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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XLIV
RICHIAMO
DI ETTORE CARAFA DALLA PUGLIA
I
francesi dovettero aprirsi la ritirata colle armi alla mano, ed all'isola di Sora
e nelle gole di Castelforte perdettero non poca gente. Appena essi partirono,
nuove insorgenze scoppiarono in molti luoghi.
Roccaromana
suscitò l'insorgenza nelle sue terre alle mura di Capua. Egli divenne
l'istrumento piú grande della nobiltá, a cui apparteneva, e del popolo, tra cui
avea un nome. Il governo lo avea disgustato, lo avea degradato forsi per
sospetti troppo anticipati; ma non seppe osservarlo, ritrovarlo reo e perderlo:
offendendo, non seppe metterlo nella impossibilitá di far male. Luigi de Gams
organizzò nello stesso tempo una insorgenza in Caserta. Queste insorgenze,
unite a quelle di Castelforte e di Teano, ruppero ogni comunicazione tra Capua
e Gaeta e tra il governo napolitano ed il resto dell'Italia.
La
ritirata dei francesi dalla provincia di Bari fece insorgere di nuovo quella
provincia di Lecce. In Puglia eravi ancora Ettore Carafa colla sua legione, ed,
oltre la legione, avea un nome e molti seguaci; ma, sia imprudenza, sia, come
taluni vogliono, gelosia del governo, Carafa fu richiamato da una provincia
dove poteva esser utile ed inviato a guernire la fortezza di Pescara. La
ritirata di Carafa fu un vero male per quelle province e per la repubblica
intera. A questo male si sarebbe in parte riparato, se riusciva a Federici di penetrare
in Puglia ed a Belpulsi nel contado di Molise; ma le spedizioni di questi due,
ritardate soverchio, non furono intraprese se non dopo la partenza delle truppe
francesi, quando cioè era impossibile eseguirle.
Cosí
sopra tutta la superficie del territorio napolitano rimanevano appena dei punti
democratici. Ma questi punti contenevano degli eroi. Nel fondo della Campania
era Venafro, che sola avea resistito per lungo tempo a Mammone(57), comandante dell'insorgenza
di Sora: con poco piú di forza, avrebbe potuto prendere la parte offensiva. I
paesi della Lucania fecero prodigi di valore, opponendosi all'unione di Ruffo
con Sciarpa; e, se il fato non faceva perire i virtuosi e bravi fratelli
Vaccaro, se il governo avesse inviati loro non piú che cento uomini di truppa
di linea, qualche uffiziale e le munizioni da guerra che loro mancavano, forse
la causa della libertá non sarebbe perita. Gli stessi esempi di valore davano
le popolazioni repubblicane del Cilento, le quali per lungo tempo impedirono
che l'insorgenza delle Calabrie non si riunisse a quella di Salerno. Foggia
finalmente era una cittá piena di democratici: essa avea una guardia nazionale
di duemila persone; era una cittá che, per lo stato politico ed economico della
provincia, potea trarsi dietro la provincia intera; e da Foggia una linea quasi
non interrotta prendeva pel settentrione verso gli Apruzzi, dove si contavano
Serracapriola, Casacalenda, Agnone, Lanciano... Dall'altra parte, per Cirignola
e Melfi, Foggia comunicava colle tante popolazioni democratiche della provincia
di Bari e della Lucania. Noi vorremmo poter nominare tutte le popolazioni e
tutti gl'individui; ma né tutto distintamente sappiamo, né tutto senza
imprudenza apertamente si può dire: un tempo forse si saprá, e si potrá loro rendere
giustizia.
Ma che fare? A tutte queste forze mancava la mente, mancava la riunione tra tutti questi punti, mancava un piano comune per le loro operazioni. Non si crederá, ma intanto è vero: una delle cagioni, che piú hanno contribuito a rovesciar la nostra repubblica, è stata quella di non aver avute nelle province delle persone che riunissero e dirigessero tutte le operazioni: gl'insorgenti aveano tutti questi vantaggi.
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(57) Mammone Gaetano, prima molinaio, indi generale in capo dell'insorgenza di Sora, è un mostro orribile, di cui difficilmente si ritrova l'eguale. In due mesi di comando, in poca estensione di paese, ha fatto fucilar trecentocinquanta infelici; oltre del doppio forse uccisi dai suoi satelliti. Non si parla de' saccheggi, delle violenze, degl'incendi; non si parla delle carceri orribili nelle quali gittava gl'infelici che cadevano nelle sue mani, non de' nuovi generi di morte dalla sua crudeltá inventati. Ha rinnovate le invenzioni di Procuste, di Mezenzio... Il suo desiderio di sangue umano era tale, che si beveva tutto quello che usciva dagl'infelici che faceva scannare. Chi scrive lo ha veduto egli stesso beversi il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con aviditá quello degli altri salassati che erano con lui. Pranzava avendo a tavola qualche testa ancora grondante di sangue; beveva in un cranio... A questi mostri scriveva Ferdinando da Sicilia: “mio generale e mio amico”.