|
Vincenzo Cuoco SAGGIO
STORICO SULLA RIVOLUZIONE
DI NAPOLI |
XXXVIII
IDEE
DI TERRORISMO
La
storia di una rivoluzione non è tanto storia dei fatti quanto delle idee. Non
essendo altro una rivoluzione che l'effetto delle idee comuni di un popolo,
colui può dirsi di aver tratto tutto il profitto dalla storia, che a forza di
replicate osservazioni sia giunto a saper conoscer il corso delle medesime.
Nell'individuo la storia dei fatti è la stessa che la storia delle idee sue,
perché egli non può esser in contraddizione con se stesso. Ma, quando le
nazioni operano in massa (e questo è il vero caso della rivoluzione), allora vi
sono contraddizioni ed uniformitá, simiglianze e dissimiglianze; e da esse
appunto dipende il tardo o sollecito, l'infelice o felice evento delle
operazioni.
La
congiura di Baccher, l'occupazione di Procida, i rapidi progressi
dell'insorgenza aveano scossi i patrioti, e, nella notte profonda in cui fino a
quel punto avean riposati tranquilli sulle parole dei generali francesi e del
governo, videro finalmente tutto il pericolo onde erano minacciati. Il primo
sentimento di un uomo che sia o che tema di esser offeso è sempre quello della
vendetta, la quale, se diventa massima di governo, produce il terrorismo.
Il
governo napolitano, quantunque composto di persone che tanto avean sofferto per
l'ingiusta persecuzione sotto la monarchia, credette viltá vendicarsi,
allorché, avendo il sommo potere nelle mani, una vendetta non costava che il
volerla. Pagano avea sempre in bocca la bella lettera che Dione scrisse ai suoi
nemici allorché rese la libertá a Siracusa, ed il divino tratto di Vespasiano,
quando, elevato all'impero, mandò a dire ad un suo nemico che egli ormai non
avea piú che temere da lui. Noi incontriamo sempre i nostri governanti,
allorché ricerchiamo la morale individuale.
Ma
molti patrioti accusarono il governo di un “moderantismo” troppo rilasciato, a
cui si attribuivano tutt'i mali della repubblica. Siccome in Francia al
“terrorismo” era succeduta una rilasciatezza letargica e fatale di tutt'i
princípi, cosí il terrorismo era rimasto quasi in appannaggio alle anime piú
ardentemente patriotiche. Forse ciò avvenne anche perché il cuore umano mette
l'idea di una certa nobiltá nel sostenere un partito oppresso, per vendicarsi
cosí del partito trionfante che invidia: forse in Napoli si eran vedute salve
talune persone, che la giustizia, la pubblica opinione, la salute pubblica
voleano distrutte o almeno allontanate.
Ma
vi era un mezzo saggio tra i due estremi. Il terrorismo è il sistema di quegli
uomini che vogliono dispensarsi dall'esser diligenti e severi; che, non sapendo
prevenire i delitti, amano punirli; che, non sapendo render gli uomini
migliori, si tolgono l'imbarazzo che dánno i cattivi, distruggendo
indistintamente cattivi e buoni. Il terrorismo lusinga l'orgoglio, perché è piú
vicino all'impero; lusinga la pigrizia naturale degli uomini, perché è molto
facile. Ma richiede sempre la forza con sé: ove questa non vi sia, voi non
farete che accelerare la vostra ruina. Tale era lo stato di Napoli.
In
Napoli le prime leggi marziali de' generali in capo erano terroristiche, perché
tali son sempre e tali forse debbono essere le leggi di guerra: esse non
poteano produrre e non produssero alcuno effetto, imperocché come eseguite voi
la legge, come l'applicate, quando tutta la nazione è congiurata a nascondervi
i fatti e salvare i rei? Robespierre avea la nazione intera esecutrice del
terrorismo suo. Quando le pene non sono livellate alle idee de' popoli,
l'eccesso stesso della pena ne rende piú difficile l'esecuzione e, per renderle
piú efficaci, convien renderle piú miti.
Negli
ultimi tempi si eresse in Napoli un “tribunale rivoluzionario”, il quale
procedeva cogli stessi princípi e colla stessa tessitura di processo del
terribile comitato di Robespierre. Forse quando si eresse era troppo
tardi, ed altro non fece che tingersi inutilmente del sangue degli scellerati
Baccher nell'ultimo giorno della nostra esistenza civile, quando la
prudenza consigliava un perdono, che non potea esser piú dannoso. Ma, quand'anche
un tal tribunale si fosse eretto prima, la legge stessa, colla quale se ne
ordinava l'erezione, sarebbe stato un avviso alla nazione perché si fosse posta
in guardia contro il tribunale eretto.
Il
terrorismo cogl'insorgenti si provò sempre inutile. “E che? - scrivea la saggia
e sventurata Pimentel - quando un metodo di cura non riesce, non se ne saprá
tentare un altro?”.
Difatti si accordò un'amnistia agl'insorgenti: non a tutti, perché sarebbe stata inutile; ma a coloro che il governo ne avesse creduti degni, onde cosí ciascuno si fosse affrettato a meritarla, e questo desiderio avesse fatto nascere il sospetto e la divisione tra tutti. Ma tale perdono dovea farsi valere per mezzo di persone sagge ed energiche, le quali avessero potuto penetrare ed eseguire gli ordini del governo in tutt'i punti del nostro territorio. Io lo ripeto: la mancanza delle comunicazioni tra le diverse parti dello Stato e la mancanza delle forze diffuse in molti punti per mantener tale comunicazione, la mancanza a buon conto della diligenza e della severitá erano l'origine di tutti i nostri mali e facevan credere necessario ad alcuni un terrorismo, il quale non avrebbe fatto altro che accrescerli.
|
|
|
|
|
|
||
|
|||
|
|
||
|
|
||
|