GIORNALE ESTEMPORANEO

 

NAPOLI II. GERMILE ANNO 7.

 

)( N.  I.)(

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Questo Giornale comparisce al pubblico con felici auspicj, abbiamo un tiranno di meno; la Toscana è libera. Ecco la lettera del General di Divisione Gaultier al Generale in Capo Macdonald.


Dal quartier Generale di Firenze il 6. Germile anno 7 della Repubblica.

  Il General di Divisione Gaultier, comandante la divisione di Toscana.
  Al General Macdonald Comandante in Capo l'Armata di Napoli.
  lo vi prevengo, mio caro Generale, che l'armata francese occupa fin da ieri la Toscana; che noi siamo padroni di Firenze e di Livorno, e che il Gran Duca partirà la prossima notte colla sua famiglia, ed il suo seguito per l'Austria.
  Il Papa partirà incessantemente per Briançon, ed io ho ordine di farlo scortare in quella piazza.

Salute e Fratellanza.
Gaultier.

Gli uomini schiavi per sentimento o venduti al dispotismo spargono da pertutto che si è già conchiusa la tanto sospirata pace generale. La rabbia dei tiranni non può soffrire la pace, perché vede ottenersi per mezzo suo il trionfo di quei principj che minano sordamente i troni di Europa. La loro inquietudine li porta a coalizzarsi, e ad accelerare coi loro errori politici la loro rovina, e lo stabilimento della libertà dell'Universo. Il tempio di Giano sarà chiuso quando non vi sarà più alcun Re.
Tacciano una volta gli amici dei tiranni, diamo al pubblico un nuovo argomento della loro impudenza.
Il Governo Francese stanco di più soffrire i torti dei despoti di Europa, ha presa quella fiera attitudine che li farà tosto rientrare nel loro niente. La guerra è dichiarata, ecco il messaggio del D. E., e la legge del Corpo Legislativo della Repubblica Francese.

 

Parigi 22. Ventoso anno 7. della Repubblica una ed indivisibile.

Eguaglianza                                                                                                 Libertà

Messaggio

Estratto dal registro delle deliberazioni del Direttorio esecutivo del 12. ventoso anno 7 della Repubblica Francese una ed indivisibile.
Il Direttorio esecutivo composto dal numero de membri prescritto dall'articolo 142 della Costituzione, ordina che si faccia un messaggio al Consiglio de' Cinquecento del seguente tenore.

Il Direttorio esecutivo al Consiglio dei Cinquecento.

Cittadini Rappresentanti.

Qualunque sia la grandezza degli avvenimenti che hanno avuto luogo dopo la conchiusone del trattato di Campoformio, non si è oggi perduta ancor la memoria di quelli che li avevano preceduti. Non si è punto obliato che dopo cinque anni di trionfi, e nel momento in cui le armi francesi erano a trenta leghe da Vienna, la Repubblica accordò che venisse sospeso il corso delle sue vittorie, e preferì ai successi di pochi sforzi rimanenti, lo ristabilimento immediato della pace. Tutti si rammentano che quando si conobbe il trattato, la moderazione del vincitore sembrò sì grande, che ebbe in certo modo bisogno di apologia.
«Si sarebbe mai preveduto che questo patto, in cui la forza si era mostrata si indulgente, in cui il compenso il più liberale doveva spegnere qualunque dispiacere, lungi dall'ottenere la stabilità che le sembrava promessa, non sarebbe, finanche dal suo principio, che il pegno fallace di una efimera riconciliazione, e che i colpi improvvisi diretti contro di lui emanerebbero tutti dalla potenza che le doveva l'ampio compenso delle perdite che aveva sofferte nel corso della guerra!
«Infatti, quale strano, e costante contrasto! Mentre la Repubblica impiega costantemente ogni cura per soddisfare ad ogni articolo di un trattato che non è proporzionato né alle sue vittorie, né alla vendetta legittima che doveva prendere dei piani di distruzione formati ed attivati contro di lei, l'Austria in vece di mostrarsi soddisfatta di una cessazione di ostilità che le ha risparmiato le maggiori sciagure, non sembra occupata che a deteriorare, ed a distruggere il patto da cui è dipesa la sua salute.
«Fra le violazioni del trattato che questa potenza si è permesse, alcune sono state si manifeste, che hanno già eccitata la sorpresa di Europa e lo sdegno dei Repubblicani; altre meno pubbliche o meno note, non sono state perciò meno ostili, e 'l Direttorio esecutivo non può più differire a mettere sotto gli occhi del Corpo legislativo tutte le circostanze della condotta del gabinetto austriaco, condotta veramente offensiva, ed attentatoria allo stato di pace, e che né alcuno esempio, né alcuno sforzo ha potuto ricondurre all'osservanza degli impegni contratti.
«All'epoca in cui il trattato di Campoformio venne conchiuso, si era stipolato reciprocamente, in virtù di un atto addizionale al trattato, che tutta la parte del territorio germanico che si estende dal Tirolo e la frontiera dei stati austriaci fino alla riva sinistra del Meno, verrebbe nello stesso tempo evacuata dalle Truppe francesi, e da quelle dell'imperatore, come altresì da quelle dell'Imperio che erano al soldo di questo principe, eccetto la posizione di Kell che doveva restare alla Repubblica: una convenzione anche più particolare, conchiusa e sottoscritta a Rastadt il giorno 11. Fruttifero anno 6, rinnovò questo impegno, e marcò un termine fisso per la sua esecuzione.
  «Questa esecuzione per parte della Repubblica è stata pronta ed intiera.        
«Per parte dell'Austria è stata differita, delusa, e non ha ancora avuto luogo.
«In Filisbourg l'Imperatore ha conservato una guarnigione, e certe provvisioni che sono di sua pertinenza malgrado la finzione con cui si ricuopre.
«In Ulm, in Ingolstadt non ha mancato di mantener delle truppe, ed uno stato maggiore disposto a riceverne un numero maggiore.
«Tutte le piazze della Baviera sono rimaste a sua disposizione e questo ducato anzicchè essere evacuato secondo i termini del trattato, noi vediamo che oggi contiene centomila Austriaci destinati nel tempo stesso ed a ricominciare le ostilità contro la Repubblica, e ad invadere un paese che forma da lungo tempo i desiderj della corte di Vienna.
«Se questa corte avesse mai avuto l'intenzione di mostrarsi fedele al suo trattato, il primo effetto di questa disposizione sarebbe stato certamente di premurare il ristabilimento simultaneo delle rispettive legazioni; ma l'Austria lungi dal prendere un'iniziativa riguardo a ciò, il Direttorio esecutivo ha veduto con sorpresa che in Vienna i plenipotenziarj inviati da ambe le parti al congresso di Rastadt, venivano riguardati come sufficienti per mantenere le comunicazioni tra i due Stati, e 'l trattato di Campoformio come bisognoso di ricevere dal trattato coll'Imperio ulteriori sviluppi, prima che le relazioni usuali di una perfetta intelligenza venissero intieramente ristabilite! Una sì fredda interpretazione data al trattato, una difficoltà sì formale per tutto ciò che tendeva a svilupparne i risultati, non presaggiva che sarebbe stato lungamente rispettato.
«In questo frattempo, un Governo la di cui esistenza attestava altresì la moderazione della Repubblica, osò provocar di nuovo la sua vendetta col più terribile degli attentati; il sacerdozio espiò il suo delitto, e Roma acquistò la libertà. Ma il Direttorio esecutivo prevedendo che non si sarebbe mancato di sparger l'allarme alla corte imperiale, e di dare alla più giusta rappresaglia l'aspetto di una ambiziosa aggressione, giudicò a proposito di allontanare tutte le considerazioni di etichetta che avrebbero potuto ritenerlo, ed inviare a Vienna il Cittadino Bernadote come ambasciatore della Republica francese, incaricato a far comprendere che la distruzione del governo Pontificio non produceva cambiamento alcuno alla demarcazione de' stati d'Italia, e che le Repubbliche già esistenti, e riconosciute non verrebbero aumentate da alcuna parte del territorio Romano; ciò che lasciava in tutta la sua integrità il trattato di Campoformio, poiché nel fissare l'estensione della Repubblica Cisalpina non aveva potuto prevedere, né impedire, quanto ai loro risultati, gli avvenimenti che potevano cambiare la forma degli altri Stati d'Italia in conseguenza delle proprie loro aggressioni.
«Ciò non ostante l'Ambasciadore della Repubblica fu accolto alla Corte di Vienna con freddezza. Quest'attestato della premura la più ideale, questa spedizione d'un agente rivestito del più augusto carattere, restò senza reciprocanza, e tosto un avvenimento, meno ingiurioso, per le circostanze che lo hanno accompagnato, che per l'impunità che ha ottenuto, manifestò i sentimenti segreti della Corte di Vienna.
«Se al primo annuncio di questo attentato, il Direttorio esecutivo non avesse avuto motivo di scorgere in esso l'intrigo di due Corte accanite a riaccendere la guerra sul continente; se avesse potuto credere che l'imperatore avesse conosciuto il complotto tramato sotto i suoi propri occhi, non avrebbe esitato un istante a provocar la vendetta Nazionale contro di una violazione che tanto oltraggiava lo stato di pace e' l dritto delle genti, rispettato con tanta religiosità dalla Repubblica, anche in mezzo alle più violente agitazioni della rivoluzione.
«Ma era possibile che i Gabinetti di Moscovia, e di Londra avessero soli preparato, e diretto per mezzo de' loro Agenti un tumulto che l'imperatore non avrebbe né conosciuto né approvato. Le espressioni del dispiacere fatte fin dal primo istante all'ambasciatore della repubblica dal Signor di Colloredo, l'invio annunciato del Signor di Degelmann a Parigi  erano de' motivi per pensare che la Corte imperiale non mancherebbe di far le dovute ricerche, e di punire un attentato di cui essa nconosceva l'esistenza, e di cui temeva mostrarsi complice. Quando si seppe per altre vie che il Ministro il quale era accusato di aver secondato i furori d'Inghilterra, e della Russia, aveva ceduto il suo posto al Conte di Cobentzel, e che costui si portava a Seltz per dare delle soddisfazioni, il Direttorio non poté pentirsi d'aver provocato queste conferenze, mostrandosi meno pronto a seguire il primo impulso di un legittimo risentimento, che premuroso di fare svanire per mezzo di comuni spiegazioni, tuttocciò che si opponeva al ristabilimento della più perfetta armonia.
«Tale era il suo desiderio di ottenere una conciliazione, che l'inviato straordinario della Repubblica ebbe per istruzione definitiva di contentarsi, per riparare ciò che era accaduto a Vienna il 24. Germile, di una semplice disapprovazione, e della dichiarazione che si sarebbero fatte le dovute ricerche relativamente ai colpevoli.
«Ma appena si diede principio alle conferenze a Seltz, che la Corte Imperiale cambiò linguaggio, e condotta. Il barone di Degelmann non si rese a Parigi, il Signor di Thugut restato a Vienna, rientrò al ministero, le informazioni incominciate restarono senza conseguenza, e senza effetto; il conte di Cobenuel in vece di offrire o di accordare le riparazioni che erano l'oggetto principale della sua missione, affettò di voler concentrare la discussione su di altri punti e finì col declinare da ogni soddisfazione, anche da quella di cui si era contentata la Repubblica, allorché restò convinto che il Direttorio non accoglieva le insinuazioni per le quali la Corte di Vienna voleva renderlo, anche in mezzo della pace, complice delle più strane spoliazioni.
«I negoziatori si separarono, e tosto colui che sua maestà imperiale aveva inviato a Seltz per affettare vane proteste di pace, ebbe la missione di andare a Berlino ed a Pietroburg per associarsi a tutti gl'incitamenti del Governo Brittannico onde riaccendere la guerra.
«Bisognava senza dubbio che il Direttorio esecutivo fosse animato da un profondo amore per la pace per non cedere fin da quel momento all'evidenza delle disposizioni ostili della casa d'Austria, e per evitar di rispondere alle sue provocazioni.
«Esso vedeva che, a Rastadt dopo l'apertura del congresso, il ministro imperiale e quello d'Austria, non avevano cessato di mostrarsi contrarj a tutte le proposizioni della Repubblica, a tutte quelle che potevano condurre ad una pace definitiva e durevole.

«Esso aveva notizia delle difficoltà che si facevano a Vienna per riconoscere il ministro Cisalpino, lo che metteva in dubbio i punti decisi dal trattato di Campoformio.
«Esso era informato che il gabinetto austriaco (qualunque mai fosse stata l'opinione personale dell'Imperatore), abbandonato più che mai agli impulsi dell'Inghilterra, dava a quello di Napoli l'audacia che lo spingeva alle più stravaganti misure, dirigeva con maggior segretezza il Piemonte, che aveva per dianzi sagrificato ad una divisione, e si sforzava di strappare dalla sua neutralità il governo prussiano, che voleva armare contro la Francia, dopo di essersi sforzato di armar la Francia contro di lui.
«Quanti motivi per abjurare un trattato sconosciuto, violato dall'Austria, e che cessava di essere obbligatorio per la Repubblica! Ma la pazienza e le risoluzioni del Direttorio esecutivo dovevano mostrarsi anche al di sopra di una provocazione più diretta.
«In un momento in cui alcuni faziosi i quali avevano usurpato il potere nei Grigioni, mostravano dell'inquietudine sulla vicinanza di una armata Francese, e su i progetti che essi supponevano formati contro la loro indipendenza, e la loro neutralità, affettando nello stesso tempo una perfetta sicurezza dalla parte dell'Austria da cui dicevano aver ricevuto le più sicure proteste; il Direttorio giudicò espediente di far sapere agli abitanti che il loro territorio sarebbe rispettato finché lo sarebbe dall'Austria istessa. Alcuni mesi erano scorsi appena dopo questa dichiarazione, un corpo di truppe Austriache invase il paese dei Grigioni e si stabilì in esso.
«Al Direttorio esecutivo non isfuggì tutta l'ostilità di questa occupazione, e tutte le occulte macchine che racchiudeva. Era evidente che con ciò l'Austria si preparava i mezzi d'intorbidare l'Elvezia, di fare irruzione nella Cisalpina, e di dare nel momento decisivo la mano al re di Piemonte, onde cercare di tagliar con questo mezzo qualunque ritirata ai Francesi, che si facevano attaccare da centomila Napoletani e che si osavano supporre vinti.
«Il Direttorio non mancò di scorgere tutte queste perfide combinazioni, ma evitò ancora di trovare in esse una formale aggressione; e nel momento in cui l'attacco prematuro del Re delle due Sicilie aprì una nuova guerra, il Direttorio avendo in mano le pruove della complicità del re di Sardegna, e volendo distoglierne l'effetto, s'impadronì delle sue piazze forti, prevenendo di qualche giorno l'occupazione che ne averebbero fatta le truppe austriache, annunciata già dall'invasione anteriore dei Grigioni.
«Ma nel tempo in cui le Armate repubblicane rispingevano in Italia l'aggressione e prevenivano la perfidia, il Direttorio, quantunque avesse avuto cognizione del trattato che esisteva tra Vienna e Napoli, quantunque vedesse un generale austriaco alla testa delle truppe napolitane, quantunque conoscesse i movimenti delle truppe che avevano luogo nel Tirolo e nel Nord d'Italia, ciò non ostante persistette ancora nel desiderio di restare in pace coll'imperatore; e la sincerità del suo voto riguardo a ciò fu abbastanza palese dalla condotta che tenne verso la Toscana, poiché da molto tempo non si poteva più separare la corte di Firenze da quella di Vienna.
«Il Direttorio aveva saputo che il viaggio del Signor Manfredini a Vienna aveva avuto lo stesso oggetto di quello del principe di Montechiaro spedito da Napoli, ed aveva utilmente preparato l'esito della sua missione, contribuendo a dare all'Imperatore il desiderio di aumentare la sua influenza in Italia, di cercare in essa un nuovo ingrandimento sotto pretesto d'indennizzazione, di contrariare la consistenza della Repubblica Cisalpina, e di opporsi soprattutto all'esistenza della Repubblica romana.
«Ebbe inoltre notizia che all'epoca in cui la corte di Napoli si disponeva a far marciare la sua armata verso Roma il gran duca faceva altresì dei preparativi di guerra, dando ad essi una accelerazione, un'estensione poco familiare al paese, ordinando coll'armamento completo delle bande, le reclutazioni volontarie in ogni città e villaggio, stabilendo un prestito forzoso, domandando alle chiese, ai monaci, ai nobili la loro argenteria, prendendo finalmente tutte le misure che dinotavano una segreta partecipazione alle più vaste intraprese; e malgrado tutta l'arte con cui si è cercato di fare scomparire queste tracce di ostilità, il Direttorio esecutivo viene di più al acquistar la prova che il granduca contava talmente sulla disfatta dei Francesi, che aveva chiuso tutte le strade per le quali averebbero potuto tentare la ritirata per i suoi stati, e le aveva guarnito con numerosa artiglieria, che doveva finir di distruggere gli avvanzi dell'armata Francese, mentrechè per un altro lato una truppa di Napolitani, ed alcuni vascelli inglesi prendevano possesso di Livorno, ciocchè non avrebbe mai avuto luogo se questo principe avesse solamente dichiarato di non voler prestare a ciò il suo consenso.
«Quindi il primo movimento dell'armata Francese doveva esser di marciar su Firenze, e su Livorno, e se il Direttorio esecutivo (il quale dopo ha saputo con certezza, quanto il granduca, che arma ancora in segreto, si era reso colpevole) sospese l'effetto della sua risoluzione, ciò è accaduto perché riguardando la corte di Toscana come meno immediatamente connessa agli interessi ed alle intraprese della corte di Napoli che a quelli della corte di Vienna, esso esitava ancora a credere che costei volesse ostinatamente riaccendere la guerra. Ma tosto un fatto più decisivo ancora che tutti i precedenti, non poté lasciare alcun dubbio sulle disposizioni dell'Austria, e diede perciò la misura di quelle del Granduca.
«Venticinque mila Russi si avvanzavano verso l'Alemagna che dovevano esser seguiti da molti corpi egualmente numerosi. Il monarca di Russia aveva proclamato in tutta l'Europa i suoi progetti ostili contro la Repubblica; e mentrechè le sue flotte, ottenendo di passar lo stretto entravano nel Mediterraneo per attaccare in esso i stabilimenti Francesi, le sue truppe cercavano similmente un uscita sul continente per raggiungere quelle della Repubblica: nel momento in cui l'imperatore si ritrovava ancora in istato di pace, in cui l'Impero neutralizzato da un armistizio speciale, toccava al termine della sua pacificazione, un principe aggressore, l'alleato di Costantinopoli e di Londra volendo unire i suoi sforzi ai loro, si presenta su i limiti del territorio austriaco. La sua armata è ricevuta senza ostacoli, ed egli è perciò evidente che era attesa. L'imperatore lascia la sua capitale, va esso stesso incontro ai Russi, accoglie i loro clamori, e si associa ai loro progetti, colmandoli di attenzione e di doni.
«Colpito dallo scandalo di una tale condotta, istruito che i Russi, sono in procinto di passare dal territorio Austriaco in quello stesso dell'Imperio, il D. E. comprimendo ancora il primo slancio della fierezza nazionale, si contenta di chiedere delle spiegazioni all'imperatore, ed all'Imperio.
«L'imperatore tace; il suo plenipotenziario vorrebbe negare di aver ricevuta la nota dei ministri Francesi; la deputazione dell'imperio si rapporta alla dieta, e la dieta all'imperatore.
«Ciò nonostante la marcia de' Russi continua; essi hanno attraversato la Moravia, e l'Austria, si avvicinano alle frontiere della Baviera, e le rappresentanze amichevoli della Repubblica non hanno avuto maggiore ascolto dell'interesse stesso di Alemagna che ripugna a questa straniera invasione.
«Era dunque giunto il momento in cui il D. E. non era più padrone di temporeggiare, e di tenere un linguaggio che poteva compromettere la dignità nazionale, e la sicurezza dello stato. La Repubblica aveva dato la pace tosto che si era domandata; essa aveva fatto tutti i sforzi per mantenere ciò che aveva accordato, ma bisognava finalmente che conoscesse tutti i suoi nemici e che quelli i quali volevano la guerra, fossero costretti di spiegarsi.
«Tali furono lo spirito e l'oggetto delle due note rimesse il 12 piovoso ultimo al ministro austriaco a Rastadt, ed alla deputazione, si fissò una dilazione a sua maestà imperiale onde dasse una risposta categorica e soddisfacente, la quale mancando, il suo silenzio, o il suo rifiuto sarebbe riguardato come un atto di ostilità. Questa dilazione è spirata il 27 piovoso, e nessuna risposta è ancor giunta.
«Tale è stata, Cittadini Rappresentanti, la condotta della Corte di Vienna. Per una tal serie di fatti il trattato di Campoformio, sconosciuto fin dalla sua origine, rimasto senza esecuzione per parte degli Austriaci in molte parti principali, compromesso ogni giorno, o reso illusorio con preparativi, o con azioni ostili, si trova oggi finalmente sagrificato alla stravagante ambizione del monarca russo, ed alle perfide combinazioni dell'Inghilterra. Ed ecco come l'Imperatore, gittato forse fuori delle sue proprie risoluzioni, compromette nello stesso tempo la sorte dell'Imperio, togliendole il beneficio di una pace incominciata, ed abbandonando di nuovo l'Alemagna a tutt'i rischj di una guerra in cui l'imperatore e l'imperio non sono altro che gli ausiliari dei Russi. Ed ecco come le determinazioni della Corte di Vienna trascinando quelle della Corte di Toscana, non è permesso al D. E. di sperar l'una dall'altra. Costretto adunque dai termini della dichiarazione che ha avuto luogo a Rastadt di riguardare il silenzio dell'imperatore come una misura ostile; istruito inoltre che le truppe austriache han già fatto nella Baviera, e verso la Svevia dei movimenti di aggressione, il D. E. rinunciando con dispiacere alla speranza di mantener la pace in Alemagna, ma sempre disposto ad accettare le proposizioni convenienti che potrebbero farsi per una nuova e completa riconciliazione, vi previene, Citt. Rapp. che ha già prese le msiure che ha credute necessarie per la difesa dello stato, e vi propone di dichiarar guerra all'imperatore re di Ungheria, e di Boemia, ed al granduca di Toscana.

Barras Presidente
 Lagarde Seg. Gen.

  In conseguenza di questo messaggio il Corpo Legislativo ha presa la seguente determinazione.

ART. I.

Il Corpo Legislativo dichiara che la Repubblica Francese è in guerra coll'imperatore re di Boemia e di Ungheria, e col granduca di Toscana.

A R T. II.

La presente risoluzione sarà stampata.

G. Malès Pres.

Il Consiglio degli Anziani approva.

Delacoste Pres.

Ecco finalmente il suolo Italiano purgato da' suoi interni tiranni. L'Uniformità dei principj e d'interessi darà tosto agli Italiani lo stesso carattere, e stabilirà in Italia un governo degno de' suoi destini.

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