipotesi,
che non può entrare nella linea dei fenomeni umani, Mégean non potea destare il
governo dal letargo in seno di cui era seppellito? Non poteva, armata manu,
provvedersi di un numero maggiore di cannoni, li obizzi, di mortai, ce.... e
rendere così, Sant'Elmo un baluardo inespugnabile di difesa? Ma quali dati,
quali ipotesi, io cerco ammettere! Chi non vede i miserabili sotterfugi della
calunnia, i ripieghi della perfidia?... Se si volesse credere all'amico di
Foissac, bisognerebbe rinunciare a tutte
le regole della critica, opporsi al buon senso, dare una direzione diametralmente
opposta al pendio del cuore umano, insomma bisognerebbe rovesciare il mondo
morale ed entrare nel caos dell' inverosimile.
Ma Mégean era
necessitato di ricorrere a questi ripieghi, altrimenti non potea spiegare
l'intero piano della sua condotta. Infatti allorché il sacrilego cardinal
Ruffo, accerchiato dalle orde selvagge della tirannia, e colle fiaccole accese
della religione, dopo di aver portato il ferro e il fuoco, la devastazione e
l'eccidio ne' dipartimenti, a nome di un Dio di pace[ 1]; dopo di aver innalzata
innumerevole catacombe nelle Calabrie, nella Puglia, nella Campania; dopo di
aver commesse le scelleragini, che sono sconosciute anche da' cannibali, nei
luoghi i quali percorse ; dopo di averli convertiti
in vasti cimiteri; allorché questo boja inviato dal paradiso affrontò nelle
pianure del ponte della Maddalena i patriotti, che non erano allora molto
inferiori in numero, Mégean poteva
mandare in soccorso loro almeno un pugno di Francesi. Ma qual soccorso! Egli
divenne inesorabile alle istanze le più vive, alle premure le più calde del governo[ 2]. Di già le suo mani
imbrattato del lucido fango degl'Inglesi, di già si disponevano ad ergere il
trono sulla bara funebre ed insanguinata della repubblica... Truce idea! amara rimembranza !....
Nell'attacco
essendo stati respinti i patriotti i quali allora davano i primi passi nella
carriera delle armi, i nemici ebbero campo di entrare nella città ed occupare
il forte del Carmine, di Pizzofalcone, di Pusilipo. Sicché la plebaglia, per
ordine dell' esecrabile Ruffo, si diede in preda al saccheggio, alle rapine ed
a tutti gli eccessi dell'anarchia. Non si risparmiarono neppure le case de'
realisti i più forsennati. Tante sciagurate famiglia ridotte all'orlo della
disperazione, non trovarono ricovero che nelle grotte, nelle caverne e nelle
stalle in mezzo al letame. Molti volontariamente si diedero la morte per
isfuggire il flagello. Si videro i padri ammazzare i figli, per non conservare
loro una esistenza penosa e miserabile. Altri si gettò nel mare, volendo
divenire piuttosto preda de' pesci, che de' carnivori satelliti di Carolina.
Ciò non fa
tutto: la vita d'ogni onesto cittadino venne minacciata dalla spada
dell'insurrezione. Mentre gli abitanti delle coste marittime, senza eccezione
d'età, divenivano olocausto della ferocia inglese armata di tutti i suoi
furori; mentre ad Ischia, a Procida, a Sorrento i repubblicani erano mutilati
dal ferro liberticida, o vivi venivano buttati nelle onde del mare; nei luoghi
mediterranei il nemico di una spia o di un crocesignato, un possessore, di
qualunque partito si fosse, in mezzo alla battiture, alle ferite, agl'insulti,
era menato in giudizio, dove gli oltraggi si moltiplicavano, e dove il decreto
di morte s'intonava in ogni istante. Ad un repubblicano conosciuto si strappava
il cuore, le unghie, gli si cavavano gli occhi, gli si mutilavano le altre
membra, e così a poco a poco gli si toglieva l'esistenza. Quelli ch'erano meno
a giorno nella sfera delle loro opinioni, erano spogliati ed esposti agli
strazi i più ignominiosi, semivivi venivano strascinati per i luoghi i più
cospicui della capitale, e poscia confinati nelle fetide carceri, dove perivano
senza punto scuotere le anime, che avevano impietrito il dolce sentimento della
pietà. Che orrore !.... che barbarie
!....
Così le strade
della città, e massime quelle di Napoli , comparivano un letto di cadaveri, in
cui si vedeva il figliuolo cadere esangue ai piedi del genitore, la moglie
prima violentata spirare tra le braccia dei marito, l'amico in mezzo alle
angosce della morte dare gli ultimi amplessi all' amico e nella mischia
spaventevole dei sicari e delle vittime infelici accatastate, non si sentiva
altro che
Fremiti
di furor, mormori d'ira,
Gemiti
di chi langue e di chi spira.
Allora Mégean
poteva scagliare i fulmini della vendetta nazionale dalla cima di una ròcca la
quale domina Napoli; poteva, senza essere offeso, ridurre in un mucchio di
ceneri quei posti che stavano sotto il tiro dei cannone di Sant'Elmo. Ma Mégean
assiso sul letto delle delizie e delle rapine, offuscato da' profumi del vino e
de' cibi i più deliziosi, Mégean guardava col riso dell'impudenza i roghi sui
quali fumavano le palpitanti membra de' difensori della patria. Mégean allo
stridore delle ossa degl'incalcolabili martiri, a' lamenti ed ai singhiozzi
delle loro famiglie, avea del tutto otturate le orecchie. Mégean non era
affatto commosso dall'aspetto tragico delle lagrime e del sangue che aveva
allagate le strade della città.... La di lui anima di ferro non era alterata
dallo spettacolo delle crudeltà rivoltanti e dei tratti di barbarie, che il
feroce nemico esercitava sulle mogli sulle sorelle, sulle figlie dei partigiani
della gran causa[ 3]. Questo mostro mi sembra
Nerone, il quale, alla vista dell'incendio di Roma, suonava la cetra.
Conveniva però buttare un po' di polvere
agli occhi degli officiali probi, per nascondere la sua perfidia. La virtù ama la
schiettezza; ma la perversità vuole improntare la maschera per non manifestare
le sue bruttezze. Prima che Sant'Elmo fosse attaccato, spesso Mégean faceva
discendere (troppo tardi se n'era accorto), contro gli ordini di Macdonald
Alcune numerose pattuglie nel cuore della città; sicché quei soldati i quali in
circostanze meno critiche a tempo proprio, potevano consacrarsi alla difesa
della libertà; mentre le forze nemiche si erano raddoppiate, erano costretti
dal loro capo a discendere nell'arena. Quale doveva essere il risultato? La
morte de' francesi ed il discapito della guarnigione. Ma questi sacrifici,
questi macelli di carne umana sono calcolati da Mégean com'era calcolato il
massacro di tante migliaia di uomini, che l'infamia di Scherer immolava alla
ferocia delle tigri settentrionali dirette da Suwarow.
Consideriamo
la tragedia da un altro lato. I patriotti, per non essere interamente
inghiottiti dalla,voragine, non potendo più sostenere la patria agonizzante,
che già dava l'ultimo sospiro, si rinchiusero insieme coi rappresentanti ne'
castelli Nuovo e dell'Ovo. Ogni individuo mise allora la sua fiducia ne' soliti
miracoli che opera la libertà. Chi non si sovvenne in quell' istante de' Grecì
alle Termopili , de' Romani al Campidoglio, degli abitanti della Carolina al
forte Wilson?
Durante lo
spazio di molti giorni, essi operarono prodigi di valore, che gettarono lo
spavento negli animi dei Turchi, dei Russi , dei Siciliani e degl'insorgenti;
in maniera che costoro non si azzardarono ad assalire i deboli asili del
patriottismo. Al fuoco perenne dell'artiglieria che agiva di giorno, si
aggiungevano le sortite notturne dei patriotti. Ma accortisi di un fermento del
popolo fanatizzato, assicurato dall'avvicinamento di una flotta inglese, e
ridotti all'estremo delle munizioni, essi deliberarono d'intavolare una
capitolazione onorevole. Si stipula dunque il trattato sotto la garanzia di
Mégean. I generali dei despoti, de' coalizzati la sottoscrissero; e, per la
pronta e fedele esecuzione, si diedero nelle di lui mani cinque ostaggi. Allora
fu che, secondo il principale articolo della negoziazione, nell'alternativa o
di restare impunemente ne' propri focolari. oppure di essere gettati nudi e
miseri sulle coste di Francia, ognuno resistendo alle tenerezze della sposa, ai
gemiti, ai singhiozzi dei fratello, del genitore, del figlio, alle attrattive
dei beni di fortuna, ognuno fece la ferma risoluzione di non vedere i funerali
della repubblica, e gettarsi piuttosto in un oceano di calamità di miserie e di
pene, deliberando di ritornare a tempo opportuno a sottrarre dai ceppi
l'incatenata patria.....
Ecco i
Pelopidi, che la sfrontatezza di Mégean accusa di cicisbeatura e d'imbecillità.
La stessa perfidia condanna all'oblio quei prodi del forte di Vigliena, i
quali, sopraffatti dal torrente delle forze nemiche diedero fuoco alla polvere,
contenti piuttosto di essere divorati dalle fiamme, e restare seppelliti sotto
le rovine della patria, che cadere nelle mani della schiavitù. Oh trecento
Spartani, che avete fissato il rispetto del genere umano e l'ammirazione de'
secoli, se a' vostri tempi si fosse trovato un Mégean, egli vi avrebbe coverti
di disprezzo, come i bravi di Vigliena vostri emuli[ 4] !...
In vigore del
trattato i repubblicani furono menati sulle polacche; ma invece di mettersi
alla vela, restarono inchiodati nella rada di Napoli. E si vide il fenomeno,
che una immensità di persone, la maggior parte ignote fra loro, stavano unite
insieme dividendo le stesse angustie e soggettate alle stesse sofferenze, come
se avessero scampato un tremuoto, o qualche altra crisi della natura.
Allora Mégean
dovea obbligare lo spergiuro Ruffo a far partire senza dilazione alcuna i
capitolati. Dovea minacciare la distruzione di Napoli, se in un termine
prescritto, la loro partenza non si fosse effettuata e se la capitolazione non
si fosse eseguita in tutti gli altri articoli. Saut'Elmo potea essere per
quella città ciò che è il Vesuvio in eruzione. Ma il perfido non prese alcun
interesse per un affare di tanta importanza.
Sicché gli
Ercoli della rivoluzione, carichi di ferri, vennero gettati nel fondo della
sepolture, che si chiamano criminali, e tutti gli altri restarono sui legni.
In questo
stadio di tempo Sant'Elmo fu
assediato, e Mègean pieno di quella energia di
cui mancava il governo , si fa ergere le batterie nemiche a tiro di
cannone, senza impedire i lavori. A misura che l'attività si raddoppia, così la
stessa sua energia cresce di giorno in giorno; sicché dopo lo spazio di
poco tempo si abbandona il castello in potere degli schiavi attaccati al carro
della coalizione. Il moderno Dionigi viene a tempo a godere del dono di Mègean
ed a nuotare colla famosa prostituita di Albione, lady Hamilton, in un mare di
sangue che sgorgava dalle ferite dei repubblicani. Viene ad essere spettatore
di una tragedia, dopo di aver guardato con giglio sereno le beccherie d'Ischia
e Procida. Egli desidera che il repubblicanismo avesse una sola testa, per
troncarla a un tratto. Tant'odio, tanta stizza contro gli amici dell'uomo
annida ne' cuori di re forsennati, che hanno la follia di credersi simulacro
della divinità; mentre sono esseri maligni vomitati dal tartaro !!
Involata così
innanzi a' nostri sguardi la libertà, le lave vulcaniche della controrivoluzione
allagano Napoli, i vapori della tirannia ingombrano dappertutto l'atmosfera di
quella regione e il sole della libertà italiana resta ecclissato[ 5]. In questa lugubre
catastrofe, qual'eterna notte sopravviene per noi! Da quali dolori sono rose le
nostre anime riempiute di lutto e di tenebre! Come il passato si desidera e non
si ardisce di sperare! Come il presente ci opprime ! l'avvenire ci spaventa
!... Compagni! voi che divideste i pericoli della patria e che ora siete a
parte dell'infelice e glorioso esilio, voi potete ricordarvi dell'abbattimento
e della desolazione che in quell'epoca agghiacciò i cuori di tutti noi. Voi,
che inviluppati nei cenci della miseria, ad onta delle procelle del mare,
dell'urto degli elementi, dell'ira dell'avversa sorte e dell'oppressione dei
potenti, non cessaste di rinnovare sull'altare della virtù il giuramento
della futura rivendicazione, voi vi potete sovvenire come la crisi fatale
versò a piene mani nella tazza de' nostri piaceri le amare angosce che
minacciavano gettarci nel regno della morte.
Io non sono
militare, cittadino ministro, per poter decidere sulla legittimità della resa
di Sant'Elmo. Queste ricerche appartengono al consiglio di guerra. Io solo
incolpo a Mègean la maniera con cui intraprese e continuò la difesa del forte.
Io solamente fo il parallelo tra lui ed il comandante di Ancona. Chi non sa che
il coraggio, l'ostinazione, il furore con cui costui sostenne quella piazza,
sono divenuti il patrimonio de' fasti dell'eroismo, il deposito il più sacro
dell'immortalità?
Ma con tutte
le risorse dell'astuzia di un ser Ciappelletti, quali scuse può ritrovare
Mègean nell'antro della calunnia, quando di buona voglia libera i patriotti
rinchiusi nel forte agli avvoltoi dei dispotismo; mentre ha presso di sè gli
ostaggi ? Quando scorre anche quei che vestiti da soldati e confusi co'
Francesi, non erano conosciuti? Quando consegna ancora due uffiziali, ì quali
benché napoletani, da più
anni stavano ai servizio francese? Ombre di Vitaliani e Matera[ 6]! voi ancora gridate dal
fondo della tomba contro l'amico di Capeto, che vi consegnò alle di lui
furie...... La vostra spoglia ancora fumante di sangue farà più impressione
alle future generazioni di quella che
fece il cadavere di Lucrezia al popolo di Roma.
Quale arme di
difesa può adoperare Mègean. allorché consegna gli ostaggi agli agenti del
despota contro le deliberazioni del consiglio di guerra e non fa istanze per
l'esecuzione del trattato per l'invio dei patriotti in Francia? Per qual
motivo, quando discende da Sant'Elmo, va a sedere nella mensa imbandita dal
tiranno, che lo colmò di ringraziamenti e
doni, i quali mettono il suggello alla sua depravazione ? Come può ripetere la necessità
della resa del forte dalla penuria delle derrate; mentre le truppe nemiche
impadronitosene per più giorni vendono al popolo a vil prezzo una immensa
quantità di generi di ogni sorta ? Perché si trovano le bombe da dodici e i
mortai da nove? Questo giuoco fu opera
del governo? .... Veramente lo esigeva il suo interesse; il senso comune ci
forza a crederlo.
Ma traditore !
non voglio più stancarmi col raccontare tutti i minuti particolari dei suoi
misfatti. Indarno cerca di coprire la perfidia col velo della menzogna. Già le
prove della sua rea condotta sono nelle mani di tutto il mondo; le opere della sua cospirazione sono note ad
ognuno. Ognun sa che la politica antisociale di Pitt, dello schiavo ribellato
contro la sovranità de' popoli, questa politica liberticida avea già nell'anno
scorso attaccata la testa del colosso repubblicano ed alcune delle sue membra.
Infelicemente per noi, uno di questi membri fu Mègean che corrotto dall'oro
inglese, non si fece alcuno scrupolo di slanciare una repubblica sul cratere di
un vulcano...
Scellerato! è
scomparso da Napoli; ma le vestigia dei suoi delitti sono restate impresse
nella memoria di quella desolata popolazione, nel cuore di tutti gli amici
della filosofia, che carichi di ferri nel fondo delle prigioni, bagnano col
pianto l'ammuffato pane. E' scomparso! ma l'infamia lo seguirà dappertutto su
quella terra che abomina la sua presenza. E' scomparso ; ma il tribunale della
storia esaminerà il processo delle sue azioni, e la posterità pronunciando il
suo nome, lo metterà accanto a quello Erostrato, che per rendersi famoso
incendiò il tempio di Delfo.
Da quest'
abbozzatura, che io ho avuto l'onore di presentare a' vostri sguardi, voi
comprenderete, cittadino ministro, come Mègean nella sua apologia abbia immersa
la sua penna nel fiele della calunnia la più assurda, della satira la più
incoerente. Io dunque a ragione lo accuso innanzi alla vostra giustizia in nome
dell'afflitta, patria, dell'umanità della natura. Io son sicuro, che facendo
omaggio alla virtù di Bocquet ed al mio zelo, i delitti di Mègean non
resteranno impuniti, l'intrigo non trionferà della giustizia. Io ne ho per
garante, cittadino ministro il vostro genio, quel genio che insegnò la strada
della vittoria a quattordici armate ed incatenò il mostro della coalizione , ne
ho per garante quella sublimità di anima, quella fermezza di sentimenti che
mostraste nel seno della Convenzione, quando gittaste le fondamenta della
indipendenza nazionale, e prendeste l'iniziativa della libertà del genere umano.
Dopo la
partenza dei Francesi, suonò l'ora della distruzione dei repubblicani. Il
despota della Sicilia non incontrando argini a violare, contro i principli dei gius
delle genti, la
più solenne delle capitolazion[ 7]i; giacché gli ostaggi erano stati
restituiti, disegnò, ad insinuazione del crudele Nelson e della Lady di Londra,
di fare il più orribile di quanti avevano posto il dito nella coppa della
rivoluzione; simile ad una bestia feroce, che ha nelle branche la preda su cui
avea gettato lo sguardo, l'atterra, la sbrana, e fa strage, scempio e rovina
delle sue carni.
La Svizzera,
l'Olanda, l'Inghilterra medesima la Francia e tutte le nazioni civilizzate
raccapricciarono al racconto delle crudeltà e del terrorismo che spiegò il
mostro di Sicilia dopo il suo ritorno in Napoli. Fox e Sheridan, questi fermi
avvocati della gran causa, lanciarono l'anatema contro quel re insensato e ne
proposero l'accusa innanzi all'immensa assemblea del genere umano.
Arena, Driot
ed altri legislatori tuonarono alla tribuna de' cinquecento in Parigi contro
gli stessi attentati. Eccolle le parole ; « E tu re perfido e crudele ! che
segnali il tuo ritorno in Napoli con eccessi i più inauditi, e che hai
convertito il suo vasto recinto in un più vasto feretro. trema per la seconda
volta. I tuoi nuovi delitti uniti a quelli che hanno reso famoso il troppo
lungo corso dei tuo regno, saran puniti ancora, senza che ti resti più la
speranza di rinnovare le tue vili proscrizioni ed i tuoi spietati massacri. »
Allorché i Tedeschi nell'anno scorso
penetrarono nella Svizzera, istallarono a Zurigo la commissione del governo, i
di cui membri erano caduti nelle forze francesi, quando l'invincibile Massena
scofisse gli austro‑russi, si disputò nel consiglio elvetico sulla loro
sorte. Un consigliere opinò che loro si togliesse la vita citando l'esempio di
Ferdinando, il quale avea trucidato i membri del governo costituito da
Championnet ed Abrial. « Come, disse un altro pieno di sorpresa, come si ardisce
in questo santuario ricorrere all'autorità di un empio, il quale profanando le
leggi divine ed umane e commettendo i delitti i più atroci, è incorso
nell'indignazione del cielo e della terra? Egli colla sua ferocia sorpassa gli orsi e le tigri e
tutte le altre fiere del mondo ! Ferdinando Borbone recherà orrore a' secoli
avvenire ed alla più remota posterità ! » Queste parole pronunciate con
entusiasmo fecero la più Viva impressione negli animi dei giudici, ed i
governanti austriaci furono liberati.
Io non
discenderò, cittadino ministro, a descrivere uno per uno gli orrori che si sono
commessi su la più bella contrada della terra, ed a dettagliare le calamità che
son gravitate sulle teste di tanti infelici. La mano mi trema ed il cuore non
regge a questa pittura patetica.... Basta dire, che dopo l'invasione de'
briganti realisti non si risparmiò né l'innocenza dell'infanzia, né l'impotenza
della vecchiaia, né gl'incanti del sesso, né
l'eminenza del
merito e del talento. Basta dire, che nel secolo XVIII, Scotti, Ciaja,
Caracciolo, Pagano, Cirillo, Conforti, Russo[ 8] ed innumerevoli altri non
meno celebri spirarono sotto i colpi del dispotismo, come i Gracchi, Barnevelt
e Sidney, per la causa della felicità umana. Basta dire, in una parola, che in
Napoli la tirannia diguazzò nel sangue di mezza generazione, e che una zona
torrida racchiuse nel suo vortice infuocato l'intero territorio napoletano.
Mentre la
capitale e le provincie cadute in potere dei nemici presentavano lo spettacolo
il più tragico, esistevano ancora tre piazze che formavano l'ultimo baluardo
della libertà, simili a quelle colonne ed a quei macigni, che il passeggiero
incontra tra i balzi e le rovine di un paese distrutto.
Capua, Gaeta,
Pescara, che stavano in possesso de' Francesi dopo la resa di Sant'Elmo,
continuavano a destare un raggio di speranza ne' cuori desolati de' figli della patria. L'abbondanza delle
provvisioni di cui erano fornite, il numero sufficiente di soldati, che ne
sostenevano la difesa, non facevano all'intutto scomparire l'idea della
esistenza della repubblica. Ma quale idea! Noi eravamo allora gl'infermi che
languenti nel letto della morte si lusingano tuttavia di rinascere alla vita.
Reso
Sant'Elmo, gl'insorgenti diretti dal disleale Roccaromana, gl'Inglesi ed i
Russi rivolsero le loro forze contro Capua, di cui il comandante benché avesse
potuto fare una lunga resistenza, pure dopo lo spazio di pochi giorni aprì le
porte al nemico.
I patriotti
non furono compresi nella capitolazione; onde per iscampare una sicura morte,
si travestirono da Cisalpini; ma giunti in Napoli furono scoperti e subirono il
comune destino, cioè il destino della distruzione.
Quei che sono
istrutti della tattica militare sanno che Gaeta è inaccessibile per la parte di
terra; giacché non vi può agire il cannone. Cionnonostante gli anelli delle
disgrazie si comunicavano, uno chiamava l'altro; Gaeta anche cadde. Così la
gangrena che aveva assalita la parte superiore dell'Italia, inoltrando giunse
sino all'astremità, e la rose.
Non vi restava che Pescara. Questa
è la più debole di tutte e tre; eppure il prode Ettore Caraffa, che la
custodiva, la sostenne sin dopo aver esauriti tutti gli umani soccorsi, sin
dopo aver impiegati tutti i mezzi di difesa, in una parola, sino all'ultimo
respiro. Egli cedè, e cedè facendo una onorevole capitolazione. Ma come si può
patteggiare colla perfidia! Gli agenti del despota, e fra gli altri Pronio,
dopo di aver giurata fedeltà a Caraffa, commettendo il più vile dei tradimenti,
lo incatenarono e lo condussero in Napoli, dove fu decollato. Questa fu la fine
di uno dei Tesei della libertà napoletana[ 9].
Prima della
caduta di coteste tre piazze, con mano tremante ed in mezzo ai palpiti, si
eseguiva l'universale spoglio e si macellava; ma dopo il regalismo alzò la
fronte e non ondeggiando più nel dubbio di una reazione, devastò tutto ciò che
gli si parava d'innanzi, a guisa di quei soldati, i quali prendendo di assalto
una città, la mettono a saccomanno, e ad occhi chiusi dirigono i loro pugnali
insanguinati contro tutti gli esseri di faccia umana, non muovendosi a pietà a
fronte dell'innocenza, né rispettando la virtù.
Da una estremità
all'altra de' dipartimenti si fece sentire la mania che già era divenuta
epidemica; e non vi fu angolo di quelle contrade che non fosse stato a parte
della tragedia la più orribile di quanto furono rappresentate sul nostro
emisfero. E Ruffo! Ruffo suggeriva, approvava simili orrori, e destinava
mediante le sue benedizioni un luogo nell'Olimpo agli autori de' mali.
Mentre a tale
stato lagrimevole erano ridotti i dipartimenti, in Napoli i membri della Giunta
di stato, uomini quanto privi di nome e di fama, altrettanto colmi di
turpitudine ed ignominia[ 10], facevano giuridicamente
innalzare al patibolo dieci e dodici personaggi al giorno non compresevi quelli che
scannavano i barbari agenti di Carolina. In tal guisa il regalismo, simile all'
idropico, più ingoiava sangue umano e più ne aveva sete....
Il tribunale
omicida attentò anche sulla vita. del vescovo Vincenzo Troisi, personaggio
distinto per i talenti e per la morale. Un siffalto delitto produsse il fremito
e l'indignazione negli animi di tutto il popolo e de' nemici i più accaniti del
sistema repubblicano. Nel momento dell'esecuzione essendo sopravvenuta una
inaspettata pioggia accompagnata da tuoni e baleni, il volgo credè che la
divinità non avesse approvato una tal morte. Onde nella città vi fu una
generale esplosione d'ira e di sdegno contro i manigoldi della
virtù. Si sospese dunque il martirio per alcuni giorni; ma poscia ricominciò
con maggior 'vigore, senza rispettare né la volontà della nazione, né il corruccio
dei cielo; sicché la tavola necrologica degl' infelici napoletani divenne ben
lunga. Io questa tavola di morte presento innanzi a voi, cittadino ministro,
innanzi al genere umano, innanzi a' secoli, affinché s'inorridisca al nome di
re; affinché si pesino sulla bilancia delle infelicità umane le sciagure ed i
mali che producono lo scettro e la corona.
Nel numero
delle vittime, che giuridicamente sono state immolate dalla tirannia nella sola
città di Napoli, dal mese di messidoro anno VII sino a nevoso anno VIII , si
contano i seguenti, ch'erano i più distinti:
Commissione esecutiva
Oltre Ciaja, di cui si è
falta menzione, sono stati impiccati :
Ercole d'Agnege, cittadino francese oriundo napoletano. Giuseppe Abbamonte, a cui è stata accordata la bella grazia,
commutazione della pena di morte in quella dei perpetui ferri nella fossa |
della Favignana. Giuseppe
Luogoteta, dottissimo e virtuosissimo
soggetto. Giuseppe Albanese. |
Commissione legislativa
Oltre Pagano, Cirillo,
Conforti, Russo, Scotti, de' quali altrove si è parlato, si debbono annoverare
:
Raffaello Doria. Niccolò Marigliano, uomo di molta dottrina. |
Giov. Leonardo Palomba. |
Ex ‑rappresentanti.
Prosdocimo Rotondo, ottimo avvocato. Domenico Biscenlia. Pasquale Baffa, erudtissimo e virtuosissimo soggetto, uno
de' primi grecisti del suo tempo. Niccola Fasulo. |
Leopoldo De Renzis. Gioanni Riario, degli ex‑nobili di prim'ordine. Diego PignateIli,
ex‑duca di Monteleone. Vincenzo Porta, matematico[ 11]. |
Ministri.
Gabriele Manthonè, ministro
della guerra. Vincenzo de Philippis, ministro dell'interno ed insigne
matematico. |
Giorgio Pigliaceli,
ministro di polizia generate, avvocato
celebre. |
Generati ed ufficiali.
Francesco Federici, antico
maresciallo, uomo di genio, che all'elevatezza de' talenti militari
aggiungeva le cognizioni politiche, e che morì con la massima presenza di
spirito. Gennaro Serra, degli ex‑duchi
di Cassano. Oronzio Nassa. Pasquale Matera, aiutante
di campo di Joubert al servizio francese. Agamennone Spanò. Giuseppe Schipani. Carlo Mauri, ex‑marchese
di Polvica. Carlo Muscari. Michele lo Pazzo, capo
di brigata al servizio francese. Ferdinando Pignatelli,
ex‑principe di Strongoli. Clino Roselli, letterato. Niccolò Pacifico, gran
botanico, matematico, letterato insigne ed uomo dotato di una rara probità. Niccolò Vitagliani, meccanico
al servizio francese. Giuseppe Riario, ex‑nobile
di primo ordine. Elenteria Ruggiero. Giuliano Colonna, figlio dell'ex‑principe di Stigliano Colonna. Francesco Grimaldi. Francesco Guardati. Niccolò Fiani, di cui si
racconta, che mentre stava per morire sul patibolo, alcuni stipendiati di
Carolina si lanciarono addosso a lui, lo fecero in pezzi, gli strapparono il
cuore, e portarono quindi in trionfo le membra per la città |
Luigi
Bozzanti. Domenico
Pagano. Niccolò
Ricciardi. Giuseppe
Cotillo, e Domenico
............. di lui cognato. Gaetano
de Marco. Melcchiorre
Maffei. Pasquale
Battistessa, di cui si sa con certezza, ch'essendo stato impiccato, fu
portato in chiesa, dove diede segni di vita. Fu
narrato l'avvenimento a Speciale, che ordinò che si fosse terminato di
uccidere in chiesa stessa, come si eseguì. Francesco
Buonocore. Michele
Giampriani. Gaetano
Rossi. Diario
Pignatelli , fratello dell'ex‑principe di
Strongoli. Colombo
Andreassi. Ignazio
Falconieri, letterato. Luigi
Granalé, officiale di marina. Raffaele
Montemajor, id. Giambattista
de Simone. Andrea
Mazzitelli. Filippo
Marini, ex‑marchese di Gensano. Giuseppe
Cammerota. Antonio
Tocco. Felice
Mastrangelo, memorabile per la sua morte intrepida e
coraggiosa. Antonio Tramaglia. Pasquale Assisa. Vincenzo Ischia. Giovanni Varanese. Raffaele Jossa. |
Impiegati civili ed altri
patriotti.
Vincenzo
Lupo , commissario del governo nell'alta
commissione militare. Onofrio Colace, ex‑consigliere. Antonio Sardella. Niccolò Carlomagno , commissario del governo mila commissione di polizia. Niccolò Palomba. Niccolò Neri, letterato. Gaetano Morchera. Antonio e Ferdinando Ruggi. Antonio Avella, alias Pagliucliella. Severo Caputo , ex‑nobile, amministratore
del dipartimento del Vesuvio. Giuseppe Belloni, monaco, grande oratore e virtuoso. Eleonora Fonseca‑Pimentel, celebre letterata, compilatrice del
Monitore. ............Morges. Antonio Perna. ........ Natali, vescovo di Vico, dotto uomo e spregiudicato ecclesiastico. Gregorio Mancini, avvocato. Pietro Nìcoletti. Francesco Astore, giudice di pace, quanto ricco di cognizioni, altrettanto povero di
beni di fortuna. Niccola Maria Rossi. ........ de Meo. Antonio Piatti. Domenico Piatti. Pasquale Syes, proconsole
francese. Niccola Fiorentino, letterato ed ottimo giureconsulto. ......... Granata. Francesco Bagno, cattedratico di medicina nell'università,
uomo probo e disinteressato. |
Luigi Rossi. giudice
dell'alta commissione militare, felice ingegno e celebre poeta. Gregorio Mattei, celebre
letterato. Niccola Mazzola. Michelangelo
Ciccone , poeta ed improvvisante celebre. Giacomo Antonio Gualzetti, poeta. Gennaro Araicci, buon medico. Niccola Lubrano, curato pieno di dottrina e di probità. Andrea Fiorentino. Bernardo Alberini. Antonio Scialoja. Antonio de Luca. Luisa Sanfelice, era incinta e si attese che partorisse per impiccarla. Aniello Celisi. .............Spaccone. Antonio Coppola. Onofrio e Salvatore Schiano
Il figlio dei castellano di
Ponza. Vincenzo Asnanti. Michele Costagliola. Francesco Feolla. Giuseppe Cacace. Leopoldo di Gennaro, ajutante del castello d'Ischia. Giuseppe Vatilla. Domenicantonio Bagni. Gaspare Lucci. ........
Velasco, essendo stato minacciato da Speciale di
fargli depositare la vita sul palco , gli disse : non disporrai tu , vile
carnefice della mia esistenza : si precipitò da una loggia e morì. |
I
seguenti condannati a morte hanno ottenuto l'istessa grazia della commutazione
della pena di morte in quella della fossa della Favignana.
Emmanuele Borgra. Francesco Basselli e Annibale Giordano, sono stati i soli che indultaronsi e scovrirono i patriolli occulti. Pietro Maria Grutiher. Giuseppe Laghezza, l'ex‑principe di Torella |
Gregorio Ciccopiedi. Giuseppe Albarella, Giuseppe Fasulo. Giuseppe Poerio, giovane di gran talentii ed
ottimo oratore. Rocco Lentini, modello
di probità e di vìrtù, Vincenzo Pignatelli, di Marsico. |
Tutti costoro
soffersero l'iniqua sentenza con coraggio e senza smentire il loro sistema tanto il desiderio di essere utili
alla patria era divenuto per essi un bisogno; ed un sentimento indelebile! Tutti perirono
sotto la scure del dispotismo, come quei quaranta cittadini de' contadi
occidentali di Scozia, i quali, disfatti a Pentland, vollero piuttosto morire
col loro capo Mac-Cail, che rinunciare alla costituzione.
L'opinione
universale de' popoli ha tanto declamato contro Cristierno, quando, dopo la
fuga di Gustavo, impadronitosi della Svezia, trucidò tutti i senatori ed i
nobili di Stoccolma. La stessa opinione ha tanto biasimata la barbara condotta
di Carlo II, che, salito al trono dell'Inghilterra, mandò a morte Arrigo Wane,
il virtuoso generale Lambert, Harrison, Scrope, Hackes e pochi altri; fece
disumare i cadaveri d'Ireton, di Cromwell e di Bradshaw, che ordinò di sospendersi al patibolo. Quanto
codesto rispettabile censore dell'opinione, quanto la filosofia e la ragione
debbono fremere contro le grandi stragi eseguite da Ferdinando, che non trovano
un parallelo nelle memorie della tirranide umana, e che deporranno contro di
lui sino alla fine del mondo? Qual anima apatica e sragionata, scorrendo la
tavola luttuosa che io ho presentata, potrà far di meno a non bagnarla di
copiose lagrime, e di lagrime di sangue? Io son sicuro che, se si strappa la
lingua al genere umano, e ci resta un solo uomo che possa parlare, costui
colmerà d'imprecazioni quel rettile coronato, e non cesserà mai di esclamare: Assassinava
il suo popolo.
Credete forse,
cittadino ministro, che i fulmini, i quali il braccio della tirannia scagliò
sopra un intero popolo, dopo l'epoca della catastrofe si fossero esauriti?
Credete che il tempo avesse alquanto mitigata la ferocia di un mostro macchiato
di sangue umano? No. Dopo un anno di flagelli e di vessazioni, dopo tante scene
di mali e di sciagure, il territorio napoletano continua ad essere il bersaglio
dell'ira di quella corte, il teatro degli orrori e della desolazione. Non
ancora il Mediterraneo cessa di essere coverto di legni, che trasportano sulle
coste della Francia tant' infelici, i quali sino al presente oltrepassano il
numero di tremila. E chi in parte sono costoro? Vecchi, ragazzi, donne, persone
che hanno semplicemente pensato in favore del nuovo sistema, e molti eziandio,
che per imbecillità e stupidaggine erano in un'assoluta nullità. Tutti sono
costretti ad andar raminghi di regione in regione, di lido in lido, fuggendo
l'ira de' re, degli aristocratici e de' preti.
L'esistenza
del ricco è tuttora esposta alle insidie della calunnia; il talento, la virtù, la
probità, sotto il colorito del giacobinismo, vengono pugnalati dal tribunale
dell'Inquisizione, che si sforza di far retrocedere il secolo della filosofia e
della libertà verso i tempi barbari ed omicidi de' tre Giovanni, di Sisto IV,
Alessandro VI, e di dare all'Europa risvegliata i ferri e il sopore dell'Asia[ 12].
I privilegi
municipali, le prerogative, le quali da epoca remotissima la proprietà e la libertà
civile del napoletano garantivano, sono state calpestate. La nobiltà, che aveva
avuto l'eroismo di sacrificare il privato interesse al grand'utile della
patria, è del tutto perita; e per una metamorfosi politica si veggono i
briganti, gli assassini, gli spioni decorati delle insegne senatorie e
patrizie, spiegare fasto e terrore.
L'amministrazione arbitraria, che strascina
la più dura delle servitù, è accompagnata da uno spoglio senza esempio, giacché
il campo delle confiscazioni è interminabile, l'espiazione dei pretesi delitti
è la multa, il numerario viene esaurito, e tutto si versa nell'erario del
dispotismo.
Da tutto ciò ne risulta che quella regione,
su cui la natura avea profusi tutt' i suoi
tesori, non presenta oggi che la faccia squallida della miseria, il
pallore della fame. Ne risulta che la Campania e la Puglia, bagnate dai sudori
dell'agricoltore, non producono altro
se non bronchi e spine, con cui la tirannia trafigge le carni degli abitanti, che riduce a scheletri. Ne risulta
che non è un partito il quale si vuol
combattere, ma è tutta la nazione, a cui si vuol fare una guerra di
esterminio. Tali sono le mire della
moderna Teodora[ 13].
E Giove! e Giove sì la
guarda, e stassi
Placido ancor su' gran
misfatti inulti,
E bada poi a incrudelir su i
sassi!
Perché l'ignoranza assicuri il trionfo del
dispotismo, le pubbliche cattedre son
interdette, i collegi chiusi, gli studi privati proibiti. Sicché, se la
mano riparatrice del fato non accorre
al rimedio de' mali, o se il coraggio della disperazione non produce una rivolta, la patria di Gravina,
di Vico e di Filangieri sarà per divenire la
Tartaria.
Qual altro torrente di calamità scorre da
altra infetta sorgente? Tutt'i
dipartimenti sono ingombri di un'immensità di visitatori, i
quali, colmi di rabbia, d'infamia e di
delitti, come i bruchi alle biade, portano la devastazione alle campagne, che muggiscono e tremano sotto i
loro passi. Per loro opera, i santuari
dell'onore e della pudicizia sono profanati con istupri, adulteri ed
incesti; i palagi spogliati, le capanne
derelitte, le teste de' cittadini pendenti da' patiboli innalzati su tutt' i paesi...
In questo stato di cose, il figlio, strappato
dalle mura domestiche, indarno domanda
su l'esistenza dell'autore de' suoi giorni. Inutilmente il padre cerca sapere se il pegno il più caro delle sue
affezioni ancora respiri. La sposa, errando
nella regione de' sogni, invano cerca l'oggetto de' suoi amori:
infruttuosamente l'immagine dell'idolo
ch'ella adora si presenta alla di lei fantasia, alterata da timori e panici e reali. Il fratello e l'amico
ignorano la sorte del fratello e dell'amico, che o sono morti o spasimano in mezzo ai tormenti[ 14], o pure per iscampare la
più orribile delle persecuzioni, colle
armi alla mano soggiornano ne' boschi e nelle
selve, o si sono volontariamente esiliati, seguendo la sorte de' loro
congiunti. In questo stato di violenza,
la donzella è condannata a languire in seno ad una perpetua verginità, giacché non vi ha più chi possa stringere con
lei il nodo dell'imeneo. Sicché
gl'immensi vuoti della popolazione restano irreparabili, e quelle contrade vanno a divenire un vasto
deserto.
Lo spionaggio, che è proprio de' governi illegittimi
ed oppressori; lo spionaggio, ch'è il
barometro dell'infelicità de' popoli, è così promosso in Napoli dal timido dispotismo, che cerca squarciare
il velo del pensiero, penetrare le
coscienze de' cittadini, paralizzando le loro parole e le loro azioni,
rendendo precaria la loro vita. Le
notizie delle celebri vittorie di Biberach, di Stochach, di Memmingen, di Hochestette, di Marengo, che,
facendo epoca ne' fasti della gloria,
hanno sorpresa l'Europa, han fatto curvare sotto il peso di nuovi allori
gli eroi francesi, che, mentre
producono la conquista della pace, facendo prostrare l'Austria a' piedi della Repubblica, alimentano i desideri ed i
voti delle anime libere d'Italia;
codeste notizie riscaldando l'entusiasmo de' napoletani, quanto sono state loro fatali! Innumerevoli persone, che hanno
mostrato una segreta gioia ed
ammirazione, comandata dalla grandezza stessa degli avvenimenti, sono state vittime delle denunzie, che loro hanno
scavato l'abisso.
Così quei che sopravvivono all'incendio di
Napoli sono scottati dalle caustiche
ceneri. Così un popolo pieno d'immaginazione ed espressivo è divenuto
timido e muto; ed i disgraziati
napoletani sono nel caso di dire con Tacito: «Certamente abbiamo dato un grand'esempio di pazienza,
e, come l'età vetuste videro il più
alto grado di libertà, così noi siamo giunti all'ultimo periodo della
servitù. Le denunzie e lo spionaggio ci
hanno tolta la dolcezza di ascoltare e di parlare, ed avremmo perduta la memoria colla voce, se fosse in nostro potere
così il dimenticare come il tacere[ 15]».
La tirannia, non contenta di aver fatto
piovere da sé sola tante calamità sopra
quella nazione, per moltiplicarne il numero ha chiesto aiuto alla sua
sorella, la superstizione, la quale con
un cenno conturba ed agita l'universo. Il fanatismo, che, come ministro della divinità, commette i più grandi delitti
ed i tratti della più barbara ferocia,
senza ispirarne l'orrore e senza dar luogo a' rimorsi; che, tiranno de' cuori e superiore a' sogli, fa il
sacrificio della virtù, non ascolta il grido
dell'innocenza, ed oppone a' diritti imprescrittibili della natura la
volontà di Giove irritato; il fanatismo,
producendo una vertigine nelle menti, ha sparsa l'idea che il sistema di libertà sia diametralmente
opposto alle leggi divine, e che i fondatori
delle repubbliche siano i giganti della favola, i quali vogliono far la
guerra al cielo.
In tal guisa, l'ipocrita tirannia è riuscita
a spargere il lievito della discordia e della
guerra civile, e ad armare i cittadini l'uno contro l'altro. Ha
procurato di ergere un muro di
separazione tra gli esseri più cari, i quali univa l'amicizia e la parentela.
Ha fatto degli sforzi i più terribili
per produrre una rivoluzione nella sfera del
sentimento, a spiantare i primi princìpi della sociabilità, a confinare
gli uomini nella notte dello stato
selvaggio, nel caos della distruzione. Sotto i tropici si sono macchinati simili orrori?
Infelice Napoli! Per qual fatalità tu sei così
costretta ad essere il soggiorno del
lutto e del pianto!... Per qual fatalità i tuoi abitanti sono condannati
a camminare su' carboni accesi di tali
e tante sciagure!... a temprare il parco cibo nell'assenzio e nel fiele!... a respirar l'aria appestata
della morte!... Qual destino, mia cara patria,
qual amaro destino è il tuo!... Tu ti vedi priva de' figli i più
benemeriti, sulla di cui tomba non
cessi di piangere al par di me. Tu ti rattristi all'eco lugubre de' gemiti
di quei che sopravvivono al furore del
vandalismo, che ti ha lacerato le viscere. Sarà vano il tuo dolore? No, nol credo; io getto con confidenza
l'ancora della speranza nell'avvenire.
Io riposo nel genio del ristauratore delle nazioni, del trionfatore degli eserciti, su quell'eroe, il di cui
nome, disputato dalla storia delle scienze e
degli imperi, tanto risuona dall'oriente all'occidente, dal settentrione
al mezzogiorno. I tuoi oppressori
saranno puniti; altrimenti bisogna attendere che la natura intera si naufraghi e le sue leggi si sovvertano.
Voi siete curioso eziandio, cittadino
ministro, di sapere qualche cosa sul
carattere e la condotta di un tiranno che oggi tanto figura negli annali
del delitto[ 16]. Per adempiere
quest'oggetto si richiederebbe il pennello di Tacito, istorico filosofo, che ha saputo così bene analizzare il cuore
umano e penetrarne gli abissi, nel
dimostrare l'importante verità, che la storia de' despoti è il
martirologio delle nazioni. Io intanto
ve ne farò debolmente il ritratto, dietro l'idea che il mio spirito se ne ha formata. Eccolo in breve.
Fondete la sensualità di Sardanapalo, la
ferocia di Mesenzio, l'imbecillità di
Claudio, la viltà di Vitellio, la perfidia di Ferdinando il Cattolico
nella testa di un mostro, che ha le
membra umane ed il taglio gigantesco, e voi avrete Ferdinando Capeto. Disgraziatamente per l'umanità, un
tiranno di questo calibro ha avuto in
moglie la più ...... delle figlie di Maria Teresa d'Austria. Questa donna unisce alle dissolutezze di
ogni specie l'ambizione la più smisurata di
regnare[ 17]; bigotta in apparenza,
fredda atea nell'interno, dà continuamente il
segnale della credulità la più cieca, e ad imitazione di Anna di
Montmorency, per gloria del cielo fa la
guerra agli uomini i più distinti nella sfera de' talenti e delle virtù: bassa ne' sentimenti, orgogliosa,
intrigante, volubile, non ha della fermezza
che nella crudeltà e nell'odiare tutto ciò che le dà ombra di sospetto.
La celebre ode, che si attribuisce al
cittadino Laharpe, indirizzata alla famosa
Antonietta, con maggior ragione si può adattare a Carolina, di lei
germana sorella; la quale, continuando a
vivere per nostra disgrazia, ha sorpassata la prima nella carriera delle scelleraggini e delle turpitudin[ 18]i.
Mostro, surto in mezzo al
gelo,
Scempio e orror del nostro
cielo,
La mia patria a quali serbi,
Nuovi affanni, e strazi
acerbi!
Deh, ti appressa, indegna, e
mira
Come un popolo sospira
Negli abissi ampi e tremendi
De' tuoi falli atroci,
orrendi:
D'ira dunque estrema accesa,
Per compir tua degna
impresa,
Di vederci hai pur talento
L'un dall'altro ucciso e
spento?
Furie orribili e ferali,
Che a te possan dirsi eguali,
Cerca invan la mia memoria
Nell'antica e nuova istoria.
Sl, più prodiga ti veggio
Di lei, ch'ebbe e scettro e seggio
Là sul Nilo, e al vincitore
Di catene avvinse il core.
Più superba ed arrogante,
Indegnissima regnante,
io ti stimo d'Agrippina;
Dell'istessa Messalina
Più lasciva; e più inumana
Della Medici Toscana..
Aggiugnete a tutto ciò i consigli e
l'amicizia di Acton, uomo che, dotato di tutti i talenti dell'intrigo, non ha
una idea sublime nella testa, né un sentimento generoso nel cuore; ministro
corrotto, perfido, adulatore; quanto avido di ricchezze e di potere,
altrettanto indifferente alla gloria che sconosce, al merito ed alla virtù che
deprime: aggiugnete questo vile Seiano, questa ridicola scimmia del ministro
britannico, e voi avrete un triumvirato più funesto alla felicità delle
popolazioni, di quello di Ottaviano, Antonio e Lepido.
Così riesce facile l'indovinare la condotta
di quella corte relativamente ai Francesi nella luminosa carriera della loro
rivoluzione. Infatti, all'apparir sulle rive della Senna l'alba della libertà,
che riempì di gioia tutt'i cuori idolatri della virtù e della felicità sociale;
all'aspetto della nascente filosofia, che proclamava la risurrezione de' popoli
e l'esterminio della razza gotica de' re, il despota della Sicilia concepì un
odio inestinguibile contro il nome francese. La moderna Teodora, agitata
dall'Eumenidi, divenne più implacabile di Giunone, quando fu offesa da Paride.
Penetrata da quest'odio, si porta col marito
a Vienna, ed entra ne' trattati di Pavia e di Pilnitz, che definivano la
lacerazione della Francia e l'eccidio della massima parte de' francesi. La sua
corte, che diviene l'officina degl'intrighi degl'inglesi e degli emigrati,
spaventata dalla flotta del contrammiraglio La Touche, giura alla Francia neutralità,
per congiurarne meglio la perdita. La vìola ben tosto apertamente coll'insulto
dell'armi francesi e del ministro Makau, cui fa vilmente involare nella propria
casa tutte le carte del di lui ministero. In seguito lo bandisce, proscrive
tutt' i francesi con un proclama, in cui li insulta co' nomi di scellerati e
di sediziosi novatori.
Mette in piedi nel tempo istesso la terribile
Giunta di Stato, e per mezzo della medesima imprigiona ed impicca coloro, che
per qualsivoglia motivo avean trattato il ministro e 'l contrammiraglio,
facendo dichiarare la Francia una fetida laguna, e i francesi una schiatta
di vipere. Spossa frattanto lo Stato colle immense concussioni e furti di
oro ed argento, che manda all'imperadore, onde poi n'è risultato il fallimento
de' pubblici banchi. Unisce una sua flottiglia, a quella degl'inglesi, e manda
delle truppe a Tolone, aringando egli stesso
ai soldati ed inculcando loro la strage de' francesi, senza dar loro
giammai quartiere.
Fuggono da Tolone le sue truppe insieme con
quelle degli alleati colla stessa viltà colla quale l'avean conquistata; e
Ferdinando entra a parte de' latronecci commessi in quegli arsenali, ed accorda
asilo e protezione nella capitale a' principali traditori di quel porto. Per
nuocere maggiormente a' francesi, manda
Spanocchi, comandante di una sua fregata, in
Toscana, e lo fa destinare da quel duca governator di Livorno. La rivoltante ed
astiosa condotta di costui muovono Bonaparte a deporlo e a mandarlo
imprigionato a Firenze con una forte commendatizia a quel piccolo despota.
Si vede successivamente costretto a chieder
la pace alla Francia. Bonaparte gliel'accorda: ma, contro uno de' principali
articoli segreti, che ammetteva la tolleranza delle nuove opinioni politiche e
la sicurezza de' loro partigiani, non solamente gli occulti repubblicani, ma i
semplici conoscenti de' Francesi sono deportati, gettati nelle bastiglie ed
eseguiti. Promette il gastigo di coloro che aveano involate le carte a Makau;
ma invece di gastigarli li occulta e li premia. Intanto congiura occultamente
di far dichiarare la Svezia contro la Francia per mezzo del ministro Ampheld,
cui si cercava di crear reggente di quel regno in luogo del zio del re, ch'era
deciso per la neutralità. A' risentimenti di quella corte fa scortare Ampheld
dal marchese del Vasto fino all'Adriatico, facendolo ivi imbarcare per Trieste.
Conchiusa la pace colla Francia, ne viola in
tutti gli articoli i trattati. Riceve ne' porti arma, ed approvvisiona la
flotta inglese comandata da Nelson; fa distruggere la francese nelle acque di
Aboukir, ne accoglie con festa, musica ed illuminazione il distruttore;
ristaura ne' sui cantieri i legni inglesi, che aveano molto sofferto nel
combattimento: si collega colla Porta ottomana, e colla Moscovia, stringendo nuovi
legami di alleanza coll'imperatore e l'Inghilterra. Finalmente, sotto gli occhi
del ministro francese e cisalpino, in seno della pace, si sforza di radunare le
materie combustibili, onde accendere il fuoco della guerra; mentre congiura col
re sardo, col duca di Toscana ed il prete di Roma di suonare l'allarme in tutta
l'Italia, sollevarne le popolazioni e produrre un nuovo vespro siciliano più
micidiale e più nero del primo.
Più volte, ad imitazione del gabinetto di St-James,
fa il mortorio di Bonaparte, mentre l'attività del di lui genio era ammirata da
quaranta secoli nelle sabbie brucianti dell'Egitto, antica culla delle arti e
delle scienze. Insulta e denigra il nome di colui che va ad appoggiare la
libertà di Europa a quella dell'Asia, menando ivi la rivoluzione de' lumi, dopo
di aver prodotta la rivoluzione dell'eroismo in Italia.
Discaccia da Napoli Lacombe Saint-Michel, il
quale, senza dilazione alcuna obbligato a sortirne, a bella posta si fa cadere,
per opera di Carolina e di Acton, nelle mani de' corsari turchi..... E Dolomieu
che, contro tutte le leggi delle nazioni, si tiene ancora imprigionato col
console Ribaud nella fossa di Messina, qual grido d'indignazione eleva contro
quel re antropofago? Dolomieu, che non ha potuto ottenere il favore di essere
piuttosto fucilato che di menare una vita moribonda in mezzo a' più crudeli
tormenti, qual terribile impressione deve far ne' cuori anche i meno
suscettibili di sentimento? Se il governo francese si è protestato apertamente
di fare espiare al senato di Amburgo il tradimento commesso contro il Bruto
dell'Irlanda, Napper-Tandy, non dovrà lanciare il tizzone rivoluzionario su
quella reggia, dove soggiorna il delitto con tutto il corteggio delle
scelleraggini e de' sacrilegi? Non dovrà punire severamente, ad istanza
dell'umanità oltraggiata e della giustizia vilipesa, gli artigiani di tante
calamità?...
Accaduta la crisi di Roma, il re di Sicilia
mordé la polvere, quando vide sulle rovine del Vaticano ristaurato il
Campidoglio; si riempì di fremito all'aspetto de' tribuni, de' consoli, de'
senatori, che si sforzavano di risvegliare la libertà dopo il sonno di diciotto
secoli; fu roso da gelosia nel guardare l'estensione della potenza gigantesca
del gran popolo. Altronde la massa de' lumi, che per la loro forza espansiva
penetravano fino all'estremità della Bassa Italia, questa imponente massa
feriva molto da vicino il dispotismo napoletano. Sicché si prepararono tutt' i
modi di distruzione, in maniera che, all'improvviso e senza dichiarazione di
guerra, si fece una irruzione nel territorio romano, e si stesero le braccia
per iscannare la libertà de' discendenti degli antichi legislatori
dell'universo.
Il general tedesco Mack, uomo di corte
vedute, fu destinato capo delle truppe napoletane. Costui, di concerto colla
furia infernale e coll'intrigante Acton, persuase l'imbecille Ferdinando che
egli avrebbe invasa tutta l'Italia[ 19]. Su questa fiducia penetrò nel
territorio della repubblica romana, inviando al general francese la seguente
lettera:
Signor Generale,
Io vi dichiaro che l'armata
di S.M. siciliana, che ho l'onore di comandare sotto la persona stessa del re,
ha ieri passata la frontiera per mettersi in possesso dello stato romano,
rivoluzionato ed usurpato dopo la pace di Campoformio, e non mai riconosciuto e
approvato da S.M. siciliana, né dal suo augusto alleato l'imperatore e re.
Domando che facciate ritirare nella repubblica cisalpina, senza frapporre il
più piccolo ritardo, tutte le truppe francesi che si trovano nell'anzidetto
Stato romano, e di evacuare tutte le piazze ch'esse occupano. I generali
comandanti le diverse colonne di truppe di S.M. siciliana hanno ordine il più
positivo di non incominciare le ostilità, se le truppe francesi si ritirano
all'invito che loro ne verrà fatto; ma d'impiegare la forza nel caso che
resistano. Io vi dichiaro inoltre, signor generale, che riguarderò come un atto
di ostilità se le truppe francesi metteranno piede sul territorio del granduca
di Toscana. Attendo la vostra risposta senza il menomo ritardo, e vi prego di
rispedire il maggiore Reiscach, che v'invio, al più tardi 4 ore dopo che avrete
ricevuto questa mia lettera. La risposta dev'essere positiva e categorica sì
alla domanda dell'evacuazione dello Stato romano, come a quella di non mai
metter piede sul territorio della Toscana. Una risposta negativa sarà
considerata come una dichiarazione di guerra, e S.M. siciliana saprà sostenere
colla forza le sue giuste domande, che io v'indirizzo a suo nome. Ho l'onore,
ecc...
Il piano di Mack, mal combinato, abortì.
Egli, anziché concentrare le sue forze, le divise, e la divisione preparò i
suoi rovesci, senza dargli il piacere di cogliere quegli allori ch'ei già vedeva
germogliare nel campo delle chimere.
La repubblica romana riposava sotto l'ombra
della protezione francese. Sicché Championnet, dando un esempio che di rado si
legge nelle pagine della storia, il bravo e valoroso Championnet, aiutato da
Macdonald, colla rapidità del fulmine disfece un esercito teatrale, composto di
gente strappata a forza dall'aratro, dall'esercizio delle arti, dallo studio
delle facoltà.
L'eroe francese, dopo aver fugato il despota,
che, colmo di turpitudine e pieno di rabbia, simile ad un cinghiale ferito, si
andò a nascondere negli antri dell'Etna, menando seco le immense ricchezze
rapite alla nazione, alla quale avea rimasti i soli occhi per piangere, dopo di
avere interamente liberato il territorio di Roma, penetrò nel regno di Napoli:
ed avendone occupate le piazze, tentò di accostarsi alle porte della capitale,
ad invito di tutt' i nemici della tirannia, ad unirsi coi francesi.
Allora fu che gli agenti di Capeto e della
sua sgualdrina, mediante un ordine da essi ricevuto, ricorrendo a' modi di
distruzione, incendiarono i vascelli nazionali, commettendo il più grave
oltraggio alla maestà ed alla sovranità del popolo, e aguzzando i pugnali del
fanatismo popolare, menarono i lugubri giorni dell'anarchia la più esecrabile.
Ferdinando, profugo coll'intera famiglia,
facendo uso de' mezzi i più orribili ed i più disperati, lasciò Pignatelli in
qualità di suo agente in Napoli, colle nere istruzioni di organizzare il
delitto ed il brigantaggio, e di suscitare i furori di una guerra civile che
avesse fatti distruggere l'un dall'altro tutt' i napoletani. Tutto perisca,
purché non vada in mano de' francesi, gridava Carolina qual baccante.
Pignatelli, per guadagnar tempo ond'eseguire gli empi progetti, conchiuse un
armistizio col generale Championnet, e, lungi di adempierlo, fuggì anch'egli in
Sicilia, dopo aver armati gli assassini usciti fuor delle prigioni, i birri, i
delatori, gli omicidi e i facinorosi, lasciando Napoli in preda al disordine ed
alla dissoluzione politica[ 20].
In codesto stato di violenza la punta del
pugnale decise della vita, della libertà civile e della proprietà di ciascuno
individuo. Fra innumerevoli altri, i due fratelli Filomarino e l'avvocato
Scategna divennero le vittime de' briganti prezzolati e fanatizzati. I
dipartimenti furono del pari ravvolti nel vortice degli orrori. Gli uomini i
più probi caddero sotto i colpi degli empi organizzati dall'iniquo vicario. Gli
albanesi, sulle rive dell'Adriatico, nel dipartimento del Sangro, avvezzi
all'assassinio ed al contrabbando, per l'esca del bottino formarono orde
furiose, portando da per tutto l'infamia, la desolazione e la morte. I fratelli
Brigida di Termoli, giovanetti forniti di virtù superiore alla loro tenera età,
strappati dal seno dell'infelice madre dal tribunale inquisitorio, seppelliti
nel baratro delle carceri per quattro anni, appena riveggono la luce del
giorno, appena co' loro amplessi e co' loro baci asciugano le lagrime
dell'afflitta genitrice, che sono sbranati da questa infame masnada; ed un
saccheggio, che non risparmia neanche le tegole e il pavimento della casa,
corona il massacro. Che dirò di te, virtuosissimo Gennaro di Casacalenda? I
tuoi talenti, la tua virtù senza esempio, il tuo disinteresse incomparabile non
poté disarmare gli amici della fazione del delitto!... Il tuo patrimonio non
esiste più; ed i tuoi figliuoli non hanno altra legittima che la rinomanza
delle tue azioni e l'esempio di quelle grandi qualità che caratterizzano gli
eroi.
Intanto Championnet rapidamente si avanzò per
sottrarre Napoli da sifatta anarchia. I patriotti, tutte le persone dabbene ed
amanti dell'ordine, colla direzione di Moliterno, che al presente è generale di
divisione nelle armate francesi, gli facilitarono l'ingresso, e benché i lazzaroni
stipendiati e fanatizzati si accinsero a lottare coll'armata vittoriosa, pure
l'arena restò allagata del sangue di cotesti automi. Sicché i francesi al di
fuori, al di dentro i patrioti, che occupavano il forte di Sant'Elmo, colla
direzione dello stesso Moliterno, trionfarono degli ostacoli e pervennero a
rovesciare un trono che già vacillava sotto il peso de' delitti, a spiantare un
governo, che, facendo guerra a' diritti dell'uomo e del cittadino, era caduto
nell'universale abominio e nell'odio sì del satrapo che sedea sul carro della
fortuna come del meschino ch'era schiacciato sotto le ruote.
Il Direttorio approvò tutt'i passi di
Championnet, sì nel rovesciare il soglio di Napoli che nel dichiarar liberi ed
indipendenti gli abitanti. Macdonald ed Abrial assicurarono eziandio che la
repubblica napoletana era garantita dalla gran nazione, e che i legami ed i
rapporti scambievoli non erano punto differenti, dovendo per l'avvenire
considerarsi sotto l'istesso punto di vista i francesi ed i napoletani.
La repubblica dunque, proclamata dall'intera
nazione e riconosciuta dal Direttorio, aprì un campo delle più soavi idee allo
spirito, diede un nuovo slancio all'entusiasmo, impresse la più viva commozione
a' sensi, e risvegliò nel cuore di tutti l'amor della patria, della libertà e
della gloria. Il patriottismo che si spiegò in Napoli era degno de' bei giorni
di Sparta ed Atene. Né gli sconcerti e gli abusi, che sono inerenti ad una
rivoluzione come le macchie negli astri, intiepidirono l'effervescenza della
gioia e del piacere universale nel vedersi le nuove magistrature popolari, le
nuove leggi, i nuovi diritti, per così dire, ed una totale rigenerazione
politica.
Io qui lascio de' fatti, cittadino ministro,
che potrebbero esser degni della vostra considerazione, ma che non entrano nel
mio piano, giacché mi son proposto di dipingere le principali cose in
miniatura. Solamente vi ricordo che i tesori, i quali Ferdinando avea rapiti
alla nazione, servirono a fabbricare le catene al liberatore di Napoli. Il
Direttorio, illuso dalla calunnia, richiamò Championnet, mentre stava
progettando una discesa in Sicilia, e lo sprofondò in una carcere. Generale
cittadino, guerriero filantropico! questo fu il prezzo che la venalità ti
decretò, quando le tue gesta rimbombavano dalle sponde del Tevere e del Sebeto
sino al Volga ed al Tamigi. Tu fosti costretto a partire; ma la tua memoria, i
tratti della tua clemenza restarono impressi negli animi riconoscenti di tutt'
i figli di Partenope. Tu fosti soggettato ai ceppi; ma la Gloria, sdegnata,
percorse la terra, e sollevò l'opinione di tutt'i popoli contro i tuoi
persecutori. Tu sei morto; ma l'urna dove riposa la tua cenere sacra sarà
bagnata di lagrime finché vi sarà ombra di libertà in mezzo alle associazioni
umane; il tuo nome vivrà fino a quando non si vedranno annichilite le virtù, la
giustizia e la verità.
Gli stessi tesori, cittadino ministro, frutto
delle rapine e dei sacrilegi, servirono...ma quali dure verità mi si vogliono
strappare di bocca?... Grazie siano rese al nostro concittadino, il gran Bonaparte,
che, come una cometa, ricomparendo sull'orizzonte politico dell'Europa, ha
fatto scomparire i mercanti de' popoli, ha chiuse le porte della venalità, ha
ristaurato l'onore francese; e l'aurora, la quale promette i giorni della
felicità nazionale, il godimento dell'indipendenza, sull'eliseo delle arti e
delle scienze, combatte l'idra della coalizione e strappa dalle sue fauci le
provincie della bella e disgraziata Italia[ 21]; di quella Italia, il di
cui nome risveglia l'idea di trenta secoli, per rannodare di nuovo il filo
della sua libertà, e darle quella unione e quell'ascendente, che un tempo fece
impallidire il mondo.
COLPO D'OCCHIO SU L'ITALIA
L'Italia, non
essendo divisa né per mezzo di grossi fiumi, né di gran montagne, godendo la
stessa bellezza di cielo, presso a poco la stessa fertilità di suolo,
racchiudendo in sé tutte le umane risorse, bagnata dal Mediterraneo, dall'Ionio,
dall'Adriatico, e separata dagli altri popoli da una catena di monti
inaccessibili, sembra che dalla natura sia destinata a formare una sola
potenza. I suoi abitanti, che parlano la stessa lingua, che hanno la medesima
tinta di passioni e di carattere, che godono di un egual germe di sviluppo
morale e di fisica energia, che non sono separati né da interessi, né da
opinioni religiose, sono fatti per essere i membri della stessa famiglia.
Il fatto annunzia la possibilità. Scorrete la
storia, e vedrete che sotto la repubblica romana, l'Italia riposò all'ombra di
un solo governo e di una sola costituzione politica; fu libera ed indipendente,
si elevò al di sopra della linea orizzontale di tutte le nazioni del globo, a
cui dettò la legge della vittoria, e giunse ad essere la regina dell'universo.
In quell'epoca l'italiano, appartenendo ad una gran società, orgoglioso di star
assiso su' trofei ed i trionfi, di decidere della sorte de' re, di vedere i
fiumi delle ricchezze della terra venire a colare sul suolo ch'egli abitava,
qual orgoglio nazionale doveva avere! quali sentimenti magnanimi di superiorità
e di grandezza! come il suo cuore dovea dilatarsi innanzi all'attitudine
imponente delle forze, di cui egli facea parte!
Un cittadino
romano, sia che fosse nato in Roma, sia che vi avesse diritto alla
cittadinanza, era un essere privilegiato, con cui un altro non potea entrare in
parallelo. Ognuno, che non era italiano, era barbaro.
Roma cadde
nell'abisso del dispotismo; e gl'italiani, perché formavano una nazione, non
perdettero interamente la loro dignità. Relativamente agli altri popoli, furono
i più fortunati. Se essi cessarono di esser liberi, furono almeno indipendenti;
se fecero discapito della libertà politica, conservarono almeno la civile; se
diventarono schiavi nel proprio paese, non cessarono di essere i padroni nelle
regioni le più remote, non mancando di arricchirsi delle spoglie dell'antico
continente; in una parola, se al di dentro vennero conquistati dal dispotismo,
continuarono ad essere conquistatori al di fuori.
Per gli
cangiamenti insiti alla materia, la grandezza romana scomparve. Molte cagioni
influirono a rovesciare l'edificio che i secoli aveano eretto. I boreali
popoli, rifluendo nelle parti meridionali dell'Europa, assalirono l'impero di
Occidente, che già era invecchiato e languiva sotto l'enorme massa da cui era
oppresso. Lo fecero a brani, dividendolo in tanti frammenti; e l'Italia fu la
prima a soggiacere alla divisione. Onde i suoi abitanti, separati d'interessi,
di governi, di leggi, di costumi e di usanze, come di monete e di dialetti,
furono esposti alle sciagure dell'invasione, e presero tutt' i vizi de'
barbari, senza averne le virtù. Che divenne allora la dignità italiana? Che ne
fu de' monumenti delle arti e delle scienze? Appena se ne conservò una languida
memoria, tanto la caligine dell'ignoranza aveva ottenebrato lo spirito umano.
Carlo Magno
procurò di accozzare gli atomi e formarne un corpo, il quale si sperava che non
fosse caduto in dissoluzione; ma i discendenti di Carlo non ereditarono
coll'impero i di lui supremi talenti. Onde la loro imbecillità distrusse
l'opera del genio.
Il papato
poteva ovviare a cotesto gran male: ma gl'istrioni di Roma, lungi di pensare
alla prosperità italiana, per assicurarsi l'impero ch'esercitavano sugli
spiriti, per fondare la grandezza temporale, mentre predicavano la chimerica
felicità dell'altro mondo, per accumular tesori a spese della bigotteria, non
badarono ad altro che a spandere il talismano dell'errore, perseguitare la
virtù ed il sapere, combattendo così i sacri interessi delle nazioni.
I mali non si
arrestarono qui. I preti di Roma si proposero di abbattere non solo il culto
esterno del paganesimo, ma di opporsi anche al suo spirito. La religion pagana
facea l'apoteosi del coraggio, della forza, dell'industria, de' piaceri, della
virtù; e 'l cattolicismo, distruggendo la morale e 'l buon senso, deificò la
povertà, l'ozio, l'ubbidienza, il celibato, le pratiche le più micidiali, le
favole inette, gli assurdi misteri. L'idea dell'immortalità dell'anima, che
vagava ne' libri de' poeti e ne' romanzi della Grecia e dell'antica Roma,
divenne un dogma che rese della Chiesa un mercato, in cui si tassava il prezzo
dell'ingresso negli elisei.
A
quest'oggetto, oltre le tante altre assurdità, s'inventa eziandio un inferno di
corta durata, da cui se ne può esser sottratto dalla magica arte del prete
impostore. Si stabiliscono le indulgenze, mediante le quali si perdonano a'
benemeriti della Chiesa, che val quanto dire a' pii malvagi, non solamente i
peccati commessi, ma anche i delitti a venire. Si fonda l'inquisizione, che
sotto il nome di "Santo Ufficio" innalza gli altari a' fanatici, i
quali covrono di cadaveri la terra, mentre distrugge e rovina i proseliti della
virtù.
La religion
papista, assisa sulle basi della menzogna, della falsità e de' miracoli, doveva
essere naturalmente nemica non solo delle scienze politiche, ma di tutte le
altre eziandio. Sicché abbrutire gli spiriti nell'ignoranza, avvilire e
snervare i cuori nella mollezza, presentare all'immaginazione gli spettacoli
del vizio e della sensualità, tal è stato il segreto della politica sacerdotale
e l'oggetto fisso della teocrazia romana.
Per
conseguenza i pittori, che dipingono bene nella tela una Danae; gli scultori,
che animano sul marmo o sul bronzo le seducenti attrattive e le carezze di
Venere; i poeti, che presentano in metro la tazza di Circe o i giardini
d'Armida, sono coronati; mentre Federigo secondo è escluso con replicati
anatemi dal commercio degli uomini; Giordano Bruno, ingegno di prim'ordine, è
bruciato vivo in Roma; Galileo è rinchiuso in una torre; Sarpi è pugnalato, per
essere gli organi della verità e del sapere. Da per tutto i proclami della
ragione umana sono soffocati dalle fiamme e dalle armi dell'intolleranza
religiosa. Da per tutto i diritti dell'uomo son calpestati, la santa libertà
annichilita, le leggi della natura vilipese. Da per tutto un'occulta forza di
ripulsione politica genera la diffidenza e l'odio tra' cittadini; ed invocando
spesso l'aiuto delle potenze straniere, colla leva del fanatismo, che trova il
punto d'appoggio ne' cieli, inabissa le popolazioni ne' precipizi della
schiavitù.
Così il gran
Lama di Occidente, per assicurarsi il trono della opinione, non avendo altro
arsenale che quello dell'impostura, altro esercito che preti e frati, ed altre
armi che la discordia e la lite, praticò senza interruzione la massima: divide
et impera. Così quella religione, che influì sulla decadenza dell'impero
romano, fu il principale strumento della corruzione, della debolezza e della
totale caduta della nazione italiana.
E' vero, che
tutte le popolazioni del mondo cattolico soggiacquero alle sciagure che
produceva la corte di Roma; ma l'Italia, ch'era il centro della superstizione, ne
sentì maggiormente il peso. L'errore, simile all'attrazione, è in ragione
inversa de' quadrati delle distanze.
Sicché
gl'italiani, degradati e snaturati dal peggiore e dal più esacrando de' culti,
isolati fra loro da muri di separazione, non hanno avuto più né governo, né
morale, né patria, né nazione; non sono stati più né uomini né cittadini: ed i
settentrionali popoli, da schiavi ch'erano, si hanno disputato il dominio di
questo delizioso paese, ch'è dimorato in uno stato puramente passivo. A' Camilli,
agli Scipioni, a' Pompei sono succeduti i compassionevoli marchesi, duchi,
conti, ecc., i quali colle loro denominazioni grottesche hanno imposto tanto a'
popoli, quanto i primi avevano de' titoli alla gloria ed alla pubblica stima
coll'ascendente delle loro gesta. Da per tutto preti e frati, devoti ed
ipocriti, oppressori ed oppressi, poveri in gran numero e pochi opulenti,
vassalli e baroni, uomini corruttori e corrotti[ 22] hanno coverta la superficie di cotesti luoghi sì
rinomati: e l'Italia ha inteso con dolore l'amaro rimprovero:
Dormi, Italia
imbriaca, e non ti pesa
Ch'ora di
questa genle, ora di quella
Che già serva
ti fu, sei fatta ancella!
Qual riparo a
tanti mali? Qual rimedio a piaghe sì profonde? Come imprimere alle depresse ed
avvilite fisonomie italiane il soggello dell'antica grandezza e maestà? Uno de'
principali mezzi, secondo me, è l'unione. Perché termini il monopolio inglese,
e i vili isolani cessino di arricchirsi su le rovine del continente; perché si
oppongano argini all'ambizione dell'Austria, la Francia abbia una fedele
alleata, la condotta della Prussia sia meno equivoca, il gran colosso
dell'impero russo stia immobile ne' ghiacci del Nord, la Spagna divenga stabile
amica della gran repubblica; perché, in una parola, vi sia in Europa bilancia
politica e si dissecchi la sorgente delle guerre, è d'uopo che l'Italia sia
fusa in un sol governo, facendo un fascio di forze.
Realizzandosi
questa idea, gl'italiani, avendo nazione, acquisteranno spirito di nazionalità;
avendo governo, diverranno politici e guerrieri; avendo patria, godranno della
libertà e di tutt'i beni che ne derivano; formando una gran massa di
popolazione, saranno penetrati da' sentimenti della forza e dell'orgoglio
pubblico, e stabiliranno una potenza che non sarà soggetta agli assalti dello
straniero; giacchè guai a quella nazione che per dirigere i suoi affari
domestici ha bisogno del soccorso altrui!
Questo è il
progetto ch'esce dal fondo del mio cuore. Se le attuali circostanze, se lo
spirito di vertigine che agita il dispotismo europeo, lo fanno restare per ora
nel mondo delle chimere, mi auguro almeno che verrà un giorno in cui sarà
realizzato. E questo pensiero, questo dolce pensiero, è il più gran tributo che
un ardente patriota, martire delle persecuzioni, possa porgere in seno
dell'oscurità al benessere dell'Italia, come l'abate di Saint-Pierre, nel suo
progetto di pace perpetua, lo ha offerto alla prosperità del genere umano.
Questo
pensiero, nell'atto che riempie l'animo della gioia la più pura, lungi di
porgere al mio spirito la rimembranza de' mali individuali, lo consola
presentandogli la prospettiva de' futuri progressi della cultura, de' lumi e
dell'indipendenza italiana; lo consola nel fargli considerare che l'uomo istruito
nella scuola delle disgrazie, dopo aver atterrati i suoi nemici, rientrerà nel
possesso de' suoi diritti e nella nobiltà delle sue prerogative. Possano aver
ben presto un tal degno prezzo le mie meditazioni, ed i miei voti sulla
perfettibilità del genere umano e della mia nazione!... Possa l'effusione de'
miei sentimenti, come la scintilla elettrica, comunicarsi da una estremità del
pianeta all'altra a' miei simili, e massime a' miei concittadini, che sono il
principale oggetto delle mie affezioni!
Popolo futuro d'Italia!
A te io dedico
questo mio travaglio qualunque si sia; giacché a te è riserbato di compiere la
grand'opera. L'esperienza de' tempi scorsi, le lezioni dell'infelicità de' tuoi
avi, le cure de' tuoi più cari interessi, i lumi sempre crescenti della
filosofia e della ragione, che ti faranno sentire il ridicolo e l'odio de' re
selvaggi, la memoria di essere stato il proprio paese spesso esposto alle
conquiste, ma non mai interamente soggettato, dandoti il sentimento delle tue
forze, ti spronerà a rovesciare le barriere che la mano del delitto ha
innalzate, ed a solennizzare la gran festa del patto della confederazione, la
quale fisserà l'èra della tua grandezza. Popolo futuro! Se noi travagliamo in
seminare nel campo della felicità, tu, profittando de' nostri sudori, ne
riporterai un'ampia messe; se noi ci troviamo in mezzo alle spine della
libertà, tu gusterai la soave gioia di coglierne le rose nel giardino della
morale, del costume e della virtù. Addio.
[ 1] Ferdinando,
dietro i successi degli alleati in Italia e della partenza di Macdonald, riorganizzò
quegli stessi assassini, quegli scellerati che aveano già gustato il piacere
dell'anarchia, aggiungendo a' medesimi un gran numero di galeotti concentrati
in Sicilia, che fece sbarcare in diversi luoghi del continente napoletano.
Destinò generale in capo di quell'armata cattolica e regale il cardinal
Fabrizio Ruffo, il quale, secondo lo stesso suo promotore Pio VI, non era stato
mai né canonista, né dottore, e avea prostituita la porpora nella Corte e nel
serraglio di S. Leucio. Si assegnarono al porporato per luogotenenti generali
Pronio, Sciarpa e fra Diavolo: il primo, forgiudicato e adorno dell'insigne
ordine del guidatico, il secondo, birro dell'udienza di Salerno, il terzo
scorridor di campagna, mostro che facea pompa di una tazza, ov'era solito di
abbeverarsi di sangue umano. Adescate dal saccheggio, si arrolarono sotto
l'infame vessillo orribili ciurme. Sbarcò dunque Ruffo nelle coste della
Calabria Ulteriore alla testa di un piccolo numero di siciliani. Ivi, con
proclami del re, colle promesse del paradiso e con altri mezzi che suggeriscono
l'ambizione e l'ipocrisia, fece una gran quantità di proseliti, i quali erano
ben assoldati e promossi agli impieghi. Per meglio riuscire nelle sue misure si
proclamò papa, dando così maggior credito alle indulgenze, le quali spargeva a
larga mano.
Benché
quel dipartimemo stava molto scontento del nuovo sistema, giacché i governanti
imprudentemente aveano loro fatto l'invito di soddisfare le contribuzioni
attrassate e di disporsi a sopportarne un maggior peso per l'avvenire, pure
Monteleone, Cotrone, Catanzaro ed altre città si opposero alle misure del
cardinale, e fecero per lungo tempo una valida difesa. Non poterono però
sostenersi, giacché non avevano mezzi opportuni. Mancando loro fra le altre
cose l'artiglieria e la truppa regolare, cedettero alla preponderanza delle
forze nemiche.
Malgrado
che fosse stata promessa l'indulgenza in forza delle capitolazioni, pure non si
risparmiò alcun partigiano della gran causa. Il saccheggio e la morte portarono
il lutto e la desolazione dentro le mura delle case repubblicane. Quei che
scamparono i furori del pio prelato, essendosi dati alla fuga, furono colpiti
di anatemi e della pena del taglione, furono dichiarati nemici di Dio e dello
Stato; e chiunque li sterminava, era colmato di doni, ed aveva un brevetto di
santo. Cotesta crociata quali effetti non dovea produrre presso un popolo
infangato ne' pregiudizi? presso un popolo che allora, guardando per la prima
volta la luce Raggios a della libertà, ne restava abbagliato, senza
rischiararsi su' futuri vantaggi? Ruffo, riuscito a rendersi padrone di tutta
la Calabria Ulteriore, penetrò nell'altra, seguendo le stesse misure, cioè
portando la croce in una mano e il pugnale nell'altra.
Ciò non
ostante, gli abitanti sostennero i loro diritti col massimo coraggio: si vide
un gran numero di patrioti battersi in campagna aperta contro gl'insorgenti; si
videro i figli venire a tenzone co' loro padri nel conflitto delle opinioni che
li dividevano. Non si sapeva se dovevano essere più care le affezioni della
natura o le voci e gl'interessi della patria. Roma vantava i suoi Bruti e i
suoi Manli, e Napoli nella culla della libertà vanta maggiori eroi.
Il furore
di Ruffo aumentava in proporzione de' successi, mentre veniva irritato dagli
ostacoli. Quei paesi che presentarono uno scoglio alla irruzione furono
soggettati al saccheggio. Paola, Rossano, Cosenza ed altre città principali
divennero preda delle fiamme, per aver mostrato un attaccamento deciso alla
repubblica, senza farsi quartiere a' patrioti, di qualunque età e sesso si
fossero. Tra le altre famiglie, quelle di Labonia e Grisolia furono più
disgraziate delle altre, giacché dal 1794 i loro individui erano stati il
bersaglio della corte per motivo delle nuove opinioni. Così gl'insorgenti
invasero anche la Calabria Citeriore.
Il piano
di Ruffo doveva essere sconcertato se la previdenza de' francesi fosse occorsa
a tempo proprio. Tardi si pensò alla spedizione delle Calabrie. Un pugno di patrioti,
sotto il comando di Schipani, fu destinato ad andare a combattere le coorti del
nuovo Pietro l'Eremita.
Disgraziatamente
Schipani si trovava alla testa di una legione composta di soli patrioti, i
quali erano poco avvezzi al mestiere delle armi e sforniti di disciplina
militare. Ciò non ostante, eglino in diversi combattimenti risultarono
vittoriosi; ma soggiacquero a delle perdite, le quali furono fatali alla
picciolezza del loro numero. Si dové passare il ponte di Campestrino, dove si
annidava Sciarpa, condottiere di molti assassini di campagna, muniti di cannoni
e di altre armi. Il passo era difficile; sicché Schipani vi restò inviluppato.
I briganti, avendo riportata la vittoria nell'attacco, si resero così audaci,
che, malgrado gli ulteriori tentativi, non abbandonarono mai il posto, anche
perché Torrusio, vescovo di Capaccio, fomentò la rivolta ne' vicini paesi colle
minacce della superstizione. Sicché la strada tra il Principato Citeriore e le
Calabrie restò ostrutta, e Sciarpa ebbe un campo aperto ad infestare tutte le
vicine comuni, le quali erano fedeli al nuovo governo. Picerno, Balvano,
Avigliano furono desolate, malgrado l'eroica energia de' loro abitanti. In uno
degli attacchi morirono, fra tanti altri bravi i fratelli Vaccaro, giovani incomparabili
per le loro qualità morali e per la sublimità de' talenti.
Cotesti
avvenimenti diedero luogo a Ruffo di fare una irruzione nella Puglia, dove fu
soccorso da' russi, i quali sbarcarono sulle spiagge dell'Adriatico. Allora
l'audacia de' nemici crebbe, il terrorismo pesò con più forza su quella
provincia, le concussioni furono eccessive e le forche vennero innalzate in
tutte le città accanto alla croce. Bari, Barletta, Foggia, Cirignola furono
principalmente l'oggetto dello sdegno e delle crudeltà de' regalisti, e
soffersero danni incalcolabili.
Intanto
Gravina ed Altamura si accinsero a combattere le orde della tirannia. Il
combattimento fu ostinato per più giorni, e la vittoria si mostrava amica de'
repubblicani; giacché gli abitanti di coteste due comuni si batterono in massa
sino all'ultima goccia di sangue, impiegarono le private sostanze a profitto
della patria, e non risparmiarono alcun mezzo umano onde trionfare delle forze
liberticide, eglino in ultimo, vedendosi privi di mitraglia, misero anche la
moneta di rame e di argento ne' cannoni. Ma le forze de' patrioti a fronte di
quelle di Ruffo essendo infinitesimali, produssero la caduta delle due città.
Ecco il rovescio di tutta la Puglia.
Quelli che
sanno l'indole del fanatismo, e del fanatismo sdegnato, possono figurarsi quali
furono le triste vicende di quelle due città, quale fu la miserabile condizione
di quelle due benemerite popolazioni. Non ci sono colori, non ci è pennello che
possa descrivere le tirannie che ivi si esercitarono. Anche i monasteri delle
monache vennero incendiati, ed altro non vi restò che pietra sopra pietra...
Il
governo, prevedendo sì fatta catastrofe, avea destinata una spedizione. Ma
essendovi insorta una briga riguardo al comando tra Federici, Francesco
Pignatelli e Matera, non solo non si andò innanzi ma si rinculò; ed i nemici si
avanzarono, fecero rapidi progressi e consumarono tutto sotto i loro passi
incendiarj. Allora l'oscillazione contro-rivoluzionaria fu più forte e più
estesa.
Schipani,
e Muscari combatterono come leoni alla testa delle loro colonne nella Torre
dell'Annunziata; ma inutilmente, giacché le loro falangi erano poco numerose.
Sicché Ruffo penetrò sino alle porte di Napoli, non abbandonando mai il sistema
di distruzione. Il numero de' disgraziati, che in quell'epoca furono divorati
dalla rabbia degli insorgenti è incalcolabile; come lo è eziandio quello degli
altri infelici, che per lo appresso sono stati sacrificati ne' dipartimenti
dalla ferocia degl'inquisitori di Stato.
[ 2] Se Méjan soccorreva allora i repubblicani,
la causa della nostra libertà sarebbe stata guadagnata. Bastava il solo nome
francese a spargere il terrore nella vile anima del ladro insorgente. Al
semplice suono della tromba repubblicana, il nemico si sarebbe certamente dato
alla fuga. Altronde, i patrioti, mossi dalle molle della bravura del soldato
francese, si sarebbero viepiù incoraggiati, e l'ostinatezza del coraggio
sostenuto dal numero avrebbe fissata la vittoria sotto la bandiera tricolore.
Né si dovea temere delle province, giacché vi erano penetrate le leggi
dell'abolizione de' fendi, del testatico, delle gabelle, ecc., leggi che
Macdonald, non si sa per qual politica, avea prima proibito di promulgare. Per
queste sagge ma tarde disposizioni, tutti quei popoli che l'idra feudale a
cento teste divorava, cantavano inni di gloria e colmavano di benedizioni il
nuovo governo. Se dunque in quell'epoca opportuna si fossero riportati i
sospirati trofei, tutte le anime sarebbero state elettrizzate dal genio della
libertà, e l'impero della repubblica si sarebbe fondato.
[ 3] Fra le tante altre sono degne di essere
nominate la madre de' fratelli Serra, la madre e la sorella di Ettore Carafa,
la cittadina Laurent Prota, mia grande amica, la Sanfelice, la Fasulo, ecc.
[ 4] Il primo che innalzò lo stendardo
dell'eroismo fu Francesco Martelli. Costui, quando vide che il forte non potea
più resistere, disse a' suoi compagni: “ Bisogna morire liberi piuttosto che sopravvivere
alla servitù”. Sicché egli stesso accese la polvere, la quale colla sua
esplosione rovesciò le mura della rocca. Chi guardando le rovine di Viglieno,
non sarà preso di ammirazione, è un essere che non è nato per la gloria; è un
uomo a cui la schiavitù ha tolta la facoltà di pensare e di sentire.
Io farei
imprimere su' rottami di quel forte l'iscrizione: “Passaggiero, annunzia a
tutt' i nemici della tirannia, a tutte le anime libere, che imitino il nostro
esempio, piuttosto anziché vegetare all'ombra del dispotismo ”.
[ 5] La caduta di Napoli produsse quella di
tutta l'Italia. Né poteva altrimenti accadere. Questa parte dell'Europa, ch'è
l'oggetto de' desideri e delle conquiste delle altre potenze, non può essere al
coverto delle invasioni, se non acquista energia e forza. Or il territorio
napoletano è il più rispettabile per la sua estensione, per la fertilità, per
gli tre mari da cui è circondato, per lo numero, carattere ed energia degli
abitanti. Conseguentemente non vi può essere libertà a Milano, a Torino, a
Genova, a Roma, ecc., se Napoli è schiava. Napoli, centro del patriotismo, è
fatta per esser la sede della libertà italiana.
[ 6] Questi è quel Matera ch'era stato in
Italia aiutante di Berthier e Joubert, a cui salvò la vita
nel Piemonte.
[ 7] La buona fede de' patti è uno de' gran
legami delle società civili. Tolta questa buona fede, se ne rovesciano le basi,
e gli uomini ritornano nello stato della collisione, cioè dell'anarchia. I
rapporti che passano tra gli individui di uno Stato sono gli stessi che quei di
un popolo relativamente all'altro. Le relazioni diplomatiche, le negoziazioni
ed i trattati son fatti per mantenere la concordia tra le nazioni, la stabilità
degli imperi, la conservazione dell'uman genere. Essi dunque sono sacri ed
inviolabili; altrimenti gli individui della specie errerebbero nelle foreste, e
lo stato di guerra, cioè di distruzione, desolerebbe il globo. Per questo
motivo, non solo i popoli civilizzati, ma ancora i barbari sono fedeli
osservatori de' pubblici patti. I selvaggi si piccano eziandio di fedeltà nelle
loro convenzioni: anzi fanno intervenire una divinità, sotto il cui patrocinio
e garanzia i contraenti debbono riposare. Il solo re di Sicilia, oltre le altre
infrazioni, ne ha commessa una, ch'è la più funesta e la più prava di tutte le
altre, calpestando le leggi, le usanze ed i costumi di tutte le popolazioni.
Le capitolazioni delle guarnigioni
de' castelli di Baia, Ischia, Castellammare furono richieste e trattate
dagl'inglesi. Quella de' forti di Napoli fu preceduta da un solenne proclama di
Ruffo, generale in capo ed agente plenipotenziario di Ferdinando; proclama
stampato ed affisso in tutti gli angoli della città, con cui s'inculcava al
popolo, sotto pena di morte, di rispettare i parlamentari, che da lui si
spedivano a' castelli, o che da essi si mandavano a lui, a fin di capitolare
per potersi quindi eseguire fedelmente tutto ciò che si sarebbe convenuto. Si
passò indi al trattato, ch'è il seguente:
REPUBBLICA NAPOLETANA: Oronzio
Massa generale d'artiglieria e comandante del Castel Nuovo.
Essendosi dal comandante della
flotta inglese Food intimata la resa al castel dell'Ovo, e dal cardinal Ruffo
vicario generale del regno di Napoli, dal cavalier Micheroux, ministro
plenipotenziario di S.M. il re delle due Sicilie presso la flotta
russo-ottomana, dal comandante in capo delle truppe di S.M. I'imperatore di
tutte le Russie, e dal comandante delle truppe ottomane a questo Castel Nuovo;
il consiglio di guerra del Castel Nuovo si è adunato, ed avendo deliberato
sulle suddette intimazioni, ha risoluto che i suddetti forti sieno rimessi ai
comandanti delle truppe di sopra enunciate per avere una capitolazione
onorevole, e dopo di aver fatto conoscere al comandante del forte di S. Elmo i
motivi di questa resa, in seguito di che il suddetto Consiglio ha redatti gli
articoli della capitolazione seguente, senza l'accettazione de' quali la
reddizione de' forti non potrà aver luogo.
Articolo I. Il Castel Nuovo, ed il
Castel dell'Ovo saranno rimessi nelle mani del comandante delle truppe di S.M.
il re delle due Sicilie, e di quello de' suoi alleati il re d'Inghilterra,
I'imperatore di tutte le Russie, e la Porta Ottomana, con tutte le munizioni da
guerra e da bocca, artiglieria ed effetti di ogni specie, esistenti ne'
magazzini, di cui si formerà inventario dai commissari rispettivi dopo la firma
della presente capitolazione.
II. Le truppe componenti le
guarnigioni conserveranno i loro forti sino a che i bastimenti, di
cui si parlerà qui appresso,
destinati a trasportar gl'individui, che vorranno andare a Tolone, saranno
pronti a far vela.
III. Le guarnigioni usciranno
cogli onori di guerra, armi, bagagli, tamburo battente, bandiera spiegata,
miccia accesa, e ciascuna con due pezzi di artiglieria; esse deporranno le armi
sul lido.
IV. Le persone e le proprietà
mobili ed immobili di tutti gl'individui componenti le due guarnigioni saranno
rispettate e garantite.
V. Tutti gli suddetti individui
potranno scegliere d'imbarcarsi sopra i bastimenti parlamentari, che saranno
loro presentati per condursi a Tolone, o di restare in Napoli senza essere
inquietati né essi, né le loro famiglie.
VI. Le condizioni contenute nella
presente capitolazione son comuni a tutte le persone de' due sessi rinchiuse
ne' forti.
VII. Le stesse condizioni avran
luogo riguardo a tutti i prigionieri fatti sulle truppe repubblicane dalle
truppe di S.M. il re delle due Sicilie, e quelle de' suoi alleati ne' diversi
combattimenti che hanno avuto luogo prima del blocco de' forti.
VIII. I signori arcivescovo di Salerno, Micheroux, Dillon, ed il vescovo di
Avellino saranno rimessi al comandante del forte di S. Elmo, ove resteranno in
ostaggio, fino a che sia assicurato l'arrivo a Tolone degl'individui, che vi si
mandano.
IX. Tutti gli altri ostaggi e
prigionieri di Stato rinchiusi ne' due forti saranno rimessi in libertà subito
dopo la firma della presente capitolazione.
X. Tutti gli articoli della presente
capitolazione non potranno eseguirsi, se non dopo che saranno stati interamente
approvati dal comandante del forte di S. Elmo.
Méjan approvò la convenzione, la
quale venne eseguita dai repubblicani in tutt' i suoi articoli: si dovea
osservare solamente dalla corte di Sicilia e da' suoi alleati; ma Ferdinando,
per dare un colorito all'attentato della violazione del patto, trovò il
pretesto che non era stata mai sua volontà di negoziare con sudditi ribelli.
Sudditi ribelli! Ecco il linguaggio de' re, ossia degli usurpatori della
sovranità popolare. Una nazione che o sola, o coll'aiuto d'un altra potenza si
solleva contro il suo oppressore, contro colui che, lungi di essere il
magistrato, n'è il despota, non è ribelle. Essa al contrario usa il principale de'
suoi diritti, ch'è quello di riagire contro la violenza. Tal è l'indole del
contratto sociale.
Ma, ammessa la strana idea che
contro i principi del gius pubblico si volessero considerare ribelli i
patrioti, perché Ruffo si induce a capitolare, quel Ruffo ch'era un
plenipotenziario del re? Essendo egli entrato in trattato, egli riconobbe una
potenza nei patrioti, e questa potenza scomparisce, quando si viene
all'esecuzione? Da cotesto assurdo come se ne sviluppano gli avvocati della
causa della tirannia? Nel solo interesse del despota dunque, nel suo capriccio
si può trovare la ragione della violazione del più solenne de' patti: e tale è
il carattere del potere arbitrario.
Gl'inglesi, che si obbligarono co'
generali delle altre potenze di far osservare il trattato; gl'inglesi, che
disponevano della volontà del re di Sicilia, il quale in tutti gli affari
dipendeva da' loro cenni, potevano garantire il patto, potevano opporsi alla
violazione la più manifesta del gius delle genti; ma pretendere ciò da' vili isolani,
da quelle anime metalliche, sarebbe lo stesso che domandare lealtà dalla volpe.
Gl'inglesi da otto anni vie più hanno cancellate in tutte le loro azioni le
tracce della giustizia universale, ed hanno commessi quelli attentati e quei
tratti di pefidia, ch'erano degni di Attila. Il furto della flotta olandese,
l'alleanza sulle coste della Siria di Achmet, il supplizio del gran Volstonn e
di altri bravi irlandesi, gli ostacoli opposti alla esecuzione del trattato
conchiuso tra Kléber e la Porta ottomana, non sono bastanti testimonianze della
loro cattiva fede e barbarie?
Nelson, che tenea Ferdinando
prigioniero al suo bordo e che era circondato da' legni de' capitolati che
doveano far vela, abbagliato dall'oro di Sicilia e dal pomposo titolo
offertogli di duca di Bronte, ardì di rispondere a' patrioti stessi, allorché
si dolsero dell'indugio della loro partenza convenuta nella capitolazione, ardì
di rispondere che al re si apparteneva di premiare il merito e dipunire i
delitti de'suoi sudditi. Crudele pirata! se l'intrepido Fox ha invano declamato
nel Parlamento di Londra contro la tua nera perfidia, non creder già che il
ducato di Bronte e l'oro e le gemme de' despoti, delle quali fai un'impudente
pompa, t'involeranno all'esecrazione del genere umano ed all'infamia che i
posteri imparziali spargeranno sulla tua abbominevole memoria.
[ 8] Conviene accennare qualche cosa su'
cinque ultimi personaggi, giacché eglino non appartengono alle circostanze, ma
alla posterità. La loro esistenza non è stato un atomo impercettibile
nell'oceano de' secoli; ella ha lasciato delle tracce profonde, che
resisteranno all'urto del tempo e delle convulsioni cosmiche.
Io mi
figuro i grandi uomini attaccati alla ruota della Fama. Chi sta sulla
circonferenza, chi siede sull'asse. I primi sono soggetti ad avere delle
vicende, a rovesciare da su in giù e perdersi nella polvere dell'obblio; gli
altri sono sempre stabili, e nel girar della rúota non lasciano mai di
conservare il medesimo posto. Uno di questi ultimi è il gran Caracciolo. Si sa
ch'egli era uno de' più grandi ammiragli del secolo, talché i superbi isolani
non ne presentano un simile.
Caracciolo,
che in tempo della repubblica si trovava in Sicilia, ebbe a rossore d'impiegare
i suoi talenti in favore del dispotismo. Rinunciò al posto, e volò in Napoli
libera, dove fu fatto ammiraglio. Nel porto della città vi erano alcune poche
barche cannoniere, le quali erano state scampate dall'incendio per essere
vecchie ed inservibili. Il genio di Caracciolo le utilizza, le agguerrisce, va
con esse ad affrontar a Procida gl'inglesi, i quali batte, spargendo ne' loro
animi il terrore. Ecco il Duilio della repubblica napoletana.
Per lo
appresso egli fece altri prodigi non meno sorprendenti: e per ricompensa n'ebbe
la morte, piuttosto per gelosia del barbaro Nelson che per odio della corte.
Io farei
imprimere sulla tomba dell'illustre Caracciolo le seguenti parole: Qui riposa
colui che vegliò sempre per la gloria della sua nazione.
Il nome solo
di Mario Pagano è un dominio della storia della filosofia. Ognuno conosce il
celebre autore de' Saggi politici e del Processo criminale. La prima opera, che
racchiude in sé i semi e le lezioni della felicità sociale, è il risultato di
una profonda analisi dell'uomo e delle costituzioni de' popoli. L'altra, in cui
i principi della ragion criminale sono esposti con tanto ordine e sublimità, in
cui si abbatte il colosso della barbarie e de' pregiudizi sulla libertà civile
del cittadino, è un prodotto del genio. Beccaria era stato il Colombo della
scienza, ma Pagano ha trovato nel paese scoverto da Beccaria le auree miniere
delle più utili e più astruse verità.
Pagano non
è stato solamente uno scrittore: egli merita di essere considerato sotto il
rapporto di uomo e di cittadino. Modesto, placido, probo, sensibile, era amato
da tutti, giacché era l'amico di ognuno. Nella cattedra si sforzava di dar
l'anima al cadavere della barbarie col soffio della filosofia e della ragione;
nel foro, quando era avvocato, era il disinteressato difensore de' diritti
dell'umanità; quando fu investito della toga, fu l'organo delle leggi, e non
disunì mai la giustizia dalla moderazione.
Carcerato
a cagione de' suoi principi repubblicani, fu tranquillo come Epitteto.
Ricuperata ch'ebbe la libertà individuale, non poté soffrire l'aspetto del
governo tirannico, ed affrontò un volontario esilio.
Fondata la
repubblica, ritornò in Napoli, dove, condotto in seno della rappresentazione
nazionale, si consacrò con fervore ai sacri interessi della patria ed alla
causa della libertà. La costituzione, che diede fuori, era il capo d'opera
della politica, giacché rácchiudeva tutt' i vantaggi delle altre, senza averne
i difetti. Egli considerava che il vizio, il quale faceva traballare le moderne
repubbliche, era appunto che non vi era una barriera tra il potere esecutivo e
il legislativo. Sicché un terzo potere egl'immaginò, che opponesse un argine
alle usurpazioni dell'uno e dell'altro, e mantenesse l'equilibrio della
macchina politica, servendo come di sentinella alla libertà.
Pagano
solea dire che la libertà è il risultato di tutte le idee ed i principi della
morale, e ch'ella è la mezza proporzionale tra' due estremi, la licenza e la
servitù. Egli desiderava che le cariche rilevanti non si fossero accordate a
persone prive di probità e di talenti; che la santa morale ed il costume
fossero la dote del moderno patriotismo, come lo erano dell'antico; che le
risoluzioni della tribuna pubblica, figlie dell'effervescenza, dell'entusiasmo,
non attraversas-sero i passi del governo, i quali dovevano essere guidati dalla
fredda ragione.
Non so se
le sue grida furono ascoltate tra le grida volgari... La repubblica giunse
all'orlo del precipizio, e la di lui anima si abbandonò al più profondo
dolore... La tristezza si vedeva dipinta sul suo viso, e gli accenti della
collera erano spesso interrotti dalle lagrime. Intanto negli estremi pericoli
della patria egli non mancò di prendere le armi, rinserrandosi in uno de'
forti. Così, passando dal senato al campo, il Solone di Napoli ne divenne il
Curzio.
La
repubblica cade... Pagano, ad onta della capitolazione e malgrado le sue virtù,
è gettato nella più orrida prigione dagli spietati agenti di Carolina, da'
quali in seguito viene strascinato al palco in uno stato di pura impassibilità,
tributando gli ultimi suoi sospiri alla patria.
La natura
avea sbagliato di produrre Domenico Cirillo in Napoli e in questo secolo. Egli
dovea nascere nell'antica Roma ventidue in ventitré secoli addietro. Le qualità
eminenti, che lo adornavano, erano in gran numero, ed ognuna di esse sarebbe
stata sufficiente a formare un grand'uomo.
Cirillo
avea idee le più nette e le più sublimi della morale, la quale ravvisandosi
nella sua fisonomia caratteristica e nel suo portamento, era praticata dal suo
cuore, sempre aperto ai sentimenti della pietà e della beneficenza verso
altrui. Questi era un Catone che si trovava in mezzo alla feccia di Romolo.
Egli solea
dire: - Io avrei soggiornato in Londra o in Parigi, se l'amore di mia madre non
mi avesse costretto ad abitare questa terra di oppressione. - Qual rispetto per
questa vecchia madre! qual tenerezza! qual venerazione ei le prestava!
La di lui
professione era la medicina, ch'egli conosceva a fondo. La sfigmica, che
s'ignora in Europa e che nella Cina è così ben conosciuta, facea parte del
tesoro delle di lui conoscenze. Uno studio lungo, un corso non interrotto di
osservazioni di venti anni gli fecero acquistare la vera cognizione de' polsi.
Era grande
nella chimica, ma era un genio nella botanica, la quale non avea studiata ne'
libri degli uomini, che spesso son bugiardi, ma nella natura, che non inganna
mai i suoi veri e fedeli interpreti. L'Inghilterra, la Francia, le Alpi, i Pirenei,
il Vesuvio, l'Etna erano state la scuola, in cui aveva appresa questa benefica
facoltà.
Quanto era
più ammirabile nell'esercizio della scienza della salute! Le sue cure
estendendosi egualmente sul ricco che sul povero, egli versava sull'ultimo il
balsamo della pietà, sovente a discapito della sua borsa.
Per i suoi
rari talenti venne eletto medico della corte, ma l'austera sublimità delle sue
virtù non si volle abbassare alle viltà di un cortigiano. Egli trovava
nell'oscurità della vita privata un incanto ed una gioia, che non si gusta a
traverso il vano splendore della grandezza, e massime vicino al trono. Egli non
sapendo né elevarsi né abbassarsi dal suo livello, verificava la massima: che i
grandi cessano di esserlo, quando non si sta ginocchioni innanzi a loro.
Penetrate
in Napoli le armi repubblicane, tutti gli sguardi e de' francesi e de' suoi
concittadini si rivolsero nel fondo della sua solitudine. A voti universali
egli venne eletto membro del governo provvisorio. La sua modestia però non gli permise
di accettare la carica. Vi fu costretto la seconda volta; e Cirillo, facendosi
un dovere di rendersi utile alla patria, imprese a percorrere la carriera
difficile della legislazione. Sempre eguale a se stesso, sempre semplice,
giusto ed umano, si sforzava di medicare le ferite e le piaghe dello Stato, nel
medesimo tempo che non trascurava di frequentare gli ospedali e gli asili
dell'indigenza.
La
macchina politica si scompone, e la sua vecchiaia co' capelli canuti non è
rispettata da' barbari. Cirillo vien posto nelle catene; a capo di tempo i
carnefici gli dicono che, s'egli volea sfuggire la morte, bisognava che in
tuono di pentimento avesse chiesto la grazia a S.M.; ma egli, non volendo
accattare la vita a prezzo di una viltà, rispose: "Io non domando grazia
alla tirannia. La giustizia della mia causa e di quella di tutt' i miei
fratelli, è riposta nella capitolazione." Ecco un nuovo Trasea, più grande
e più forte del primo.
Fu
condotto a fare il costituto innanzi a Speziale. Imerrogato del suo nome,
rispose: Domenico Cirillo. Che eravate in tempo del re? Medico. In tempo della
repubblica, Rappresentante del popolo. Ed ora in faccia a me? In faccia a te
sono un eroe. E come un eroe morì.
Il pretismo è stato sempre la
tazza di Pandora, da cui sono usciti i tanti mali che hanno affflitto il genere
umano. Si prendano le società nell'epoca della loro infanzia, si accompagnino
ne' periodi della puerizia, dell'adolescenza, virilità, vecchiaia, e si
osserverà che costantemente i preti, sotto la denominazione di druidi, di
maghi, di gerofanti, di brammani, ecc., languendo in seno di un ozio
contemplativo ed abbrutendo lo spirito de' popoli, hanno esatto da costoro il
tributo della stima e della venerazione col frutto de' loro travagli.
Il
cattolicismo è stato più fortunato nelle sue intraprese, come più funesto ne'
suoi risultati, di tutti gli altri culti. I di lui ministri, più furbi, più
ipocriti, più magici, più ambiziosi, più intolleranti di tutti gli altri, hanno
sparso con maggior impegno il veleno della religione, menando l'errore e la
miseria colla schiavitù.
Se ne
contano pochi, i quali, disertandosi dalle loro coorti, hanno battuto un altro
sentiero, hanno combattuto a favore della specie, impugnando le armi della
filosofia contro gli apostoli del fanatismo. Nel numero di cotesti esseri
benefici si deve arrolare il celebre Francesco Conforti. Questi era un prete,
il quale, elevato sulla cima delle conoscenze umane, ha predicato con
instancabil fermezza il vangelo della ragione. Riempito di pene all'aspetto
dell'infelicità universale, ha fatto continui sforzi, onde chiuderne la
sorgente, ch'è riposta nell'ignoranza e nell'errore. Tal era il suo voto e il
suo oggetto fisso.
Nella
pubblica cattedra, sviluppando la storia de' concili, de' canoni, mostrava agli
occhi di tutti il monumento delle usurpazioni, de' delitti, delle ingiustizie
de' pontefici. Colla fiaccola della critica e delI'erudizione, dileguando le
tenebre che covrono la faccia de' secoli mostrava come il vecchio mondo è stato
incatenato dalle barbare istituzioni della corte di Roma, e come il nuovo è
stato coverto dalle ossa di cinque in sei milioni di uomini.
Nello
studio privato, insegnando il gius di natura e il gius civile, mentre
analizzava i diritti primitivi dell'uomo ed i precetti della legislatrice
dell'universo, la natura, esponeva l'informe ammasso di tanti stabilimenti di
principi ora umani, ora crudeli, ora rischiarati, ora barbari, che, malgrado la
contrarietà degl'interessi, degli usi e de' governi, servono ancora di norma a
gran parte dell'Europa. La maniera, con cui estrinsecava le sue sublimi idee,
era amnirabile, giacché la sua eloquenza incantatrice veniva accompagnata da un
tuono di voce il più piacevole, per cui il concorso della gioventù era immenso.
Il di lui cuore, essendo inaccessibile all'interesse quando si trattava di
diffondere i lumi, facea sì che le porte del suo ginnasio non erano mai chiuse
all'indigenza.
Nella
famosa quistione se il regno di Napoli dovesse essere considerato un feudo
pontificio, Conforti, come teologo della corte, fu destinato a rispondere alla
controversia. Sicch'egli. con argomenti incontrastabili ne sostenne
l'indipendenza; e confutando le ridicole pretensioni della Corte di Roma,
mostrò destramente le occulte fondamenta della libertà nazionale. Così, mentre
con una mano abbatté il mostro religioso, coll'altra ferì il dispotismo
politico.
Conforti
ha dato fuori molte produzioni, le quali annunziano un ingegno elevato e
profondo; ma l'opera, che più l'onora, è l'Antigrozio. Grozio nelle sue concezioni
ha commesso il difetto di ricorrere alla memoria, quando bisognava implorar
soccorso alla ragione; dotato di una vasta lettura, ha voluto far pompa di
erudizione a spese delI'analisi e della facoltà riflessiva; nell'Antigrozio si
tiene un metodo tutto contrario. Grozio è incorso nella disgrazia di fare la
causa de' re e de' preti; ognuno congettura qual causa, qual nobile causa deve
perorare l'autore dell'Antigrozio.
Come
revisore di libri, Conforti ebbe ordine di non far penetrare in Napoli le
produzioni del buon senso, gli scritti, che, svelando all'uomo la sua dignità,
gli additano i suoi implacabili nemici. Ma un tal incarico era incompatibile
col suo carattere e colle sue vedute. Sicché, cozzando colla potenza del
despota, non potea dispensarsi a far circolare nelle mani della gioventù tutti
quei libri, i quali sono per lo spirito umano degradato ciocché alcuni rimedi
corroboranti sono per gl'infermi acciaccati di languore.
Un tal
uomo straordinario, quanto pieno di talenti, altrettanto colmo di virtù, che
teneva un piano di condotta, il quale sarebbe degno di elogi e di ammirazione
in Berna o in Ginevra, doveva necessariamente essere sacrificato in Napoli; e
non altrimenti avvenne. Conforti venne prima privato della cattedra e degli
altri impieghi pubblici, e quindi imprigionato. Tutt'i giovani furono così
inconsolabili come se avessero perduto il loro padre, giacché Conforti dava
senso, vita e moto alla gioventù.
Imperturbabile
e tranquillo visse nella carcere come se fosse stato in sua propria casa, o
elevandosi con Platone, o conversando con Plutarco, o approfondendosi con Locke
e Leibnitz, o istruendosi nella scuola delle sue riflessioni. Fu liberato pochi
mesi prima dell'arrivo de' francesi, senza dar segni manifesti di gioia viva e
di letizia gestiente. Dichiarata repubblica Napoli, fu investito della carica
di ministro dell'interno, e consacrò il suo zelo, le sue cure, la sublimità del
suo pensare al benessere della patria, in maniera che sembrava essere egli solo
capace di un tal posto. Venne poscia eletto rappresentante, e si distinse in
grado eminente in mezzo alla folla, giacch'egli era dotto senza pedanteria,
virtuoso senza orgoglio, semplice senza affettazione, probo senza ipocrisia.
Nel tempo della resa di Capua, dov'era andato a rifuggirsi fu condotto in
Napoli; e, posto in prigione, soggiacque al decreto di morte. Dopo la pena
irrogatagli, gl'inquisitori di Stato gli promisero la vita, purché scrivesse su
di alcune pretensioni che il re vantava su lo Stato romano. Conforti scrisse, e
malgrado le promesse fu menato al patibolo, che fu per lui l'ultimo gradino, il
quale lo slancio all'immortalità. Possa l'ombra del mio precettore sorridere a
questo elogio, ch'è il pegno della mia riconoscenza e l'omaggio che la verità
rende alla virtù! Possa egli, simile a' Dei, ascoltare nel suo celeste
soggiorno i voti, che un mortale, ravvolto nella polvere di questa bassa terra
profanata dal delitto, gli porge relativamente al riposo ed alla felicità degli
uomini! Vincenzio Russo è uno di quei personaggi straordinari i quali onorano
non solamente la nazione a cui appartengono, ma l'umanità; non una sola
generazione, ma tutte prese insieme. Questi era un giovane, il quale
all'estensione accoppiava la profondità delle idee, alla vivezza della fantasia
e del sentimento (ciò ch'è raro) la profondità del calcolo e della ragione, ad
una sterminata lettura la forza creatrice del genio. Egli univa in grado
eminente l'energia dello stile col talento della parola, con una eloquenza
senza esempio. Quando aringava al pubblico, alle volte era un fiume vasto,
immenso, placido, che scorre sul campo dorato di Cerere e su l'erbe
verdeggianti del prato: alle volte un torrente, che cade dalla cima delle
montagne, supera gli argini che incontra, e fa rimbombare all'eco del suo
strepito i boschi e le foreste vicine. Quando parlava in privato, era un
ruscelletto di nettare, che ricrea chi lo gusta. Il foro di Napoli, a cui egli
si era consacrato, quanto doveva essere orgoglioso di un filosofo e di un
oratore di tal fatta! Giudici, avvocati, uomini di lettere, tutti ammiratori
della superiorità del suo genio, idolatravano il moderno Demostene. Una volta,
mentre egli tuonava in tribunale a pro di un infelice accusato di omicidio, un
ministro disse al padre, che gli stava vicino:—Gloriati, amico, gloriati di
avere questo grande uomo per figlio! - . Cosa dirò della sua morale?
Bisognerebbe godere tutta la purità dell'innocenza, essere acceso da tutto il
fuoco della sensibilità e di tutte le affezioni filantropiche, avere la tempra dell'anima
di un Focione, per poterne fare il ritratto. Chi si può mai lusingare di
giungere all'apice delle sue virtù?... Egli era un essere disceso dal cielo per
fare gl'incanti della terra e la felicità della specie umana. Chi lo conosceva,
amava la sua pura amicizia e n'era pago del possesso; chi non ne avea idea,
voleva conoscerlo.
Vincenzio
Russo dunque non era destinato a vivere in un paese, in cui la virtù era menata
al patibolo. Infatti la regina lo adocchia, e cerca tirarlo nella rete della
perdizione. Russo fugge, e dove va? Egli non va a cercare ospitalità in
Francia... I francesi per lui sono corrotti. Va a ritrovare ne' monti
dell'Elvezia la povertà, la frugalità e la semplicità de' costumi! - Lo
svizzero, egli mi dicea, lo svizzero solamente è capace di libertà nell'Europa
- . Dalla Svizzera passò nella Cisalpina, dove sparse gran lumi ed acquistò un
nome immortale. Quindi andò in Roma libera, dove diede alla luce i suoi
Pensieri politici, opera in cui domina uno spirito di originalità, in cui si
ravvisa un certo carattere di grandezza. Felici quei popoli che possono
profittare delle sue lezioni! Felici gli uomini che possono vedere realizzati i
suoi progetti! Liberata Napoli, egli ritornò in seno della patria, la quale si
pose a servire in qualità di semplice soldato. Ma Russo non era fatto per agire
colla mano: egli aveva un gran capitale nella mente e nel cuore, per poterlo
impiegare a beneficio della nazione. Sicché sul principio fu eletto commissario
di dipartimento, e poscia rappresentante. Non volle mai ricever paga o
compensazione alcuna delle sue fatiche e fece replicate mozioni nel governo
sulla diminuzione de' soldi delle persone impiegate. Tutte le sue misure
tendevano a compiere la grande opera della rivoluzione, di cui i francesi ne avevano
fatto il semplice getto. Il regno della libertà non poteva ergersi sul solo
rovescio del trono. Fondare la morale, creare lo spirito nazionale, estirpare
gli abusi, i cattivi abiti e gli errori per mezzo della educazione, combattere
il lusso e la corruzione con ispargere i semi dell'amor della virtù e della
patria, animar l'agricoltura, fare scomparire la sproporzione de' beni,
accendere un fuoco marziale nella massa del popolo, agguerrendolo, custodire il
palladio dell'indipendenza sotto l'egida delle forze nazionali, senza
addormentarsi in seno della protezione dello straniero, era appunto fare una
rivoluzione, ed una rivoluzione attiva. Un tal sistema necessariamente gli
dovea procurare dei nemici, e così accadde: il serpe dell'invidia incominciò a fischiare
contro di lui. La mediocrità, di concerto con l'interesse privato, si sollevò
contro i di lui progetti di riforma, e per riuscire implorò soccorso dalla
calunnia, la quale fece i maggiori sforzi per profanare il tempio della
saggezza. Russo si avvide della tempesta, e cercò salvarsi nel porto del
silenzio, prendendo congedo dal governo. Ma i sentimenti patriotici, dai quali
era acceso, non lo fecero stare nell'inazione. Non potendo più sulla tribuna
spezzare le baionette della tirannia co' dardi dell'eloquenza, entra nelle file
della guardia nazionale, si trova pronto in tutte le spedizioni, e si batte
come un leone per la causa comune. Nell'ultimo combattimento del ponte della
Maddalena, il gran Russo cade nelle mani de' nemici. Ah, accideme fatale!...
Qui incomincia la di lui penosa agonia. Io non posso, senza che l'avvoltoio del
dolore mi laceri il petto, farne la descrizione; io non posso esporre
quest'articolo tragico della sua vita, senza essere assalito dalla più triste
melanconia. Come avrei il coraggio di guardare curvato sotto una verga di ferro
e colmo di strazi e di ferite un amico, a cui io prestava una certa specie di
culto? Come una tanta perdita, fatale alla patria, all'umanità, alla filosofia,
potrebbe essere da me guardata ad occhio asciutto!... Solo rammento per sua
gloria, ch'egli in mezzo a' tormenti non si turbò affatto; le violenze e le
crudeltà erano dirette contro la sua polvere mortale; ma non arrivavano sino
alla sede della sua sublime anima. Condotto innanzi alle due tigri Speziale e
Guidobaldi, che, colle mascelle ripiene di carne umana, rigurgitavano sangue,
egli oppose alla viltà de' loro oltraggi la fermezza del repubblicano,
l'elevatezza dello stoicismo. Il decreto di morte non lo commosse né punto, né
poco. Questo fu per lui la sentenza di una vita più durevole del marmo e del
bronzo, di una vita adorna del manto dell'immortalità. Strascinato al patibolo,
pieno di entusiasmo, disse al popolo: - Questo luogo per me è il letto della
gloria; qui l'imparziale posterità innalzerà il mausoleo, che verrà collocato
sulla tomba della sapienza... Popolo! calcola bene i tuoi interessi, e lacera
la benda fatale, che il fanatismo e la tirannia ti han posto innanzi agli
occhi. Sappi che il sangue de' martiri della patria, che ora tramanda vortici
di fumo, fermenterà, e la fermentazione ne produrrà un maggior numero: sicché
la repubblica risorgerà più bella dalle sue rovine, come la fenice dalle
proprie ceneri. -Utinam!
[ 9] Io direi che Ettore Carafa era
un nobile di prima classe, se il far pompa di nascita non fosse proprio degli
schiavi e degl'imbecilli, i quali ripongono tutta la loro grandezza in una
croce, in un cordone o altre vili insegne; ma debbo dirlo per mettere in
prospettiva il carattere di un personaggio, il quale, disprezzando nel governo
monarchico, in cui vivea, gli omaggi, i titoli e le ricchezze, non soffriva di
veder gemere la patria sotto una verga di ferro, per cui congiurò di
emanciparla dalla più dura delle servitù. La storia pochi esempi simili ce ne
offre, e questi pochi sono registrati nei fasti dell'eroismo. Carafa fu
carcerato in S. Elmo, donde fuggì dopo avervi languito per molto tempo. Andò a
trovare asilo a Roma, e quindi a Milano dove a sue spese organizzò una legione.
Penetrate in Napoli le armi francesi, egli ne divise la gloria con tante gesta,
in cui si segnalò il patriotismounito alla bravura. Dal governo fu mandato in
Puglia ad estinguere un piccolo vulcano d'insorgenza, che vi era scoppiato.
Invano si frapposero argini innanzi a lui. Ettore era fatto per eseguire
prodigi. Giunse ad Andria, suo proprio feudo. Quegli abitanti erano sordi alla
voce della ragione. Sicché egli tenne la strada della moderazione; ma,
avvedendosi che non potea riuscire, suo malgrado fece uso della forza. Dopo
altre prodezze fu mandato in Abruzzo, che fu il teatro della di lui gloria e
della di lui catastrofe. L'assenza di Carafa dalla Puglia divenne funesta a
quel dipartimento giacché i generali francesi, che gli succedettero, come
Serrazin e Duhesme, si diedero in preda alle concussioni, le quali disgustarono
gli abitanti.
[ 10] I principali organi del tribunale
di sangue sono Speziale e Guidobaldi. Il primo, uomo di ventura, era l'ultimo
tra gli avvocati siciliani. Occupava la carica di giudice della Gran Corte
pretoriale in Palermo; carica la quale non si dà se non agli uomini che hanno
poco merito e molta miseria. In tempi in cui la corte avea bisogno di uno
scellerato, lo ricercò tra la feccia del popolo, e lo ritrovò in Speziale.
Guidobaldi era un uomo miserabile; inetto procuratore in Teramo. Ivi
s'introdusse nella casa di Ruggiero, uditore allora della provincia e fu
l'amante della moglie. Ruggiero passò consigliere in Napoli, e la di lui moglie
condusse seco l'amante, che protesse nell'avvocheria. Ruggiero morì. La sua
vedova rimase nella miseria, e Guidobaldi la obbliò. Fu veduta nelle di lui
sale chieder la limosina, e riceverla per mezzo de' domestici, giacché egli
sdegnava di vederla. Appena incominciò l'inquisizione di Stato, Guidobaldi
divenne delatore. Fra gli altri tradimenti commise eziandio quello di
denunziare un suo amico e cliente insieme, che lo consultava sulle accuse che
temeva. Egli fu che fece cadere i maggiori sospetti contro Carafa. E questa
infamia ebbe per ricompensa la toga. Si elevò sulla rovina di Giaquinto e
Pignatelli, che eran stati i di lui protettori. In seguito distrusse anche
Vanni, che lo avea difeso contro Pignatelli e Giaquinto. Spinse la ferocia
oltre la linea in cui l'avea portata Vanni. Fu più crudele e più vile. Si son
ritrovate lettere sue, nelle quali prometteva premi e cariche ad alcuni, per
indurli a deporre contro i pretesi rei d'opinione. Fu tanto riputato in questo
ramo, che la corte lo scelse direttore del tribunale di polizia o sia di
pubblico spionaggio. Avvicinatisi i francesi, fuggì, e ricomparve coll'armata
cristianissima. Portò tant'oltre le sue idee di crudeltà, che, immaginando il
gran numero di impiccati che vi sarebbero, i quali, secondo lui, dovevano
oltrepassare quello di duemila solamente nella capitale, per far un beneficio
al fisco, fece una transazione col boia, a cui invece di ducati sei ad
operazione, che prima esigeva, stabilì una mesata fissa. Soleva dire a' suoi
favoriti ch'egli allora pranzava con giubilo, quando piovevano le teste de'
giacobini nella piazza del Mercato.
[ 11] A questi tre ultimi soggetti si è
fatta l'istessa grazia della commutazione della pena di morte in quella fossa
della Favignana in vita.
[ 12] La Giunta di Stato, in seguito
delle istruzioni ricevute, ha fatto una scala di pene, delle quali la minore è
l'esilio. Noi non vogliamo prevenire le riflessioni dell'accorto lettore
nell'osservare come in siffatta classificazione la tirannia ha procurato di
collocare la virtù sul posto del delitto, come la forza per un istante ha
potuto imporle silenzio; ma la fama a cento bocche la fa echeggiare in tutt' i
punti dello spazio, e la giustizia, che è l'arbitra dell'universo, la rivendica
degli oltraggi ricevuti; giacché la virtù non appartiene al regno degli uomini,
ma all'impero delle leggi della natura, di cui ella è figlia. I. Sono stati
considerati come rei di primo ordine, e degni di morte: 1° tutt' i principali
impiegati della repubblica napoletana, e sotto il loro nome sono stati compresi
tutti quei che furono rappresentanti, direttori, generali, commissari,
organizzatori, membri dell'alta commissione militare e del tribunale
rivoluzionario; 2° tutt' i capi di clubs anteriori alla venuta de' francesi; 3°
tutti coloro che ebbero parte alla presa di S. Elmo, che andarono a trovare i
francesi in Capua o Caserta, che vennero battendosi co' francesi, o che fecero
fuoco sul popolo napoletano, mentre combatteva coi francesi; 4° tutti coloro
che si batterono a vista delle bandiere del re contro la di lui truppa; 5°
tutti coloro che, o scrivendo o parlando in pubblico, avessero detto male del
re, della sua famiglia e della religione; 6° tutti coloro finalmente che
avessero dati non equivoci segni della loro empietà verso la caduta repubblica.
II Coloro che erano ascritti alla sala patriotica, e che avevano segnata colle
proprie mani la sentenza di morte, sono stati condannati all'esilio in vita ed
alla confiscazione de' beni. III. Tutti quei che hanno occupati impieghi
subalterni, sono stati affidati alla clemenza del re. E chi fra loro non ne ha
veduti gli effetti?...
[ 13] Quei, che sono versati nella storia, sanno che
cotesta imperadrice, nella minorità del figlio Michele, sterminò un popolo di
manichei, che vivevano tranquillameme nell'Asia minore,avendone solamente in un
tempo immolati centomila al suo fanatismo. I preti l'hanno collocata nel numero
delle piissime donne del secolo nono: dove i nostri gerofanti situeranno
Carolina, sua emula?...
[ 14] La storia della tirannide umana
rammenta con orrore il toro di Falaride, l'orecchio di Dionigi, ecc. Tempi a
noi più vicini ci hanno offerti i lugubri esempi dell'atto di fede, de' giudizi
di Dio, della ruota. La filosofia e la civilizzazione avevano già banditi
dall'Europa siffatti spettacoli, che insultano la natura e svergognano la
specie. In Napoli la Giunta di Stato non solo ha rinnovati tutti gli orrori
della tirannia, ma ne ha inventati de' nuovi. Il giovane Acconciagioco,
accusato di aver avuto parte in una congiura contro la monarchia, ha sofferto
con ammirabile costanza il fuoco nella sua mano in presenza degl' iniqui
ministri. E mentre gli si passava un ferro rovente dall'estremità del dito
indice sino al pollice, egli ha serbato il silenzio col più fiero ed orgoglioso
contegno. Così sono puniti in Napoli i semplici sospetti... La maniera con cui
sono stati trattati i detenuti nelle carceri è stata la più oppressiva e la più
tirannica che mai si possa immaginare. Sembra impossibile che gli agenti della
tirannia napoletana abbian potuto superare gli orrori della Bastiglia di
Parigi. Nel Castello Nuovo, precisamente, non si accordava un letto, per cui si
dovea dormir sull'umido suolo nel tempo del più rigido inverno. Non si
permetteva ch'entrasse il cibo se non in un solo vaso, e se taluno prendeva
tabacco, questo si mescolava spesso cogli altri cibi. Si mantenevano gli
arrestati senz'acqua, e per un mese furono privi anche di pane, cosicché
moltissimi, i quali o erano miserabili, o pur aveano le loro famiglie lontane,
non godettero di altro soccorso che della pietà degli altri infelici. Ogni due
giorni erano spogliati nudi; si visitava tutto il loro picciolo mobile. Né ciò
bastava; si visitavano anche le loro persone, si conficcava un dito nell'ano, e
questo dito stesso si metteva in bocca per vedere se vi avevano nascosto denaro
o veleno. Per l'ordinario erano battuti, esposti alla berlina e coverti di
fango e di sozzure. Celeste Libertà! tu che sei riputata una chimera da quei
che non ti conoscono; tu che, qual nume benefico, rendi contente e liete le
genti che ti posseggono, per qual motivo fai il martirio di quei cuori divoti,
i quali, in mezzo al profumo degl' incensi, ti pregano di aprire le argentee
porte dell'aurora, e far succedere alla notte della miseria i giorni della
felicità, diffondendo i tuoi benefici influssi sul suolo sterile e deserto
della tirannia? Per qual motivo fai morire tranquilli ne' loro letti Augusto e
Cromwell, mentre taci innanzi alla morte violenta del gran Mirabeau, e non
paralizzi il braccio che porta il colpo fatale a Condorcet e Saint-Just? Per
qual motivo rendi sicure le mura della reggia di Pietroburgo e di Palermo,
mentre non arresti gli orrori di Varsavia e di Napoli, permettendo che si
passeggi ancora impunemente sugli ossami di tante migliaia dei tuoi proseliti?
[ 15] «Dedimus profecto grande
patientiae documentum, et sicut vetus aetas vidit quid ultimum in libertate
esset, ita nos quid in servitute, adempto per inquisitiones et loquendi
audiendique commercio, memoriam quoque ipsam cum voce perdidissemus, si tam in
nostra potestate esset oblivisci quam tacere ». Tacito, Vita di Agricola.
[ 16] La fisionomia è il gran libro
dell'anima umana. I sentimenti, le passioni caratteristiche, le idee per
l'ordinario si leggono nell'esterno dell'uomo. Un fisonomista, che guarda
attentamente Ferdinando IV gli ravvisa subito l'imbecillità, la viltà e la
frivolezza che formano ii fondo del suo carattere. La ferocia e la sensualità
sono qualità accessorie in lui, e principali in Carolina. Da siffatto impasto
morale ne nasce che, quando l'uno teme, I'altra spera e non si avvilisce nelle
perdite; quando l'uno vuol frammischiarsi negli affari di Stato, un
divertimento che gli si prepara dalla moglie, una Frine che gli si presenta,
gli fa tutto obbliare; quando l'uno vuol usare qualche ombra d'indulgenza,
l'altra gl'istilla il furore, e lo fa entrare a parte de' di lei pravi disegni;
quando il primo desidera la pace, l'altra trova i mezzi pronti onde fargli
comparire meno truce il demonio della guerra.
[ 17] La fisionomia è il gran libro
dell'anima umana. I sentimenti, le passioni caratteristiche, le idee per
l'ordinario si leggono nell'esterno dell'uomo. Un fisonomista, che guarda
attentamente Ferdinando IV gli ravvisa subito l'imbecillità, la viltà e la
frivolezza che formano ii fondo del suo carattere. La ferocia e la sensualità
sono qualità accessorie in lui, e principali in Carolina. Da siffatto impasto
morale ne nasce che, quando l'uno teme, I'altra spera e non si avvilisce nelle
perdite; quando l'uno vuol frammischiarsi negli affari di Stato, un
divertimento che gli si prepara dalla moglie, una Frine che gli si presenta,
gli fa tutto obbliare; quando l'uno vuol usare qualche ombra d'indulgenza,
l'altra gl'istilla il furore, e lo fa entrare a parte de' di lei pravi disegni;
quando il primo desidera la pace, l'altra trova i mezzi pronti onde fargli
comparire meno truce il demonio della guerra. La regina, come tutt' i tiranni
della terra, secondo il ritratto che ne fanno Aristotile e Macchiavelli, è
ambiziosa, crudele, piena di sospetto e prodiga. Sicché l'accorto Acton istillò
o, per meglio dire, fortificò nella di lei anima i sospetti di Stato. Per
questo riguardo rovesciò Medici e molti altri nobili, ed ingrandì la lente
dell'immaginazione stravolta, colla quale ella guardava i francesi. Per questo
riguardo in tempo di pace mirava con occhio bieco i ministri della repubblica,
i quali eludeva nell'esecuzione de' trattati; mentre tutto accordava
agl'inglesi. In tal guisa Acton divenne l'idolo di Carolina ed il Richelieu del
regno di Napoli, in quanto al potere, colla sola differenza de' talenti. Per
vie più assicurare il suo impero, egli tenne l'altro mezzo d'interessare
Carolina ne' suoi furti, onde dar campo alle di lei immense profusioni, le
quali oltrepassavano la somma di tre milioni di ducati l'anno, e onde
agevolarla a salariare lo spionaggio e l'impudicizia. Acton trovò il modo di
rubare queste ingenti somme alla nazione, per darle all'iniqua adultera. Da ciò
tante speculazioni chimeriche, tanti progetti ineseguibili: da ciò
organizzazione di marina, ristaurazione di porti, accrescimento di truppe ed
altre imprese, che, incominciate e non mai menate a capo, esaurivano le finanze
dello Stato, senza produrre alcun utile reale. In quanto a' suoi progetti, non
mai realizzati, Acton si può paragonare a don Chisciotte, il quale aveva il
piacere di fabbricare castelli in aria. Giova avvertire che, quando si parla
degli amanti di Carolina, non si ha da supporre che il numero si debba limitare
a quei soli de' quali abbiamo fatta menzione. La lussuria insaziabile di
codesta donna ne aveva mille altri, ed anche gl'ignoti erano ammessi al suo
lupanare giacché ella avea delle profane incaricate a procurarle tutti quei
giovani, i quali, per l'aspetto o per..., erano meglio atti a soddisfarla. Una
di siffatte profane era la marchesa di S. Marco, la quale agiva nello stesso
tempo da Mercurio e da Tribade... Io qui svelerei altri aneddoti relativi alla
deboscia di Carolina se non temessi di offendere il pudore e di mettere in
prospetto nuovi ed inuditi tratti di libidine. Fama corre che anche
Castelcicala fosse stato uno de' suoi lenoni, ma ciò non è certo; e quando
anche lo fosse, la storia non se ne deve interessare. Solo bisogna far
conoscere il carattere di questo cortigiano, perché si abomini. Castelcicala è
più vile, più ignorante e, per conseguenza, più crudele di Acton. Deve la sua
elevazione agli amori della moglie con Pitt, essendo stato promosso in Napoli
dal partito inglese. Serviva Acton colla viltà, Carolina colla crudeltà e
coll'infamia, in maniera che ambedue non trovarono migliore esecutore de' loro
disegni. Egli, prostituendo la carica ed il sentimento a' piedi del trono, fu
l'autore della persecuzione promossa contro gli avanzi della repubblica; egli
fu che incaricò Mattei e molti altri uomini turpi perché dimostrassero che la
capitolazione fatta co' ribelli non dovevasi osservare; egli fu che disse che
tutt’ i rappresentanti erano rei di usurpata sovranità; egli a buon conto diede
la forma legale alla più solenne ingiustizia, e fu uno de' principali anelli
della catena de' fatali avvenimenti. Carlo Romeo, che in tempo della repubblica
non avea commesso altro delitto se non quello di scrivere una canzone contro di
lui, andò a depositare la testa sul patibolo. Vemimila persone, che furono
arrestate in Napoli e ne' dipartimenti, debbono ripetere in parte la loro
catastrofe da cotesto vile stipendiato del delitto.
Monstre échappé de Germanie,
Le désastre de nos climats,
Jusqu'à quand contre ma patrie
Commetteras-tu tes attentats?
Approche, femme dètèstable,
Regarde l'abime effroyable,
Où tes crimes nous ont plongés!
Veux-tu donc, extréme en ta rage,
Pour consommer ton digne ouvrage,
Nous voir l'un par l'autre égorgés?
En vain je cherche en ma mémoire
Le nom des étres abhorrés;
Je n'en trouve point dans l'histoire
Qui puissent tétre comparés,
Oui, je te crois, indigne reine,
Plus prodigue que l'Egyptienne,
Donc Marc-Antoine fut épris,
Plus orgueilleuse qu'Agrippine,
Plus lubrique que Messaline,
Plus cruelle que Médicis.
[ 19] II re di Sicilia, sempre irresoluto
e timido nelle sue deliberazioni, come sono i piccoli tiranni, malgrado
l'organizzazione di un esercito di 80.000 uomini, incontrava difficoltà a
misurarsi co' francesi e violare di nuovo il trattato di pace. Ma la regina,
che spirava furore e strage, si propose in ogni conto di farlo decidere al
partito della guerra. Sicché spedì un messo all'imperatore, pregandolo di
mandare in rinforzo delle truppe napoletane almeno un corpo di ventimila
austriaci. Francesco II rispose che, non essendo quello il tempo proprio, si
doveva attendere la primavera. L'impaziente Carolina che voleva vedere in un
istante la distruzione de' francesi, e che si fidava ad un esercito quanto
numeroso, altrettanto indisciplinato e malcontento, pensò con Acton di
presentare all'imbecille re una lettera a nome dell'imperatore, che assicurava
il pronto invio delle sue truppe. Si eseguì dunque il disegno per mezzo di
Arriola, ed ebbe il suo effetto. Dietro la disfatta e dietro la fuga da Roma,
Ferdinando restò stupefatto di non aver veduto alcun movimento per parte de'
tedeschi. Altronde la regina temeva che non uscisse a giorno la trappola in cui
ella aveva tirato il credulo marito. Sicché pensò di distruggere quei ch'erano
a parte del segreto e che potevano svelarlo al re. Per sì fatto motivo, sotto
pretesto di giacobinismo, coll'efficacia di Pasquale di Simone, famosa spia,
fece trucidare il corriere del popolo, che lo trascinò per le strade della
città. Foggiò ad Arriola un'accusa di segreta intelligenza con Championnet,
mediante la quale costui venne posto in castello assieme con Carlo Gonzales,
uffiziale della sua segreteria che poscia fu esiliato nell'epoca della
capitolazione ed ora trovasi a Milano con moglie ed una piccola figlia. Dopo di
avere così compita l'opera dell'intrigo, dell'eccidio, del tradimento, Teodora
fuggì in Sicilia, dove non ha cessato di tenere la stessa condotta. E, per vie
più rendersi famosa, è andata in Toscana a fabbricare le armi della discordia e
della guerra civile; quindi a Vienna, per preparare un nuovo diluvio di mali, e
per sommergervi l'Europa intera. A buon conto, questa donna infernale imita
Caligola nel desiderare che tutto il genere umano avesse una sola testa per
poterla recidere.
[ 20] Il generale Pignatelli avea ricevuto
ordine dalla corte che, se i francesi si approssimavano alle porte di Napoli,
egli incendiasse l'arsenale, facesse scoppiare una mina sotto la città, e che
il castello S. Elmo la riducesse in cenere bombardandola. Pignatelli non ebbe
tempo ad eseguire tutte queste esecrabili scelleraggini. Fuggì in Palermo, dove
fu imprigionato per non aver eseguiti i comandi in tutta la loro estensione.
Ecco come i re sono nell'ordine morale ciò che i mostri sono nel fisico. Popoli
della terra! calcolate una volta i vostri interessi, facendo scomparire il
fascino dell'impostura, i prestigi dell'errore. Conoscete l'indole degli
assassini coronati, che in tempo di pace vi fanno una guerra di distruzione;
armate le vostre braccia del pugnale della rivolta; unitevi in un'immensa
assemblea, in seno di cui suonerete la generale per esterminare i felloni della
vostra sovranità.
[ 21] Sin dall'epoca in cui Bonaparte
sulla cima delle Alpi risvegliò gli assonnati spiriti italiani collo strepito
delle sue armi, pose a giorno i suoi disegni di sottrarre dal giogo queste
nostre contrade. Ecco i suoi proclami: «Sì, o soldati, voi avete fatto molto...
Ma non vi resta forse più nulla a fare? Si dirà di noi che abbiamo saputo
vincere, ma non profittare della vittoria? La posterità ci rimprovererà di aver
trovato Capua nella Lombardia?... Coloro che hanno aguzzati i pugnali della
guerra civile in Francia, che hanno vilmente assassinati i nostri ministri,
incendiati i nostri vascelli a Tolone, tremino. L'ora della vendetta è suonata.
Ma i popoli sieno senza inquietudine; noi siamo amici di tutt' i popoli, e
particolarmente de' discendenti da' Bruti, dagli Scipioni e dagli uomini grandi
che abbiamo presi per modelli. Ristabilire il Campidoglio, collocare onorevolmeme
le statue degli eroi che lo resero celebre; risvegliare il roman popolo
anneghittito da più secoli di schiavitù, tale sarà il frutto delle vostre
vittorie; esse faranno epoca nella posterità; voi avrete la gloria immortale di
cangiar l'aspetto della più bella parte dell'Europa. Popoli dell'Italia!
l'armata francese viene per rompere le vostre catene; il popolo francese è
l'amico di tutt' i popoli; venitegli incontro con piena confidenza... Noi
faremo la guerra da nemici generosi; noi non l'abbiamo che contro i tiranni che
vi tengono in schiavitù. BONAPARTE ». Se ne' preliminari di pace di Leoben il
vincitore degli alemanni non poté realizzare le sue vedute, se ne deve
incolpare il Direttorio, ch'era alla testa delle negoziazioni. Ora ch'egli
siede su' destini delle repubbliche, ed abbraccia nell'immensità de' suoi
pensieri il genere umano, sarà nel grado di dare alla Francia le palme della
vittoria innestate ad un'ottima costituzione politica; all'Europa il tanto
sospirato olivo della pace, all'Italia, ch'è la sua madre, i trofei
dell'indipendenza e della libertà. In tal guisa il di lui genio, superiore a'
Franklin ed a' Washington, meriterà la stima dell'universo ed acquisterà titoli
immortali alla gloria.
[ 22] Corrumpere et corrumpi saeculum
vocatur è da applicarsi alla nostra maniera di vivere passata e presente.