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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XXVI
TRUPPA
Un
governo nuovo ha piú bisogno di forza che un governo antico, perché
l'esecuzione della legge, per quanto sia giusta, non può esser mai con
sicurezza affidata al pubblico costume: gli scellerati, che non mancano
giammai, hanno campo maggiore di calunniarla e di eluderla; ed i deboli sono
piú facilmente sedotti o trascinati nell'ondeggiar dubbioso tra le antiche
opinioni e le nuove.
I
francesi impedirono però ogni organizzazione di forza nella repubblica
napolitana. Il primo loro errore fu quello di temer troppo la capitale; il
secondo, di non temere abbastanza le province. Essi non aveano truppa per
inviarvene, e di ciò non poteano esser condannati; ma essi non permisero che si
organizzasse truppa nazionale che vi potesse andare in loro vece, e di ciò non
possono esser scusati.
Dagli
avanzi dell'esercito del re di Napoli si potea formare sul momento un corpo di
trentamila uomini, di persone che altro non chiedevano che vivere. Essi
formavano il fiore dell'esercito del re, poiché erano quelli appunto che erano stati
gli ultimi a deporre le armi. Tra questi, per il loro coraggio, si distinsero i
“camisciotti”: contesero a palmo a palmo il terreno fino al castello del
Carmine. Ciò dovea farli stimare, e li fece odiare. Furono fatti tutti
prigionieri: conveniva o assoldarli per la repubblica o mandarli via. Si
lasciarono liberi per Napoli, e furono stipendiati da coloro che in segreto
macchinavano la rivoluzione. Si tennero cosí i controrivoluzionari nel seno
istesso della capitale.
S'incominciò
a raccogliere i soldati del re in Capua, indi un'altra volta in Portici. La
repubblica napolitana era in istato di mantenerli; essi avrebbero potuto salvar
la patria, salvar l'Italia: ma, appena si vide incominciare l'operazione, che
fu proibita. A quei pochissimi soldati che si permise di ritenere non si
accordarono se non a stento le armi, che erano tutte nei castelli in potere dei
francesi.
Intanto
si volea disarmare la popolazione. Come farlo senza forze? Ma i francesi
temeano egualmente le popolazioni ed i patrioti; e questo loro soverchio timore
fece dipoi che le popolazioni si trovassero armate per offenderli, ed i
patrioti per difendersi disarmati. Si ordinava il disarmo, ed intanto i custodi
francesi delle armi, non conoscendo gli uomini e le cose in un paese per essi nuovo,
le vendevano; e ne compravano egualmente tanto il governo repubblicano, a cui
era giusto restituirle senza paga, quanto i traditori, a cui era ingiusto darle
anche con paga. I mercenari, che avrebbero potuto diventar nostri amici, non
avendo onde vivere, passarono a raddoppiar la forza dei nemici nostri.
Oltre
di una truppa di linea, si avrebbe potuto sollecitamente organizzare una
gendarmeria: allora quando ordinossi a tutt'i baroni di licenziare le loro
genti d'armi, costoro sarebbero passati volentieri al servizio della
repubblica; essi non sapevano far altro mestiere: abbandonati dalla repubblica,
si riunirono agl'insorgenti. Essi avrebbero potuto formare un corpo di cinque
in seimila uomini, e tutti valorosi.
Si
ordinò congedarsi gli armigeri baronali, e non si pensò alla loro sussistenza;
si soppressero i tribunali provinciali, e non si pensò alla sussistenza di
tanti individui che componevano le loro forze e che ascendevano ad un numero
anche maggiore degli armigeri... - Essi sono dei scellerati - diceva taluno, il
quale voleva anche i gendarmi eroi. Ma questi scellerati continuarono ad
esistere, poiché era impossibile ed inumano il distruggerli, ed esistettero a
danno della repubblica. Erasi obbliato il gran principio che “bisogna che tutto
il mondo viva”.
L'avea
del tutto obbliato De Rensis, allorché pubblicò quel proclama con cui diceva
agli uffiziali del re che “a chiunque avesse servito il tiranno nulla a sperar
rimanea da un governo repubblicano”. Questo linguaggio, in bocca di un ministro
di guerra, dir volea a mille e cinquecento famiglie, che aveano qualche nome e
molte aderenze nella capitale: - Se volete vivere, fate che ritorni il vostro
re. - Questo proclama segnò l'epoca della congiura degli uffiziali. Il proclama
fu corretto dal governo col fatto, poiché molti uffiziali del re furono dalla
repubblica impiegati. Ben si vide dalle persone che avean senno esser stato
esso piuttosto feroce nelle parole che nelle idee, effetto di quella specie di
eloquenza che allora predominava, e per la quale la parola la piú energica si
preferiva sempre alla piú esatta; ma, io lo ripeto, nelle rivoluzioni passive,
quando le opinioni sono varie ed ancora incerte, le parole poco misurate posson
produrre gravissimi mali. Le eccezioni, le quali si reputan sempre figlie del
favore, non distruggevano le impressioni prodotte una volta dalla legge
generale: molti rimasero ancora ondeggianti; moltissimi si trovavano giá aver
dati passi irretrattabili contro un governo che credevano ingiusto. La durata
della nostra repubblica non fu che di cinque mesi: nei primi gli uffiziali non
poterono ottener gradi; negli ultimi non vollero accettarne.
Si vuole dippiú? Degli stessi insorgenti si avrebbero potuto formare tanti amici. Essi seguivano un capo, il quale per lo piú non era che un ambizioso: questo capo, quando non avesse potuto estinguersi, si poteva guadagnare, e le sue forze si sarebbero rivolte a difendere quella repubblica, che mostrava di voler distruggere.
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