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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XXXI
ORGANIZZAZIONE
DELLE PROVINCE
Forse
il miglior metodo per organizzare le province era quello di far uso delle autoritá
costituite che giá vi erano. Tutte le province aveano di giá riconosciuto il
nuovo governo: le antiche autoritá o conveniva distruggerle tutte, o tutte
conservarle. Non so quale di questi due mezzi sarebbe stato il migliore: so che
non si seguí né l'uno né l'altro, ed i consigli mezzani non tolsero i nemici né
accrebbero gli amici.
Con
un proclama del nuovo governo si ordinò a tutte le antiche autoritá costituite
delle province che rimanessero in attivitá fino a nuova disposizione. Intanto
s'inviarono da per tutto dei “democratizzatori”, i quali urtavano ad ogni
momento la giurisdizione delle autoritá antiche; e, siccome queste erano ancora
in attivitá, rivolsero tutto il loro potere a contrariar le operazioni dei
democratizzatori novelli. In tal modo si permise loro di conservar il potere,
per rivolgerlo contro la repubblica, quando ne fossero disgustati; e
s'inviarono i democratizzatori, perché avessero un'occasione di disgustarsi.
Quale
strana idea era quella dei democratizzatori? Io non ho mai compreso il
significato di questa parola. S'intendea forse parlar di coloro che andavano ad
organizzar un governo in una provincia? Ma di questi non ve ne abbisognava al
certo uno per terra. S'intendeva di colui che andava, per cosí dire, ad
organizzare i popoli e render gli animi repubblicani? Ma questa operazione né
si potea sperare in breve tempo né richiedeva un commissario del governo. Le
buone leggi, i vantaggi sensibili che un nuovo governo giusto ed umano procura
ai popoli, le parole di pochi e saggi cittadini, che, vivendo senz'ambizione
nel seno delle loro famiglie, rendonsi per le loro virtú degni dell'amore e
della confidenza dei loro simili, avrebbero fatto quello che il governo da sé
né dovea tentare né potea sperare.
Quando
voi volete produrre una rivoluzione, avete bisogno di partigiani; ma, quando
volete sostenere o menare avanti una rivoluzione giá fatta, avete bisogno di
guadagnare i nemici e gl'indifferenti. Per produrre la rivoluzione, avete
bisogno della guerra, che sol colle sètte si produce; per sostenerla, avete
bisogno della pace, che nasce dall'estinzione di ogni studio di parti. A
persuadere il popolo sono meno atti, perché piú sospetti, i partigiani che
gl'indifferenti. Quindi è che, in una rivoluzione passiva, voi dovete far piú conto
di coloro che non sono dalla vostra che di quelli che giá ci sono; e, siccome
fu un errore e l'istituzione della commissione censoria e la prima pratica
seguíta per la formazione della guardia nazionale, perché tendevano a
ristringer le cose tra coloro soli che eran dichiarati per la buona causa, cosí
fu anche un errore, e fu frequente presso di noi, l'impiegare colui che
volontariamente si offeriva, in preferenza di colui che volea esser richiesto,
ed il servirsi dell'opera dei giovani anziché di quella degli uomini maturi.
Non quelli che con facilitá, ma bensí che con difficoltá guadagnar si possono,
sono coloro che piú vagliono sugli animi del popolo. I giovani non vi mancano
mai nella rivoluzione; Russo li credeva perciò piú atti alla medesima: se egli
con ciò volea intendere che erano piú atti a produrla, avea ragione; se poi
credeva che fossero perciò piú atti a sostenerla, s'ingannava. I giovani
possono molto ove vi è bisogno di moto, non dove vi è bisogno di opinione.
Giovanetti
inesperti, che non aveano veruna pratica del mondo, inondarono le province con
una “carta di democratizzazione”, che Bisceglia, allora membro del comitato
centrale, concedeva a chiunque la dimandava. Essi non erano accompagnati da
verun nome; fortunati quando non erano preceduti da uno poco decoroso! Non
aveano veruna istruzione del governo: ciascuno operava nel suo paese secondo le
proprie idee; ciascuno credette che la riforma dovesse esser quella che egli
desiderava: chi fece la guerra ai pregiudizi, chi ai semplici e severi costumi
dei provinciali, che chiamò “rozzezze”: s'incominciò dal disprezzare quella
stessa nazione che si dovea elevare all'energia repubblicana, parlandole troppo
altamente di una nazione straniera, che non ancora conosceva se non perché era
stata vincitrice; si urtò tutto ciò che i popoli hanno di piú sacro, i loro
dèi, i loro costumi, il loro nome. Non mancò qualche malversazione, non mancò
qualche abuso di novella autoritá, che risvegliava gli spiriti di partito, non
mai estinguibili tra le famiglie principali dei piccioli paesi. Gli animi
s'inasprirono. Il secondo governo vide il male che nasceva dall'errore del
primo: Abamonti specialmente richiamò quanti ne potette di questi tali
democratizzatori. Ma il male era giá troppo inoltrato; il vincolo sociale dei
dipartimenti erasi giá rotto, poiché si era giá tolta l'uniformitá della legge
e la riunione delle forze: non mancava che un passo per la guerra civile, ed
infatti poco tardò a scoppiare.
Come
no? Una popolazione scosse il giogo del giovanetto; le altre la seguirono: le
popolazioni che eran repubblicane, cioè che aveano avuta la fortuna di non aver
democratizzatori o di averli avuti savi si armarono contro le insorgenti. Ma
queste aveano idee comuni, poiché quelle dell'antico governo eran comuni a
tutte; s'intendevano tra loro; le loro operazioni erano concertate. Nessuno di
questi vantaggi avevano le popolazioni repubblicane. Le antiche autoritá
costituite, che conservavano tuttavia molto potere, erano, almeno in segreto,
per le prime. Qual meraviglia se, dopo qualche tempo, le popolazioni
insorgenti, sebbene sulle prime minori di numero e di forze, oppressero le
repubblicane?
Si volle tenere una strada opposta a quella della natura. Questa forma le sue operazioni in getto, ed il disegno del tutto precede sempre l'esecuzione delle parti: da noi si vollero fare le parti prima che si fosse fatto il disegno.
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