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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XLII
ABOLIZIONE
DEL TESTATICO, DELLA GABELLA DELLA FARINA E DEL PESCE
Per
giudicare rettamente di un legislatore, conviene che ei sia indipendente; per far
che le sue leggi abbiano tutto l'effetto, conviene che egli sia libero. Quando
o altri uomini o le cose tendono a frenare i suoi pensieri e le sue mani,
quando la sovranitá è divisa, pretenderete invano veder quel legislatore, nelle
di cui mani è il cuore delle nazioni: i consigli son timidi, le misure mezzane;
tra l'imperiosa necessitá e l'occasione precipitosa, spesso il miglior
consiglio non è quello che si può seguire, o solo si segue quando l'occasione è
giá passata, e di tutte le operazioni voi altro non potete rilevare che la
puritá del cuore e la rettitudine dei suoi pensieri.
Cosí,
non altrimenti che la legge sui banchi, riuscirono inutili quasi tutte le altre
leggi immaginate per isgravare i popoli dai pesi che nell'antico governo
sofferiva. Io non ne eccettuo che la sola legge colla quale si abolí la gabella
del pesce; legge che produsse un effetto immediato, e trasse alla repubblica
gli animi di quasi tutti i marinai ed i pescatori della capitale.
Quando
si abolí la gabella sulla farina, non si ottenne l'intento di far ribassare il
prezzo de' grani in Napoli, dove, per le insorgenze che aveano giá chiuse tutte
le strade delle province, non potevano ivi piú entrar grani nuovi, e quei che
esistevano erano pochi ed avean giá pagato il dazio. Il popolo napolitano disse
allora: che “la gabella si era tolta quando non vi era piú farina”.
Dal
1764 era in Napoli molto cresciuto il prezzo del grano; e, sebbene questo
aumento fosse in parte effetto della maggior ricchezza della nazione, non si
poteva però mettere in controversia che l'aumento del prezzo degli altri generi
non era proporzionato all'aumento di quello del grano(52). Questo non era alterato,
quando si paragonava al prezzo del grano nelle altre nazioni di Europa; ma era
alteratissimo, allorché si paragonava al prezzo degli altri generi presso la
stessa nazione napolitana. Tutto il male nasceva da che l'industria, ed in
conseguenza la ricchezza, non si era risvegliata e diffusa equabilmente sopra
tutt'i generi ed in tutte le persone. Il male era tollerabile nelle province,
ma insoffribile nella capitale, non perché il grano mancasse, non perché il
prezzo ne fosse molto piú caro che nelle province; ma perché Napoli conteneva
un numero immenso di renditieri, di oziosi o di persone che, senza essere oziose,
nulla producevano e che non partecipavano dell'aumento dell'industria e della
ricchezza nazionale. Per rendere il popolo napolitano contento sull'articolo
del pane, o conveniva migliorarlo e renderlo cosí piú attivo e piú ricco, o
conveniva render piú misere le province: la prima operazione avrebbe reso il
popolo napolitano contento dei nuovi prezzi; la seconda avrebbe fatto ritornar
gli antichi(53). La sola
abolizione della gabella era nella capitale un'operazione piú pomposa che
utile.
Guardiamola
nelle province. Essa dovette esser inutile in quei luoghi nei quali non si
pagava, e questi formavano il numero maggiore; in quelli nei quali si pagava,
dovette riuscire piuttosto dannosa. Il ritratto della gabella serviva a pagare
le pubbliche imposizioni: proibir quella e pretender queste era un
contradditorio; rinunciare a queste era impossibile tra i tanti urgentissimi
bisogni dai quali era allora il governo premuto; obbligare le popolazioni a
sostituire all'antico metodo un nuovo, ed obbligarle a sostituirlo di loro
autoritá (giacché colla legge non si era preveduto questo caso), era pericoloso
in un tempo in cui lo spirito di partito né fa conoscere il giusto né lo fa
amare. Un dio solo avrebbe potuto persuadere alle popolazioni che una novitá
non fosse stata allora una ingiustizia patriotica. Infatti molte popolazioni,
che per la vicinanza alla capitale erano nello stato di portar i loro reclami
al governo(54), chiesero che
la gabella sulla farina si ristabilisse.
Nella
costituzione antica del regno di Napoli, ove si trattava d'imposizioni dirette,
il sovrano quasi altro non faceva che imporre il tributo: la ripartizione era
determinata da una legge quasi che fondamentale dello Stato, ed il modo di
esigerlo era in arbitrio di ciascuna popolazione. Non si esigeva dappertutto
nello stesso modo: una popolazione avea una gabella, un'altra ne avea un'altra;
chi non avea gabelle e pagava la decima sul raccolto del grano, chi pagava sui
fondi, chi in un modo, chi in un altro, secondo le sue circostanze, i suoi
prodotti, i suoi bisogni, i suoi costumi e talora i pregiudizi suoi. Questo
metodo di amministrazione avea i suoi inconvenienti; ma questi inconvenienti si
potean correggere, e conservare un metodo, il quale, se non toglieva il male,
lo rendeva però meno sensibile.
Questo
stato della nazione fece sí che inutile riuscisse anche la legge
sull'abolizione del testatico. “Nessun testatico, nessuna imposizione personale
avrá luogo nella nazione napolitana”. Questo stesso, e colle stesse parole, era
stato detto quasi tre secoli prima: quella legge era tuttavia in vigore nel
Regno; ed intanto, ad onta della medesima, si pagava l'imposizione personale.
In pochi luoghi si esigeva ancora sotto il nome di “testatico”; in molti si
pagava ricoperta del nome d'“industria”; in moltissimi si pagava pagando un
dazio indiretto sui generi di prima necessitá, che si consumano egualmente da
chi possiede e da chi non possiede: ove in un modo, ove in un altro, il
testatico si pagava dappertutto e non era in verun luogo nominato. La legge
esisteva; ma l'abuso, cangiando le parole, faceva una frode alla legge.
Prima
di riformare l'antico sistema delle nostre finanze, conveniva conoscerlo: la
riforma dovea essere simultanea ed intera. Tutte le parti di un sistema di
finanze hanno stretti rapporti tra loro e collo stato intero della nazione. Ma
la maggior parte degli Stati di Europa erano nati, non dalle unioni spontanee,
ma dalla conquista: il signore di un piccolo Stato avea oppressi gli altri con
diversi mezzi ed in diversi tempi; per lo piú si erano transatti colle
popolazioni, che avean conservati i loro usi, i dazi loro, i loro costumi. Una
gran nazione non fu che l'aggregato di tante piccole nazioni, che si
consideravano come estranee tra loro; ed il sovrano si considerava estraneo a
tutte. Invece di leggi, si chiedevano “privilegi”; il sistema delle finanze non
era che un'unione di diversi pezzi fatti da mani e in tempi diversi; i bisogni
del momento, non essendo mai quelli della nazione, facevano sí che, invece di
correggersi gli antichi abusi, se ne aggiugnessero dei nuovi; e tutto ciò
produceva quell'orribile caos di finanze, in cui, al dir di Vauban, era grande
quell'uomo che sapesse immaginar nuovi nomi per poter imporre un nuovo tributo
senza alterare gli antichi.
Era venuta l'epoca fortunata della riforma; ma questa riforma né dovea esser fatta con leggi particolari, le quali o presto o tardi si sarebbero contraddette, né in un momento. Era l'opera di molto tempo. Sulle prime, per contentare il popolo, il quale fra le novitá è sempre impaziente di veder segni sensibili di utile, bastava dire che si pagassero solo due terzi delle antiche imposizioni. Questa diminuzione di un terzo di tutt'i tributi avrebbe attirato alla rivoluzione maggior numero di persone; mentre colla sola abolizione del testatico e della gabella della farina non si giovava che ai poveri. In séguito, quando il favore dei ricchi non era piú tanto necessario e l'odio loro tanto pericoloso, i poveri si sarebbero del tutto sgravati. Un governo stabilito deve esser giusto; un governo nuovo deve farsi amare: quello deve dare a ciascuno ciò che è suo; questo deve dare a tutti. Una commissione a quest'oggetto stabilita avrebbe fatto in séguito conoscere le antiche finanze, i nuovi bisogni dello Stato, e si sarebbe formato un sistema generale e durevole, su di cui si sarebbe potuta fondare la felicitá della nazione.
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(52) Questo fenomeno, in Napoli sensibilissimo, avrebbe meritata attenzione maggiore per parte dei nostri economisti. Io lo ripeto da varie cagioni: 1. Dall'esser il grano una delle poche derrate che noi vendevamo agli esteri: l'olio per la stessa ragione era nelle stesse circostanze ed avea sofferte le stesse alterazioni ne' suoi prezzi. Una derrata che sia richiesta da maggior numero deve per necessitá crescere di prezzo; e, se mai presso una nazione avvien che essa formi tutto o grandissima parte del commercio estero, allora diviene una specie di moneta di conto ed accresce il suo valore, non solo per le richieste de' compratori, ma anche per le speculazioni de' venditori. Una moneta di conto è oggi in Sicilia il grano, e l'olio in Napoli, perché l'olio in Napoli occupa il primo luogo tra' generi che si estraggono, ed il grano il secondo. Questo fenomeno, non osservato da nessuno, meriterebbe di esserlo. 2. Il consumo che la nazione napolitana fa di paste. 3. Il monopolio che vi è nelle terre, ridotte in poche mani e desiderate da molti, dacché non vi è altro mezzo d'impiegare il proprio danaro né in rendite, che son poche, né in oggetti di manifatture e di commercio. Promovendo tali oggetti, son persuaso che le stesse avrebbero ribassato il loro prezzo, e che questo ribasso avrebbe potuto influire anche su quello del grano. 4. La male intesa agricoltura, la quale rende necessaria molta estensione di terreno, ecc. ecc.
(53) Fa meraviglia come i scrittori di economia pubblica non abbiano distinte due specie di carestia, una reale, l'altra apparente, la quale non manca però di produrre mali reali. Quella reale si potrebbe suddividere in mancanza di genere ed alterazione di prezzo. Tutt'i difetti dei regolamenti annonari sono nati dall'aver voluto riparare ad una carestia apparente come se fosse carestia reale, e da questo primo errore ne è nato il secondo, che si è atteso piú all'alterazione del prezzo che alla mancanza del genere: chi conosce la storia degli stabilimenti annonari di Napoli intende la veritá di ciò che io dico. Ma tali stabilimenti sono simili a quelli di tutte le altre parti di Europa: eran figli de' tempi e delle idee de' tempi: il nostro errore è di volerli seguire anche quando i tempi e le idee son cangiati.
(54) Palma ed altre terre.