Vincenzo Cuoco

SAGGIO STORICO

SULLA

RIVOLUZIONE DI NAPOLI

 

LI

 

CONCLUSIONE

 

Il re, strascinato da' falsi consigli, produsse la rovina della nazione. I suoi ministri o non amavano o non curavano la nazione: dovea perciò perdersi, e si perdette. I repubblicani, colle piú pure intenzioni, col piú caldo amor della patria, non mancando di coraggio, perdettero loro stessi e la repubblica, e caddero colla patria, vittime di quell'ordine di cose, a cui tentarono di resistere, ma a cui nulla piú si poteva fare che cedere.

Una rivoluzione ritardata o respinta è un male gravissimo, da cui l'umanitá non si libera se non quando le sue idee tornano di nuovo al livello coi governi suoi; e quindi i governi diventano piú umani, perché piú sicuri; l'umanitá piú libera, perché piú tranquilla; piú industriosa e piú felice, perché non deve consumar le sue forze a lottare contro il governo. Ma talora passano de' secoli e si soffre la barbarie, prima che questi tempi ritornino; ed il genere umano non passa ad un nuovo ordine di beni se non a traverso degli estremi de' mali.

Quale sará il destino di Napoli, dell'Italia, dell'Europa? Io non lo so: una notte profonda circonda e ricopre tutto di un'ombra impenetrabile. Sembra che il destino non sia ancora propizio per la libertá italiana; ma sembra dall'altra parte che egli, col nuovo miglior ordine di cose, non ne tolga ancora le speranze, e fa che gli stessi re travaglino a preparar quell'opera che con infelice successo hanno tentata i repubblicani. Forse la corte di Napoli, spingendo le cose all'estremo, per desiderio smoderato di conservare il Regno, lo perderá di nuovo; e noi, come della prima è avvenuto, dovremo alla corte anche la seconda rivoluzione, la quale sará piú felice, perché desiderata e conseguíta dalla nazione intera per suo bisogno e non per solo altrui dono.

Queste cose io scriveva sul cader del 1799, e gli avvenimenti posteriori le hanno confermate. La corte di Napoli ha prodotto un nuovo cangiamento politico; e questo, diretto da altre massime, può produrre nel Regno quella felicitá che si sperò invano dal primo.

Dal 1800 fino al 1806 abbiamo veduto la corte di Napoli seguir sempre quelle stesse massime dalle quali tanti mali eran nati; la Francia, al contrario, cangiar quegli ordini, da' quali, siccome da ordini irregolarissimi, nessun bene e nessuna durevolezza di bene poteva sperarsi; e si può dire che alla nuova felicitá, che il gran Napoleone ora ci ha data, abbiano egualmente contribuito e l'ostinazione della corte di Napoli ed il cangiamento avvenuto nella Francia.

Per effetto della prima gli stessi errori han confermata ed accresciuta la debolezza del Regno: nell'interno lo stesso languor di amministrazione, la stessa negligenza nella milizia, la stessa inconseguenza ne' piani, diffidenza tra il governo e la nazione, animositá, spirito di partito piú che ragione; nell'esterno la stessa debolezza, la stessa audacia nelle speranze e timiditá nelle imprese, la stessa malafede: non si è saputo né evitar la guerra né condurla; si è suscitata, e si è rimasto perdente.

Per effetto del secondo, nella Francia gli ordini pubblici sono divenuti piú regolari: i diversi poteri piú concordi tra loro: il massimo tra essi piú stabile, piú sicuro; perciò meno intento a vincer gli altri che a dirigerli tutti al bene della patria: le idee si sono messe al livello con quelle di tutte le altre nazioni dell'Europa; perciò minore esagerazione nelle promesse, animositá minore ne' partiti, facilitá maggiore dopo la vittoria di stabilire presso gli altri popoli un nuovo ordine di cose: il potere piú concentrato; onde meno disordine e piú concerto nelle operazioni de' comandanti militari, abuso minore nell'esercizio de' poteri inferiori, maggiore prudenza, perché comune a tutti e dipendente dalla stessa natura comune degli ordini e non dalla natura particolare degl'individui: al sistema di democratizzazione sostituito quello di federazione, il quale assicura la pace, che è sempre per i popoli il maggiore de' beni; e che finalmente ha procurati all'Italia tutti que' vantaggi che non poteva avere col sistema precedente, secondo il quale si voleva amica e si temeva rivale; onde, non formando mai in essa uno Stato forte ed indipendente, andava a distruggersi interamente: e finalmente, oltre tutti questi beni, il dono grandissimo di un re che tutta l'Europa venerava per la sua mente e pel suo cuore.

Me felice, se la lettura di questo libro potrá convincere un solo de' miei lettori che lo spirito di partito nel cittadino è un delitto, nel governo una stoltezza; che la sorte degli Stati dipende da leggi certe, immutabili, eterne, e che queste leggi impongono ai cittadini l'amor della patria, ai governi la giustizia e l'attivitá nell'amministrazione interna, il valore, la prudenza, la fede nell'esterna; che alla felicitá de' popoli sono piú necessari gli ordini che gli uomini; e che noi, dopo replicate vicende, siamo giunti ad avere al tempo istesso ordini buoni ed un ottimo re; e che la memoria del passato deve esser per ogni uomo, che non odia la patria e se stesso, il piú forte stimolo per amare il presente.

 

 

 

 

 

 

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