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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XII
Continuazione.
La
guerra fu risoluta. Si pubblica un proclama, col quale il re di Napoli, con
equivoche parole, dichiara che egli voleva conservar l'amicizia che aveva colla
repubblica francese, ma che si credeva oltraggiato per l'occupazione di Malta,
isola che apparteneva al regno di Sicilia, e non poteva soffrire che fossero
invase le terre del papa, che amava come suo antico alleato e rispettava come
capo della Chiesa; che avrebbe fatto marciare il suo esercito per restituire il
territorio romano al legittimo
sovrano (si lascia in dubbio se questo sovrano fosse o no il papa); ed invita
qualunque forza armata a ritirarsi dal territorio romano, perché, in altro
caso, se le sarebbe dichiarata la guerra. Simile proclama non si era veduto in
nessun secolo della diplomazia, a meno che i romani non ne avessero formato
uno, allorché ordinarono agli altri greci di non molestar gli acarnanii, perché
tra i popoli della Grecia erano stati i soli che non avevano inviate truppe
all'assedio di Troia.
Questo
proclama fu pubblicato a' 21 novembre. A' 22 tutto l'esercito partí e, diviso
in sette colonne, per sette punti diversi entrò nel territorio romano. Le
colonne che mossero da San Germano e da Gaeta si avanzarono rapidissimamente.
Né la stagione dirottamente piovosa, né i fiumi che s'incontrarono pel cammino,
né la difficoltá de' trasporti di artiglieria e viveri in cammini impraticabili
per profondissimo fango, fecero arrestar gli ordini di Mack. Egli non faceva
che correre: si lasciava indietro l'artiglieria, cominciavano a mancare i
viveri, il soldato era privo di tutto, avea bisogno di riposo; e Mack correva.
Le colonne di Micheroux e di Sanfilippo erano state giá battute negli Apruzzi.
La voce pubblica di questo rovescio incolpò i generali; ma è certo che
posteriormente la condotta di Micheroux è stata esaminata da un Consiglio di
guerra ed è stata trovata irreprensibile. Di Sanfilippo non sappiamo nulla. Ma
la voce pubblica in questi casi non merita mai intera fede, perché il popolo
giudica per l'ordinario dall'esito e spesso dá piú lode e piú biasimo di quello
che taluno merita. Mack, il quale non avea pensato mai a stabilire una ferma
comunicazione tra i diversi corpi del suo esercito ed un concerto tra le varie
loro operazioni, non seppe se non tardi un avvenimento il quale dovea cangiar
tutto il suo piano, ed intanto continuava a correre. Giunse a' 27 di novembre
in Roma. S'impiegarono cinque giorni in un cammino che ne avrebbe richiesto
quindici. Non si concessero che cinque ore di riposo sotto le armi alla truppa,
e fu costretta di nuovo a correre a Civita Castellana. Per la strada i viveri
mancarono del tutto: i provvisionieri dell'esercito chiedevano invano a Mack
ove dovessero inviarli; gli ordini del generale erano tanto rapidi, che, mentre
si eseguiva il primo, si era giá dato il secondo, il terzo, il quarto, il
quinto; i viveri si perdevano inutili per le strade, ed i soldati e i cavalli
intanto morivano di fame. Quando giunsero a Civita Castellana, i nostri da tre
giorni non avean veduto pane. Essi erano nell'assoluta impossibilitá di poter
reggere a fronte di un nemico fresco, che conosceva il luogo e che distrusse il
nostro esercito, raggirandolo qua e lá per siti ove il maggior numero era
inutile.
Mack
non seppe ispirar coraggio ad una truppa nuova, esercitandola con piccole
scaramucce contro i piccoli corpi nemici che incontrò da Terracina a Roma e
che, messi per insensato consiglio in libertá, produssero due mali gravissimi:
il primo de' quali fu quello di non avvezzare le truppe sue alla vittoria
quando questa era facile e sicura; il secondo, di accrescer il numero de'
nemici nel momento delle grandi e pericolose azioni. Non seppe Mack far battere
due colonne nello stesso tempo: furon tutte disfatte in dettaglio. Mack
ignorava i luoghi dove si trovava e, sull'orlo del precipizio, credeva e faceva
credere al re che le cose andavano prospere. Per la resistenza che i francesi
avean fatta all'esercito del re delle Due Sicilie, costui dichiarò loro la
guerra a' 7 dicembre, cioè quando la guerra per le disfatte ricevute era giá
terminata, e dovea pensarsi alla pace. Dopo due altri giorni, tutto l'esercito
fu in rotta, e Mack non trovò altra risorsa che correre indietro, come prima avea
corso in avanti. In meno di un mese, Ferdinando partí, corse, arrivò, conquistò
il regno altrui, perdette uno de' suoi e, poco sicuro dell'altro, fu quasi sul
punto di fuggire fino al terzo suo regno di Gerusalemme per ritrovare un asilo.
Io
non sono un uomo di guerra: gli altri leggeranno la storia di tali avvenimenti
nelle Memorie di Bonamy ed in
quelle del nostro Pignatelli, che vide i fatti e che era capace di giudicarne.
Mack ha pubblicato anch'egli la sua Memoria.
Egli calunnia la nazione e l'esercito. Ma l'esercito, alla testa del quale fu
battuto, non era quello stesso esercito col quale, mentre taluno lo consigliava
a procedere piú adagio, egli avea detto di voler conquistare l'Italia in
quindici giorni?(23).
Quest'uomo,
che un momento prima sfidava tutte le potenze della terra, al primo rovescio
perdette tutto il suo genio. Sebbene battuto, pure conservava tuttavia forze
infinitamente superiori; e, se non poteva vincere, poteva almeno resistere:
cogli avanzi del suo esercito poteva fermarsi a Velletri oppure al Garigliano,
ove potea per lungo tempo contendere il passo: potea salvar Gaeta e salvare il
Regno. Ma egli, che nella sua fortuna non avea fatto altro che correre, nella
disgrazia non seppe far altro che fuggire; né si fermò se non giunse a Capua,
dove pensava difendersi e dove non si trattenne che un momento.
Capua
si poteva facilmente difendere e di lá forse si potea con migliori auspíci
ritentar di nuovo la sorte delle armi. Ad un proclama che si pubblicò per la
leva in massa, tutto il Regno fu sulle armi. Gli apruzzesi si opposero alla
divisione di Rusca e, se non riuscirono ad impedirgli il passo, fecero però sí
che gli costasse molto caro. Tra le montagne impraticabili della provincia
dell'Aquila non si pervenne mai ad estinguere l'insorgenza, e la stessa
capitale della provincia non fu che per pochi giorni in poter de' francesi,
ridotti a doversi difendere entro il castello. L'altra divisione, che venne per
Terracina e Gaeta, si avanzò fino a Capua, ma non potette impedire
l'insorgenza, che era scoppiata ad Itri e Castelforte; e gl'insorgenti, che
cedettero per poco le pianure, si rifuggirono nelle loro montagne, donde
tornarono poco dopo ad infestare la coda dell'esercito francese, che vide rotta
ogni comunicazione coll'alta Italia. Un corpo di truppe difendeva con valore e
con felice successo il passo di Caiazzo. Capua avea quasi dodicimila uomini di
guarnigione. Tutti gli abitanti delle contrade di Nola e di Caserta eransi
levati in massa, ed eravi ancora un corpo di truppe intatto comandato da Gams.
Io
dirò cosa che ai posteri sembrerá inverosimile, ma che intanto mi è stata
giurata da quasi tutt'i capuani. Se Capua non fu presa per sorpresa non fu
merito di Mack, ma di un semplice tamburo o cannoniere che fosse stato, il
quale di proprio movimento die' fuoco ad un cannone de' posti avanzati verso
San Giuseppe e fece sí che i francesi si arrestassero. Mack certamente non avea
data alcuna disposizione di difesa.
Io lo ripeto: non sono uomo di guerra, né imprendo ad esaminar ad una
ad una le operazioni e gli accidenti della campagna. Ma io credo che gli
accidenti debbano mettersi a calcolo e che la somma finale dell'esito dipenda
meno dagli accidenti che dal piano generale. Mack peccò naturalmente nell'estender
troppo la linea delle sue operazioni, talché il minimo urto dell'inimico gliela
ruppe. Ebbe piú cura dell'inimico che gli stava a fronte che di quello che gli
stava sui fianchi, mentre forse questo era sempre piú terribile di quello;
quindi è che egli si avanzò sempre rapidissimamente, e questa stessa rapiditá,
che alcuni chiaman vittoria, fu la cagione principale delle sue inopinate
irreparabili disfatte. Battuto in un punto, Mack fu battuto in tutta la linea,
perché tutta la linea gli fu rotta. Quando Mack preparava un piano tanto vasto
per combattere un inimico debolissimo, molti dissero che Mack era un gran
generale, perché molti sono quelli che misurano la grandezza di una mente dalla
grandezza delle forze che move: io dissi che era poco savio, perché la saviezza
consiste nel produrre il massimo effetto col minimo delle forze. Mack è un
generale da brillare in un gabinetto, perché in un gabinetto appunto, e prima
dell'azione, predomina nelle menti del maggior numero l'errore di confonder la
grandezza della macchina colla grandezza dell'artefice. Non manca Mack di
quelle cognizioni teoretiche della scienza militare che impongono tanto
facilmente al maggior numero. È sicuro di ottenere in suo favore la pluralitá
de' voti un generale il quale vi parli sempre di matematica, geografia, storia,
che vi rammenta i nomi antichi di tutt'i sciti, vi enumera tutte le grandi
battaglie che gli hanno illustrati ed, a confermar ogni evoluzione che gli vien
fatta d'immaginare, vi adduce l'esempio di Eugenio, di Montecuccoli, di Cesare,
di Annibale e di Scipione. Il buon senso per altro pare che ci dovrebbe indurre
a diffidare dei piani di campagna troppo eruditi: essi per necessitá son troppo
noti anche all'inimico, ed in conseguenza inutili. Tutto il vero segreto della
guerra, dice Macchiavelli, consiste in due cose: fare tutto ciò che l'inimico
non può sospettar che tu faccia, lasciargli fare tutto ciò che tu hai previsto
che egli voglia fare: col primo precetto renderai inutile ogni sua difesa, col
secondo ogni offesa. Questi capitani soverchiamente sistematici hanno anche un
altro difetto, ed è quello di dar un nesso, una concatenazione troppo stretta
alle loro idee: si mandano il loro piano a memoria e, se avviene che una volta
la fortuna della guerra lo tocchi, rassomigliano i fanciulli che han perduto il
filo della loro lezione e son costretti ad arrestarsi. Vuoi conoscere a segni
infallibili uno di questi capitani? Soffre pochissimo la contraddizione ed i
consigli altrui: il criterio della veritá è per lui, non giá la concordanza tra
le sue idee e le cose, ma bensí tra le sue idee medesime. Prima dell'azione
sono audacissimi, timidissimi dopo l'azione: audacissimi, perché non pensano
che le cose possan esser diverse dalle idee loro; timidissimi, perché, non
avendo prevista questa diversitá, non vi si trovan preparati. Affettano ne'
loro discorsi estrema esattezza; ma questa è inesattissima, perché trascurano
tutte le differenze che esistono nella natura. Numerano gli uomini e non li
valutano: piú che nell'uomo confidan nell'esercito, piú che nella virtú
dell'animo confidano in quella del corpo e piú che nel valore confidan nella
tattica. Questi duci piú potenti in parole che in opere prevalgon sempre, per
disgrazia delle nazioni, o quando gli ordini militari di uno Stato sono tali
che tutta l'esecuzione di una guerra dipenda da un'assemblea e da un Consiglio,
o quando coloro che reggono la somma delle cose non sono esenti da ogni spirito
di partito; e questo non è certamente il minore de' mali che lo spirito di partito
e gli ordini mal congegnati soglion produrre.
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(23) Mack, per salvar la sua fama, calunnia la nazione. Bonamy sembra piú inclinato a render giustizia a Mack che alla nazione, perché non conosceva questa ed era suo interesse, dopo la vittoria, lodare il generale vinto. Pare che Pignatelli, conoscendo egualmente e la nazione ed il generale, renda a ciascuno quella giustizia che si compete.