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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
I
Io
imprendo a scriver la storia di una rivoluzione che dovea formare la felicitá
di una nazione, e che intanto ha prodotta la sua ruina(1). Si vedrá in meno di un
anno un gran regno rovesciato, mentre minacciava conquistar tutta l'Italia;
un'armata di ottantamila uomini battuta, dissipata, distrutta da un pugno di
soldati; un re debole, consigliato da ministri vili, abbandonare i suoi Stati
senza verun pericolo; la libertá nascere e stabilirsi quando meno si sperava;
il fato istesso combattere per la buona causa, e gli errori degli uomini
distruggere l'opera del fato e far risorgere dal seno della libertá un nuovo
dispotismo e piú feroce.
Le
grandi rivoluzioni politiche occupano nella storia dell'uomo quel luogo istesso
che tengono i fenomeni straordinari nella storia della natura. Per molti secoli
le generazioni si succedono tranquillamente come i giorni dell'anno: esse non
hanno che i nomi diversi, e chi ne conosce una le conosce tutte. Un avvenimento
straordinario sembra dar loro una nuova vita; nuovi oggetti si presentano ai
nostri sguardi; ed in mezzo a quel disordine generale, che sembra voler
distruggere una nazione, si scoprono il suo carattere, i suoi costumi e le
leggi di quell'ordine, del quale prima si vedevano solamente gli effetti.
Ma
una catastrofe fisica è, per l'ordinario, piú esattamente osservata e piú
veracemente descritta di una catastrofe politica. La mente, in osservar questa,
segue sempre i moti irresistibili del cuore; e degli avvenimenti che piú
interessano il genere umano, invece di aversene la storia, non se ne ha per lo
piú che l'elogio o la satira. Troppo vicini ai fatti de' quali vogliam fare il
racconto, noi siamo oppressi dal loro numero istesso; non ne vediamo l'insieme;
ne ignoriamo le cagioni e gli effetti; non possiamo distinguere gli utili dagl'inutili,
i frivoli dagl'importanti, finché il tempo non li abbia separati l'uno
dall'altro, e, facendo cader nell'obblio ciò che non merita di esser
conservato, trasmetta alla posteritá solo ciò che è degno della memoria ed
utile all'istruzione di tutt'i secoli.
La
posteritá, che ci deve giudicare, scriverá la nostra storia. Ma, siccome a noi
spetta di prepararle il materiale de' fatti, cosí sia permesso di prevenirne il
giudizio. Senza pretendere di scriver la storia della rivoluzione di Napoli, mi
sia permesso trattenermi un momento sopra alcuni avvenimenti che in essa mi
sembrano piú importanti, ed indicare ciò che ne' medesimi vi sia da lodare, ciò
che vi sia da biasimare. La posteritá, esente da passioni, non è sempre libera
da pregiudizi in favor di colui che rimane ultimo vincitore; e le nostre azioni
potrebbero esser calunniate sol perché sono state infelici.
Dichiaro
che non sono addetto ad alcun partito, a meno che la ragione e l'umanitá non ne
abbiano uno. Narro le vicende della mia patria; racconto avvenimenti che io
stesso ho veduto e de' quali sono stato io stesso un giorno non ultima parte;
scrivo pei miei concittadini, che non debbo, che non posso, che non voglio
ingannare. Coloro i quali, colle piú pure intenzioni e col piú ardente zelo per
la buona causa, per mancanza di lumi o di coraggio l'han fatta rovinare; coloro
i quali o son morti gloriosamente o gemono tuttavia vittime del buon partito
oppresso, mi debbono perdonare se nemmen per amicizia offendo quella veritá che
deve esser sempre cara a chiunque ama la patria, e debbono esser lieti se, non
avendo potuto giovare ai posteri colle loro operazioni, possano almeno esser
utili cogli esempi de' loro errori e delle sventure loro.
Di qualunque partito io mi sia, di qualunque partito sia il lettore, sempre gioverá osservare come i falsi consigli, i capricci del momento, l'ambizione de' privati, la debolezza de' magistrati, l'ignoranza de' propri doveri e della propria nazione, sieno egualmente funesti alle repubbliche ed ai regni; ed i nostri posteri dagli esempi nostri vedranno che qualunque forza senza saviezza non fa che distrugger se stessa, e che non vi è vera saviezza senza quella virtú che tutto consacra al bene universale.
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(1) Questo libro fu scritto nell'anno 1800, e quindi si comprende facilmente di quale ruina si vuol parlare.