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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
IV
NAPOLI - REGINA
Rimaneva
il regno di Napoli; e forse, almen per quel tempo, i francesi non aveano né interesse
né forza né volontá di attaccarlo. Ma la parentela coi sovrani di Francia,
l'influenza preponderante del gabinetto inglese, il carattere della regina,
tutto contribuiva a fomentare nella corte di Napoli l'odio che fin da
principio, piú caldo che ogni altra corte di Europa, avea spiegato contro la
rivoluzione francese. La regina, nel viaggio che avea fatto per la Germania e
per l'Italia in occasione del matrimonio delle sue figlie, era stata la prima
motrice di quella lega che poi si vide scoppiare contro la Francia. La forza
costrinse la corte di Napoli a sottoscrivere una neutralitá, quando Latouche
venne con una squadra in faccia alla stessa capitale. Forse allora temette piú
di quel che dovea: se avesse prolungate per due altri giorni le trattative, la
stagione ed i venti avrebbero fatta vendetta di una flotta che troppo
imprudentemente si era avventurata entro un golfo pericoloso in una stagione
pericolosissima.
La
presa di Tolone fece rompere di nuovo la neutralitá. Al pari delle altre corti,
quella di Napoli inviò delle truppe a sostenere una sciagurata impresa piú
mercantile che guerriera, la quale, nel modo in cui fu immaginata e diretta,
potea esser utile solo agl'inglesi. Nella primavera seguente inviò due brigate
di cavalleria nella Cisalpina in soccorso dell'imperatore: esse si condussero
molto bene. Ma le vittorie di Bonaparte in Italia fecero ricadere la corte ne'
suoi timori, e si affrettò a conchiudere una pace nel tempo appunto in cui
l'imperatore avea maggior bisogno de' suoi aiuti; nel tempo in cui, non presa
ancora Mantova, non distrutte ancora tutte le forze imperiali in Italia,
poteva, facendo avanzar le sue truppe, produrre un potente e forse pericoloso
diversivo. Il governo francese ad una corte che non sapeva far la guerra seppe
vendere quella pace, che esso avrebbe dovuto e che forse era pronto a comprare.
Perché
si ebbe tanta paura della flotta di Latouche? Perché si credeva che in Napoli
vi fossero cinquantamila pronti a prender l'armi in di lui favore. Non vi era
nessuno, nessuno... Qual fu nella trattativa di questa pace il grande oggetto
del quale si occupò la corte di Napoli? La liberazione di circa duecento
scolaretti, che teneva arrestati nelle sue fortezze. Che non si fece, che non
si pagò per far sí che il Direttorio non insistesse, come allora era di moda,
per la liberazione de' “rei di opinione”? La regina non approvava quella pace,
e forse avea ragione; ma credette aver ottenuto molto, avendo ottenuto il
diritto di poter incrudelire inutilmente contro pochi giovinetti che conveniva
disprezzare... Non si perdano mai di vista questi fatti. La corte di Napoli non
sapeva né che temere né che sperare: come si poteva pretendere che agisse
saviamente?
La
corte di Napoli era la corte delle irresoluzioni, della viltá ed, in conseguenza,
delle perfidie. La regina ed il re eran concordi solo nell'odiare i francesi;
ma l'odio del re era indolente, quello della regina attivissimo: il primo si
sarebbe contentato di tenerli lontani, la seconda volea vederli distrutti. Ne'
momenti di pericolo, il re ascoltava i suoi timori e, piú de' timori, la sua
indolenza; al primo favore di fortuna, al primo raggio di nuove e liete
speranze, per cagione della stessa indolenza, abbandonava di nuovo gli affari
alla regina.
Acton
fomentava nel re un'indolenza che accresceva l'imperio suo e della regina; e
questa, per desiderio di comandare, non si avvedeva che Acton turbava tutte le
cose e spingeva ad inevitabile rovina il re, il Regno e lei stessa. La regina
era ambiziosa; ma l'ambizione è un vizio o una virtú, secondo le vie che
sceglie, secondo il bene o il male che produce. Ella venne la prima volta da
Germania col disegno d'invadere il trono, né si ristette finché, per mezzo
degl'intrighi e dell'ascendente che una colta educazione le dava sull'animo del
marito, non giunse a cangiar tutt'i rapporti interni ed esterni dello Stato.
Il
marchese Tanucci previde le funeste conseguenze del genio novatore della
giovine regina, e volle opporvisi fin da quel momento in cui pretese di aver
entrata e voto nel Consiglio di Stato. Era questa una novitá inudita nel regno
di Napoli, e molto piú nella famiglia di Borbone, ma la regina vinse e giurò
vendicarsi di Tanucci: né la sua etá, né il suo merito, né li suoi lunghi e
fedeli servizi poterono salvar questo vecchio amico di Carlo terzo ed aio, per
cosí dire, di suo figlio dalla umiliazione e dalla disgrazia.
Sotto
un re, debole inimico ed infedele amico, tutti compresero non esservi da
temere, non da sperare, se non dalla regina; e tutti furono a lei venduti. Ella
creò anche al di fuori nuovi sostegni all'impero.
Tutti
gl'interessi politici univano il regno di Napoli a quello di Francia e di
Spagna, e questi legami potevano formar la felicitá della nazione coi vantaggi
del commercio e della pace. Ma gl'interessi della nazione poteano bene essere
quelli del re, non mai però quelli della regina: ella volea nuovi rapporti
politici, che la sostenessero, se bisognasse, contro il re e, se fosse
possibile, anche contro la nazione. Noi diventammo ligi dell'Austria, potenza
lontana, dalla quale la nazione nostra nulla potea sperare e tutto dovea
temere; potenza, la quale, involta in continue guerre, ci strascinava ogni
momento a prender parte negl'interessi altrui, senza poter mai sperare di veder
difesi li nostri. La preponderanza che l'Austria andava acquistando sulle
nostre coste offese la Spagna; ma la regina, lungi dal temere il suo sdegno, lo
fomentò, lo spinse agli estremi, onde togliere al re ogni via di ravvedimento.
I
ministri del re doveano esser i favoriti della regina; ma questa sacrificava
sempre i suoi favoriti ai disegni suoi. L'ultimo è stato il piú fortunato di
tutti, non perché avesse piú merito, ma perché avea piú audacia degli altri, li
quali non combattevano con lui ad armi eguali, perché non si permettevano tutto
ciò ch'egli ardiva fare. Conservavano ancora costoro qualche vecchio sentimento
di giustizia, di amicizia, di pubblico bene: come contrastare con uno che tutto
sacrificava alla distruzione de' suoi nemici ed al favore della sua sovrana?(3).
Giovanni
Acton venne dalla Toscana, cioè da uno Stato che non avea marina, a crearne una
in Napoli. Avea due titoli, oltre un terzo che gli attribuisce la fama, a
meritare il favore della regina: era, tra' ministri del re, il solo straniero e
seppe prima degli altri comprendere che in Napoli la regina era
tutto ed il re era un nulla. Giunse nel tempo in cui ardevano piú che mai i
disgusti colla corte di Spagna. Sambuca, che allora era primo ministro, prese
il partito spagnuolo: fu male accorto e vile; perdette la grazia della regina e
poco dipoi, come era inevitabile, anche quella del re. Si vide per poco suo
successore Caracciolo: ma costui, rotto dagli anni e per natura portato
all'indolenza, in una corte ove non si voleva il bene né si soffriva il vero,
non fu che l'ombra di un gran nome e serví, senza saperlo o almeno senza
curarlo, a far risplendere Acton, che la regina voleva esaltare, ma che ancora
non poteva vincere la riputazione de' piú vecchi. La morte di Caracciolo diede
luogo finalmente ai suoi disegni: Acton fu posto alla testa degli affari, il
vecchio De Marco confinato ai minuti dettagli di casa reale, tutti gli altri
ministri non furono che creature di Acton. La sola parte d'ingegno, che Acton
veramente possedeva, era quella di conoscer gli uomini. Non vi era alcuno che
meglio di lui sapesse definire il carattere morale de' suoi favoriti. Riputava
Castelcicala vile e crudele nella sua viltá; Vanni entusiasta, ambizioso e
crudele per furore quanto lo era Castelcicala per riflessione; Simonetti e
Corradini ambedue uomini dabbene, ma il primo indolente, il secondo pedante, ed
incapaci ambedue di opporsi a lui. Si serví di Castelcicala fin da che era
ministro in Londra.
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(3) Il lungo favore, che costui ha goduto, potrebbe forse far credere a taluno ch'egli avesse qualche talento, almeno di corte… Non ne ha nessuno… non ha altro che la scelleraggine. Sarebbe mille volte caduto, se avesse avuto a fronte un altro scellerato.