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Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XXXIII
SPEDIZIONE
DI SCHIPANI
Schipani
rassomiglia Cleone di Atene e Santerre di Parigi. Ripieno del piú caldo zelo
per la rivoluzione, attissimo a far sulle scene il protagonista in una tragedia
di Bruto, fu eletto comandante di una spedizione destinata a passar nelle
Calabrie, cioè nelle due province le piú difficili a ridursi ed a governarsi
per l'asprezza dei siti e per il carattere degli abitanti. Non avea seco che
ottocento uomini, ma essi erano tutti valorosi e di poco inferiori di numero
alla forza nemica.
Schipani
marcia: prende Rocca di Aspide, prende Sicignano. A Castelluccia trova della
gente riunita e fortificata in una terra posta sulla cima di un monte di
difficilissimo accesso.
Vi
erano però mille strade per ridurla. Castelluccia era una picciola terra, che
potea senza pericolo lasciarsi dietro. Egli dovea marciare diritto alle
Calabrie, ove eranvi diecimila patrioti che lo attendevano; ove Ruffo non era
ancora molto forte, ed andava tentando appena una controrivoluzione, di cui
forse egli stesso disperava; e, discacciato una volta Ruffo, tutte le
insorgenze della parte meridionale della nostra regione andavano a cedere. Ma
Schipani non seppe conoscere il nemico che dovea combattere, né seppe, come
Scipione, trascurare Annibale per vincere Cartagine.
Tutt'i
luoghi intorno a Castelluccia erano ripieni di amici della rivoluzione.
Campagna, Albanella, Controne, Postiglione, Capaccio, ecc., potevano dare piú
di tremila uomini agguerriti: il commissario del Cilento ne avea giá pronti
altri quattrocento, ed anche di piú, se avesse voluto, ne avrebbe potuto
riunire. Se Schipani avesse avuto piú moderato desiderio di combattere e di
vincere, e se prima di distruggere i nemici avesse pensato a rendersi sicuro
degli amici, che gli offerivano i loro soccorsi, avrebbe potuto facilmente
formare una forza infinitamente superiore a quella che dovea combattere.
Avrebbe
potuto ridurre Castelluccia per fame, poiché non avea provvisioni che per pochi
giorni: avrebbe potuto prenderla circondandola e battendola dalla cima di un
monte che la domina; e questo consiglio gli fu suggerito dai cittadini di
Albanella e della Rocca, che si offrirono volontari a tale impresa. Qual
disgrazia che tal consiglio non sia nato da se stesso nella mente di Schipani!
Egli avea un'idea romanzesca della gloria, e riputava viltá il seguire un
consiglio che non fosse suo.
Questo
suo carattere fece sí che ricusasse l'offerta dei castelluccesi, i quali volean
rendersi, a condizione però che la truppa non fosse entrata nella terra; e
l'altra, offertagli da Sciarpa, capo di tutta quella insorgenza, di voler unire
le sue truppe alle truppe della repubblica, purché gli si fosse dato un
compenso(43). Schipani
rispose come Goffredo:
Guerreggio in Asia, e non vi cambio o merco.
Questo
stesso carattere gli fece immaginare un piano d'assalto della Castelluccia da
quel lato appunto per lo quale il prenderla era impossibile. I nostri fecero
prodigi di valore. Il nemico, forte per la sua situazione, distrusse la nostra
truppa colle pietre. Schipani fu costretto a ritirarsi; e, cadendo in un
momento dall'audacia nella disperazione, la sua ritirata fu quasi una fuga.
La
spedizione diretta da Schipani dovea esser comandata dal valoroso Pignatelli di
Strongoli. È stata una disgrazia per la nostra repubblica che Pignatelli, per
malattia sopravvenutagli, non poté allora prestarsi agli ordini del governo ed
al desiderio dei buoni.
Dopo questa operazione, Schipani fu inviato contro gl'insorgenti di Sarno. Giunse a Palma, incendiò due ritratti del re e della regina, che per caso vi si ritrovarono, arringò al popolo e se ne ritornò indietro. Vi andarono i francesi, saccheggiarono ed incendiarono Lauro, donde tutti gli abitanti erano fuggiti, e non uccisero un solo insorgente. Cosí gl'insorgenti di Lauro e di Sarno, non vinti, ma solo irritati, si unirono a quelli di Castelluccia e delle contrade di Salerno, giá vincitori.
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(43) Sciarpa, uno de' piú grandi e piú funesti controrivoluzionari, lo divenne per calcolo. Egli era uno degli uffiziali subalterni delle milizie del tribunale di Salerno: col nuovo ordine di cose, avrebbe potuto passare nella gendarmeria. Non fu ammesso. Sciarpa non fu né vezzeggiato né spento.