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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XIX
QUANTE
ERANO LE IDEE DELLA NAZIONE?
Il
male, che producono le idee troppo astratte di libertá, è quello di toglierla
mentre la vogliono stabilire. La libertá è un bene, perché produce molti altri
beni, quali sono la sicurezza, l'agiata sussistenza, la popolazione, la
moderazione dei tributi, l'accrescimento dell'industria e tanti altri beni
sensibili; ed il popolo, perché ama tali beni, viene poi ad amare la libertá.
Un uomo, il quale, senza procurare ad un popolo tali vantaggi, venisse a
comandargli di amare la libertá, rassomiglierebbe l'Alcibiade di Marmontel, il
quale voleva esser amato “per se stesso”.
La
nazione napolitana bramava veder riordinate le finanze, piú incomode per la
cattiva distribuzione che per la gravezza de' tributi; terminate le dissensioni
che nascevan dalla feudalitá, dissensioni che tenevano la nazione in uno stato
di guerra civile; divise piú equamente le immense terre che trovavansi
accumulate nelle mani degli ecclesiastici e del fisco. Questo era il voto di
tutti: quest'uso fecero della loro libertá quelle popolazioni, che da per loro
stesse si democratizzarono, e dove o non pervennero o sol pervennero tardi gli
agenti del governo e de' francesi.
Molte
popolazioni si divisero i terreni, che prima appartenevano alle “cacce regie”(32). Molti si revindicarono le
terre litigiose del feudo. Ma io non ho cognizione di tutti gli avvenimenti, né
importerebbe ripeterli, essendo tutti gli stessi. In Picerno, appena il popolo
intese l'arrivo de' francesi, corse, seguendo il suo paroco, alla chiesa a
render grazie al “Dio d'Israele, che avea visitato e redento il suo popolo”.
Dalla chiesa passò ad unirsi in parlamento, ed il primo atto della sua libertá
fu quello di chieder conto dell'uso che per sei anni si era fatto del pubblico
danaro. Non tumulti, non massacri, non violenze accompagnarono la revindica de'
suoi diritti: chi fu presente a quell'adunanza udí con piacere ed ammirazione
rispondersi dal maggior numero a taluno, che proponeva mezzi violenti: - Non
conviene a noi, che ci lagniamo dell'ingiustizia degli altri, il darne
l'esempio. - Il secondo uso della libertá fu di rivendicare le usurpazioni del
feudatario. E quale fu il terzo? Quello di far prodigi per la libertá istessa,
quello di battersi fino a che ebbero munizioni, e, quando non ebbero piú
munizioni, per aver del piombo, risolvettero in parlamento di fondersi tutti
gli organi delle chiese... - I nostri santi - si disse - non ne hanno bisogno.
- Si liquefecero tutti gli utensili domestici, finanche gl'istrumenti piú
necessari della medicina; le femmine, travestite da uomini onde imporre al
nemico, si batterono in modo da ingannarlo piú col loro valore che colle vesti
loro.
Non
son questi gli estremi dell'amore della libertá? Ed a questo stesso segno molte
altre popolazioni pervennero; e pervenute vi sarebbero tutte, poiché tutte
aveano le stesse idee, i bisogni medesimi ed i medesimi desidèri.
Ma,
mentre tutti avean tali desidèri, moltissimi desideravano anche delle utili
riforme, che avessero risvegliata l'attivitá della nazione, che avessero tolto
l'ozio de' frati, l'incertezza delle proprietá, che avessero assicurata e
protetta l'agricoltura, il commercio; e questi formavano quella classe che
presso di tutte le nazioni è intermedia tra il popolo e la nobiltá. Questa
classe, se non è potente quanto la nobiltá e numerosa quanto il popolo, è però
dappertutto sempre la piú sensata. La libertá delle opinioni, l'abolizione de'
culti, l'esenzione dai pregiudizi era chiesta da pochissimi, perché a
pochissimi interessava. Quest'ultima riforma dovea seguire la libertá giá
stabilita; ma, per fondarla, si richiedeva la forza, e questa non si potea
ottenere se non seguendo le idee del maggior numero. Ma si rovesciò l'ordine, e
si volle guadagnar gli animi di molti, presentando loro quelle idee che erano
idee di pochi.
Che
sperare da quel linguaggio che si teneva in tutt'i proclami diretti al nostro
popolo? “Finalmente siete liberi”... Il popolo non sapeva ancora cosa fosse
libertá: essa è un sentimento e non un'idea; si fa provare coi fatti, non si
dimostra colle parole. “Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema”... Era
obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicitá?
“L'uomo riacquista tutt'i suoi diritti”... E quali? “Avrete un governo libero e
giusto, fondato sopra i princípi dell'uguaglianza; gl'impieghi non saranno il
patrimonio esclusivo de' nobili e de' ricchi, ma la ricompensa de' talenti e
della virtú”... Potente motivo per il popolo, il quale non si picca né di virtú
né di talenti, vuol esser ben governato, e non ambisce cariche! “Un santo
entusiasmo si manifesti in tutt'i luoghi, le bandiere tricolori s'innalzino,
gli alberi si piantino, le municipalitá, le guardie civiche si organizzino”...
Qual gruppo d'idee che il popolo o non intende o non cura! “I destini d'Italia
debbono adempirsi”. “Scilicet id populo
cordi est: ea cura quietos sollicitat animos”. “I pregiudizi, la religione,
i costumi”... Piano! mio caro declamatore; finora sei stato solamente inutile,
ora potresti esser anche dannoso(33).
Il
corso delle idee è quello che deve dirigere il corso delle operazioni e
determinare il grado di forza negli effetti. Le prime idee che si debbono far
valere sono le idee di tutti; quindi le idee di molti; in ultimo luogo le idee
di pochi. E, siccome coloro che dirigono una rivoluzione sono sempre pochi di
numero ed hanno piú idee degli altri, perché veggono piú mali e comprendono piú
beni, cosí molte volte è necessario che i repubblicani per istabilir la
repubblica si scordino di loro stessi. Molti mali soffrí per lungo tempo Bruto,
moltissimi ne previde, ma, finché fu solo a soffrire ed a prevedere, tacque;
molti ne soffrirono i patrizi prima che si lagnasse il popolo; finalmente il
fatto di Lucrezia fece ricordare ad ognuno che era marito: allora Bruto parlò
prima al popolo e lo mosse, poscia parlò al senato, e, quando la rivoluzione fu
compíta, ascoltò se stesso. Tutto si può fare: la difficoltá è sola nel modo.
Noi possiamo giugnere col tempo a quelle idee alle quali sarebbe follia voler
giugner oggi: impresso una volta il moto, si passa da un avvenimento all'altro,
e l'uomo diventa un essere meramente passivo. Tutto il segreto consiste in
saper donde si debba incominciare.
Non
si può mai produrre una rivoluzione, a meno che non sia una rivoluzione
religiosa, seguendo idee troppo generali, né seguendo un piano unico. Mille
ostacoli tu incontrerai ad ogni passo, che non si erano preveduti; mille
contraddizioni d'interessi, che, non potendosi distruggere, è necessitá
conciliare. Il popolo è un fanciullo, e vi fa spesso delle difficoltá alle
quali non siete preparato. Molte nostre popolazioni non amavano l'albero perché
non ne intendevano l'oggetto, e talune, che s'indispettivano per non
intenderlo, lo biasimavano come magico; molte, invece dell'albero, avrebbero
voluto un altro emblema. È indifferente che una rivoluzione abbia un emblema o
un altro, ma è necessario che abbia quello che il popolo intende e vuole.
In
molte popolazioni eravi un male da riparare, un bene da procurare per poter
allettare il popolo: le stesse risorse non vi erano in altre popolazioni; né
potevano la legge o il governo occuparsi di tali oggetti se non dopo che la
rivoluzione era giá compiuta. Le rivoluzioni attive sono sempre piú efficaci,
perché il popolo si dirige subito da se stesso a ciò che piú da vicino
l'interessa. In una rivoluzione passiva conviene che l'agente del governo
indovini l'animo del popolo e gli presenti ciò che desidera e che da se stesso
non saprebbe procacciarsi.
Talora
il bene generale è in collisione cogl'interessi de' potenti. L'abolizione de'
feudi, per esempio, reca un danno notabile al feudatario; ma, piú del
feudatario, sono da temersi coloro che vivono sul feudo. Il popolo trae
ordinariamente la sussistenza da costoro; comprende che, dopo un anno, senza il
feudatario vivrebbe meglio, ma senza di lui non può vivere un anno: il bisogno
del momento gli fa trascurare il bene futuro, quantunque maggiore. Il talento
del riformatore è allora quello di rompere i lacci della dipendenza, di
conoscer le persone egualmente che le cose, di far parlare il rispetto,
l'amicizia, l'ascendente che taluno, o bene o male, gode talora su di una
popolazione.
Spesse
volte ho visto che una popolazione ama una riforma anziché un'altra. Molte
popolazioni desideravano la soppressione de' monasteri, molte non la volevano
ancora: piucché la superstizione, influiva sul loro spirito il maggiore o minor
bisogno in cui erano de' terreni. Non urtate la pubblica opinione; crescerá col
nuovo ordine di cose il bisogno, e voi sarete sollecitato a distruggere ciò che
un momento prima si voleva conservare.
Basta
dar avviamento alle cose; di molte non si comprende oggi la necessitá o
l'utile, e si comprenderá domani: cosí avrete il vantaggio che farete far dal
popolo quello che vorreste far voi.
Non
vi curate degli accessorii, quando avete ottenuto il principale. Io, che ho
voluto esaminar la rivoluzione piú nelle idee de' popoli che in quelle de'
rivoluzionari, ho visto che il piú delle volte il malcontento nasceva dal
volersi fare talune operazioni senza talune apparenze e senza talune solennitá
che il popolo credeva necessarie. Avviene nelle rivoluzioni come avviene nella
filosofia, dove tutte le controversie nascono meno dalle idee che dalle parole.
I riformatori chiamano “forza di spirito” l'audacia colla quale attaccano le
solennitá antiche; io la chiamo “imbecillitá” di uno spirito che non sa
conciliarle colle cose nuove.
Il
gran talento del riformatore è quello di menare il popolo in modo che faccia da
sé quello che vorresti far tu. Ho visto molte popolazioni fare da per loro
stesse ciò che, fatto dal governo, avrebbero condannato. “Volendo - dice
Macchiavelli - che un errore non sia favorito da un popolo, gran rimedio è fare
che il popolo istesso lo abbia a giudicare”. Ma a questo grande oggetto non si
perviene se non da chi ha giá vinto tanto la vanitá de' fanciulli di preferir
le apparenze alle cose reali, quanto la vanitá anche di quegli uomini
doppiamente fanciulli, che non conoscono la vera gloria e che la fanno
consistere nel far tutto da loro stessi.
Siccome
nelle rivoluzioni passive il gran pericolo è quello di oltrepassare il segno in
cui il popolo vuole fermarsi e dopo del quale vi abbandonerebbe, cosí il
miglior partito, il piú delle volte, è di restarsene al di qua. Il governo avea
ordinata la soppressione istantanea di molti monasteri; e questa, commessa a
persone non sempre fedeli, non avea prodotto que' vantaggi che se ne speravano.
Si poteano i conventi far rimanere, ma colla legge di non ricever piú nuovi
monaci; i loro fondi, con altra legge, si dichiaravano censiti a coloro che ne
erano affittuali, colla libertá di acquistarne la proprietá; e cosí si otteneva
la ripartizione de' terreni, l'abolizione del monistero a capo di pochi anni, e
frattanto ai monaci si avrebbe potuto vender anche caro questo prolungamento di
esistenza. Il voler far in un momento tutto ciò che si può fare non è sempre
senza pericolo, perché non è senza pericolo che il popolo non abbia piú né che
temere né che sperare da voi.
Il
popolo è ordinariamente piú saggio e piú giusto di quello che si crede. Talora
le sue disgrazie istesse lo correggono de' suoi errori. Ho veduto delle popolazioni
diventar repubblicane ed armarsi, perché nella loro indifferenza erano state
saccheggiate dagl'insorgenti. In Caiazzo taluni della piú vile feccia del
popolo insursero ed attaccarono le autoritá costituite; tutti gli altri erano
spettatori indolenti: gl'insorgenti soli furono i piú forti, vollero rapinare,
e questo ruppe il letargo degli altri. Allora gl'insorgenti non furono piú
soli: tutta la popolazione difese le autoritá costituite; ed, istruita dal
pericolo, Caiazzo divenne la popolazione piú attaccata alla repubblica.
Da tutto si può trar profitto: tutto può esser utile ad un governo attivo, che conosca la nazione e non abbia sistemi. Tutt'i popoli si rassomigliano; ma gli effetti delle loro rivoluzioni sono diversi, perché diversi sono coloro che le dirigono. Molti avvenimenti io potrei narrare in prova di ciò che ho detto; ma si potrebbe dir tutto senza una noia mortale? Agli esteri bastano i risultati; i nazionali, quando vogliano, possono applicare a ciascuno di essi i fatti ed i nomi che giá sanno.
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(32) Estesissima caccia che il re teneva nella provincia di Salerno: intorno alla medesima erano le popolazioni nominate nel testo.
(33) Questo linguaggio può star bene in bocca di un conquistatore che voglia nobilitare le sue conquiste, di un retore che parli ad un'adunanza di oziosi, di un filosofo che parli agli altri filosofi; potrá esser anche il linguaggio dello storico che trasmetta alla posteritá i risultati degli avvenimenti: ma non deve esser mai il linguaggio di un uomo che parli al popolo e voglia muoverlo. Noi abbiamo perduta ogni idea dell'eloquenza popolare: la nostra non è che l'eloquenza delle scuole; e questa è la ragione per cui piú non si veggono tra noi ripetuti quegli effetti che appena crediamo negli antichi. Dopo essersi or da pedanti or da eruditi or da filosofi analizzato il meccanismo del discorso, calcolata la sua forza, fissati i princípi per dirigerlo onde produca il massimo effetto, mi par che ancora resti a farsi un libro in cui si calcoli la forza dell'eloquenza non sull'individuo ma sulle nazioni, e si vegga il rapporto che lo stato della nazione può aver sull'eloquenza, e la natura di questa sullo stato di quella. Si conoscerebbe allora qual differenza vi sia tra i pomposi proclami che dall'Ottantanove inondano l'Europa, e la forza segreta ma irresistibile. Pericle tuonava, fulminava, sconvolgeva la Grecia intera, ed i figli d'Isacco e d'Ismaele si dividevano l'impero della terra e de' secoli.