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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XXXII
SPEDIZIONE
CONTRO GL'INSORGENTI DI PUGLIA
La
nazione napolitana non era piú una: il suo territorio si potea dividere in
democratico ed insorgente. Ardeva l'insorgenza negli Apruzzi e comunicava con
quella di Sora e di Castelforte. Queste insorgenze si doveano in gran parte
all'inavvertenza ed al picciol numero dei francesi, i quali, spingendo sempre
innanzi le loro conquiste né avendo truppa sufficiente da lasciarne dietro, non
pensarono ad organizzarvi un governo. Che vi lasciarono dunque? L'anarchia.
Questa non è possibile che duri piú di cinque giorni. Che ne dovea avvenire?
Dopo qualche giorno, dovea sorgere un ordine di cose, il quale si accostasse
piú all'antico governo, che i popoli sapeano, piuttosto che al nuovo, che essi
ignoravano; e l'idea dei nuovi conquistatori dovea associarsi negli animi loro
alla memoria di tutti i mali che avea prodotti l'anarchia.
Il
cardinal Ruffo, il quale ai primi giorni di febbraio avea occupata la Calabria
dalla parte di Sicilia, spingeva un'altra insorgenza verso il settentrione e
veniva a riunirsi alle altre insorgenze in Matera. Il governo troppo tardi avea
spedito nelle Calabrie due commissari, tali appunto quali gli abitanti non gli
voleano: per che, senza forze, erano stati costretti a fuggire, e fu fortunato
chi salvò la vita. Monteleone, ricca e popolata cittá, ripiena di spirito
repubblicano, avea opposta una resistenza ostinata a Ruffo; ma, sola, senza
comunicazione, era stata costretta a cedere. E nello stesso modo cedettero
tutte le altre popolazioni di Calabria.
Tutte
le popolazioni repubblicane delle altre province, isolate, circondate, premute
da per tutto dagl'insorgenti, si vedevano minacciate dello stesso destino. Si
aggiungeva a ciò che le popolazioni insorgenti saccheggiavano, manomettevano
tutto; le popolazioni repubblicane erano virtuose. Ma, quando, per effetto dei
partiti, gli scellerati non si possono tenere a freno, essi si dánno a quel
partito i di cui princípi sono piú conformi ai loro propri, e forzano, per cosí
dire, gli dèi a non essere per quella causa che approva Catone.
Si
vollero distruggere le insorgenze della Puglia e della Calabria come le piú
pericolose, come le piú lontane e le piú difficili a vincere, perché le piú
vicine alla Sicilia. Partirono da Napoli due picciole colonne, una francese,
che prese il cammino di Puglia, l'altra di napolitani, comandata da Schipani,
che prese quello di Calabria per Salerno. Ma la colonna di Puglia dovea
anch'essa per l'Adriatico ed il Ionio passar nella Calabria e riunirsi alla
colonna di Schipani.
Il
comandante della colonna francese, aiutato dai patrioti e soldati che conduceva
Ettore Carafa e dai patrioti di Foggia, distrusse la formidabile insorgenza di
Sansevero; indi, spingendosi piú oltre, prese Andria e poi Trani, e fu egli che
distrusse l'armata dei còrsi nelle vicinanze di Casamassima. Ma egli abusò
della sua forza. Prese settemila ducati che trasportava il corriere pubblico, e
che avrebbero dovuti esser sagri; e, quando gliene fu chiesto conto, non
potette dimostrare che essi erano degl'insorgenti. Il troppo zelo di punir
questi forsi lo ingannò! Non seppe distinguere gli amici dagl'inimici, ed, ove
si trattava d'imposizioni, la condizione dei primi non fu migliore di quella
dei secondi. Bari, in una provincia tutta insorta, avea fatti prodigi per
difendersi. Quando egli vi giunse, dovette liberarla da un assedio
strettissimo, che sosteneva da quarantacinque giorni: vi entra e, come se fosse
una cittá nemica, le impone una contribuzione di quarantamila ducati. La stessa
condotta tenne in Conversano, cui, ad onta di esser stata assediata dagl'insorgenti,
impose la contribuzione di ottomila ducati. Nella provincia di Bari non vi
restò un paio di fibbie d'argento. Tutto fu dato per pagar le contribuzioni
imposte.
Le
prime armi di una rivoluzione virtuosa doveano esser la prudenza e la giustizia;
ed i nostri traviati fratelli meritavano piú di esser corretti che distrutti.
Facendo altrimenti, si credevano vinti, mentre non erano che fugati. Trani fu
saccheggiata; questa bella, popolosa e ricca cittá fu distrutta; ma
gl'insorgenti di Trani rimanevano ancora: essi, all'avvicinarsi dei francesi,
si erano tutt'imbarcati, pronti a ritornare piú feroci, tosto che i francesi
avessero abbandonate le loro case.
Lo
dirò io? Le tante vittorie ottenute contro gl'insorgenti hanno distrutti piú
uomini da bene che scellerati. Questi, consci del loro delitto, pensano sempre
per tempo alla loro salvezza. L'uomo dabbene è còlto all'improvviso ed inerme:
la sua casa è saccheggiata del pari e forse anche prima di quella
dell'insorgente, perché l'uomo dabbene è quasi sempre il piú ricco, e, quando
l'insorgente ritorna, lo ritrova disgustato di colui da cui ha sofferto il
saccheggio.
Un
buon governo vuole esser forte ma non crudele, severo ma non terrorista. Le
insorgenze di Napoli si poteano ridurre a calcolo. Pochi erano i punti centrali
delle medesime, e chiunque conosceva i luoghi vedeva essere quegl'istessi che
nell'antico governo erano ripieni di uomini i piú oziosi e piú corrotti e, per
tal ragione, piú miserabili e piú facinorosi. Nei luoghi dove in tempo del re
vi eran piú ladri, contrabbandieri ed altra simile genia, in tempo della
repubblica vi furono piú insorgenti. Erano luoghi d'insorgenza Atina, Isernia,
Longano, le colonie albanesi del Sannio, Sansevero, ecc. Nei luoghi ove la
gente era industriosa ed, in conseguenza, agiata e ben costumata, si potea
scommettere cento contro uno che vi sarebbe stata una eterna tranquillitá.
I
primi motori dell'insorgenza furon coloro che avean tutto perduto colla ruina
dell'antico governo, e che nulla speravano dal nuovo: se questi furon molti,
gran parte della colpa ne fu del governo istesso, che non seppe far loro nulla
sperare, e che fece temere che il governo repubblicano fosse una fazione.
Eppure la repubblica avea tanto da dare, che era pericolosa follia credere di poter
sempre dare ai repubblicani!
Grandi
strumenti di controrivoluzione furono tutte le milizie dei tribunali
provinciali, tutti gli armigeri dei baroni, tutt'i soldati veterani che il
nuovo ordine di cose avea lasciati senza pane, tutti gli assassini che correvano
con trasporto dietro un'insorgenza, la quale dava loro occasione di poter
continuare i loro furti e quasi di nobilitarli. Luoghi di grande insorgenza
furono perciò quasi tutte le centrali delle province, come Lecce, Matera,
Aquila, Trani, dove la residenza delle autoritá provinciali, delle loro forze e
di quanto nelle province eravi di scellerati, che ivi si trovavano in carcere e
che, nell'anarchia che accompagnò il cangiamento del governo, furono tutti
scapolati, riuniva piú malcontenti e piú facinorosi. Costoro strascinarono
tutti gli altri esseri pacifici e meramente passivi, intimoriti egualmente
dall'audacia dei briganti e dalla debolezza del governo nuovo.
Contro
tali insorgenze non vale tanto una spedizione militare che distrugga, quanto una
forza sedentaria che conservi: gl'insorgenti fuggivano alla vista di un
esercito: tostoché l'esercito era passato, una picciola forza, ma permanente,
loro avrebbe impedito di riunirsi e di agire. Il soldato non soffre le
stazioni: brama la guerra ed ama che il nemico si renda forte a segno di
meritare una spedizione, onde aver l'occasione di misurarsi, la gloria di
vincerlo ed il piacere di spogliarlo.
Il
comandante francese padrone di Trani fu chiamato da Palomba, commissario del
dipartimento della Lucania, perché marciasse sopra Matera ad impedire che vi si
formasse un'insorgenza, che potea divenir pericolosa per quel dipartimento. Ma,
Matera non essendo ancora rivoltata, non vi andò, perché non avrebbe potuto
farla saccheggiare. E, quando, premurato dalle reiterate istanze di Palomba,
s'incaminò con tutte le forze che aveva, fu richiamato in Napoli. L'insorgenza,
che in Matera era tutta pronta e solo compressa dal timore della vicinanza
delle forze superiori, quando queste furono lontane, scoppiò e si riuní a
quella della Calabria.
Ma perché non marciò Palomba istesso colle sue forze sopra Matera? Perché Palomba, come commissario, non avea saputo trovare i mezzi di riunirle e di sostenerle; perché il suo generale Mastrangiolo tutt'altro era che generale. Caldi ambidue del piú puro zelo repubblicano, colle piú pure intenzioni, ma privi di quella pubblica opinione, che sola riunisce le forze altrui alle nostre, e di quel consiglio, senza di cui non vagliono mai nulla né le forze nostre né le altrui, tutti e due non sapeano far altro che gridare “Viva la repubblica!”, ed intanto aspettare che i francesi la fondassero, come se fosse possibile fondare una repubblica colle forze di un'altra nazione! Nel dipartimento il piú democratico della terra, colle forze imponenti di Altamura, di Avigliano, di Potenza, di Muro, di Tito, Picerno, Santofele, ecc. ecc., Mastrangiolo perdette il suo tempo nell'indolenza. I bravi uffiziali, che aveva attorno, lo avvertirono invano del pericolo che lo premeva: l'insorgenza crebbe e lo costrinse a fuggire.
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