Solofra e la rivoluzione del 1799

 

Di Mimma De Maio

 

Versione in Bozza. In attesa di revisione definitiva.

 

APPENDICE DOCUMENTARIA

 

Atti notarili riguardanti il 1799

INDICE DEI DOCUMENTI:

1.      Reclutamento dei miliziotti (1798) (doc. n. 1).

2.      Danni prodotti al Palazzo Orsini dalle truppe municipaliste (doc. n. 2).

3.      Dichiarazione a favore        

1.      di Felice Antronio Garzilli (doc. n. 3),

2.      del sac. Domenico Anzuoni (doc. n. 4),

3.      di Donato e Domenico Nigro (doc. n. 8),

4.      del notaio Salvatore De Maio (doc. n, 13),

5.      di Modestino Pimonte (doc. n. 14),

6.      di Andrea de Pascale (doc. n. 19),

7.      di don Nicola D'Argenio e Giuseppe De Maio (doc. n. 21).

4.      Partecipazione allo scontro

1.      dei primi di maggio nella piana di Montoro (docc. nn. 6 e 9)

2.      del 13 giugno 1799 alle porte di Napoli (doc. n 5).

5.      I Municipalisti di S. Agata agli scontri di Avellino e Monteforte (doc. n. 7).

6.      Giuseppe Guarino muore nello scontro del 13 giugno al fortino Viglieja (doc. n. 10).

7.      Dichiarazione a favore di alcuni di Solofra, di Montoro, di Serino e di S. Agata (docc. nn. 11, 15, 21, 22, 24, 28, 34, 36, 39, 40).

8.      Michele de Agnello è fatto prigioniero nella Real fabbrica del Ponte della Maddalena (doc. n. 12).

9.      Saccheggio di una vigna (doc. n. 16).

10.  Il sindaco e gli Eletti di S. Agata prendono possesso dei corpi dell'Universitas (doc. n. 17).

11.  Dichiarazione sullo scontro di Montoro (doc. n. 18).

12.  Delibera dell'Universitas per l'accensione di un mutuo per sostenere le milizie di Ferdinando IV (docc. nn. 20, e 27).

13.  Impianto dell'albero della libertà a Solofra (docc. nn. 23 e 33).

14.  La decadenza dell'antica arte del Battiloro a Solofra (docc. nn. 25 e 26).

15.  Assalto alla casa dei fratelli Caraviello (docc. nn. 29 e 32).

16.  Dichiarazione a favore di Salvatore Pirolo da parte di alcuni suoi bracciali (doc. n. 30).

17.  La partecipazione dei monaci di S. Agostino alla Repubblica napoletana (doc. n. 31).

18.  Sant'Agata diventa comune a sé (doc. n. 35).

19.  Il sindaco Antonmaria D'Arienzo fa parte della municipalità di S. Agata (doc. n. 37).

20.  Danni dovuti all'abolizione delle fedi di credito (doc. n. 38).

21.   Contratto di compra-vendita di un bene di Michele Rubino soggetto a fidecommesso ed abolito dalla Repubblica Napoletana (doc. 41).

 

 

1.  1798, settembre 2. Solofra.

Lettura ed esecuzione del dispaccio reale per il reclutamento di 50 «miliziotti».

[...] A richiesta del sig. Giacomo Imbellone attuale governatore e giudice della Principale Corte di questo Stato unitamente con infraddetto Regio Giudice a contratti e testimoni nel largo sistente avanti della Venerabile Collegiata S. Michele Arcangelo abbiamo ritrovata radunata precedente il solito suono delle campane quasi tutta la popolazione di questo Stato e tra essa il sig. Sindaco Gennaro Pandolfelli e i suoi compagni eletti gli Decurioni di questa Università componentino pubblico parlamento il rev. Capitolo della detta Collegiata Chiesa di S. Michele arcangelo; gli Parrochi di S. Giuliano di S. Andrea Apostolo; gli Priori delli Conventi di S. Domenico di S. Agostino, il Guardiano delli Padri del Convento di S. Francesco di detto Stato ed esso don sig. Giacomo Imbellone asceso sopra di un pulpito tenendo nelle sue mani un Dispaccio di Sua Maestà, Dio guardi, quale nel punto dell’ora undici di detto giorno, avendo a me esibito in presenza di detta Populazione per osservarlo se vi si conosceva apertura, viziatura, dolo o inganno, ed avendolo visto, e rivisto e maturamente considerato, si è ritrovato il Dispaccio suddetto intero, senz’apertura, dato vizio, o inganno, e dopo d’essersi da me pubblicamente dimostrato alla populazione suddetta e riconosciutosi benanche dalla medesima d’essersi dal detto sig. Governatore, e Giudice fedelmente conversato, si è da me al suddetto sig. Governatore, e Giudice restituito e dal medesimo dal pulpito stesso, e con ogni diligenza, ed esattezza si è proceduto all’apertura del medesimo Regio Dispaccio, e con alta sonora ed intelligibile voce alla lettura e publicazione del medesimo ordinata di doversi procedere alla reclutazione di 50 miliziotti per doversi subito conferire avanti al generale Gamby. A vista dunque di un tal venerato supremo ordino di Sua Maestà, Dio guardi, dalli suddetti sig, Governatore, e Sindaco con tutta la premura, vigilanza  zelo si è dato principio alla reclutazione delli cennati 50 miliziotti, giusta il prescritto nel predetto Regio Dispaccio [...]. Presenti: Michele Scarano, giudice a contratti; Giuseppe Tura, Basilio Landolfi, Soccorso Landolfi, tetimoni.

(ASA, B 6941, f. 177r)

 

 

2.  1799, marzo 12

Sopralluogo al Palazzo del duca Orsini per la ricognizione dei danni e dei beni mobili asportati dalle truppe municipaliste durante l’occupazione del Palazzo.

[...] A richiesta di Nicola Grimaldi e Felice Antonio Fasano, erario di Filippo Orsini nostro Duca di Gravina ci siamo conferiti nel Palazzo di detto Felice Orsini e nelle case della Corte poste davanti al largo di S. Michele Arcangelo giusta notori confini, dove gionti essi sig. Grimaldi e Felice Antonio Fasano hanno spontaneamente asserito  alla nostra presenza d’avere in detto Palazzo per molti giorni abitati li passati Monicipalisti e Presidente di detto Stato di Solofra colla di loro truppa di soldati, e volendo essi badare all’interesse di detto Orsini hanno determinato di fare un notamento di tutto il che di mobile da esso Palazzo è stato tolto, con che da noi, coll’assistenza e presenza di Giuseppe Rossi, e Saverio Barbieri due dell’attuale Monicipalità di detto Stato, essendosi dilingenziato il Palazzo suddetto stanza per stanza, tenendo nelle mani, e sotto gli occhi il generale inventario di tutti gli mobili del Palazzo suddetto fatto a 14 di marzo dell’anno 1790; al Palazzo istesso si sono ritrovati mancantino mobili, cioè:

All’anticamera del quarto della Figlia Tiglia: la mascatura, e la chiave, e si vede mezza porta schiodata con violenza.

Alla prima camera dopo il Teatro: la mascatura, e chiave, sette specchi e quattro quadri.

Alla cappella: la chiave.

Alla seconda anticamera: due ovati di frutti di mare, e di pesci con cornici indorate, ed intagliate di palmi due, e mezzo.

Alla terza anticamera del quarto nobile: la mascatura della porta, un zoccolo di ferro, il quadro di S. Maria Maddalena di palmi tre, e quattro, con cornice negra sdragallata d’oro.

Al gabinetto: la mascatura.

Alla camera del letto: un quadro di Maria orante con cornice negra quadro ovato della SS. Concezione con cornice indorata di palmi due, e tre, ed un quadro di Maria Maddalena con cornice indorata, ed intagliata di palmo uno, e mezzo.

Alla gallaria: la mascatura, e chiave, un zoccolo di ferro, la vetrata del Palcone grande.

Alla camera prima dopo il passetto appresso alla gallaria: otto scoppette di varia lunghezza con fucili, e guarnimenti di ottone una di esse senza ponte.

Al secondo passetto: una cassetta di legno col suo vaso.

Al terzo passetto dopo la galleria: un zoccolo di ferro, la chiave dello stipo, e la chiave della porta di pioppo.

Alla cucina delle donne: un licchetto di ferro, che stava situato nella porticella, che introduce alla loggia del giardino. Alla detta loggia del giardino: due pietre alla cantarella: la chiave d’ottone e due anelle di ferro.

Al primo camerino: la mascatura dello stipo.

Al terzo camerino: la baffettella.

Al quarto camerino: la baffettella, e la di lei porta rotta, e caduta a terra.

Al camerino interno del quinto camerino: una baffetta, e la chiave.

Al suppigno sopra al quarto nobile: il licchetto alla monachina, che esisteva nella porta.

Al camerino di detto suppigno: la chiave e la porta scassata.

All’altro camerino dello stesso suppigno: la mascatura e la chiave.

Alla seconda camera del quartino nuovo: il letto compito come sta descritto in detto generale inventario.

Alla porta della sala del quarto dell’agente: la chiave, e il lampiere di legno.

Nell’anticamera della sala di detto quarto: la grata di ferro alla porta, dopo essersi aperta con violenza e due sfelze di damasco rosso.

Alla stanza di letto di detto quarto: il candeliere d’ottone, e sua bendarda.

Alla stanza della cucina di detto quarto: la chiave della porta e la chiave dello stipo.

Alla camera della guardiola: un lampiere, un barile, la chiave dello stipo. Alla stanza a mano dritta di detta sala il lampiere di ferro.

Alla camera dove sta il caporale: la chiave, e la mascatura della porta aperta con violenza, quattro tavole, e due scanni di legno di letto, una veste di pagliaccio, una veste di cossino, un lenzuolo di tela nuova, ed un altro lenzuolo di tela usata.

Al camerino interno: due lampieri di ferro.

Nella prima camera del guardaroba: un involto di piombo, ed alcune strisce di piombo trafilato.

Nella quarta camera di detto guardaroba: la sorbettiera di stagno, trombone di rame col suo sovro, due cassarole ed un coverchio di rame, una frissola di rame, una cioccolattiera di rame, un coppino di rame, tre coverchi di rame, due scumaroli di ferro ed uno di rame, una lucerna di ferro, una grattuggia, una paletta di ferro, il coppino di rame bianco, una saliera della lanterna di Genua.

Alla quinta stanza di detto guardaroba: aperta la porta piccola con violenza dalla parte della scala segreta del quarto mobile, undici bacchette di ferro grandi, e piccole, un ferro lungo per portiere d’arcuovo, una bilancia con tastiera di rame usata, un lambicco rotto di rame vecchia, un caccavo con la sua cocchiara, e maniche di ferro, due secchie per pozzo con loro catene, e maniche di ferro, due conche di rame vecchia inservibili, quattro langellotti di rame vecchio, un caldaio di rame vecchia, una frissola di rame, un caldarotto col manico di ferro rotto, quattro marmitte di rame vecchio, un forno di campagna di rame con ferri, una tiela di rame col manico di ferro rotto, una caldaia di rame vecchia, quattro buccagli di rame inservibili, uno mortarello di bronzo senza pistello, un gran capifuoco di ferro, due altri ferri, due spiedi di ferro, una padella di ferro col suo pomo di ottone, due marchi di ferro piccoli, tre fiori di ferro per palcone, sei spade, sette pugnali, fucili di ferro ariata n. 4, fucili all’apruzzese n. 8, sei candelieri piccoli d’ottone. E croce d’ottone per l’altare, scatola coverta di pelle rossa con maniglia e mascatura, scatola con scettro di diaspro, un passavolante rotto e segato, una sega, ed uno scalpello, uno spiedo grande, due scoppette vecchie, due carabini con tenieri e fucili guagli, dieci canne di scoppette, due pistoli per avanti cavallo con fucili alla spagnola alcuni granellini antichi inservibili, una scialba vecchia.

E da detto Palazzo successivamente siamo passati alla casa della Corte, e propriamente al quartiere di soldati seu armieri, ed alle carceri, ed ivi abbiamo ritrovate le seguenti cosse mancantino: Alle carceri: la catena di ferro di maglia 56 con due canali anche di ferro.

Al suddetto quartiere dei soldati una lettiera con i scanni di legno, quattro lenzuola, due pagliacci, e due mante d lana cardata.

Quibus omnibus sic peractis prefati Nicolai Grimalddi et Felix Antonius Fasano recoiunt nos [...]

Presenti Giuseppe di Donato giudice a contratti, testimoni: Basilio Landolfi, Soccorso Landolfi, Giuseppe Barbaro.

(ASA, B 6941, ff. 46 r e sgg)

 

 

3.  1799, maggio 20

Alcune persone di Solofra dichiarano che Felice Antonio Garzilli ha fatto varie collette per sostenere le truppe comandate dal Capitano Raffaele Grimaldi di Solofra che in Montoro erano insorte «contro i ribelli della Religione e del Trono».

[...]. Si sono costituiti i signori don Giuseppe e Nicola Pandolfelli, don Francesco Garzilli di Vito, don Luigi e Donato Giannattasio, don Michele Garzilli, don Antonsanto Giliberti, don Vincenzo de Santis, don Giovanni Giliberti, il diacono don Luigi Russo e il diacono don Taddeo Garzilli tutti di questo Stato di Solofra, li quali fanno piena e indubitata fede, ed attestano con giuramenti avanti di noi, qualmente a loro ben consta, che a causa dell’insurrezione del convicino Stato di Montoro contro i ribelli della Religione e del Trono, attrovandosi il signor don Nicola Gervasio di detto Regio Stato qui in Solofra in casa del di lui genero don Felice Antonio Garzillo, il medesimo per dimostrare cogli effetti il piacere che nutriva per la sussistenza delle suddette insorgenze in difesa della Real Corona, ed affinché le numerose truppe che la componevano sotto la direzione del Capitano Comandante don Raffaele Grimaldi di detto Regio Stato non si fossero disarmate o desistito avessero dall’incominciata impresa per mancanza di vitto e di danaro per loro mantenimento giornale; perciò lo stesso signor don Nicola si è cooperato con tutte le sue forze, e maniere di poter raccogliere somme in questo suddetto Stato di Solofra per somministrarle alle dette Truppe di Montoro; per cui si è veduto giornalmente e ad ore anche incompatte andare in giro per le case così degli Amministratori di questo pubblico che dei particolari galantuomini benestanti di questo suddetto Stato per poter riunir danaro per il detto bisogno; siccome infatti mercè la sua grande efficacia, e zelo li è riuscito di raccogliere, e conforme neo univa qualche somma la rimetteva per corrieri e per posta scortati da persone armate a detto signor Comandante delle Truppe signor Grimaldi; anzi l’altro ieri verso l’ora di mezzogiorno avendo aumentata anche buona somma col Regio Notaio don Giustiniano Giliberti calarono dette persone in detto Regio Stato di Montoro a portare detto danaro. E questo è tutto si attesta da loro per la verità [...]. Presenti il giudice a contratti Giuseppe di Donato e i testimoni Francesco Nicola Maffei, Soccorso di Donato e Soccorso Ciccarelli di Solofra.

(ASA, B 7015, f. 67r)  

 

 

4.  1799, maggio 21. Serino.

Atto pubblico a favore del sacerdote secolare Domenico Anzuoni fatto da Domenico di Aiello, economo e curato di Rivottoli (Serino) ed da altri dello stesso casale di Serino che attestano che l’Anzuoni è «sacerdote morigerato e di esemplari costumi e dacchè seguì la rotta in Monteforte per timore dei Francesi si ritirò per sua sicurezza nel Monastero dei PP. dei Cappuccini dello Stato di Solofra».

(ASA, B 6358, f. 5)

 

 

5.  1799, giugno 18.

Dichiarazione di alcuni soldati della Truppa di Solofra, che, al comando del capitano Pasquale Ronca, il giorno 23 giugno attaccò «i ribelli del Trono» nei dintorni di Napoli subendo tra le perdite quella del fratello del Comandante, sacerdote Francesco Ronca.

[...] In nostra presenza si sono costituiti Pasquale D’Urso, Michele Rosalia, Giuseppe Antonio Guarino, Domenico Di Girolamo, Rocco Esposito, Domenico Ronca, Michele Grimaldi, Vincenzo Antinolfi, Serafino Russo, Pasquale Vicedomini. Michele Forte, Michele Iasimone, Vitantonio Ianuale, Pasquale Ruocco e Carmine Troisi, soldati a massa della Truppa di questo Stato di Solofra in difesa della Maestà del nostro Re (Dio guardi) addetti al comando del signor don Pasquale Ronca Capitano Comandante della medesima, li quali attestano con giuramento avanti di noi come essendosi portati col detto di loro Comandante e di lui fratello sacerdote secolare don Francesco Ronca nell’attorno di Napoli per discacciare i ribelli del Trono, allora di giovedì 13 corrente giugno verso le ore 23 avendo attaccato il fortino situato sotto la fabbrica nuova per comando di un generale inglese essendosi ricusata la resa di quello colle vittuaglie colà delle guardie delle Truppe regaliste fra gli altri vi era il suddetto reverendo detto Francesco fratello del Comandante il quale fra lo strepitoso attacco si distinse nel valore; quando poi furono circa le ore ventiquattro, e mezzo essendosi dato fuoco ad una mina di polvere o artatamente o a caso allo scoppiar di quella vi restarono molti estinti e fra gli altri morti vi perì il cennato quondam don Francesco il quale nella mattina seguente del venerdì fu da essi testificati riconosciuto, e veduto con li di loro propri occhi morto e bruggiato a terra disteso [...]. Presenti il giudice a contratti Giuseppe di Donato e i testimoni rev. Francesco Saverio Grassi, Giovanni Giliberti e Soccorso Ciccarelli.

(ASA. B 7015, f.70v)

 

 

6.  1799, luglio 1. Solofra.

Il sac. Giuseppe Antonio Grassi, il novizio Filippo Grassi, i sigg. Francesco Giannattasio, Giovanni Pacileo, Consolato Cuoci, Pasquale D’Urso, abitanti di Solofra, attestano che «nel giorno 1° del mese di maggio prossimo passato verso le ore 16 il Commissario del Regio Stato di Montoro Sig. don Pasquale Grimaldi chiese aiuto di gente armata in questo Stato di Solofra non meno che in S. Agata casale dello Stato di Serino» dicendo che «s’approssimava, ad essi loro una grossa truppa di Francesi, e Patriotti, che veniva dalla parte di Nocera de’ Pagani, ed altri luoghi per piantare l’infame albore, detto della ‘Libertà’ in questi nostri paesi, che doi già si era reciso ed incenerito; per la qual cosa, tanto in questo suddetto Stato si Solofra, che nel detto casale di S. Agata di Serino si sonarono le campane all’Armi, e si armò la maggiorparte di questa popolazione composta di sacerdoti secolari, e regolari, galantuomini e plebei, e  s’incamminarono verso il Regio Stato di Montoro, e per strada s’incontrarono coll’arme del detto casale di S. Agata di Serino tra’ quali ei ravvisarono, non solo il rev. Parroco di quel casale don Giuseppe di Maio, armato di fucile, ma benanche l’Accolito don Nicola d’Arienzo e suo fratello don Marcantonio e don Remigio di Maio ed altri, e per essere di loro amici e conoscenti di uniti ad essi giunsero in detto Regio Stato di Montoro e portandosi dal suddetto Commissario Grimaldi dal quale ricevuti gli ordini, si portarono, sino al luogo detto S. Angiolo, da dove di già erano stati rispinti e posti in fuga, i suddetti Francesi e Patriotti, per cui dal detto Sig. Grimaldi licenziati, ringraziati dicendoli, che in ogni occorrenza chiamati l’avrebbero». I sacerdoti giurano «col tatto del petto» gli altri «col tatto della carta».

(ASA, B7029, f. 26v)

 

 

7.  1799, luglio 2. S. Agata di Serino

Dichiarazione di alcuni realisti di S. Agata di Serino sull’azione dei municipalisti locali nello stesso casale ad Avellino e a Napoli.

[...] Nella nostra presenza si sono costituiti Simone Buonanno, Gennaro Perreca, Gennaro De Maio di Vincenzo, Sabato De Maio del quondam Francesco, Nicola De Maio di Vincenzo, Felice Antonio Guarino, Vincenzo De Maio di Pasquale quondam Michele, Carmine Filippo De Maio quondam Domenico, Andrea Gaeta, Domenico D’Urso, Michele De Stefano, Antonio Giannattasio, Luigi Savarisi, Francesco Di Maio quondam Gabriele, Giuseppe di Andrea De Maio, Andrea del quondam Antonio Guarino, Luigi Moretto, Felice Moretto, Nicola Cotone, Vincenzo Famiglietti, Pasquale Moretto, Gio Antonio De Maio, Nicola D’Arienzo, Domenico De Maio di Basilio, Angelo Antonio De Maio, Carmine Filippo De Maio quondam Giuseppe, Giovanni Giannattasio, Francesco Moretto, Rocco De Maio, Giuseppe De Maio, Francesco Cotone, Pietro De Maio, mag. Domenico di Maio quondam Crescenzio, Crescenzio De Maio di Giuseppe, Pasquale del quondam Domenico De Maio, Mario De Maio, Filippo De Maio di Mario, Sabato quondam Ciriaco De Maio, Carmine Antonio Spiniello, Antopnio Di Maio quondam Gio Battista, Nicola Giella tutti di S. Agata di Serino [...] davanti al giudice a contratti e a testimoni dichiarano [...] che ritrovandosi in detto casale Monicipalisti della sedicente e caduta Repubblica il fisico Modestino Piemonte, Remigio De Maio, Nobile Salvatore De Maio, Samuele De Maio, Matteo De Maio, Nicola d’Arienzo quondam Filippo, e Nicola Guarino i quali, non solamente piantarono in detto casale quattro volte l’infame albore detto della libertà, il quale fu rotto, e franto dalla gente armata del Popolo basso di detto casale e per di loro capo, il primo tenente sig. Donato Nigro dello stesso casale, ma benanche li medesimi Monicipalisti, precedente ordine dalli medesimi emanato, colla pena d’immediata fucilazione disarmarono l’intero suddetto casale di S. Agata di Serino, e si presero circa 80 fucili, armi bianche, e monizioni; ciò fatto, gli stessi monicipalistri armata mano si portarono in Avellino, ed ivi fecero fuoco contro gli fedeli Realisti, da dove se ne passarono nella città di Napoli uniti coll’armata delli ribelli francesi ed ivi hanno mantenuto il fuoco sino che dalli fedeli Realisti si prese il possesso di detta città di Napoli, ciò vedutosi dal sopraddetto primo tenente sig. Donato Nigro, il medesimo armato di zelo in favore del Regio Maestoso trono di Sua Maestà, che Iddio sempre feliciti, unito con altra gente Realista armata, ed egli in capo, non solamente ha dissipati molti inimici del detto Regio Trono in vari attacchi di fuoco tenuti in molte parti di quest Regno ma benanche arrestè, e rattrovansi ditenuti nelle carceri gli suddetti Nobile Salvatore De Maio, Matteo di Maio, Modestino Piemonte. Finalmente gli suddetti municipalisti nell’ultima piantare di detto infame albore, si vestirono, non solo essi di funi, e pennacchiera, ma benanche ebbero l’ardire di situare la pennacchiera, e nona francese alla testa del nostro amabilissimo sig. Gesù Cristo cantando il Te Deum; come altresì i suddetti Municipalisti, preceduta ancora di loro ordine di fucilazione in dispregio della nostra Sacrosanta Religione, fecero trasportare in vari giorni di domenica, dalla gente di detto casale una gran quantità di pietre. Dicendo servire le medesime per accomodo della strada per vantaggi della suddetta caduta Repubblica et sic iuraverunt [...].

Presenti: Mag. Michele D’Urso regio giudice a contratti dello Stato di Solofra. Antonio Guarino, Michele De Stefano e don Basilio Landolfi di detto Stato, testimoni.

(ADA, B 6941, ff. 134r-137v)

 

 

8.  1799, luglio 18.

Giacinto De Maio, Stefano Guarino, Francesco Cotone, Giovanni Caruso, Giuseppe Nigro, Michele Guarino, Carmine Filippo De Maio, Beniamino Guarino, Tommaso Guarino, Giuseppe D’Urso, Nicola Vincenzo D’Urso, Domenico e Antonio Gaita, Vincenzo Di Maio, Domenico Grasso, Michele di Stefano, Giovanni Di Maio tutti «naturali abitanti, capi di famiglia, maestri di bottega, e coloni di questo Stato di S. Agata o sia S. Andrea di Solofra, non meno che quelli dello Stato di Serino» dichiarano che «Donato Nigro fu Domenico, di loro compaesano, e conoscente sia stato sempre attaccato alla Regia Corona, per aver sempre preso le armi in difesa della medesima tanto vero che la Municipalità di detto casale di S. Agata vederlo così attaccato al Regio Trono ordinò la sua carcerazione, che poi ne fu avviato e si rifugiò nel Regio Stato di Montoro, e quello di San Severino in dove stiede per molto tempo, e quanno si recisero l’infame albore in detti loro casali si vidde il detto Nigro comparire nuovamente colle armi alle mani in difesa del prelodato Nostro Sovrano (Dio Guardi) con molti altri suoi compari e compaesani, i quali hanno fatte delle continue carcerazioni di Giacobini e Patriotti di questi convicini, come pure essi testificanti attestano e fanno fede che lo stesso Domenico Nigro non ha fatti ricatti, né tampoco latronecci in detti casali»

(ASA, B 7029, f. 32r)

 

 

9.  1799, luglio 24. S. Agata di Serino.

Marcantonio D’Arienzo, Donato Di Maio fu Crescenzo, Vitoantonio Di Majo di Pietro, Saverio D’Urso di Andrea, Sabatantonio Di Maio fu Andrea, Michele Di Maio di Vincenzo, Biasi D’Urso fu Michele tutti di S. Agata di Serino dichiarano che «nel giorno primo del mese di maggio prossimo scorso verso le ore 16 al suon delle campane all’Armi si radunò buona parte di questo casale, facendo allora da Capitano Comandante il costituito Marcantonio D’Arienzo per essere stato creato Tenente Colonello il Sig. don Costantino de Filippis con patentiglia come si dice e fra questi non solo accorse il Rev. Parroco di questo casale don Giuseppe Di Maio, anche armato di fucile ma benanche i suddetti costituti e il sig. Remigio Di Maio, don Nicola D’Arienzo ed altri di loro paesani e conoscenti, che non si ricordano, e s’avviarono verso la strada del Regio Stato di Montoro per dove si unirono tanto colla gente armata di Solofra, che andavano in soccorso dei Montoresi che l’avevano richiesto andando sempre avanti ad gente armata il suddetto sig. don Remigio di modo che incoraggiava i suoi compagni per la pronta difesa del Trono, che al ritorno poi a tutta detta gente armata si diede una famosa colazione a sue proprie spese, come pure asseriscono i primi quattro testatori cioè don Marcoantonio, sig. Donato, Vitantonio e Saverio che nella sera del 28 aprile di questo corrente anno, verso le ore due della notte il suddetto don Remigio con una scura, o sia accetta alle mani, fu il primo a dare dei colpi nell’infame albore per cui si fe da’ suoi, che d’altri colpi restò reciso e la mattina del ventinove di detto mese si sonaron le suddette campane a gloria per la seguita recisione del detto albore» 

(ASA, B7029, f. 38v e sgg)

 

 

10.  Idem. Solofra.

Giuseppe Graziano di Nicola il giorno 13 giugno del 1799 «passò da questa a miglior vita nelle vicinanze di Napoli e proprio nel fortino detto Viglieja, dove morì gloriosamente colle armi in mano in difesa del Nostro Piissimo Monarca (Dio guardi) non meno che della cattolica legge».

(ibidem)

 

 

11.  1799, luglio 25. Figlioli di Montoro.

Alcuni abitanti di Figlioli attestano che insieme ad altri dello stesso casale «nelle passate invasioni dei Francesi non hanno mai mancato di dimostrare la loro generosità nei continui assalti colla maledetta nazione e nel primo attacco avuto nel ristretto di questo Regio Stato con malvaggi e naturali della convicina terra di Solofra e quelli riuniti ne furono col divino aiuto vincitori che vi restò estinto il numero di più ribelli e i pochi rimasti dati in fuga. Nel gran fuoco fatto in Forino ed Avellino detti insieme ad altri dopo aver fatto macello recisero alla fine più teschi di quelli e li trasportarono per prova della fatta preda nel campo che allora esisteva in queste predetto Regio Stato» [...].

(ASA, B4542, f. 659)

        

 

12.  1799, luglio 27.

Fortunata Ronca moglie di Michele di Agnello dichiara che il marito è «ritenuto nella Real Fabrica nuova del Ponte della Maddalena di Sua Maestà (Dio guardi) al Ponte della Maddalena della fedelissima città di Napoli per causa delle presenti insurrezioni di questo Stato di Solofra».

(ASA, B7029, f. 53r)

 

 

13.  1799, luglio 28. Solofra

Soccorso Di Maio, Vitoantonio Di Maio di Pietro, Francesco Di Maio, Pasquale Di Maio, Biase Del Vacchio, Giuseppe Di Maio fu Salvatore, Pasquale Di Maio fu Domenico, Tommaso Guarino, Domenico Di Maio fu Carminantonio, Giovanni Faggiano, Giuseppe Antonio Guarino, Saverio D’Urso, Nicola Guarino, Luigi Savarisi tutti naturali del convicino Stato di S. Agata di Serino e al presente in questo Stato di Solofra attestano che «il loro paesano Notaio don Salvatore De Maio per tutto il tempo passato non solamente è stato uomo probo, onesto e di morigerati costumi, ma enziadio have avuto sempre attaccamento alla religione cattolica, e alla Sovranità avendo sempre ciecamente ubbidito alle leggi del nostro Augusto Re Ferdinando IV (che Iddio sempre feliciti) e maggiormente nel suo ufficio di pubblico e Regio Notaro che fedelmente e con ogni decoro have esercitato ed esercita ; né mai ha tenuto sentimenti di giacobinismo, o fatto dimostrazioni favorevoli alla passata Republica ; tanto vero che fu incluso nella passata municipalità  a causa che per necessità del Suo ufficio , perché si rattrovava in quel tempo Cancelliere di quell’Università, e per conseguenza fu astretto di fare da segretario, e per la causa ancora che non vi era colà altra persona, che poteva detto ufficio disimpegnare e non per altro fine». (ASA, B7029, f. 63r).

 

 

14.  1799, agosto 4. Solofra.

Il fisico Nicola De Maio, i sigg. Vitoantonio De Maio di Pietro, Michelangelo D’Urso fu Angelandrea e Carmine Troisi, tutti naturali del convicino casale di S. Agata di Serino al presente in questo Stato di Solofra dichiarano che « il di loro paesano fisico Modestino Piemonte sia stato più tosto attaccato al Trono che alla Repubblica tanto vero che nel giorno primo del mese di Maggio prossimo passato di questo corrente anno 1799 rattrovandosi il medesimo capitano della Truppa di detto casale per essere stato creato dal Comandante Mariano D’Arienzo di detto casale; il quale nel sentire il suono delle campane all’Armi tanto di questo suddetto Stato di Solofra che nel predetto di loro casale che preso avessero le armi in difesa della Religione e del Nostro Sovrano (Dio Guardi) a causa che gli era pervenuta notizia dal convicino Regio Stato di Montoro che s’approssimava loro una grossa truppa di Francesi e di Patriotti per ripiantare l’albore che già reciso avevano da più giorni, e nel tempo stesso per saccheggiare e devastare questi luoghi siccome ad altri luoghi fatti avevano per cui armata che fu buona parte di questi naturali si unirono a massa e s’incamminarono verso il suddetto Regio Stato di Montoro e giunsero sino allo Stato di S. Severino e propriamente nel casale detto S. Angiolo in dove rittrovarono che erano stati respinti i suddetti Francesi e Patriotti»

(ASA, B7029, f. 64)

 

 

15.  1799, agosto 7. Serino casale di S. Biaso.

Atto a favore di Gaetano Magnacervo fatto da Felice Ferrazzano di Solofra, Francesco Paolo Natale di Solofra ed altri di Serino che attestano «come essendo stati chiamati in Serino nella fine di aprile 1799 di unità ad altri loro compagni suonatori per servire da banda nella truppa Regalista in massa dello Stato di Serino ed altri luoghi vicini si ritrovavano che tutta la suddetta truppa rattrovava comandata dal Sig. Costantino dei Filippi ora colonnello dei Reali eserciti e da D. Gaetano Magnacervo e venì tutti e due conoscenti da loro dello Stato di Serino i quali andavano realizzando molti luoghi come Solofra di loro patria., Atripalda, Aiello, Civitale ed Avellino, ed avendo inteso si trovava verso Monteforte la truppa Francese essi Sig. Colonnello Costantino e Gaetano si avviarono colla loro truppa per resistere lì. Infatti nella vicinanza di Monteforte seguirono replicati fatti di armi ed attacchi, nelle quali esso Gaetano fu sempre alla testa istigando essi sottostanti e tutta la truppa a resistere e espellere il nemico». Sono presenti il giudice a contratti Gaetano Greco e i testimoni Celestino di Paola, Nicola Cota, Paolo Savino di Serino.

(ASA, 6358, f. 105v)

 

 

16.  1799, agosto 12

Dichiarazione del saccheggio di una vigna sita in località al Sambuco ossia alle Selvetelle.

[...] Agostino Giannattasio q. Consolato, Vincenzo Gaita, Nicola Gaeta, Michelangelo Di Stefano, coloni abitanti a costo alla Vigna di don Vito Vigilante posta in queste pertinenze nel luogo sotto al Sambuco ossia alle Selvetelle che attualmente si tiene in affitto da Vito Del Vacchio da Francesco De Maio di detto Stato [...] dichiarano che varie persone di ogni età, e condizione si sono portati in questo corrente anno in detta vigna di detto don Vito Vigilante ed ivi a gusa di Padroni, e non ostante la resistenza fattali da detti fittuari Vito del Vacchio e Francesco Di Maio si hanno raccolto le cerase, fichi, mela e prugne ed il detto Michele de Stefano testificando soggiunge d’aver veduto coi suoi propri occhi dette persone, che si hanno raccolta la robba indebitamente et sic iuraverunt.[...] Presenti: Giuseppe di Donato giudice a contratti, Agostino Guarino, Soccorso Landolfi, Donato Petrone, testimoni.

 

 

17.  1799, agosto 18. S. Agata di Serino.

Il sindaco di S. Agata di Serino e gli eletti prendono possesso dei corpi della Università.

«A richiesta fattaci per parte ed istanza del Magnifico Signor Domenico Antonio De Maio del detto casale di S. Agata di Serino, ci siamo di persona portati nel medesimo casale e propriamente avanti la parrocchiale Chiesa dove giunti abbiamo rattrovato pur anche il sig. don Mariantonio D’Arienzo odierno Sindaco di detta Università di S. Agata al di cui arrivo il cennato don Antonio in presenza non meno nostra che del detto odierno Sindaco ultimamente eletto ha richiesto il vero pacifico e corporale possesso di detto Sindacato sul  pretesto che ad esso spettava i Nuovi affitti dei corpi di detta Università per l’annata di Sua Amministrazione principiando a 1° settembre di questo corrente 1799 e terminando a tutto agosto 1800 in unione d’altri due suoi compagni Eletti cioè il sig. Pietro De Maio là Eletto presente nel presente Atto e il sig. don Salvatore De Maio quondam Pietro secondo Eletto assente, in esecuzione della predetta Elezione fatta nelle di loro persone in pubblico Parlamento nel giorno 11 camminante mese di agosto 1799 in presenza ed assistenza non meno del detto Sindaco odierno che fece le dette nomine ma benanche di Donato Antonio Pierri attuale Giudice a Contratti dell’intiero Stato di Serino a tal uopo invitato, come pure di me medesimo infraddetto Notaro attuale cancelliere straordinario eletto dal detto odierno Sindaco Mariantonio a causa ch’essi inclusi furono con maggioranza di voti siccome dagli atti di detta Elezione più chiaramente si raccoglie che anche presso di me si conservano per futura buona memoria. E conferitoci in detto luogo solito a congregare i Parlamenti ed ivi radunati buona parte delli capi di Famiglia di detto Casale per concedere i suffragi segreti a tal fine chiamati  e conoscendo esso odierno Sindaco Mariantonio cosa troppo doverosa una tal domanda di possesso per esecuzione del suddetto Parlamento [...] ha perciò posto gli riferiti Domenico Antonio De Maio presente e don Salvatore De Maio fu Pasquale assente e per esso me Notaio presente e stipulante nel vero reale e corporale pacifico possesso non ostante l’assenza del loro compagno Salvatore Amministratore e governatore di detta Università gradatamente uno doppo l’altro come sopra per la suddetta annata  [...] con tutti gli oneri prerogative e emolumenti ed ogni altra facoltà che esso ha goduto con i suoi compagni Eletti [...] ed indi ha consegnato nelle proprie mani al riferito Domenico Antonio suo successore l’offerta degli affitti faciendi alle dette gabelle ed altri corpi della stessa Università e concedendo da ora per alora la piena facoltà e potestà di poter vendere ed affittare li suddetti corpi della medesima Università e di fare tutti gli atti d’accensione colla solita dovuta promessa fatta ad esso odierno Sindaco che mai in detti affitti vi accadesse interesse o minimo disturbo sì per parte di essi novelli Amministratori che per la suddetta annata [...] in tal caso tutti i danni ch’accadranno andar debbiano a carico e rischio di esso don Domenico Antonio e suoi Compagni , restando sempre il cennato Mariantonio odierno sindaco intatto ed incluso da ogni perdita o danno che mai potesse accadere su tali affitti ed affittatori».

(ASA, B7029, ff. 66-67)

 

  

18.  1799, agosto 19. Piano di Montoro.

Attestato di alcuni di Piano e Parrella di Montoro che affermano «come nel primo attacco avuto nel ristretto di questo Regio Stato con malvaggi e naturali della convicina terra di Solofra a quelli riuniti ne furono col divino aiuto vincitori che vi restò estinto il numero di più ribelli e i pochi rimasti dati in fuga»

(ASA, B 4542, f. 71)

 

 

19.  1799, settembre 2. Montoro.

Attestato di alcuni naturali dei casali di Piano e Parrella che affermano «come l’attuale tenente don Andrea Pascale della Truppa in Massa Cristiana condotta dall’attuale Colonnello Pasquale Grimaldi nelle passate invasioni di Francesi e patriotti ha mostrato la sua generosità negli assalti [...] nel primo assalto avuto in Montoro con Solofra vinse e restò estinto un gran numero di ribelli» [...].

(ASA, B 4542, f. 78)

 

 

20.  1799, settembre 4. Solofra.

Il Parlamento dell’Università di Solofra delibera di contrarre un debito con mutuo ad interesse scalare per riparare alle spese fatte dall’Università per sostenere le milizie di Ferdinando IV nella riconquista del regno.

[...] Ferdinando IV, per la Dio Grazia re, dottore dell’una e l’altra legge don Giacomo Imbellone governatore e giudice di questo Stato di Solofra. Precedentino li pubblici banni congregati in questo Pubblico Archivio luogo solito a convocare parlamenti con l’assenso e intervento del Governatore e giudice di questo Stato don Giacomo Imbellone i magnifici attuali Regimentari interini don Gennaro Pandolfelli sindaco, don Michele Garzilli di Felice primo Eletto, don Antonio Guarino, don Tommaso Guarino, e M. Sabbato Scarano Eletti, non che li infraddetti magn. Decurioni cioè don Francesco Garzillo quondam Vito, Mariano Murena, Domenico Guarino, Filippo Vigilante, Donato Giannattasio, Domenico Crescillo, Gaetano Guarino, Alessio Maffei, Raffaele Garzillo, Giacomo Garzillo, Giovanni Fasano, Michele Troisi, Nicola Giannattasio, Pietro Grimaldi, Mihele Scarano, Gaetano Giannattasio. A tali magnifici Decurioni vocali si è proposto da esso sign. Governatore Giudice e dal surriferito signor Sindaco Gennaro Pandolfelli in compagnia dei suddetti Regimentarii Eletti come per la misericordia di Dio essendo ritornato il Nostro amabilissimo Padre e sovrano Ferdinando IV (Dio Guardi) in questo suo Regno colle gloriose sue armi a liberarci dalla fiera schiavitù della passata infamia sedicente Repubblica, e a restituirci la nostra pace perduta, ad assicurarci la nostra vita, ch’era in continuo pericolo di perdersi, a mantenerci il pericolante onore delle nostre donne e famiglie, a mettere in sicuro tutte le nostre robbe nostre sostanze, a far maggiormente trionfare ed adorare il sacrosanto vessillo della Croce, in sustegno della Santissima legge di Nostro Signor Gesù Cristo ed a ritornarci insomma in quel primiero stato di pace e tranquillità che sempre abbiam goduto sotto gli suoi felicissimi paterni reali auspici dileguando l’ombre tutte delle nostre inesplicabili disavventure: per tanto fare necessariamente detto nostro amabilissimo sovrano ha dovuto sopportare ed erogare ingentissime spese; in segno dunque di dovuta gratitudine di noi suoi figli verso un tanto amorosissimo nostro padre, si propone alle Signori Vostre ch’è espediente e dovere che tutte le spese fatte da questa Università a conto del nostro su riferito sovrano per le sue milizie capitruppe, ed occorso nel riacquisto del Regno si donassero per segno del nostro rispettoso affetto al Sovrano medesimo. Al che sentire gli vocali tutti unitamente han risposto: «Si Signore è giustizia e dovere che di tutto lo speso come sopra se ne faccia un dono al Nostro Amoroso Padre e Sovrano e che doppo la discussione de Conti de spirati Amministratori di questa Università per tutto quello che l’Università istessa rimarrà debitrice se ne dovesse fare un debito di mutuo coll’interesse per mano mano scalarmente estinguersi colle rendite medesime dell’Università, a quale oggetto si dona la facoltà all’attuali Amministratori della nostra Università di far ciò ed implorare il dovuto assenso del Re e suoi ministri. Quale proposizione passata anche in bussola secreta e rimasta tale quale conchiuse con tutti li voti inclusi ivi nemine penitus discrepante. E così è stato stabilito. Indi s’è proposto a detti magnifici Decurioni vocali che dovendosi discutere i conti de spirati Amministratori di questo Pubblico si proponeva per razionale la persona del magn. Notaio don Bartolomeo Grimaldi e dati ai Decurioni gli rispettivi voti, con passare indi la bussola segreta. Si sono ritrovati sedici voti inclusi ed uno negativo. Per lo che è rimasto conchiuso per Razionale il detto Grimaldi. Finalmente da detto magn. Raffaele s’è proposto ad essi magn. Decurioni vocali crear doveasi gli Grassieri di questo pubblico e perciò nominavano per grassieri don Michele Ronca, don Vitantonio Grassi, don Nicola Grassi. E fattasi la bussola segreta don Michele è rimasto incluso con 9 voti di si e otto di no, don Vitantonio Grimaldi è rimasto incluso con 14 voti di si e 3 di no, don Nicola Grassi con 13 si e 4 no. E così è rimasto stabilito e conchiuso in Parlamento con essersi indi lo stesso disciolto.

(ASA, B 7015 copia posta tra i ff. 97 e 98).

 

 

21.  1799, settembre 14.

Nicola Russo, Nicola Gioiella, Matteo Gioiella, Angelo Galasso, Andrea Faggiano, Pasquale D’Urso, Pietro Russo, Francesco Cotone, Gabriele D’Urso, Sabato D’Urso «naturali abitanti di S. Andrea di Solofra» dinanzi al notaio e a testimoni dichiarano che «la persona del Sig. Don Nicola D’Argenio di Banzano casale del Regio Stato di Montoro da essi testatori molto conosciuto d’essere attaccato al Trono per le molte prove che ne ho date in loro presenza per avere il magnifico D’Arienzo negoziato nel passato anno 1798 e propriamente nel mese di agosto con Giuseppe De Maio di S. Agata di Serino molto legname di castagno per uso di carboni per le Reali Ferriere di Atripalda siccome si rileva da validi documenti e come che in questo frattempo per nostra disgrazia entrarono in questo cristianissimo Regno le armi francesi per cui lo stesso don Nicola esortava ad essi testatori a stare di buon animo stante le suddette armi non avevano mota durata, come infatti fin dalla prima revoluzione il cennato Sig. Nicola animando i suddetti testificanti e ad altri nostri conoscenti a prendere le armi in difesa del Nostro Piissimo Sovrano, dicendo che se mai a ciascuno di essi testificanti mancato avessero le armi e munizioni il prelodato Nicola si offerse pronto a dare ad essi non solo armi e munizioni ma benanche danaro per il di loro vitto e mantenimento, animandoli a stare sempre pronti dove la necessità il richiedeva colle suddette armi per difesa del prelodato Nostro Sovrano per il recupero del suo Regno, come infatti vinti dal zelo si sono sempre col detto Sig. Nicola signalati coll’armi in difesa del prelodato Nostro Sovrano»

(ASA, B7029, f. 76)

 

 

22.  1799, settembre 28

Dichiarazione di alcuni dei casali di S. Agata di Serino e di Solofra sulla fede e sul comportamento realista di alcuni abitanti degli stessi casali.

[...] Vincenzo De Maio di Pasquale, Carmine Filippo De Maio q. Giuseppe, Giuseppe D’Arienzo q. Giuliano, Tommaso De Maio q. Basilio di S. Agata di Serino, Vincenzo Giliberti q. Matteo, Stefano Celentano q. Saverio di S. Agata di Solofra dichiarano [...] che Vito Caruso, Nicola D’Urso, Francesco D’Urso, Giuseppe De Maio, Francesco De Maio di S. Agata di Serino, Pasquale Troisi di S. Agata di Solofra che al presente formalmente si rattrovano detenuti nel Regio Tribunale di Montefusco sono Realisti, e per molto tempo coll’armi nelle mani in difesa del Regio Maestoso Trono di Sua Maestà Ferdinando IV, che Dio feliciti per lunghissimi anni, e sotto il comando del tenente Donato Nigro di detto casale di S. Agata di Serino, si sono portati in vari attacchi di fuoco sortiti nel presente Regno, ed han fatta la Guardia urbana in detto casale di S. Agata di Serino per la detta difesa, e sono stati pagati col danari delli naturali e dell’Università di detto casale di S. Agata di Serino, et sic iuraverunt. Presenti: giudice a contratti Giuseppe di Donato, testimoni Tommaso Rubino, Antonio Petrone, Francesco di Vito di Solofra.

(ASA, B 6941, f. 149v)

 

 

23.  Idem.

Dichiarazione di alcuni particolari di Solofra circa l’impianto dell’albero della libertà nella Piazza di Solofra e l’abbattimento delle Armi di Ferdinando IV poste sull’insegna della Regia Doganella del sale di Solofra.

[...]. Nella nostra presenza si sono costituiti il sacerdote secolare don Giuseppe Pandolfelli, don Nicola Vincenzo Grassi, don Filippo Fasano, Pasquale Giannattasio, Giuseppe di Donato di Girolamo, Cipriano Giliberti, Felice Antonio Petrone, Giuseppe Salvia, Consolato Cuoci, Pietrantonio di Donato, Nicola Carfagna, Ciriaco Antinolfi, Michele Antonio di questo suddetto Stato di Solofra, [...] come esistendo in detto Stato di Solofra la Regia Doganella dei Sali, che si esercita dal sig. don Giuseppe di Tura di detto Stato, qual sostituto del suo Principale sig. Gaetano Murena, sopra la porta della quale al di fuori vi sono affisse ed inchiodate l’Arme del nostro Monarca Ferdinando IV, che Dio feliciti per lunghissimi anni, dipinte in una tavola di legno nella fine del passato mese di gennaio del sopraddetto camminante anno, non ricordandosi essi Signori testificanti il positivo giorno, ritrovandosi detto Sig. don Giuseppe Pandolfelli, Pasquale Giannatasio, don Nicola Vincezo Grassi, Cipriano Giliberti, don Filippo Fasano, e Felice Antonio Petrone avanti di detta Regia Doganella, viddero con propri occhi, ed intesero con proprie orecchie, che il medico don Antonio Garzillo del q. Gabriele di detto Stato, coll’armi nelle mani, e col seguito di più gente armata, dopo d’avere piantato nella pubblica Piazza di detto Stato l’infame albore detto della libertà, si condusse avanti di detto Regia Doganella, con ciera brusca e superba, e col veleno nelli denti ordinò al detto don Giuseppe di Tura di togliere dette Reali Armi colle seguenti parole: «Cittadino Giuseppe di Tura bassate queste indegne armi» al che esso don Giuseppe di Tura impallidito di colore per lo timore, con tutta umiltà e bassa voce li rispose, che avendo la scala l’avrebbe tolta, e dopo poche ore dello stesso giorno , il medesimo don Giuseppe di Tura ad oggetto di evitare qualche danno della di lui vita, per cagione delle minacce del detto medesimo Garzillo, si chiamò il detto Michele Antonio e questo salito sulla scala, in presenza di detti Giuseppe Salvia, Consolato Cuoci, Nicola Carfagna, Pietro Antonio di Donato e Ciriaco Antonio tolse con ogni diligenza l’armi suddette, le quali per l’antichità si ruppero, e furono fedelmente dal detto sig. Tura conservate nella stessa Regia Doganella in dove esistono al presente. Et sic iuraverunt [...]. Presenti il giudice a contratti Michele Scarano, i testimoni Basilio Landolfi, Soccorso Landolfi, Francesco di Vita.

(ASA, B 6941, ff. 151v-1154r) 

 

 

24.  1799, ottobre 2. Serino.

Atto a favore di Salvatore Cirino fatto da vari di Serino i quali attestano che il Cerino «loro compaesano ha sempre nutrito odio ed avversione al Francese e alla infame sedicente Repubblica tanto è vero che fu il primo sotto gli ordini di Costantino dei Filippi controrivoluzionario coadiuvante gli sforzi e lo zelo dei concittadini, abbattettero gli infausti alberi della detestabile libertà in Solofra, Atripalda, S. Michele, ecc.».

(ASA, B 6358, 129)

 

 

25.  1799, ottobre 31. Solofra.

Dichiarazione di alcuni battiloro e battargento di Solofra circa la decadenza di questa arte.

Costituiti nella presenza nostra personalmente li magnifici don Andrea e don Antonio Buongiorno, don Pasquale Grimaldi, don Giuseppe Scarano, don Donato Vigilante, don Giovanni Battista Ciccarelli, don Nicola Vincenzo e don Luigi Maffei, don Felice Antonio Grimaldi, don Tommaso Ferrante, don Matteo Nigro, don Luigi Landolfi, don Pasquale Alfieri, maestri battitori e lavoratori di argento e oro in foglio in questo Stato di Solofra li quali detti esempi di ordine della Principale Corte di questo predetto Stato di Solofra alli medesimi imposto ad istanza del Magn. Vincenzo Galdi maestro battitore di oro in foglio dimorante in Napoli che a noi esibito nel presente atto originalmente si conserva, e il suo tenore appresso s’inserisce attestano e con giuramento fanno fede colla promessa di ratificarla sempre, e quante volte sarà di bisogno qualmente ad essi testificanti ed a ciascuno di essi rispettivi consta, e lo sanno per causa di scienza, che in quuesto medesimo Stato, nelli passati anni si è quasi sempre e in ogni tempo forgiato battuto e lavorato oro in foglio per loro conto e per incombenze datele dal magn. Pasquale Guarino li qq. Giuseppe Giliberti, Salvatore Guarino, Orlando Pandolfelli, Giuseppe Maffei del quondam Francesco, Michelangelo Tura, Gio Bernardo Garzillo, Emanuele Maffei, Taddeo Forino, e Gaetano Ferrara, ed anche il magn. Don Sebastiano Pandolfelli dopo la morte del detto quondam Orlando  fu suo padre avendoci anche lavorato essi testificanti maggior parte in fare d’oro in foglio, con averlo il cennnato Luigi Maffei forgiato ed il riferito Donato Vigilante accapate le forte di detto magn. Don Pasquale Guarino ed intanto presentamente non si lavora detto oro in questo medesimo Stato, per causa di non essere stato incombensato (per non aver avuto ordini).

(ASA, B6358 tra i ff. 298/299)

 

 

26.  Idem.

Richiesta del battiloro solofrano abitante a Napoli Vincenzo Galdi sul fatto che i battargento solofrani nelle loro botteghe lavoravano anche l’oro.

Al Sig. Luogotenente e giudice dello Stato di Solofra. Vincenzo Galdi del detto Stato, maestro e lavoratore d’oro in foglio, dimorante in Napoli supplicando espone ad usum come li bisogna fede di verità e con giuramento d’essersi nel detto Stato nei passati anni ed in ogni tempo sempre lavorato oro in foglio da naturali dello Stato medesimo nelle Botteghe dei battitori d’argento sistenti nel cennato Stato il perché tutto ciò consta alli medesimi don Andrea e don Antonio Buongiorno, Pasquale Grimaldi, Giuseppe Scarano, Donato Vigilante, Gio Battista Ciccarelli, Nicola Vincenzo e Luigi Maffei, Felice Antonio Grimaldi, Tommaso Ferrante, Matteo Nigro, Luigi Landolfi, Pasquale Alfieri ed altri li quali essendo stati richiesti ricusano fare detta fede ; che perciò il supplicante ricorre ad V.S. e la supplica ordinarli, che subbitro faccino detta fede di verità, con giuramento e l’avrà, ut Deus est. 31 ottobre 1799. Fiat petite fides veritatis.

(ibidem)

 

 

27.  1799, novembre 23.

Dichiarazione del Sindaco dell’Università di Solofra don Gennaro Pandolfelli di aver ricevuto dinanzi al Governatore e Giudice della Stessa da Massimiliano Murena ducati 1850.

(Ibidem)

 

 

28.  1800, marzo 27. Solofra

Il rev. Giuseppe Grimaldi, i sigg. Giuseppe Garzillo, Giuseppe Vigilante fu Carmine, Francesco Saverio Garzilli, Nicola Vigilante fu Giosafate Domenico Scarano, naturali di Solofra dichiarano «che fu carcerato Nicola Gallo loro paesano e conoscente per aver maltrattato il fu Angelo De Maio che stava a garzone con li Signori Savino e fratelli Pirolo e ad istanza di Pirolo fu carcerato nelle forze di questo predetto Stato dove stiede per questo tempo, per la qual causa restò al Gallo una odiosità colla casa di Savino e fratelli Pirolo che ha finora conservato e dimostra, anzi il soprannominato e costituito Raffaele Garzilli dice sapere che prima della raccolta delle castagne il detto Gallo andiede dai Padri di S. Agostino di questo suddetto Stato e cercò farsi dare in fitto dai Padri una selva che da lungo tempo si possiede dai detti signori Pirolo e toglierla di mano a detto Pirolo per cui fattasi la scrittura di affitto di detta selva se l’andieda anche a scampare e da detti fratelli Pirolo che gl’impedì la raccolta del frutto per giudizio di Vicaria e gli ordini furono notificati così al Monastero come a Nicola Gallo».

(ASA, B59995, ff.20v-22r)

 

 

29.  1800, marzo 28.

Angela Troisi moglie di Domenico Pirolo abitante in Turci nelle pertinenze dello Stato di Serino in qualità di Taverniere e affittatrice dell’Ecc. Principe di Avellino dichiara che «rattrovandosi essa testimone col mestiere di Taverniera nella suddetta Taverna denominata Turci in dove verso de 20 del passato mese di novembre 1799 nella sera del detto giorno presero ad alloggiare nela di lei Taverna vari viaticali Nuschesi i quali essendo usciti in discorso dell’omicidio sortito in persona del di loro compaesano Luigi Ebreo  che morì nella mattina degli 11 del detto mese a colpo di scoppetta mentre andarono colla compagnia seu squadra di Filippo Venuti ad assoldare ed arrestare il Carrafaro o sia Carmine e Nicola Caraviello fratello di detto Stato di Solofra, atteso come si voleva che il detto Luigi fusse morto per mano di uno di essi  Caraviello, ma non era così, perché essi viaticali sapevano per averlo inteso dire per bocca dei compagni del detto Ebreo  i quai compagni dicevano per in mezzo della di loro città le seguenti parole :«è vero che i solofrani portano la nominata d’avere ammazzato Luigi Ebreo ma noi ne abbiamo fatti stante che da più tempo gli era stata promessa una tale morte s’aspettava l’occasione e così ha testificato» Presenti il giudice a contratti Pasquale Petrone e i testimoni Taddeo Giannattasio, Michele Angelastro e Matteo Ruocco. (ASA, B7029, ff. 19v-20v)

 

 

30.  1800, aprile 4.

Dinanzi al notaio Vito Antonio Grassi, a testimoni e al giudice a contratti dell’Università di Solofra, i bracciali Pasquale Vignola, Gaetano D’Amore «per esonerazione di loro coscienza» attestano quanto segue «rispetto alla deposizione da essi fatta pel di loro paesano Sabino Pirolo» davanti allo scrivano Vincenzo Guarino «in occasione dell’inquisizione di Stato presa ultimamente dal Regio Uditore Sig. Carlo de Franchis».

[...]«come nel dì primo dello scorso mese di marzo corrente anno, essendosi stati chiamati con ordine del detti Signor Visitatore de Franchis, andati alla di lui presenza furono interrogati dal detto scrivano detto Vincenzo prima, quale fusse il nome di essi costituiti, ed avendolo inteso rispose ‘giusto voi andava trovando: ditemi avete voi mai fatigato nel giardino di detto Sabino Pirolo. Al che risposero essi costituiti di sì, e propriamente nel principio di Aprile del decorso anno 1799. E bene ripigliò lo scrivano, facesti qualche discorso allora col detto Sabino, ed avendoli essi costituiti risposto di sì, ripigliò detto scrivano: ditemi dunque, quale fu il discorso che fece il detto Sabino con voi: su di ciò essi costituti risposero ‘Sissignore nel principio di aprile dello scorso 1799, non ricordandoci il giorno con precisione, per lo elasso del tempo, vivendo questo stato di Solofra soggetto al distrutto governo repubblicano, stando noi a fatigare dentro il giardino del detto don Sabino, venne lo stesso don Sabino in detto giardino per assistere al lavoro di essi costituti e nel giungere disse loro: crepiti belli figliuoli. Al che disse in secreto esso costituto Gaetano d’Amore, ad esso costituto Pasquale Vignola suo compagno: compà Pascà, volimmo pirolià un poco don Sabino? Al che rispose esso Pasquale, piroliamolo. Allora cominciò esso Gaetano d’Amore: Don Sabino sienti l’inglese da mare, che ti fa, perché tal fatto seguì in tempo che s sentivano delle cannonate, che si tiravano in Salerno fra gli Inglesi, ed i Francesi, al che rispose detto Don Sabino: Non hanno che fare, perché è da luongo queste botte non si sa se sono le nostre, o dei nemici’. A questo ripigliò esso Pasquale: Oh come si dice, si ha bottata, o la porta di Salierno, o la fontana. A questo disse don Sabino: Voi volite pregate Dio, che si va fare fottere sta repubblica, ca se no voi site muorti, e nui jammo pezzenno. A ciò rispose esso Pasquale: e pecchè avimmo doj pezzenno, nui avimmo le braccia. Ripigliò don Sabino: se avimmo un carlino, o c’è levato o ce lo mangiammo. Al che disse esso Pasquale, sti luoghi s’hanno da governà ? Rispose don Sabino, s’abbandoneranno. A questo di nuovo esso Gaetano d’Amore disse in secreto ad esso Pasquale: lo volimmo n’auto poco pirolià ? Rispose esso Pasquale, piroliamolo. Allora ripigliò il discorso esso Gaetano dicendo, don Sabino gran cose hai da sentì. Al che rispose alterato don Sabino. Ah, cazzo per bui, se volite fatigà, e vui fatgate, e se no andate a farvi fottere. A quessto ripiglioò esso Gaetano: don Sabino, che sia pare po venì lo Re. A ciò rispose don Sabino: pregammo Iddio che ce lo manda ampressa ca se no, simmo ruinati. E questo fu il discorso, e non altro dissero essi costituti al detto scrivano che fece don Sabino con noi. Quale deposizione, come separatamente si era uniformemente fatta da ogni costituiti così dal detto scrivano furono trattati villanamente, e minacciati di farli morire in carcere, se non dicevano la verità, come aveva detto il loro contesto; dicendoli c’erano andati cola lezione fatta. Al che risposero essi costituiti allo scrivano, che se doveano pigliare il giuramento, la verità era quella che aveano detto ad onta di qualunque minaccia; se erano esenti dal giuramento diceano come esso volea. In seguito di che, furono essi costituti novamente maltrattati, in parole dal detto scrivano, e posti in arresto, dove furono detenuti per sedici giorni continui, con continui trapazzi, facendoli dormire a nuda terra, facendoli togliere anche il mangiare, che li veniva dalle loro case. Venendo loro fatte in tempo dell’arresto delle continue parti, ora di minacce di portarli in Montefusco da don Mariano Cappuccio, ora di lusinghe dal cameriere dell’Uditore, purché avessero detto come pretendea lo scrivano, specialmente quando dopo due giorni di arresto fu liberato il magn. Michele Scarano di Francesco Maria in presenza di essi costituti , che egli non avea voluto più patire, per cause degli altri. Insinuando allora ad essi costituti detto cameriere di fare, come avea fatto lo Scarano, e così sarebbero finiti li loro guai. Al che, com’essi costituti non vollero mai fare per rimorso di loro coscienze, furono seguitati a tenere in penoso arresto, fino a che vedendosi dallo scrivano la loro fermezza per la verità, scrisse la loro deposizione come egli disse (giacché essi costituti non sanno leggere, né scrivere) nel modo si era da loro rapportato il fatto, come di sopra si è detto, e per tale ancora ne presero formalmente il giuramento, e così furono messi in libertà.

(ASA, B345v-350v). 

 

 

31.  1800, aprile 16. Solofra.

Dichiarazione sulla partecipazione dei monaci di S. Agostino alla Repubblica Napoletana.

[...] Costantino, Domenico, Nicola Vincenzo Guarino, Liberio Grassi, Nicola Verità, Giuseppe di Vita, naturali di questo Stato di Solofra[...] qualmente sanno benissimo si per averlo inteso dire come pure per essere ciascuno di essi testimoni di veduta che i RR. PP. Maestro Tommaso Cristatori e Baccellieri P. Agostino Carrano e P. Gio Francesco Ronca monaci agostiniani di questo suddetto Stato o sia Convento in tempo dell’abbattuta sedicente Repubblica, fecero un attestato a favore del fisico Antonio Garzilli di questo Stato col quale dimostrarono che il detto Garzilli erra un Patriotta sin da sette anni addietro e ciò da essi costava in causa di scienza per essere anche egli Patriotti. Intanto vero che sin dal principio c’entrarono l’infami armi Francesi i suddetti RR. PP. Dimostrarono il di loro attaccamento all Repubblica con somministrare, letti, armi, danaro, famosi cibi ed esquisiti vini a Patriotti di questo tempo, che rifugiati si errano nnel Palazzo Ducale di S. Ecc. il Sig. Duca di Gravina che coll’armi alle mani si errano di detto Palazzo impadroniti e i RR. PP. Di continuo andavano a fare dell’offerte e cerimonie nel detto Palazzo a predetti Pattriotti ; come pure sanno benissimo che in tempo si portò in questo Stato, un comandante di nome Eleuterio Ruggiero colla sua Truppa francese, non solo l’accolsero nel di loro monastero ma benanche quel tempo si trattennero in questo Stato li contribuirono laute mense e scelti divertimenti anche di donne di cattivo valore e vizi che profanar fecero quei sacri chiostri, per cui dalle proprie bocche, sì del detto Comandante Ruggiero che dei suoi capitani, altro non si sentiva se non che le seguenti parole quuesti sono bravi Patriotti e veri Repubblicani che per contrassegno del loro distentivo, nel parti che fece il detto Ruggiewro, gli lasciò tre fucili di munizione del disperso esercito, ch’usurpati avevano in questa Provincia e specialmente in questo medesimo Stato, animandoli a combattere per la Repubblica ; come infatti essi attestano che, per quanto la Repubblica regnò essi RR. PP. Dimostrarono un fiero attaccamento verso la medesima e specialmente il detto P. Carrano, il quale andava dicendo, per le strade per le Piazze e per le case in dove esso continuava trattare che voleva ammogliarsi e voleva non una moglie ma due [...]. Presenti il Giudice a contratti Pasquale Petrone e i testimoni Michele Garzillo, Matteo Vigilante e Matteo Ruocco.

(ASA, B 77029, ff. 39r-41v)

 

 

32.  1800, aprile, 27.

Giovanni Fasano, Raffaele Giannattasio, Vito Savarisi, Sabatantonio Troisi, Giuseppe Russo fu Antonio, Sigismondo Famiglietti, Antonio Russo fu Gabriele, Antonio D’Urso fu Luca, Biagio Famiglietti, Giuseppe Vigilante, Carmine Gallo, Carminantonio Mastrantuoni, Nicola D’Ambrogio «tutti abitanti e convicini del casale dei Balsami e propriamente del Cortile detto li Campi di questo Stato di Solofra» dichiarano che «nella mattina dell’11 del prossimo caduto mese di novembre 1799 verso le nove in dieci di questo mattino essi testatori intesero un gran rumore e voci all’Armi e fra queste voci intesero vari colpi di fucili o siano scoppettate e varie voci interrotte che cercavano aiuto ed essi testificanti mossi da curiosità non meno che da timore si affacciarono dalle rispettive loro case e finestre e viddero le case dei fratelli Carmine e Nicola Caraviello il primo Capitano e il secondo Tenente della Truppa Cristiana a Massa, di loro vicini e conoscenti che se ne andava in fiamme e fuoco e viddero pur anco la suddetta casa circondata d’aggente Armate che minacciavano rovina a quelli che vi abitavano ; come infatti si viddero che in una di dette Stanze vi erano rinchiuse la madre, sorelle e moglie di tutti i fratelli Caraviello e che detta aggente armata voleva che in detta casa fossero perite e bruggiate vive dette donne e se non era per in benigno soldato che le fece calare con la scala di legno per la finestra di detta stanza sarebbero senza dubbio rimaste vittime di queste fiamme ; ma fattosi quasi giorno si vidde dai medesimi per la scalinata di detta casa un cadavere di fresco morto anche Armato, che poi a giudizio non solo di essi testificanti ma enziadio per averlo i medesimi inteso comunemente dire che il suddetto cadavere era stato ammazzato dai propri compagni a causa che il colpo dal medesimo ricevuto era dalla parte di dietro e per conseguenza da detti suoi compagni fu barbaramente ammazzato perché ricevè un tal colpo al salire che il medesimo volle fare per detta scalinata, come pure si vidde parte di detta Truppa salire per la cennata scalinata coll’intromettersi nelle stanze superiori di detta casa fingendo d’andar cercando detti fratelli Carmine e Nicola, i quali con i favori del fuoco e del fumo per sopra i tetti di detta loro casa se n’erano fuggiti all’ingnuda, per cui detta gente armata profittando del tempo si presero e saccheggiarono quanto in detta casa vi stava d’armi, biancheria, vestimenti, oro, argento lavorato d’orefici, ed ogni altro che li riuscì pigliare, e se ne andiedero lasciando la suddetta casa nelle fiamme e alla descrizione del fuoco, motivo per cui tanto il suddetto Mastrantuoni, che il suddetto d’Ambrosio mossi da pietà s’accinsero a smorzarlo che se non accorrevano a tempo sarebero le suddette cose rimaste    incenerite, e rovinate»

(ASA, B7029, f. 17r)

 

 

33.  1800, maggio 16.

Dinanzi al notaio Vito Antonio Grassi a testimoni e al giudice a contratti dell’Università di Solofra, Raffaele Garzilli e Domenico Scarano attestano con giuramento che «quanto si piantò la prima volta l’infame albore della sedicente Repubblica abbattuta nella pubblica Piazza di questo suddetto Stato che fu appunto verso il giorno 26 del mese di gennaio del passato anno 11799, tra la gente assistente alla piantagione del detto infame albore non vi era il Sig. Vincenzo Pirolo di questo medesimo Stato e ciò lo sanno cioè: esso detto Raffaello per essersi rattrovato avanti al forno della pubblica panificazione nel mentre passava la gente armata che portava detto infame arbore, e non vi era detto Vincenzo ed il cennato Domenico per essersi rattrovato nella Bottega del commestibile della detta pubblica Piazza, e vidde anche passare gente armata coll’infame arbore, e questo piantare e fra detta gente, non vi era il medesimo detto Vincenzo Pirolo».

(ASA, B 6968, ff. 371v-372r)

 

 

34.  1800, giugno 20.

Il sacerdote Pantaleone Maffei, Gregorio Antonio Grassi, Gabriele Vigilante, Felice e Michele Landolfi, Diodato De Maio dinanzi al notaio Vito Antonio Grassi a testimoni e al giudice a contratti dichiarano sotto giuramento che «nella passata sedicente Repubblica propriamente nel tempo in cui si trattenne in questo medesimo Stato l’armata francese, e quindi calarono all’attacco del convicino Regio Stato di Montoro in loro presenza, tra detta gente armata non vi era, ne si vidde affatto il Signor D. Sabino Petrillo del casale di Aterrana del convicino Stato di Montoro, uomo da essi ben conosciuto».

 (ASA, B 6968, f. 402r)

 

 

35.  1800, luglio 27. S. Agata di Serino.

Testimonianza sull’autonomia di S. Agata divenuta Università a sé.

Il fisico Nicola De Maio, Gaetano Vigilante, Nicola D’Arienzo, Rocco De Maio, Nicola Guarino, Michele De Maio, Felice Antonio De Maio, Antonio Caiafa, Giovanni Guarino, Carminatonio Spinelli, Carmine Filippo De Maio fu Domenico, Soccorso De Maio, Carmine Filippo De Maio fu Giuseppe, Giovanni Antonio De Maio di Gasparro, Vincenzo Guarino, Andrea Giaquinto, Giuseppe D’Arienzo fu Nicola, Donato Caiafa, Giuseppe D’Arienzo, Pietro Angelo e Filippo De Maio di Marino, notaio di S. Agata, dinanzi al notaio Giovanni Maria Garzilli di Solofra e a testimoni dichiarano che «questo suddetto Stato di S. Agata sin dall’anno 1798 si divise dall’Università generale di Serino facendo Universsiità a parte e separata, componente il Sindaco con due compagni Eletti ; come pure attestano che in questo suddetto casale , non vi sono stati emanati banni per parte dell’Affissione delle Reali Licenze di Caccia del predetto Stato Gennerrale ddi Serino, né il medesimo affittatore ha dispensato dette licenze da Caccia a naturali di detto casale ; ma solo essi testifucanti sanno benissimo, che in questo suddetto Casale vi è affittatore a parte di dette Reali Licenze e lo stesso subito che ricevè la Real Patentiglia ed impiego fece emanare i banni e dispensò  dette Reali Licenze, come giornalmente si fa».

(ASA, B7029, ff68v-69v)

 

 

36.  1800, settembre 8

Dichiarazione di alcuni testimoni di Solofra che affermano che il negoziante Francesco Guarino non si è mai portato nel periodo dei fatti rivoluzionari nei territori di Montoro o S. Severino.

In nostra presenza si sono presentati i testimoni Fabrizio e Filippo Guarino, padre e figlio, i magnifici Pompeo Ggarzilli e Bartolomeo Graziano i quali si ricordano benissimo come il magnifico Francesco Guarino del quondam Alessio nonostante che sia negoziante di questo Stato da circa anni sei non è uscito mai da questo tenimento e specialmente per i paesi di basso che sono lo Stato di Montoro quello di San Severino e altri convicini eccetto che nel mercato di Atripalda settimanalmente per la compra di pelli ed altro che da lui si negozia anzi con ispecialità si raccordano che nel mese di gennaio 1799 detto Francesco Guarino di unità col quondam di lui fratello Giuseppe non sono usciti affatto da Solofra né mai si portarono in detti Stati a far negozi o contratto alcuno. [...] Presenti Giuseppe di Donato, giudice a contratti, e Vincenzo de Santis, Filippo Guarino e Nicola Pepe, testimoni di Solofra.

(ASA, B 7015, f. 33v)

 

 

37.  1800, settembre 24.

Dinanzi al notaio Vito Antonio Grassi a testimoni e al giudice a contratti alcuni del casale di S. Agata di Serino Donato De Maio fu Crescenzo, Felice Antonio De Maio di Gaspare, Carmine Filippo De Maio fu Giuseppe, Carmine Filippo De Maio fu Domenico, Filippo di Basilio De Maio, Giovanni di Vincenzo Guarino, dichiarano che «nell’anno 1799 in tempo della sedicente abbattuta repubblica il sig. don Antoniomaria D’Arienzo di questo medesimo casale mentre era sindaco fu eletto per uno dei municipalisti di questo predetto casale dalli complateari del medesimo e per più tempo esercitò detta carca di unità cogli altri municipalisti in questo suddetto casale e ciò costa ad essi testatori per essersi rittrovati presenti» nella detta elezione»

(ASA, B6967, f588r)

 

 

38.  1800, novembre 10.

L’Università di Solofra per poter pagare i debiti contratti in seguito alle circostanze rivoluzionarie aveva contratto, in seguito a delibera del Parlamento, alcuni debiti forzosi con benestanti locali per un ammontare di ducati 3400 e ne aveva rilasciati regolari fedi di credito. Poiché però le fedi di credito furono abolite l’Università è costretta a soddisfare i creditori dai propri introiti annuali «restringendo al massimo le spese». Con il maggiore creditore, Mariano Murena, si stipula un credito strumentale con l’interesse scalare del 5%.

Gennaro Pandolfelli, sindaco, Michele Garzilli, Antonio Guarino, Tommaso Guarino, Sabato Scarano, Eletti di questa Università dichiarano che «rattrovandosi la prefata Universiità attente le passate circostanze rivoluzionarie in molto sbilancio, ed attrasso di pagamenti così a creditori Fiscalari, che Istromentari furono perciò nella necessità delli signori non solamente di convocar pubblico Parlamento, col quale si propose doversi le somme mancanti prendersi a mutuo da persone benestanti, per così appianarsi il vuoto di detta Università, e soddisfarsi i creditori. Qual parlamento approvandosi da Decurioni intervenuti in numero opportuno si diede da essi loro con voti segreti riusciti nomine discrepante la piena facoltà a detti signori Amministratori interini di poter contrarre con chicchesia un debito corrispondente alle somme che si doveano o a mutuo od altra natura in nome di detta Università per potersi pagare i detti creditori attrassati per indi poi toglierselo il detto debito l’Università medesima mano a mano colle somme che avanzerebbero dalle rendite annuale che ella possiede; siccome il tutto da detto Parlamento si rileva; copia del quale qui si conserva; anzi gli anzidetti signori Amministratori per maggiore loro diluzione e cautela n’ebbero ricorso per tal causa al signor Visitatore Economico per S. M. D. in questa Provincia di Principato Ulteriore don Stefano Caporeale per ricevere dallo stesso qualche giusto sentimento ed oracolo su di un tal debito contraendo; che fattosi carico delle circostanze suddette; per le quali la detta Università si rattrattava in attrasso ordinò in seguito un imprestito forzoso di tremila, e quattrocento di contanti effettivi da sborzarsi dall’infradette persone, cioè dal detto don Mariano Murena, ducati 1850, dalli signori Giuseppe Vigilante, don Luigi Giannattasio e don Antonio Garzilli quondam Massenzio ducati 1100 dal signor don Giuseppe di Tura ducati 350, e da don Alessio Giliberti ducati 100 tutti uniti formano la somma di ducati 3400 ne ordinò l’esecuzione a questa pubblica Corte che sotto pena di carcerazione in forza d’obbligo da essi formato avesse astrette le suddette persone che fra il massimo di giorni 15 avessero sborsate le suddette rispettive loro somme e passarle in mano del detto signor Sindaco interino don Gennaro Pandolfelli per convertirle in fedi di credito, mediante l’ostaggio corrente in qual tempo, e così ritrovarsi il d’attrasso; siccome in effetti dal detto signor Pandolfelli ricevuto che si ebbe il denaro ordinato ne formò a beneficio delle persone i corrispondenti ricivi per loro cautele, e le convertì in fedi di credito, come sopra; e da lo principio ai pagamenti e creditori; quando fu verso il mese di maggio corrente anno si vidale emanare reale editto, col quale veniva ordinato l’abolizione delle fedi di credito, non avendo le medesime più vigore in commercio, per cui restarono in potere di detto signor Sindaco inpagate ed oziosi circa ducati 1500 di fedi, quali giuste il prescritto nel Real Dispaccio le convenne impiegare sulla decima annuale, che paga questa stessa Università; a qual oggetto non potè terminarsi l’intiera soddisfazione, e saldo a detti creditori per detto loro imprestito fatto; similmente il suddetto signor Visitatore fece ordini a predetti Amministratori, che detto danaro sborsato dalle suddette persone per l’anzidetta ragione d’imprestito forzoso l’avessero dovuto a medesimi soddisfare, e pagare mano a mano dall’introito e rendita che la detta Università introitar dovea in questo anno restringendo al più che potevano le spese, ed i pesi, e se non si avessero potuto interamente in quest’anno soddisfare di somma del rimanente che restavano a conseguire se li fusseleno rapinato , e restituito nell’annata ventura. Siccome infatti in eseguimento di tali ordini da predetti signori Amministratori verso il mese di aprile fattosi un conto tra loro di qualche si potevano disporre, e pagare a conto del detto debito ed imprestito distribuirono varie somme e detti crediti, giusta la qualità dei loro crediti, e al detto signor don Mariano qual creditore di maggiore somma ne ricevè per mezzo degli Affittatori della gabella della farina, e moline ducati 775 gr. 25; sicchè restò a conseguirsi d. 1174.35; da’ quali toltane d. 6.82.10 che la detta Università deve tenere per suo conto all’esattore della decima per il 3° della decima di sua casa materna in agosto 1800, restò dunque il detto sig. don Mariano a conseguire per completamento di detto suo imprestito d. 1167.92.2. Quali non potendosi da essi Amministratori affatto soddisfare in quest’annata di loro amministrazione, perché nel conto che hanno calcolato dell’introito ed esso si è veduto non avanzare danaro; han fatto sentire al detto sig. Mariano che per detto suo credito, o sia complimento di esso, o che si fosse contentato di aspettare la fine della cominciata amministrazione per vedere se in quella vi fusse superato danaro per poter quello pagarsi a lui e agli altri suddetti creditori; toltane i pesi fiscali e forzosi, o pure non volendo aspettare sino a detto tempo l’avrebbero fatta l’esibizione, attenta la facoltà loro conceduta nel citato Parlamento di costituirsi in nome della suddetta Università debitori a pro di detto sig. don Mariano ed formare a di lui beneficio un credito istromentario di detta somma dovutali, mediante l’annualità, ed interesse corrispondente del 5%; siccome la medesima Università ha pratticato per l’andato, e pratica attualmente cogl’altri suoi creditori istrumentari; obbligando tutti i beni rendite ed effetti che possiede; col patto però a favore della medesima di ricomprare quandocumque, e in tutto, o in parte, senza darsi prese rispettive di tempo alle quali proposte applicandosi essi sig. don Mariano alla seconda, e contentandosi per detto suo credito di costituirsi creditore istrumentario della medesima Università, ne sono perciò stati richiesti detti Amministratori interini di venire alla stipola del dovuto istrumento, per poterci in seguela della Regia Camera della Sommaria su tal debito contratto attenersi il necessario assenso, ed approvazione, siccome i cennati amministratori nel nome come sopra non potendo ripugnare perché da essi loro progettate, e giudicandola pur troppo giusta si sono dimostrati pronti stipularne in  suo favore le debite cautele ad formam iuris [...]  Fatta la suddetta assertiva volendo dette signore parti [...] mandare in effetti le cose suddette, e restarle con pubblico e solenne istrumento come si conviene ch’oggi predetto giorno detti sig. Sindaco ed Eletti interini di questa Università [...] si dichiarano e costituiscono veri e liquidi debitori del suddetto sig. Mariano presente nella sopraddetta somma di d. 1777 gr. 22.2 quelli stessi a lui dovuti [...] corrispondere essi sig. Amministratori nel nome del suddetto interesse o sia annualità alla ragione del 5% che importano ogn’anno d. 58.39; verum conforme dall’Università si pagherà capitale; così devesi scalare l’interesse e così seguitarsi fino all’ultima estinsione di detto capitale [...]. E per maggior cautela i suddetti sig. Amministratori [...] hanno obbligato tutte le rendite e beni della cennata Università [...]. Presenti il giudice a contratti Francesco Saverio Garzillo, testimoni il reverendo Giuseppe Guarino, Pasquale Murena e Donato Giannattasio. 

Postille a lato del protocollo notarile di avvenuta estinzione del debito.

«Si nota che mediante istrumento stipulato avanti al notaio Saverio Giliberti fu Antonio de 14 luglio 1824 e registrato in Solofra il 9 del detto mese dell’introscritto credito di d. 1167 e gr 92 e 2 ne sono stati dal Comune di Solofra pagati all’introscritto Mariano Murena d. 545 a conto». Firmato Saverio Giliberti. (f. 91v)

«Si nota come con patto istrumentario di quietanza per noi ricevuto il 7 giugno 1825 pagamento g. 80 a saldo capitale dall’attuale Sindaco Bartolomeo Grimaldi a nome dell’intera Università pagati a Mariano Murena che ha rilasciato quietanza tanto al Sindaco che all’Università». Firmato Saverio Giliberti. (f. 91v).

 

 

39.  1801, agosto. Serino, casale di S. Giacomo.

Attestato a favore di Vito Antonio Buongiorno di Solofra in cui si afferma che a Serino «la prima insorgenza avvenne il 25 aprile del 1799 sotto il comando del Colonello Costantino de Filippi». In questa occasione «ha sollevato il popolo Vito Antonio Buongiorno, ed ha animato la popolazione scorrendo da un luogo ad un altro, giunsero ad Atripalda poi a Candida e Montefalcione dove tagliarono l’albero poi andarono ad Avellino».

(ASA, B 6352, f. 52)

 

40.  1801, agosto, 8. Serino casale Sala.

Attestato a favore di Nicola Galluccio di Solofra in cui Antonio di Zenzo, Gaetano Carrafiello, Girolamo De Maio di questa terra affermano che il Galluccio «si spostò il sedici maggio del 1799 in questo Stato in unione di due compagni colle nocche regaliste al cappello a tagliare l’infame albero della libertà della voluta sedicente Republica, che stava piantato nel casale di S. Lucia di questo suddetto Stato, con avere anche arrestato Tommaso di Piano, e cinque compagni, che colà stavano di guardia civica, e li portò seco al corpo dell’armata cristiana, che stava accampata nel luogo detto Turci, e li presentò a D. Pasquale Ronca, comandante di detta armata cristiana, con evidente rischio della sua vita. Il quale detto Pasquale si tenne arrestati o suddetti della guardia civica, avendo ricolmato di lodi il detto Galluccio per tal sua operazione a favore del re nostro Signore (D. G.)». Sono presenti il giudice a contratti «Mag.co Stefano Marranzina, i testimoni D. Giovanni Leonelli, D. Ciriaco Antonio de Filippis ac Nunziante Ginolfi».

 

41. Contratto di compra-vendita di un bene di Michele Rubino soggetto a fidecommesso ed abolito dalla Repubblica Napoletana.

Libertà. Eguaglianza.  24 aprile 1799. Solofra, anno primo della Repubblica Napoletana.

Nella nostra presenza si costituì il cittadino Michele Rubino di questo Stato di Solofra [...] Ed il cittadino Rev. Carmine Antonio Guarino sacerdote secolare [...]. Il suddetto cittadino Michele spontaneamente in presenza nostra asserisce avere, tenere e legittimamente possedere come vero padrone una metà di masseria vitata arborata e fruttifera in forma ereditaria del fu Gennaro Rubino di lui padre e divisa dall’altra metà spettante al cittadino Gio Santo suo nipote sita in questo Stato di Solofra casale Volpi nel luogo detto muro bianco [...]. E perché al detto cittadino Michele bisogna qualche pare di danaro per avvalersene nelle sue presenti urgenze e necessità e bisogni. Perciò ha pregato detto cittadino Rev. Carmine Antonio a volersi comprare una porzione di detta metà massaria non ostante che la medesima massaria stava soggetta a fedecommesso istituito dal quondam Gennaro Rubino. Al presente di già si è abolito dalle leggi emanate dalla Repubblica Napoletana, per cui è rimasta ogn’uno assoluto Padrone di sua roba, e colla libertà di venderla, e donarla a suo èpiacere, alle quali richieste e preghiere esso Rev. Carmine Antonio per farli piacere e cosa grata e attenta di abolizione di fede

commesso, si è esibito pronto alla detta compera applicare e conchiudere il contratto [...].

(Ibidem, fra i ff. 125 e 126.)

 

(Da M. De Maio, Solofra e la rivoluzione del 1799, studio presentato al Convegno "Avellino e l'Irpinia nel 1799" del 19 novembre 1999).

 

 

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