Parte VIII.
I Giacobini Di
Napoli |
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"I giacobini di Napoli furono i primi che diedero il grido all' Italia
sonnacchiosa; quando altri appena ardiva pensare , quando pareva ancor dubbia
la sorte della Francia medesima, essi, giovani, inesperti, privi di mezzi, ma
pieni di entusiasmo per la libertà, d' odio per la tirannia, tentarono un'
impresa difficile, vasta, perigliosa, che, se non fosse andata a vuoto, gli
avrebbe resi immortali, e felice l' Italia. Gli Italiani si svegliarono dal
letargo, riconobbero ch' essi eran uomini, e desiderarono riacquistarne i
diritti, smarriti da tanti secoli..." (Gregorio Mattei :" Il Veditore
repubblicano" - 19 aprile1799) |
Continua nel frattempo l'opera di Carlo
Lauberg, che secondo i suggerimenti e l'incoraggiamento del La Touche, fonda la
Società Patriottica: un'organizzazione basata
su piccoli clubs con non più di undici persone ciascuno. Il programma
è scarsamente definito per la presenza di alcuni elementi imbevuti di pura dottrina e per altri
che, fidando in un immediato appoggio francese, intendono attivarsi subito per
una rivolta repubblicana. Nel dicembre del 1793, per fini di propaganda, la Società provvede
alla traduzione della recente Costituzione francese; ne vengono stampate
duemila copie da diffondere per la città e per il Regno. Ma la notizia della
decapitazione di Maria Antonietta spaventa gli stessi giacobini napoletani e molte di quelle copie vengono nottetempo
e nascostamente e gettate in mare.
Nel momento in cui è in pieno sviluppo
l'attività di reclutamento e propaganda, vengono arrestati i fratelli Del Re ed
Emanuele De Deo per una denuncia del prete
Pier Nicola Patarini al Generale Acton. Le perquisizioni e gli arresti mettono
in guardia il Lauberg che, convinto dai compagni, fugge. Il 20 febbraio del
1794 la Società Patriottica
si scioglie.
Francesco
Lapegna: Una riunione dei giacobini napoletani nel 1794.
Alcuni elementi, più determinati,
provvedono subito a costituire due
clubs:
·
il LIMO (libertà o morte), con a capo Rocco
Lentini, composto da moderati che mirano ad una trasformazione costituzionale
della Monarchia ed ad una politica di riforme.
·
Il ROMO (repubblica o morte), con a capo
Andrea Vitaliani, composto da elementi più radicali che puntano
all'abbattimento della Monarchia e alla creazione di una repubblica
democratica.
"L'oggetto era di democratizzare gli
spiriti, di aumentare il numero dei rivoluzionari, di conoscerne e
bilanciarne il coraggio e i talenti e tenerne in serbo un numero opportuno
per i gran colpi. Verso il
cominciare dell'anno 1794 si pensò di istituire un adunanza rivoluzionaria, e
siccome si era sparsa la voce che i Despoti colla famiglia volean ritirarsi
in Vienna, così si determinò di disfarsi di loro; ma non si calcolò che
mancavano le forze sufficienti, giacché a quell'epoca i patrioti non erano
più di trecento." (Gregorio
Mattei : Il Veditore repubblicano - 1799) |
Nel marzo
viene scoperto un vero e proprio complotto che si propone di impadronirsi delle
fortezze, di suscitare un'insurrezione armata e di sopprimere il Re e la Regina
ed i ministri. Il fratello di Andrea Vitaliani, Vincenzo, nel tentativo di
raccogliere uomini anche tra il popolo, avvicina un tal Donato Frongillo
invitandolo a far parte dell'organizzazione. Ma costui si impaurisce e corre a denunciare tutto
al reggente della Vicaria, Luigi De Medici, e Vincenzo Vitaliano viene
arrestato.
Ascanio
Luciani: Carceri della Vicaria |
Il cuore della Regina,
fortemente esacerbato per la morte della sorella Maria Antonietta, grida
vendetta. Ferdinando, per evitare processi troppo garantisti, istituisce una
apposita Giunta d'Inquisizione affidando la reggenza proprio a Luigi de
Medici. Andrea Vitaliani, preavvertito dell'imminente pericolo, scappa. La
Giunta lavora bene, e promette benevolenza per chi è disposto a collaborare.
Vincenzo Vitaliani, interrogato sulla denuncia del Frongillo, non nega, parla e coinvolge nella congiura
anche il medico Pietro De Falco. La promessa impunità scioglie il De Falco
che svela la congiura preparata e i nomi dei partecipanti. Viene arrestato
Annibale Giordano, uno dei capi, che essendo amico del De Medici si riteneva
da questi protetto. Saranno in
tanti a parlare e a dichiararsi pentiti. L'inchiesta si conclude dopo oltre
due mesi, e
in cinquantatré vengono imputati di "delitto gravissimo e
atrocissimo contro la Religione, la Monarchia e lo Stato". |
Il
processo della "Gran causa de' rei di Stato", viene affidato ad una Giunta di Stato
di provata fedeltà alla corona con il compito di procedere ad modum
belli et ad horas, rito previsto per i tribunali militari in tempo di
guerra, dove, esaurita la fase istruttoria, il difensore ha poche ore per
esaminare gli atti del processo e la sentenza è inappellabile. I congiurati
pentiti sono ventisette tra cui lo stesso
Annibale Giordano.
La
requisitoria dell'accusa è implacabile e paragona gli imputati a delle vipere
della fetida terra dei Galli: "genus viperarum pessimus et
nefarium [..] ex foetida Gallorum", e chiede la pena di morte per trenta di loro.
Tra i difensori c'è anche
l'avvocato Mario
Pagano che, nonostante il clima,
non teme di assumere la difesa di alcuni imputati e contesta la
credibilità delle confessioni estorte con la minaccia della tortura, che
alcuni membri della giunta vorrebbero introdurre. "La
confessione, estorta tra i tormenti, è l'espressione del dolore, non già
l'indizio della verità" dichiara il Pagano, anticipando
le "Osservazioni
sulla tortura" del Verri. |
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Nonostante
l'impegno del Pagano i giudici sono severi e negano ogni benevolenza per i
pentiti. "Si volle del sangue, e se ne ebbe"
scriverà il Cuoco. I condannati a morte sono tre, Emmanuele De Deo di anni
20, Vincenzo Vitaliani di anni 22 e Vincenzo Galiani di anni 19. Trentadue
vengono condannati a pesanti pene da scontare nelle tremende prigioni delle
isole di Ischia, Tremiti, Pantelleria, Favignana, Lipari, Elba ed i castelli
di Trapani, Messina e Gaeta. Due le assoluzioni gli altri all'esilio. Secondo
il racconto del Colletta la Regina promette la vita al De Deo se ammette la
sua colpa e fa' i nomi degli altri complici. Ma al padre, che lo implora, il
giovane condannato risponde:" soffrite che io muoia; molto
sangue addimanda la libertà, ma il primo sangue sarà il più chiaro.[..] verrà
tempo che il mio nome avrà fama durevole nelle istorie, e voi trarrete vanto che io, nato di
voi, fui morto per la patria". |
Emmanuele De Deo |
Ci resta la toccante lettera al fratello Giuseppe a documentare
l'altezza dello spirito di Emmanuele De Deo, che insieme al Vitaliani, e al
Galiani vengono oggi considerati come i primi martiri del Risorgimento
Italiano. Le esecuzioni vengono fissate per il 18 ottobre al
Largo Del Castello davanti al Castel Nuovo. Acton e la regina che stimano in
cinquantamila i giacobini in Napoli temono una sollevazione generale. La
piazza e tutti gli accessi sono presidiati da ingenti forze a piedi e a
cavallo armate di tutto punto. Una folla immensa occupa gli spazi circostanti
il palco su cui è issata la forca. I reali, "più
timidi ed ansanti dei tre giovanotti", sono
per sicurezza nascosti nel palazzo di Caserta. Alcuni sbirri nascosti tra la
folla incitano il popolo a gridare contro i nemici del Re, della Patria e
della Religione. |
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Antonio Joli : Largo
del Castello. |
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E la folla, all' apparire dei condannati, si
scatena: "Giacobbe e merda!!", " Viva o'
Re!"," Morte a li giacobbe!!!". Certamente
tra la folla ci sono anche i
patrioti scampati agli arresti,
venuti nella vana speranza
che veramente a Napoli ci siano cinquantamila giacobini pronti a
sollevarsi ed anche a morire per la democrazia e la libertà. |
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