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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
L
TALUNI
PATRIOTI
Dopo
la caduta della repubblica, Napoli non presentò che l'immagine dello squallore.
Tutto ciò che vi era di buono, di grande, d'industrioso, fu distrutto; ed
appena pochi avanzi de' suoi uomini illustri si possono contare, scampati quasi
per miracolo dal naufragio, erranti, senza famiglia e senza patria,
sull'immensa superficie della terra.
Si
può valutare a piú di ottanta milioni di ducati la perdita che la nazione ha
fatto in industrie; quasi altrettanto ha perduto in mobili, in argenti, in beni
confiscati: il prodotto di quattro secoli è stato distrutto in un momento. Si
son veduti de' monopolisti inglesi mercanteggiare i nostri capi d'opera di
pittura, che il saccheggio avea fatti passare dagli antichi proprietari nelle
mani del popolaccio, il quale non ne conosceva né il merito né il prezzo.
La
rovina della parte attiva della nazione ha strascinata seco la rovina della
nazione intera: tutto il popolo restò senza sussistenza, perché estinti furono
o dispersi coloro che ne mantenevano o che ne animavano l'industria; e gli
stessi controrivoluzionari piangono ora la perdita di coloro che essi stessi
hanno spinti a morte.
Aggiungete
a questi danni la perdita di tutt'i princípi, la corruzione di ogni costume,
funeste ed inevitabili conseguenze delle vicende di una rivoluzione; una corte
che da oggi in avanti riguarda la nazione come estranea e crede ritrovar nella
di lei miseria e nella di lei ignoranza la sicurezza sua; e l'uomo che pensa
vedrá con dolore una gran nazione respinta nel suo corso politico allo stato
infelice in cui era due secoli fa.
Salviamo
da tanta rovina taluni esempi di virtú: la memoria di coloro che abbiamo
perduti è l'unico bene che ci resta, è l'unico bene che possiamo trasmettere
alla posteritá. Vivono ancora le grandi anime di coloro che Speziale ha tentato
invano di distruggere; e vedranno con gioia i loro nomi, trasmessi da noi a
quella posteritá che essi tanto amavano, servir di sprone all'emulazione di
quella virtú che era l'unico oggetto de' loro voti.
Noi
abbiamo sofferti gravissimi mali; ma abbiam dati anche grandissimi esempi di
virtú. La giusta posteritá obblierá gli errori che, come uomini, han potuto
commettere coloro a cui la repubblica era affidata: tra essi però ricercherá
invano un vile, un traditore. Ecco ciò che si deve aspettare dall'uomo, ed ecco
ciò che forma la loro gloria.
In
faccia alla morte nessuno ha dato un segno di viltá. Tutti l'han guardata con
quell'istessa fronte con cui avrebbero condannati i giudici del loro destino.
Manthoné, interrogato da Speziale di ciò che avesse fatto nella repubblica, non
rispose altro che: - Ho capitolato. - Ad ogni interrogazione non dava altra
risposta. Gli fu detto che preparasse la sua difesa: - Se non basta la
capitolazione, arrossirei di ogni altra. -
Cirillo,
interrogato qual fosse la sua professione in tempo del re, rispose: - Medico. -
Nella repubblica? - Rappresentante del popolo. - Ma in faccia a me che sei? -
riprese Speziale, che pensava cosí avvilirlo(69). - In faccia a
te? Un eroe. -
Quando
fu annunziata a Vitagliani la sua sentenza, egli suonava la chitarra; continuò
a suonarla ed a cantare finché venne l'ora di avviarsi al suo destino. Uscendo
dalle carceri, disse al custode: - Ti raccomando i miei compagni: essi sono
uomini, e tu potresti esser infelice un giorno al pari di loro. -
Carlomagno,
montato giá sulla scala del patibolo, si rivolse al popolo e gli disse: -
Popolo stupido! tu godi adesso della mia morte. Verrá un giorno, e tu mi
piangerai: il mio sangue giá si rovescia sul vostro capo e, se voi avrete la
fortuna di non esser vivi, sul capo de' vostri figli. -
Granalè
dall'istesso luogo guardò la folla spettatrice: - Vi ci riconosco - disse -
molti miei amici: vendicatemi! -
Nicola
Palomba era giá sotto al patibolo: il commesso del fisco gli dice che ancora
era a tempo di rivelare de' complici. - Vile schiavo! - risponde Palomba - io
non ho saputo comprar mai la vita coll'infamia. -
-
Io ti manderò a morte - diceva Speziale a Velasco. - Tu?... Io morirò, ma tu non
mi ci manderai. - Cosí dicendo, misura coll'occhio l'altezza di una finestra
che era nella stanza del giudice, vi si slancia sotto i suoi occhi, e lascia lo
scellerato sbalordito alla vista di tanto coraggio ed indispettito per aver
perduto la vittima sua.
Ma,
se vi vuole del coraggio per darsi la morte, non se ne richiede uno minore per
non darsela, quando si è certo di averla da altri. A Baffa(70), giá certo del suo destino,
fu offerto dell'oppio. Egli lo ricusò; e, morendo, dimostrò che non l'avea ricusato
per viltá. Era egli, al pari di Socrate, persuaso che l'uomo sia posto in
questo mondo come un soldato in fazione e che sia delitto l'abbandonar la vita,
non altrimenti che lo sarebbe l'abbandonare il posto.
Questo
sangue freddo, tanto superiore allo stesso coraggio, giunse all'estremo nella
persona di Grimaldi. Era giá condannato a morte; era stato trattenuto dopo la
condanna piú di un mese tra' ferri; finalmente l'ora fatale arriva: di notte,
una compagnia di russi ed un'altra di soldati napolitani lo trasportano dalla
custodia al luogo dell'esecuzione. Egli ha il coraggio di svincolarsi dalle
guardie; si difende da tutti i soldati, si libera, si salva. La truppa lo
insiegue invano per quasi un miglio; né lo avrebbe al certo raggiunto, se,
invece di fuggire, non avesse creduto miglior consiglio nascondersi in una
casa, di cui trovò la porta aperta. La notte era oscura e tempestosa; un lampo
lo tradí e lo scoperse ad un soldato, che l'inseguiva da lontano. Fu raggiunto.
Disarmò due soldati, si difese, né lo potettero prendere se non quando, per
tante ferite, era giá caduto semivivo.
Quante
perdite dovrá piangere, e per lungo tempo, la nostra nazione! Io vorrei poter
rendere ai nomi di tutti quell'onore che meritano, e spargere sul loro cenere
quei fiori che forse chi sa se essi avranno giammai! Ma chi potrebbe
rammentarli tutti?
Io
non posso render a tutti quella giustizia che meritano, tra perché non ho
potuto sapere tutto ciò ch'è avvenuto ne' diversi luoghi del Regno, tra perché
nella mia emigrazione non ho avuta altra guida che la mia memoria, la quale non
ha potuto tutto ritenere. Mi sia perciò permesso trattenermi un momento sopra
taluni piú noti.
Caracciolo Francesco. Era, senza contraddizione, uno de' primi geni che
avesse l'Europa. La nazione lo stimava, il re lo amava; ma che poteva il re?
Egli fu invidiato da Acton, odiato dalla regina, e perciò sempre perseguitato.
Non vi fu alcuna specie di mortificazione a cui Acton non lo avesse
assoggettato; si vide ogni giorno posposto... Caracciolo era uno di quei pochi
che al piú gran genio riuniva la piú pura virtú. Chi piú di lui amava la
patria? Che non avrebbe fatto per lei? Diceva che la nazione napolitana era
fatta dalla natura per avere una gran marina, e che questa si avrebbe potuto
far sorgere in pochissimo tempo; avea in grandissima stima i nostri marinari.
Egli morí vittima dell'antica gelosia di Thurn e della viltá di Nelson...
Quando gli fu annunziata la morte, egli passeggiava sul cassero, ragionando
della costruzione di un legno inglese che era dirimpetto, e proseguí
tranquillamente il suo ragionamento. Intanto un marinaro avea avuto l'ordine di
preparargli il capestro: la pietá glielo impediva... Egli piangeva sulla sorte
di quel generale, sotto i di cui ordini aveva tante volte militato. - Sbrigati
- gli disse Caracciolo: - è ben grazioso che, mentre io debbo morire, tu debbi
piangere. - Si vide Caracciolo sospeso come un infame all'antenna della fregata
“Minerva”; il suo cadavere fu gittato in mare. Il re era ad Ischia, e venne nel
giorno susseguente, stabilendo la sua dimora nel vascello dell'ammiraglio
Nelson. Dopo due giorni il cadavere di Caracciolo apparve sotto il vascello,
sotto gli occhi del re... Fu raccolto dai marinari, che tanto l'amavano, e gli
furono resi gli ultimi offici nella chiesa di Santa Lucia, che era prossima
alla sua abitazione; offici tanto piú pomposi quantoché senza fasto veruno e
quasi a dispetto di chi allora poteva tutto, furono accompagnati dalle lagrime
sincere di tutt'i poveri abitanti di quel quartiere, che lo riguardavano come
il loro amico ed il loro padre.
Simile
a Caracciolo era Ettore Carafa.
Quest'eroe, unitamente al suo bravo aiutante Ginevra, sostenne Pescara anche
dopo le capitolazioni di Capua, Gaeta e Sant'Elmo. Caduto nelle mani di
Speziale, mostrògli qual fosse il suo coraggio, ed andò a morte con
intrepidezza e disinvoltura.
Cirillo Domenico. Era uno de' primi tra i
medici di una cittá ove la medicina era benissimo intesa e coltivata; ma la
medicina formava la minor parte delle sue cognizioni, e le sue cognizioni
formavano la minor parte del suo merito. Chi può lodare abbastanza la sua
morale? Dotato di molti beni di fortuna, con un nome superiore all'invidia,
amico della tranquillitá e della pace, senza veruna ambizione, Cirillo è uno di
quei pochi, pochi sempre, pochi in ogni luogo, che in mezzo ad una rivoluzione
non amano che il bene pubblico. Non è questo il piú sublime elogio che si possa
formare di un cittadino e di un uomo? Io era seco lui nelle carceri; Hamilton e
lo stesso Nelson, a' quali avea piú volte prestato i soccorsi della sua
scienza, volevano salvarlo. Egli ricusò una grazia che gli sarebbe
costata una viltá.
Conforti Francesco. Si è giá detto il tratto
di perfidia che gli usò Speziale. A questo si aggiunga che Conforti in tutto il
corso della sua vita avea reso de' servigi importanti alla corte; avea difesi i
diritti della sovranitá contro le pretensioni di Roma; avea fissati i nuovi
princípi per i beni ecclesiastici, princípi che riportavano la ricchezza nello
Stato e la felicitá nella nazione; molte utili riforme erano nate per suo
consiglio; la corte per sua opera avea rivendicati piú di cinquanta milioni di
ducati in fondi... Conforti era il Giannone, era il Sarpi della nostra etá; ma
avea fatto piú di essi, istruendo dalla cattedra e formando, per cosí dire, una
gioventú nuova. Pochi sono i napolitani che sanno leggere, che non lo abbiano
avuto a maestro. E quest'uomo, senza verun delitto, si mandò a morire! Egli
riuniva eminentemente tutto ciò che formava l'uomo di lettere e l'uomo di
Stato.
Pagano Francesco Mario. Il suo nome vale un
elogio. Il suo Processo criminale
è tradotto in tutte le lingue, ed è ancora uno delli migliori libri che si
abbia su tale oggetto. Nella carriera sublime della storia eterna del genere
umano voi non rinvenite che l'orme di Pagano, che vi possano servir di guida
per raggiugnere i voli di Vico.
Pimentel Eleonora Fonseca. “Audet viris concurrere virgo”. Ma essa si
spinse nella rivoluzione, come Camilla nella guerra, per solo amor della
patria. Giovinetta ancora, questa donna avea meritata l'approvazione di
Metastasio per i suoi versi. Ma la poesia formava una piccola parte delle tante
cognizioni che l'adornavano. Nell'epoca della repubblica scrisse il Monitore napolitano, da cui spira il piú
puro ed il piú ardente amor di patria. Questo foglio le costò la vita, ed essa
affrontò la morte con un'indifferenza eguale al suo coraggio. Prima di avviarsi
al patibolo, volle bevere il caffè, e le sue parole furono: - “Forsan haec olim meminisse iuvabit”. -
Russo Vincenzio. È impossibile spinger piú
avanti di quello che egli lo spinse l'amore della patria e della virtú. La sua
opera de' Pensieri politici è una
delle piú forti che si possano leggere. Egli ne preparava una seconda edizione,
e l'avrebbe resa anche migliore, rendendola piú moderata. La sua eloquenza
popolare era sublime, straordinaria... Egli tuonava, fulminava: nulla poteva
resistere alla forza delle sue parole... Sarebbe stato utile che si fossero
raccolte delle memorie sulla sua condotta nel carcere. Egli fu sempre un eroe.
Giunto al luogo del supplizio, parlò lungamente con un tuono di voce e con un
calore di sentimento, il quale ben mostrava che la morte potea distruggerlo,
non mai però il suo aspetto poteva avvilirlo. Quasi cinque mesi dopo, ho inteso
raccontarmi il suo discorso dagli uffiziali che vi assistevano, con quella
forte impressione che gli spiriti sublimi lascian perpetua in noi, e con quella
specie di dispetto con cui gli spiriti vili risentono le irresistibili
impressioni degli spiriti troppo sublimi... Oh! se la tua ombra si aggira
ancora intorno a coloro che ti furono cari, rimira me, fin dalla piú tenera
nostra adolescenza tuo amico, che piango, non te (a te che servirebbe il
pianto?), ma la patria per cui inutilmente tu sei morto.
Federici Francesco. Era maresciallo in tempo
del re; fu generale in tempo della repubblica. Il ministro di guerra lo rese
inutile, mentre avrebbe potuto esser utilissimo. La stessa ragione lo avea reso
inutile in tempo del re. Egli sapeva profondamente l'arte della guerra; ma
insieme coll'arte della guerra egli sapeva mille altre cose, che per lo piú
ignorano coloro che sanno l'arte della guerra. Il suo coraggio nel punto della
morte fu sorprendente.
Scotti Marcello. È difficile immaginare un
cuore piú evangelico. Egli era l'autore del Catechismo
nautico, opera destinata all'istruzione de' marinai dell'isola di
Procida, sua patria, che meriterebbe di esser universale. Nella disputa sulla
“chinea” scrisse, sebben senza suo nome, l'opera della Monarchia papale, di cui non si era veduta
l'eguale dopo Sarpi e Giannone. Nella repubblica fu rappresentante. Morí
vittima dell'invidia di taluni suoi compatrioti.
Parlando di Scotti, la mia memoria mi rammenta il virtuoso vescovo di Vico, il rispettabile prelato Troise, e chi no? Figli della patria! La vostra memoria è cara, perché è la memoria della virtú. Verrá, spero, quel giorno in cui, nel luogo istesso nobilitato dal vostro martirio, la posteritá, piú giusta, vi potrá dare quelle lodi che ora sono costretto a chiudere nel profondo del cuore e, piú felice, vi potrá elevare un monumento piú durevole della debole mia voce(71).
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(69) È da osservarsi che Speziale non risparmiava nessuno de' piú vili epiteti del trivio e del bordello.
(70) Baffa era uno de' piú eruditi uomini d'Italia, era uno de' primi per l'erudizione greca.
(71) Per riunire sotto un colpo di occhio tutto il male che in Napoli ha prodotta la controrivoluzione, basterá fare il seguente calcolo: Ettore Carafa, Giovanni Riari, Giuliano Colonna, Serra, Torella, Caracciolo, Ferdinando e Mario Pignatelli di Strongoli, Pignatelli Vaglio, Pignatelli Marsico son della prima nobiltá d'Italia; e venti altre famiglie nobili al pari di queste sono state quasiché distrutte. Tra le altre non vi è chi non pianga una perdita. La rivoluzione conta trenta in quaranta vescovi, altri venti in trenta magistrati rispettabili per il loro grado e piú per il loro merito, molti avvocati di primo ordine ed infiniti uomini di lettere. A quelli che abbiamo nominati si possono aggiugnere, tra' morti, Falconieri, Logoteta, Albanese, De Filippis, Fiorentino, Ciaia, Bagni, Neri... La professione medica pare che sia stata presa di mira dalla persecuzione controrivoluzionaria. Sará un giorno oggetto di ammirazione per la posteritá l'ardore che i nostri medici aveano sviluppato per la buona causa. I giovani medici del grande ospedale degl'Incurabili formavano il “battaglione sacro” della nostra repubblica. Io non parlo che della capitale. Eguale e forse anche piú feroce è stata la distruzione che gli emissari della Giunta, sotto nome di “visitatori”, han fatta nelle provincie. Si possono calcolare a quattromila coloro che sono morti per furore degl'insorgenti, come l'infelice Serao vescovo di Potenza, uomo rispettabile per la sua dottrina e per lo suo costume; il giovine Spinelli di San Giorgio... Tutti gli altri erano egualmente i migliori della nazione. Dopo ciò, si calcoli il danno. La nazione potrá rimpiazzar gli uomini, ma non la coltura. Ed è forse esagerata l'espressione di esser essa retroceduta di due secoli?